Nostalgia dell'estate e delle sue notti spensierate e danzanti ? Non preoccupatevi!
Oggi riporto dal sito https://storiedimenticate.it/ e dalla sua pagina facebook https://www.facebook.com/StorieDimenticateLombardia/ la storia della prima discoteca di Milano e d'Italia, il "mitico" Number One di Gigi Rizzi e Beppe Piroddi.
Il locale che seppe intercettare cambiamenti epocali nel comportamento dei giovani: basta coi lenti e basta coi balli di coppia, le ragazze e i ragazzi volevano ballare da soli, tutta la notte.
Via dell’Annunciata è una bella ed elegante strada del centro di Milano. È l’ultima traversa di via Manzoni, prima di piazza Cavour, e cinge a Est il quartiere di Brera in un abbraccio morbido come un maglione di cashmere adagiato sulle spalle. Le linee architettoniche dei palazzi che la costeggiano sono un perfetto compendio della storia di Milano: ci sono edifici dell’Ottocento, degli anni Trenta e anche degli anni Cinquanta. Epoche diverse, stili diversi, ma tutti accomunati da due elementi imprescindibili: sobrietà e signorilità. Via dell’Annunciata è una via tranquilla. Anzi, tranquillissima. Sui citofoni non ci sono cognomi, ma solo numeri. Di lì non ci si passa per caso. Non è una via commerciale, solo un paio di bar anche loro dall’aria pacata, qualche esercizio di vicinato e molti uffici di liberi professionisti, avvocati, commercialisti, notai e architetti. Lì vicino si trovano anche i Giardini Perego, piccola area verde nel cuore della città progettati alla fine del Settecento da Luigi Canonica, lo stesso che pochi anni dopo progettò anche il Parco di Monza, e una delle associazioni più prestigiose di Milano, quella degli Amici della Scala. Se non fosse per la Questura, nella parallela via Fatebenefratelli, che garantisce un’inevitabile via vai di auto e sirene, la via potrebbe essere così tranquilla da essere considerata quasi noiosa. Ma allora perché, per la ripresa dell’attività dopo la pausa estiva, abbiamo deciso di raccontarvi la storia di una via così monotona? La risposta, cari lettori, è molto semplice: perché è lì, in via dell’Annunciata, ed esattamente al numero 31, che i milanesi hanno smesso di ballare i lenti.
Ve li ricordate i balli lenti? Quelli che si danzavano ondeggiando su di una piastrella? Quelli dove fra ragazzo e ragazza doveva essere tenuta una certa distanza di sicurezza misurabile in palmi? Ma certo che ve li ricordate. Come si possono dimenticare quei momenti trascorsi a cercare il momento giusto per scoccare il primo bacio. Ecco, lì dove la strada fa una leggera curva verso sinistra e dove si trova un palazzo stretto e alto, con una facciata irregolare cinta da una cancellata scura, nel 1968 venne inaugurato il Number One, la prima discoteca intesa in senso moderno di Milano e d’Italia. E ad aprirla non fu un imprenditore qualunque, ma niente meno che Gigi Rizzi, il playboy protagonista della famosissima, chiacchieratissima e paparazzatissima love story con Brigitte Bardot. Sì, proprio lei, una delle donne più belle del mondo, l’icona sexy degli anni Sessanta, musa ispiratrice di registi, poeti e cantanti. In una parola: BB. Per quei pochi che non conoscessero i fatti, spendiamo le prossime dieci righe per fare un po’ di storia.
Estate 1968, Costa Azzurra, mentre la stragrande maggioranza di giovani italiani manifesta per strada contro il Vietnam e contro il sistema borghese-capitalista, Gigi Rizzi, rampollo di una nota famiglia di imprenditori edili piacentini, fa letteralmente furore nei locali di Saint Tropez. Lui, assieme a un paio di amici, fra cui l’inseparabile Beppe Piroddi, sono i re incontrastati dei locali notturni della località francese. Feste, balli scatenati sui tavoli, la notte che sembra non finire mai. Le ragazze cadono letteralmente ai lori piedi e Gigi Rizzi riesce a piantare la bandiera italiana nel punto più sensibile dell’orgoglio francese. Lui e BB diventano la coppia più ricercata dai fotografi e loro non si negano. Anzi: capelli al vento, camice a fiori e piedi nudi diventano il simbolo involontario di un “altro Sessantotto”.
Ma anche quell’estate, esattamente come tutte le altre, è destinata a finire e con lei termina anche la passione fra i due giovani e spensierati amanti. A Gigi Rizzi e a Beppe Piroddi quei giorni pazzi e fuori da ogni schema lasciano però qualcosa in eredità, oltre allo struggente ricordo delle numerose amanti: la consapevolezza che il modo di divertirsi dei giovani sta cambiando. I night club, i dancing e le balere funzionano ancora. Tuttavia, la rivoluzione giovanile in atto fa capire ai due che non sta cambiando solo il modo di pensare e di vestirsi dei ragazzi, ma anche di ballare. Basta col lento, considerato troppo borghese, e basta in generale coi balli in coppia. I giovani di fine anni Sessanta vogliono ballare da soli.
Piroddi e Rizzi, che erano già titolari di alcune quote di un famoso locale di Saint Tropez, l’Esquinade, decidono così di portare un po’ di Costa Azzurra anche a Milano. Dopo avere gironzolato per la città in cerca del posto giusto per qualche mese, decidono di aprire la loro discoteca, la prima in assoluto nel Bel paese, in via dell’Annunciata 31. Il successo è immediato è inarrestabile. Il locale diventa subito il centro della movida milanese. Sulla pista e sui divanetti in velluto tigrato del Number One sfila la meglio gioventù milanese e le più belle modelle internazionali. Un nome su tutti: Odile Rodin, la vedova di Porfirio Rubirosa, il “padre” di tutti i play boy, Gigi Rizzi compreso. Gigi Rizzi, però, è come una rockstar maledetta. La sua candela brucia da entrambi i lati e il Number One è destinato a durare l’espace d’un matin, esattamente come la love story con BB: il 15 giugno del 1971, alle 5 di mattina, una bomba fa saltare in aria il locale.
Milano, suo malgrado, da qualche anno ci ha fatto l’abitudine alle bombe, ma questa del Number One fa scalpore. Le indagini della Polizia scattano immediatamente, ma a parte la testimonianza di un giovane garzone che racconta di una Mini Morris vista passare più volte lungo la strada prima del botto, gli autori dell’attentato rimarranno sempre anonimi. I detective di via Fatebenefratelli, tuttavia, sanno molto bene qual è il significato di quella esplosione. Da più di un anno nel capoluogo è in atto una vera e propria lotta fra gang per il controllo dei locali notturni che i giornali hanno ribattezzato “la guerra dei night”. La malavita milanese, esattamente come è accaduto in Costa Azzurra con i marsigliesi, non appena si è accorta che questo nuovo tipo di locale attirava giovani ha cercato di metterci sopra le mani e poi ha iniziato a sommergerli con chili e chili di droga, eroina e cocaina soprattutto.
Pochi mesi prima del Number One infatti era toccato a un altro locale notturno saltare in aria. Si trattava del Bang Bang di via Molino delle Armi, all’interno del quale gli attentatori avevano versato litri e litri di benzina. Lo stesso Number One, alla fine del 1969, era stato oggetto di un tentativo di estorsione: due milioni di lire al mese in cambio di protezione. Rizzi, però, aveva denunciato tutto facendo arrestare il colpevole e il problema sembrava risolto. Invece, no. Il peggio doveva ancora arrivare. Breve e fugace, l’apparizione del Number One sancì comunque la fine di un’era. Quella dei night club come la Porta d’oro, l’Astoria o il Maxim, dove a seconda della serata potevi incrociare il “cummenda” col portafoglio gonfio di banconote, Gianni Rivera in libera uscita da Nereo Rocco, la divina Rita Hayworth accompagnata da Frank Sinatra o Francis Turatello col suo codazzo di scagnozzi. Col Number One sparisce l’orchestra che suona la musica da vivo nei dancing e compare per la prima volta la figura del disc-jockey. Una piccola rivoluzione della pista da ballo iniziata in Francia e Inghilterra con l’apertura delle prime discoteche europee e proseguita anche all’ombra della Madonnina. Dopo il botto del giugno ’71, la questura fece alcuni rilevi all’interno del locale al termine dei quali emersero irregolarità amministrative tipo la mancanza di un numero adeguato di uscite di sicurezza. Era il segnale per la definitiva uscita di scena.
Rizzi già da qualche mese si era chiamato fuori dall’iniziativa per dedicarsi al cinema e Piroddi colse la palla al balzo per non riaprire più. Il Number One non aveva niente a che vedere con certi locali dalle dimensioni enormi di oggi giorno. Era tutto sommato piccolo, oltre ai divenetti in velluto tigrato aveva una pista da ballocol pavimento illuminato da sotto, una piccola consolle, uno spazio per la band, dei separé e un ovviamente un bar. Non era aperta a tutti. Era un posto esclusivo che si riempiva come un uovo in occasione di feste o particolari eventi. Bella gente, ragazze fantastiche, minigonne e macchine di lusso. L’esperienza durò poco, più o meno tre anni, ma a suo modo segnò l’avvento di una piccola rivoluzione. Basta coi lenti e i balli di coppia. Il Number One aveva rotto gli schemi. Di lì a poco, infatti, iniziarono ad aprire lo Studio 54 di corso XXII Marzo, omonimo dello Studio 54 di New York, l’Odissea 2001 di via Forze Armate e il Prima Donna di via Verri, dove per volontà della direzione il biglietto d’ingresso si pagava a peso. Nel senso che all’ingresso c’era una bilancia con sopra scritto “10 lire all’etto”.
da https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv del 25 GIU 2013 11:24
L’ALTRO ’68 DI GIGI RIZZI: NON AVEVA MAO COME IDOLO MA FECE LA RIVOLUZIONE NEL LETTO DELLA BARDOT (E NON SOLO)
Mughini scatenato. “I suoi valori fondamentali facevano riferimento alle potenzialità e all’entità dell’organo maschile. “Animella, basanotto, mezzalama, duro da militare, duro da culo, duro da ergastolano, duro da dio”. Loro tutti naturalmente pensavano di averlo duro da dio”…
Giampiero Mughini per "Libero"
Un giorno di fine giugno del 1968, a notte inoltrata, Brigitte Bardot entrò in una discoteca di Saint-Tropez e siccome di uomini belli e svettanti se ne intendeva molto, come avrebbe potuto non notare quel marmoreo italiano ventiquattrenne da cui la giovinezza e la vitalità maschile eruttavano come da un vulcano? Gigi Rizzi il suo nome, la danza a piedi nudi e il gioco delle carte le sue risorse migliori, le bellissime donne da avvolgere e spupazzare la sua meta e il suo lavoro 24 ore su 24.
GIGI RIZZI NEL REALITY LA FATTORIA
Fosse stato per lei e per il tipino femminilmente vorace che era, Brigitte gli avrebbe messo le mani addosso all'istante. Si limitò a fargli arrivare in mano un bigliettino in cui lo invitava a fare sci d'acqua, all'indomani mattina, innanzi alla sua villa celeberrima. In un suo libro in cui si vanta, e non gli si può dar torto, di essere stato attore protagonista di un "altro Sessantotto" che non quello degli studenti che rumoreggiavano contro il capitalismo, Rizzi racconta che quella notte non andò a dormire.
GIGI RIZZI NEL REALITY LA FATTORIA
E con tutto questo alla mattina dopo sciò benissimo e tutto il resto che immaginate. Esattamente una domenica di fine giugno, alla sera tarda del 23 giugno, ed esattamente in una villa dalle parti di Saint-Tropez, il cuore di Rizzi si è arrestato per sempre. Lui che aveva vissuto a gran velocità, è morto velocemente. Aveva 69 anni ed era tornato a vivere in Liguria dopo avere girato mezzo mondo.
Se ne va con lui un pezzo del sogno che è stato di tutti, quel tempo in cui era sembrato non ci fosse un limite allo strapotere della bellezza di uomini e donne che incastravano le loro notti e le loro danze. Brigitte se l'era tenuto in casa e lo aveva apprezzato per la durata di tre mesi. Dopo di che gli fece trovare la valigia fuori dalla porta. Lei era una creatura di cui il poeta e autore di teatro Roberto Lerici scrisse che mangiava quando aveva fame e beveva quando aveva sete.
GIGI RIZZI E LA MOGLIE DOLORES MAYOL
Tre mesi furono sufficienti per esaurire il suo appetito di un «italien» seppure talmente bello. Pochi mesi prima le erano bastate poche settimane per consumare il suo appetito di un uomo all'opposto di Rizzi, di un poeta e cantautore ebreo di cui avresti detto a prima vista che era bruttarello e invece era un mostro di fascino, il francese Serge Gainsbourg. Da Gainsbourg a Rizzi, da un polo all'altro dell'universo maschile, Brigitte gustava, consumava, gettava via.
GIGI RIZZI E FRANCO CALIFANO NEL DUEMILASEI
A SAINT-TROPEZ
Figlio di un imprenditore ligure, il Rizzi del giugno 1968 non aveva esattamente un'arte e una parte che non fosse quella di dedicarsi anima e corpo alle rappresentanti eccelse dell'universo femminile. L'ho detto che il suo era un lavoro 24 ore su 24, giorno e notte, e ci voleva anche un po' di «roba» per tenere quel ritmo e quelle prestazioni. Straripante di simpatia e di una comunicativa maschile persino sfacciata da quanto puntava diretto al cuore delle belle, il suo era un professionismo accurato quanto alla conquista delle girls, alla perizia nella scelta dello champagne e dei vini i più acconci alla situazione, ai segreti del tavolo da gioco.
GIGI RIZZI E IRA FURSTENBERGFiglio di un imprenditore ligure, il Rizzi del giugno 1968 non aveva esattamente un'arte e una parte che non fosse quella di dedicarsi anima e corpo alle rappresentanti eccelse dell'universo femminile. L'ho detto che il suo era un lavoro 24 ore su 24, giorno e notte, e ci voleva anche un po' di «roba» per tenere quel ritmo e quelle prestazioni. Straripante di simpatia e di una comunicativa maschile persino sfacciata da quanto puntava diretto al cuore delle belle, il suo era un professionismo accurato quanto alla conquista delle girls, alla perizia nella scelta dello champagne e dei vini i più acconci alla situazione, ai segreti del tavolo da gioco.
A Saint-Tropez lui e un gruppo di playboy italiani che le foto del tempo ci tramandano addobbati con quella loro divisa da battaglia, la camicia ben sbottonata a mostrare orgogliosi il pendolo che sbatte sul torso, avevano un loro tavolo perennemente riservato nel locale più famoso della cittadina francese, il Byblos. Rizzi, Beppe Piroddi (più tardi marito di Corinne Cléry, morto qualche anno fa), lo statuario Franco Rapetti, Gianfranco Piacentini. (Quanto al tavolo da gioco mi ha raccontato che una notte vinse 100mila dollari a Ted Kennedy, il quale non glieli pagò mai).
GIGI RIZZI E BRIGITTE BARDOT
«Les italiens», come venivano chiamati, avevano la nomea di inarrivabili quanto a conquiste femminili. Se incontravano una ragazza subito le offrivano di che vestirsi da capo a piedi, ciò che le «material girls» non disdegnano affatto. A detta di Elsa Martinelli, che di Rizzi è stata molto amica, i playboy francesi non arrivavano alle caviglie degli «italiens» in fatto di eleganza e generosità.
GIGI RIZZI E BRIGITTE BARDOT
Figli anche loro dei Sessanta, s'erano dati come idolo né Mao né Herbert Marcuse e bensì il leggendario playboy sudamericano Porfirio Rubirosa. I valori fondamentali del gruppo erano riassunti in una specie di scala Mercalli che faceva riferimento alle potenzialità e all'entità dell'organo maschile. «Animella, basanotto, mezzalama, duro da militare, duro da culo, duro da ergastolano, duro da dio». Loro tutti naturalmente pensavano di averlo duro da dio.
GIGGI RIZZI E MINNIE MINOPRIO
TERRE E BESTIAME
Più tardi il vento in poppa di cui avevano goduto questi «altri» Sessantottini scemò di intensità. Piroddi e Rizzi avevano inaugurato a Roma nel 1969 un locale atto alle celebrità e ai loro spassi notturni, quel Number One che stava alle spalle di via Veneto. Nei cui bagni trovarono, nel 1972, un bel po' di droga tanto che lo chiusero. Nei secondi anni Settanta Rizzi se ne andò in Argentina a occuparsi di terre e bestiame, e finché non è tornato in Italia alcuni anni fa. L'ho avuto di fronte in parecchi set televisivi. Per ragioni di invidia maschile avrei dovuto odiarlo da schiattarne, e invece era molto simpatico. Dello spaccamontagne dei Sessanta era rimasto poco. Al contrario, lo trovavo un po' timido quando gli indirizzavo una battuta.
Più tardi il vento in poppa di cui avevano goduto questi «altri» Sessantottini scemò di intensità. Piroddi e Rizzi avevano inaugurato a Roma nel 1969 un locale atto alle celebrità e ai loro spassi notturni, quel Number One che stava alle spalle di via Veneto. Nei cui bagni trovarono, nel 1972, un bel po' di droga tanto che lo chiusero. Nei secondi anni Settanta Rizzi se ne andò in Argentina a occuparsi di terre e bestiame, e finché non è tornato in Italia alcuni anni fa. L'ho avuto di fronte in parecchi set televisivi. Per ragioni di invidia maschile avrei dovuto odiarlo da schiattarne, e invece era molto simpatico. Dello spaccamontagne dei Sessanta era rimasto poco. Al contrario, lo trovavo un po' timido quando gli indirizzavo una battuta.