Tante
immagini, e tutte significative, stanno contrappuntando la ribellione
in Turchia. Tante da scegliere, da conservare, qualunque sia l'esito
della protesta. Perché la storia cammina, non si può fermare. E al tempo
stesso s'incunea nel nostro occhio mentale e si riaffaccia, statuaria e
insieme attiva, che par di udirne il suono, persino l'odore. La storia,
si dice, è realtà. Il fatto per eccellenza. No, la storia è soprattutto immaginazione e profezia.
L'arte prevede. Senza arte non esiste quindi futuro. Prevede, spesso,
inconsapevolmente. La giovane e disinvolta ragazza turca con bandiera
scarlatta e mezzaluna non sa di star inverando un sogno, un'epopea di
tre secoli fa. Ha i piedi scalzi, come si addice a un'immagine eroica.
Come la Libertà dipinta da Delacroix tanti anni addietro. Con alcune
differenze sostanziali. Quella di Delacroix era una donna fittizia,
un'effigie astratta. Una cariatide atemporale in mezzo a protagonisti
autentici, tutti maschi e giovani, addirittura ex schiavi, ma sempre
uomini, a guidare le magnifiche sorti e progressive incarnate dalla
Francia moderna. La studentessa turca ha una sua bellezza quotidiana, il
suo eroismo, o intraprendenza, ha tutta la sicurezza di una gioventù
vera, entusiasta e fiduciosa. Spicca, risalta, e tuttavia non guida:
unisce, semmai. Se Delacroix aveva raffigurato, attraverso la Francia,
il futuro dell'Europa, la ragazza di Istanbul è l'Europa nuova, ma,
anche se restasse Asia, poco importerebbe.
È segno di laicità.
Perché la donna è sempre laica, l'hanno costretta a esserlo ma questo è
oggi il suo punto di forza. È laica cioè del popolo, non recinto chiuso,
ma unione di vite e di mondi. Non esiste più, in lei, il distacco tra
sacro e profano, non più società agoniche e gerarchiche. Delacroix aveva
bisogno d'inventarsi una femmina ideale in questa sua fratellanza
coniugata solo al maschile. La realtà l'ha trasceso e superato, come
sempre avviene, facendo spuntare una donna in quel luogo, naturale e
ardita senza retorica alcuna, faticosa sulle macerie eppur senza dolore,
sola e affiancata da giovani uomini in una sorta di patriottica
poliandria, senza simboli, perché il simbolo si è inverato, e marcia tra
noi.
Comunque è utile vedere sia l'articolo sotto riportato da cui ho tratto il tutolo del post d'oggi sia ( la trovate come secondo articolo ) la recensione del libro Camminare e rivoluzionario di Adriano Labbucci tratta dal sito della casa editrice http://www.donzelli.it
il primo articolo preso da repubblica del 9\11\2012
Roma .Meglio un peccato di gola che indulgere all’ozio. Tra i due sentieri che portano a una lunga vita,quello dell’attività fisica è più efficace di quello della dieta,purché sia percorso a passo
svelto e per almeno 75 minuti alla settimana. A tanto infatti ammonta l’esercizio fisico capace di regalare 1,8 anni in più alla nostra vita.ma non a cantare, secondo la definizione tecnica. Se lo sport
prescelto è invece classificato come “vigoroso” (non si riescono a pronunciare più di poche parole), i vantaggi in termini di vita allungata si raggiungerebbero molto prima. Nelle raccomandazioni degli Istituti Nazionali per la Salute americani, infatti, le 2,5 ore a settimana di camminata rapida consigliate
per mantenersi in forma equivalgono a 1,25 ore di esercizio intenso.
Anche se basati su un campione molto ampio (650 mila persone con almeno 40 anni di età, seguite per un lasso di tempo che arriva fino a 40 anni), i dati di Harvard sono comunque frutto di un’elaborazione statistica, e vanno dunque considerati cum grano salis. Tutte le informazioni su attività fisica svolta e durata della vita sono state ricavate da sei grandi studi (5 americani e uno svedese svolto dal Karolinska) progettati per calcolare il legame fra stili di vita e rischio di ammalarsi di tumore. Ma come
sempre avviene per questi enormi database, che comprendono decine di migliaia di volontari arruolati addirittura per decenni e raccolgono miriadi di dettagli sulla vita quotidiana, ogni ricercatore è libero in seguito di scavare nei dati per estrarne l’aspetto che più gli interessa. In questo caso è toccato all'esercizio fisico, e al raffronto fra i suoi benefici e quelli della dieta.
Un dato che sembra comprovato al di là di ogni dubbio sui limiti della statistica è poi quello
che lega l’esercizio fisico alla salute del cervello. Il primo novembre sul giornale dell’American Heart Association è uscito solo l’ultimo fra le decine di studi che indicano come camminare, pedalare, nuotare o andare in palestra mantengano il cervello ben irrorato di sangue, prevenendo la degenerazione delle
cellule e allontanando il rischio di ammalarsi di demenza del 40 per cento. Per chi come motivazione non trova sufficiente il benessere che segue a una bella camminata, da oggi c’è la forza dei numeri a convincerlo che indossare le scarpe da ginnastica ha i suoi vantaggi.
Camminando per 450 minuti nell'arco di sette giorni (poco più di un’ora al giorno) si può arrivare ancora più lontano, guadagnando 4 anni e mezzo al tempo che ci sarebbe stato assegnato se fossimo rimasti fermi. E purché l’esercizio fisico sia stato abbondante, anche permettersi uno stravizio a tavola è concesso. I ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston e di Harvard che si sono dedicati a quantificare i benefici dello sport, infatti, hanno messo a confronto sportivi più o meno in regola con la bilancia. Ne è emerso che un individuo attivo,anche se leggermente sovrappeso, vive in media 3,1 anni in più rispetto a un magro sedentario. Il divario più ampio in termini di età raggiunta si ha quando si confronta uno sportivo magro con un ozioso obeso: ben 7,2 anni di differenza nella durata del la vita. «L’esercizio regolare allunga la sopravvivenza in tutti i gruppi che abbiamo preso in
considerazione: persone che mantengono la linea, in sovrappeso e perfino obese» ha commentato Steven Moore, uno degli autori della ricerca.
Il ruolo benefico dell’attività fisica è tanto grande da uguagliare quasi quello negativo del fumo. In passato è stato infatti calcolato che l’abitudine della sigaretta toglie in media dieci anni di vita. E una ricerca svolta dal Karolinska Institutet di Stoccolma, pubblicata ad agosto sul British Medical Journal, aveva individuato fra i fattori che allontanano la vecchiaia una vitasociale intensa, hobby, lavori casalinghi e volontariato. Messi insieme allo sport, questi fattori possono allungare la vita di un 85 enne di altri quattro anni. Anche limitandosi alla sola ricerca di Harvard, appena pubblicata dalla rivista ad accesso libero Plos Medicine, costi e benefici dell’attività fisica possono essere soppesati. Se camminare 75 minuti a settimana, ovvero 65 ore all’anno (poco più di 2 giorni e mezzo) basta a guadagnare quasi due anni di vita, il gioco sembra valere la candela. Anche perché i ricercatori americani hanno calcolato i benefici di un’attività fisica piacevole e rilassante come il camminare a passo svelto, in cui il fiato basta a sostenere una conversazione ma non a cantare, secondo la definizione tecnica. Se lo sport prescelto è invece classificato come “vigoroso” (non si riesco-
no a pronunciare più di poche parole), i vantaggi in termini di vita allungata si raggiungerebbero molto prima. Nelle raccomandazioni degli Istituti Nazionali per la Salute americani, infatti, le 2,5 ore a settimana di camminata rapida consigliate per mantenersi in forma equivalgono a 1,25 ore di esercizio intenso.
Anche se basati su un campione molto ampio ( 650 mila persone con almeno 40 anni di età, seguite per un lasso di tempo che arriva fino a 40 anni), i dati di Harvard sono comunque frutto di un’elaborazione statistica, e vanno dunque considerati cum grano salis. Tutte le informazioni su attività fisica svolta e durata della vita sono state ricavate da sei grandi studi (5 americanie uno svedese svolto dal Karolinska) progettati per calcolare il legame fra stili di vita e rischio di ammalarsi di tumore.
Ma come sempre avviene per questi enormi database, che comprendono decine di migliaia di volontari arruolati addirittura per decenni e raccolgono miriadi di dettagli sulla vita quotidiana, ogni ricercatore è libero in seguito di scavare nei dati per estrarne l’aspetto che più gli interessa. In questo caso è toccato all’esercizio fisico, e al raffronto fra i suoi benefici e quelli della dieta.
Un dato che sembra comprovato al di là di ogni dubbio sui limiti della statistica è poi quello che lega l’esercizio fisico alla salute del cervello. Il primo novembre sul giornale dell’American Heart Association è uscito solo l’ultimo fra le decine di studi che indicano come camminare, pedalare, nuotare o andare in palestra mantengano il cervello ben irrorato di sangue, prevenendo la degenerazione delle cellule e allontanando il rischio di ammalarsi di demenza del 40 per cento. Per chi come motivazione non trova sufficiente il benessere che segue a una bella camminata, da oggi c’è la forza dei numeri a convincerlo che indossare le scarpe da ginnastica ha i suoi vantaggi.
«Non c’è nulla di più sovversivo, di più alternativo al modo di pensare oggi dominante. Camminare è una modalità del pensiero. È un pensiero pratico. È un triplo movimento: non farci mettere fretta; accogliere il mondo; non dimenticarci di noi, strada facendo».
«Avviso ai lettori. Lasciate stare. Se cercate insegnamenti sul camminare all’ultima moda, con tanto di lezioni, corsi universitari e relativi professori, oppure sul camminare come cura di sé, o infine pagine e pagine di resoconti di camminate che si perdono invariabilmente tra il noioso, l’elegiaco o il paranoico, ripeto a scanso di equivoci: lasciate stare. Questo libro non fa per voi». Inizia così l’itinerario che Adriano Labbucci suggerisce al lettore e che del camminare si serve come di una bussola per percorrere un paesaggio insieme geografico e mentale, alla ricerca di punti di riferimento, alla scoperta di un modo diverso per impostare il nostro rapporto con gli altri e con il mondo che ci circonda, in un tempo invece in cui forse un po’ tutti la bussola la stiamo perdendo. Al punto che il camminare non solo è un’attività ormai poco praticata, ma spesso è anche guardata con sospetto e fastidio; un atteggiamento che può sfociare in frasi paradossali come questa: «Il pedone rimane il più grande ostacolo al libero fluire del traffico». Potrebbe sembrare una battuta di Woody Allen, ma in realtà è stata pronunciata da un gruppo di urbanisti consulenti del sindaco di Los Angeles: si tratta, scrive l’autore, dell’«espressione tragica e surreale di quel mondo capovolto che è il nostro». Così, pagina dopo pagina, scopriamo che