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2.9.09

Luce della città




Pure lei. Addio, Teresa Strada Sarti, moglie di Gino, presidente di Emergency. Pure lei è volata via, in un caldo pomeriggio di questa città grigia, afosa, tumultuante, ventre molle e meccanico che tutto macina, inesorabilmente. Sembra incredibile, ma proprio questa città ha prodotto persone schiette, terse, dal sorriso lucente come l'acqua, primordiale perché non nascondeva nulla. Sì, anche di questo Milano è stata, sa essere capace.


Foto tratta dall'album di Sirena Milonguera

Figure come Teresa non sono mai sole, dietro di esse si scorgono sempre moltitudini, scie umane, di ogni credo, etnia, cultura, età, sesso. Il suo nome non può essere ovviamente slegato da quello di Gino, ma nemmeno da altri che, alcuni anni fa, imparammo a conoscere: Daniele, Adjmal [nel link viene ricordato anche l'episodio dell'abbandono della sede afgana di Emergency a causa dell'intenzionale dabbenaggine dei nostri insigni "statisti", n.d.A.], Rahmatullah, Said.

Adjmal e Said non ce la fecero, Daniele venne liberato, poi su Teresa, Gino e la loro attività è calato pian piano il silenzio. Solo la morte di lei, ora, ricorda di quali figli è capace questa metropoli senz'anima, sotto i lustrini e i vip incivili. Ma basta coi sacrifici estremi, per favore. Basta con questa maledetta ingiustizia.


Daniela Tuscano



 


 


 




20.6.09

Benvenuti!



Certo, in Italia, qualcuno vorrebbe dedicare questa giornata ai "respingimenti" piuttosto che al rifugiato. Brava gente, che va in chiesa "e si fa anche la comunione, e poi se vede un marocchino per strada vorrebbe dargliele con un bastone", cantava Jovanotti. Brava gente che sfila(va) al Family Day e invoca rigore morale, ma che non prova nessun imbarazzo di fronte a un degrado che, partito dalle ragazze del Drive In, è giunto fino all'"utilizzatore finale" . Dov'è il problema? Le donne sono solo corpo e i "negri" non li vogliamo. E, di fronte all'assordante silenzio del Vaticano, i padri comboniani lanciano un monito-provocazione: "Potrebbe capitare anche a te". E propongono, nientemeno, che permessi di soggiorno in nome di Dio. Forse la brava gente che va in chiesa e si fa la comunione storcerà il naso.

Potrebbe capitare anche a te. A noi. Di espatriare, di fuggire, di evadere un sistema che sta strangolando anche le nazioni cosiddette "ricche". Di allontanarsi da guerra, disoccupazione, fame. Per la prima volta nella storia umana, denuncia la FAO, 15 milioni di persone soffrono la fame anche nei Paesi sviluppati. E il Documento ideologico della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza (cui hanno aderito, di recente, Rania di Giordania e Laura Pausini: grazie di cuore!) rincara la dose: "Con il solo 10% del denaro destinato alle armi si potrebbe risolvere la fame in tutto il pianeta".


Ben vengano i permessi, allora. E, se siete stanchi di sentir parlare di ronde nere e verdi, ben venga la costituzione, in ogni città, delle ronde nonviolente. Organizzarle è semplice. Basta mettere insieme gente matta, volonterosa e pacifica e lasciare spazio alla fantasia: cartelli e cartelloni, pentoloni e pentolini... Sfiliamo, danziamo, abbracciamo, baciamo il prossimo, non importa. Ognuno può esprimere come meglio preferisce la sua voglia di donare affetto e calore al prossimo, il suo bisogno di quotidiana pace, nonviolenza cittadina, rispetto e tolleranza. L'idea è venuta agli amici della Marcia Mondiale di Palermo, che chiedono di segnalare dove e quando si costituirà la vostra (nostra) "ronda nonviolenta". Ecco dove si può comunicarglielo: sicilia@theworldmarch.org.


Ben venga anche il consueto appuntamento col Fjestival delle Diversità, alla Cascina del Parco Nord il 26 e 27 giugno (sarà presente Giorgio Schultze, il programma dettagliato qui). Taluni ci vorrebbero tutti omologati, invece noi amiamo l'iridescenza, anche perché non abbiamo ancora capito cosa in realtà significhi "diverso" e soprattutto da chi.


Ben venga, naturalmente, anche il mio amato Renato Zero, anima portante della Corale per l'Abruzzo che si terrà oggi allo Stadio Olimpico di Roma. "Per noi privilegiati è il momento di dare", spiega Renato in questa intervista. Il cantautore è riuscito ad assemblare musicisti di prim'ordine, da Fossati a Piovani, da Morricone a Trovajoli, a Pino Daniele, alla Mannoia (c'è anche Gigi D'Alessio, vabbè). Quest'ultima fra l'altro, assieme alla già citata Pausini e ad altre signore della canzone come Nannini, Pravo, Consoli, Berté, Arisa, L'Aura, Carrà e moltissime altre, praticamente tutte - c'è persino Nilla Pizzi! - si dividerà tra la Capitale e Milano, visto che domani sarà qui, per la versione femminile del concerto, dal titolo Amiche per l'Abruzzo.


L'Abruzzo, trascorsa la fanfara emozionale, pare infatti aver ancora bisogno d'aiuto, e meno male che qualcuno ce lo ricorda, sia attraverso gli spettacoli, sia grazie a Internet, perché se dessimo retta a certi tg penseremmo di abitare nel mondo di Barbie.



Ultimo, ma non in ordine d'importanza, è un "ben venga", anzi, un "bentornato" a Ivan Della Mea, in una dimensione più aerea e impalpabile, tanto quanto le sue canzoni erano sanguigne. Era un omone eppure faceva tenerezza, Ivan, l'operaio della canzone accanto. Ho voluto ricordarlo con un suo brano non universalmente noto, ma secondo me molto adatto ai tempi attuali.



I ragazzi dell'Iran? No, quelli meritano un post a parte. Al tempo. Per oggi ho concluso. Che dite? Ah, già, dimenticavo che si vota ancora per qualcosa. Ballottaggi? Ho già ballato. Se invece desiderate una posizione articolata e "seria", eccone una degli umanisti sul referendum. Per conto mio, e poco m'importa se verrò tacciata di qualunquismo, m'immedesimo totalmente nel Pasquale Amitrano da Matera immortalato da Carlo Verdone. E mi regolerò di conseguenza.





11.6.09

Europa, Europa...


4.203. Tante sono le preferenze accordate a Giorgio Schultze nella corsa all'Europa. Insufficienti a ottenere un seggio, ma risultato lusinghiero soprattutto per uno sconosciuto, che non ha mai ottenuto spazi in canali televisivi importanti, e che ha dovuto contare sulle sue sole forze (e sui quelle di noi volontari) per la propria campagna elettorale.

Eppure Giorgio si è piazzato ottavo su 18. In che modo? "Andando casa per casa, persona per persona, entrando da sotto le porte, dagli spifferi delle finestre socchiuse - risponde. - Abbiamo incontrato giovani in cerca di riferimenti certi e profondi. I sorrisi e gli abbracci di chi ha ritrovato la forza della solidarietà e della fiducia". E la simpatia, anche, di chi l'ha scoperto grazie alla rete: un mezzo potentissimo, l'unico finora rimasto - specialmente dopo l'infame decreto anti-intercettazioni - in nostro possesso per veicolare un'informazione libera e diffondere un messaggio diverso da quello quotidianamente ammannito dai media-scendiletto. Le periodiche voci allarmistiche sulla censura a Internet, pertanto, anche quando infondate non possono che allarmarci, e ci sembrano tanto dei ballon d'essai per saggiare la nostra resistenza e capacità di reazione, in attesa di sferrare il colpo finale. Nervi saldi, quindi, ma occhio vigile .



Giorgio ha affrontato i temi di giustizia, legalità, diritti civili, ambiente, nucleare, crisi, sicurezza e spesa pubblica con Vattimo, De Magistris e con tante, tantissime persone comuni. Ora proseguirà nel suo impegno come coordinatore della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza. Ne abbiamo bisogno. Giova infatti informare che, mentre per il giocondo ministro Brunetta la crisi è un'invenzione o quasi, quello del commercio d'armi è l'unico settore che prosperi davvero. E incarna il maggiore, e più temibile, dei poteri forti che contrastano Obama.

Schultze ha ribadito in più di un'occasione come le spese militari provochino disoccupazione e impoverimento, tagli a sanità, istruzione, servizi pubblici, persino a quella sicurezza oggi così tanto invocata: ma per l'Italia intorpidita dalla banda BB tutto quanto non conta nulla, anzi, è proprio incomprensibile; roba "lontana". D'altro canto il vento destro ha travolto l'intera Europa: ma, per questo, vi lascio alle accurate disamine di Mìklos Tamàs e don Paolo Farinella. Qui mi limito a registrare, e lo faccio con infinita pena, la pervicace miopia e inconcludenza dei rimasugli della sinistra italiana (alludo, sia chiaro, al Pd e non alle decrepite frattaglie finto-rivoluzionarie, ormai definitivamente - e giustamente - polverizzate dalla storia). La quale, se non è stata del tutto travolta dall'uragano berlusconista, lo deve solo ai demeriti di quest'ultimo - ma voglio vedere i ballottaggi per le amministrative... -. Adesso, una, specie se a quella sinistra appartiene, vorrebbe non infierire. Ma quando una Concita De Gregorio, dalle pagine dell'"Unità" (?), invece di porsi delle domande preferisce smarronare sul successo di Italia dei Valori, paragonandolo incautamente a quello della Lega; quando persino un quotidiano amico deve riconoscere che il Pd "si stringe nella vecchia foto di famiglia dell'apparato, sempre uguale a sé stessa" ("Repubblica" del 9 giugno); quando non si riesce a elaborare un lessico al passo coi tempi, espressione del cuore che vada di pari passo con la mente (non con la pancia, cara De Gregorio); quando non ci si vuol liberare delle scorie clericali che paralizzano il partito e nulla condividono con la storia di quest'ultimo... certi esiti non possono sorprendere.

Le uniche affermazioni davvero importanti, le due donne (anche questo un segnale da non sottovalutare) che hanno sconfitto il Cavaliere machista, rispettivamente a Udine e a Parma, sono state Debora Serracchiani e Simona Caselli: poco note, e percepite come lontane dalla nomenklatura.
Non sono una nuovista per vocazione; anzi, amando la realtà che costruisco - vale a dire, il futuro - il passato, cioè la Storia, quella con la maiuscola, mi è cara. Non considero quindi dirimente l'età d'una persona per attestarne o meno il valore. Mi limito a constatare che, perfino nella realtà dove vivo, la cosiddetta sinistra da una ventina d'anni continua a proporre le stesse facce, brava gente magari, ma, senza offesa, a mio parere prive di quelle qualità che giustifichino un loro, per dir così, "diritto all'insostituibilità". Eppure restano lì, immutabili. Per un quindicennio circa a Bresso ha operato un bel gruppo di ragazzi: entusiasti, un po' ingenui e bislacchi forse, ma generosi e pieni di sogni. Quel bel gruppo eravamo noi.
La maggior parte di quei giovani ben volentieri avrebbe offerto il suo entusiasmo a servizio della "causa": io, sicuramente. E la cosa era risaputa. Ebbene, nella quasi totalità dei casi o siamo stati ignorati, o trattati con sufficienza, salvo qualche apprezzamento del tutto isolato che non ha sortito alcun effetto. Nel frattempo, i giovani sono incanutiti e il gruppo disperso. Non morto, evidentemente: abbiamo incontrato altri interlocutori e ci siamo ancora, vivi e vitali, ma solo grazie alla nostra incrollabile e ostinata volontà. Una volontà che ci ha resi più forti, quasi inscalfibili: ma quanto tempo sprecato, e per sempre







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Post scriptum. Gheddafi è giunto a Roma in visita ufficiale sfoggiando sull'uniforme l'immagine di Omar al-Mukhtar, dai nostri giornali definito "l'eroe della resistenza anti-italiana". L'aggettivo smentisce il sostantivo, veicolando nei nostri connazionali l'idea che Mukhtar fosse una sorta di bandito, antesignano di al Qaida. Ora, la mia simpatia nei confronti del colonnello libico, forse l'unico uomo al mondo più truccato di B., è pari a quella che nutro per un carciofo nelle terga; ma descrivere Mukhtar - la cui vicenda conobbi molti anni fa grazie a un incontro pubblico col prof. Del Boca - come "anti-italiano" equivale a spacciare Garibaldi per un nemico di austriaci e francesi, solo perché all'epoca li combatté. Lo stesso fece Mukhtar: eravamo noi gli invasori, e a lui non andava. Doveva forse applaudire? Che poi Gheddafi lo usi per le sue smargiassate, beh, rientra nello stile del personaggio. Guarda il caso proprio lui e Putin sono tra i più accesi sostenitori di B.. Tra simili ci s'intende.










                                                                     Daniela Tuscano








4.6.09

Opposte latitudini


Dati i tempi calamitosi, abbandonarsi a eccessivi entusiasmi risulta, più che esagerato, imprudente. E proprio questo, d'altronde, è un indicatore assai eloquente della perversità del periodo attuale: la censura, o meglio l'auto-censura, della passione, dell'afflato mistico, dell'istinto potente e creativo.

Ma così va il mondo. Tuttavia, poiché tale ripiegamento sulle proprie ambasce non può che logorare, vogliamo cogliere intorno a noi segnali di speranza. E anche la rabbia, in tal senso, va intesa positivamente. Certa rabbia, almeno. Che non si rassegna, che vuol reagire. E altra rabbia, che sarebbe forse più appropriato definire dispetto o stizza (puerile, riottosa e pertanto pericolosissima) che, suo malgrado, è anch'essa positiva.

Sembra infatti che Osama Bin Laden, o chi per lui, in questo momento sia molto arrabbiato, anzi stizzito, anzi indispettito, anzi riottoso, puerile, pericolosissimo. Lo capisco, lo storico discorso ai musulmani del suo quasi omonimo Obama non può che spuntargli le armi. Hai voglia a latrare che Barack e Bush "sono la stessa cosa": evidente che non è così, e certo il barbuto miliardario annoiato che gioca con le bombe e i tagliagole rimpiange i bei tempi in cui alla Casa Bianca sedeva il suo corrispettivo wasp, tutto crocifissi, guerra "per la democrazia" e scontro di civiltà. Molto più facile e comodo, allora, ma George W. è tramontato: chissà che non lo segua, presto, lo stizzoso barbuto che sèguita a ululare alla (mezza)luna.

Rimane tanto da fare, beninteso. Tutto, o quasi: l'avanzata dei talebani in Pakistan che ha comportato il martirio in particolare delle donne, i colpevoli di Guantanamo che restano tranquilli e onorati nelle loro case, la guerra in Medio Oriente che prosegue. Ma, a volte, la forma è sostanza. Una frase, una parola, scatena un mondo di idee, sensibilità, azioni e aspirazioni. Obama ha molti amici e altrettanti nemici, dai razzisti alla potentissima destra neocon. Gli tocca persino succiarsi le fregnacce degli anti-abortisti, non di rado supportati o almeno benevolmente guardati dal Vaticano, che di fronte alla povertà incipiente, alla disoccupazione e alla guerra se ne sbattono l'anima, anzi approvano quest'ultima esattamente come sostengono con convinzione la pena capitale; e la scorsa settimana, in perfetta coerenza con la loro strenua difesa della Vita, hanno accoppato un medico reo di praticare quelli che essi definiscono con pio orrore "assassini".

Non amiamo l'agiografia, ma il Presidente dal nome islamico che recluta nel suo staff donne di valore, che proclama gli Usa "il più grande paese musulmano del mondo" (Oriana Fallaci si rivolterebbe nella tomba...) e, udite udite, osa persino dichiarare giugno "il mese dei diritti dei gay", un po' di simpatia la suscita. Se non altro perché queste sue prese di posizione mandano su tutte le furie i Bin Laden di cui sopra, i Ratzinger, i Berlusconi: che rispetto a lui ci stanno molto più antipatici. E sono pure più brutti, toh!

Qualcuno obietterà che la periferia Italia non meriterebbe nemmeno un cenno. E' vero, ma si dà il caso che noi ci si abiti, in questa oscura periferia, e i raffronti sorgono spontanei.

Perché qui va tutto a rovescio. A Milano Mohamed Ba, scrittore e attore senegalese [foto a destra], lo scorso mese protagonista di un appassionante Monologo dello schiavo all'interno dello spettacolo Traslochi e autore dello splendido Decalogo dell'intercultura, è rimasto vittima di un'aggressione da parte di balordi razzisti. Balordi razzisti, vale a dire gente perfettamente normale, però, cavolo, che fastidio quel negro. Allo stesso modo degli aggressori veronesi del procuratore Schinaia. La polizia ha fermato un diciassettenne, uno bravo, incensurato, tranquillo, tutto casa e scuola. Allo stesso modo degli omicidi di Nicola Tommasoli, che non era negro ma bianco, ma non bianco come loro. Portava l'orecchino, i capelli lunghi, forse era comunista, forse era pure frocio, forse semplicemente era alieno, estraneo, straniero come nel romanzo di Camus, forse rovinava il paesaggio. Tipi normali perché, adesso, proclamarsi razzisti non è più né esecrabile né meritevole di condanna. Lo si dice apertamente, vantandosene anche. E' diventata la norma, la regola, la giusta reazione dei bravi borghesi, dei figli affettuosi, d'impeccabili padri di famiglia. Ba e Schinaia se la sono cavata con un fracco di legnate, Nicola è morto. Sento già le proteste (stizzose) dei borghesi indispettiti: "Ma non siamo tutti così, noi vogliamo solo ordine". Solo ordine, certo, che diamine! E fingono di non capire, gli ipocriti, che non occorre far fuori materialmente qualcuno per alimentare odio e intolleranza. E' sufficiente accettare un sistema, appartenervi, sentirlo proprio. O, anche, lasciarselo vivere addosso, con indifferenza, con accidia.


In Italia la considerazione della donna è regredita a un'epoca pregoldoniana. E' tornata a essere puro corpo, meglio se fresco, freschissimo, quasi implume. Per le "altre", le diverse, nessun futuro e nessuna speranza. Anche in questo caso si è trattato di un processo cominciato una ventina d'anni fa, con la Milano da bere, i nani e le ballerine, le ragazze del Drive In, le ragazze Cin Cin dell'indimenticabile Colpo grosso con Umberto Smaila, le ninfette di Non è la Rai, le trasmissioni urlate, le corna in pubblico, la compravendita dei sentimenti, la morale liquida, le doppie, triple e mezze verità che corrispondono al nulla etico, contro il quale però nessun Ratzinger si scaglia mai, perché il patto d'acciaio tra la Chiesa e la destra è più che mai solido e, per quanto mi sembra, anche abbastanza manifesto: non condivido pertanto la definizione "accordo segreto" elaborata da "Repubblica". Ma tant'è.

E sale un'altra rabbia, verso le smaccate e irridenti ingiustizie, verso le promesse di cartapesta non mantenute, verso un'apocalisse prossima ventura che, però, non ha neppure i tratti d'una wagneriana grandezza ma somiglia al putridume accumulatosi a Palermo: non un fosco Moloch, ma una montagna di maleodorante zozzeria. Sembra che a metà degli italiani, la metà vincente (ripeto, non illudiamoci...), piaccia molto sguazzare in questa zozzeria; ci domandiamo per quanto tempo ancora. Intanto, lasciateci respirare la giovane America. E, se ci dànno degli esterofili, pigliamolo come un complimento.


Daniela Tuscano

Due Italie, due mondi

Bella lezione, quella tenuta da Philippe Daverio lo scorso 31 maggio, alla Villa Manzoni di Brusuglio, nell'ambito del 3° Festival della Biodiversità. Un anfratto, quello dove sorge l'edificio, ancora tutto da scoprire: "E che, fra quindici anni o anche prima, diverrà mèta turistica tra le più ambite". Ma che ora, grazie anche a una cura dei privati non sempre negativa, ancora conserva il suo sobrio splendore. "La villa che ha ospitato Giulia Beccaria, Margherita Sarfatti, Anna Kuliscioff: non è un caso che donne simili, l'esatto contrario del modello allora imposto e che oggi è tornato prepotentemente di moda, avessero deciso di stabilirsi qui".

L'occasione ha fornito a Daverio lo spunto per osservazioni di carattere più generale o, meglio, ampio. "Il Sud milanese è luogo di marcite e fontanili, il Nord di fontane sorgive. In un luogo come nell'altro grande impulso all'economia venne fornito dai monaci. Fu nel Medioevo che venne delineata l'accidia come peccato capitale, che noi traduciamo come pigrizia, ma che, in realtà, è la lentezza a fare il bene, l'indolenza, l'indifferenza". Sempre i monaci combattevano la superbia e la vendetta, che invece, per i cavalieri teutonici, erano considerati virtù indispensabili. Tutto quanto per dire che il monachesimo s'impegnò moltissimo per frenare gli istinti al tempo stesso svogliati e belluini, alimentando parallelamente la collaborazione, la solidarietà, il senso di comunità.


Un senso di comunità che però, a un certo punto, s'incrinò: "Noi parliamo di contadini, i francesi di paysans. C'è una differenza sostanziale. Il contadino era colui che si trovava sotto la giurisdizione del comites (conte), il funzionario di Carlo Magno che, col tempo, in Europa divenne stanziale mentre nei territori italiani era itinerante; il contado, quindi, si adeguava ai voleri del comites di turno, alienandosi dall'originario senso di comunità. Il contadino divenne perciò simile al plebeo, un personaggio fuori del tempo e della storia, passivo, schierato col più forte".


"L'Italia è sempre stata divisa tra queste due 'fazioni'. Ogni tanto si scatenano fra di loro autentiche 'guerre civili'. Adesso sembra prevalere la parte plebea, aggressiva, intollerante, appiattita sui grandi numeri, ma noi abbiamo anche altro, perché non tirarlo fuori, una buona volta?".



Rino T.



11.5.09

Diversa preghiera

In un modo o nell'altro, sempre a Cristo si torna. Correva il fatidico '79, l'alba del riflusso, anni terribili, come osservatori più adulti continuano a ripetere, ma io ero solo una ragazzina, barcamenata tra sogni colorati, puri e libertari, impegno e Renato Zero. E il "Fuori". Ne avevo notata qualche copia a casa di strambi amici, sempre conosciuti all'insaputa dei genitori, capelli lunghi, aria periferica, pomeriggi trascorsi a fantasticare di lotte e pace trangugiando cioccolata. Wojtyla, appena eletto, aveva quasi subito attaccato gli omosessuali: "moralmente disonesti", due parole terribili, una condanna senz'appello. Non capivo cosa significassero, se non per il sordo fragore che emettevano, ma so che quegli strambi amici non mi sembravano disonesti, anzi mi stavano simpatici e certo non ne provavo alcun timore.



Il "Fuori" riprodusse la copertina qui a fianco nel dicembre '79: un trucibaldo Giovanni Paolo II inchiodava alla croce un altro Gesù alla Guido Reni (ma si avvertiva pure un'eco della Deposizione con prelato di Manzù), iconografia ben nota, perennemente scandalosa, se si pensa che, in quello stesso periodo, "L'Espresso" ne pubblicava una analoga: solo che al posto del seducente giovanotto nudo stava una ragazza incinta e, in quel caso, il maglio della censura si esercitò senza remissione: un Cristo femmina, allora come oggi, continua a sembrare la più infame delle bestemmie. Persino peggiore d'un "sodomita".



Il "Fuori" gravitava nell'area radicale, ma per rappresentare il martirio dell'omosessuale non aveva trovato un'immagine più potente di lui, del Cristo. Gli omosessuali credenti, dal canto loro, esistevano. Quelli che conobbi io lo erano quasi tutti, con una fede più viva di quella, abitudinaria e tiepida, di tanti assopiti "regolari". Leggevano e scrivevano su quei fogli. Dove, sennò?



Oggi esistono ancora. Organizzano veglie, anche nelle chiese. Anche in quelle cattoliche. Tanto è cambiato, tanto è rimasto pietrificato. Il successore del pontefice polacco è, se possibile, ancor più accanito verso di loro; con un'intransigenza pervicace e medievale (proprio in questi giorni, in Terra Santa, ha dichiarato di voler stipulare un patto coi musulmani "in difesa della morale tradizionale" e, considerata la sua ossessione, sappiamo bene cosa leggere in tale formula).



Il "giorno del ricordo" è, per gli omosessuali credenti, il 17 maggio; tuttavia a Milano si comincia domani sera. Ed è riandando a quei pomeriggi di cioccolata, ingenuità e amicizia che pubblico il loro appello (sottoscritto anche da Tempi di Fraternità, il mensile di cui sono redattrice, e a cui hanno aderito gli umanisti), sempre con una calda emozione.



Daniela Tuscano





Risiera di San Sabba (Trieste): la lapide che ricorda le vittime omosessuali del nazifascismo.





Stanno per cominciare le veglie di preghiera in ricordo delle vittime dell’omofobia che si svolgeranno da lunedì 11 a domenica 17 maggio 2009, giornata mondiale per la lotta all’omofobia, in 17 città italiane, da Milano a Palermo, per lanciare un messaggio forte alle nostre Chiese e alla nostra società e per infrangere il muro di silenzio e d'imbarazzo che permane, su questo tema, nella nostra società e nelle nostre chiese.Le veglie, giunte alla loro terza edizione, quest’anno vedranno coinvolti ben quaranta tra gruppi, comunità e associazioni nazionali, tra cui segnaliamo Noi siamo chiesa (Nsc), la Rete Fede e Omosessualità (REFO), l’Associazione di genitori e amici di omosessuali (Agedo) e la Federazione Giovanile Evangelica Italiana (FGEI) oltre a credenti di diverse confessioni (cattolici, valdesi, metodisti, battisti e veterocattolici) che si ritroveranno in tante chiese evangeliche, ed anche in alcune chiese cattoliche, per pregare pubblicamente insieme a tanti laici, pastori e sacerdoti perché “chi ha paura non è perfetto nell’amore” (I Giovanni 4,18).Segnaliamo inoltre che, alla vigilia delle veglie, il gruppo Guado di Milano ha lanciato insieme al portale ecumenico "Il Dialogo" e con il mensile "Tempi di Fraternità" un Appello affinché “le chiese delle nostre città, le chiese che ci hanno generato alla Fede, sappiano levare sempre con forza la loro voce di condanna tutte le volte in cui una persona omosessuale viene aggredita, viene insultata, viene discriminata, viene esclusa per la sua specifica diversità”. L’Appello che può essere sottoscritto in internet all’indirizzo http://www.ildialogo.org/omoses/Omofobia_1240838169.htm, ha avuto tra i primi firmatari numerosi laici, sacerdoti, pastori evangelici, responsabili di gruppi e associazioni laiche e cristiane.Per maggiori informazioni sulla veglia e le iniziative collaterali potete visitare http://www.gionata.org/in-veglia/2009.html o scrivere a gionatanews@gmail.com


10.5.09

Storico abbraccio tra le vedove Calabresi e Pinelli

Un segnale di speranza nella possibilità di un mondo in cui i conflitti si possano risolvere con la riconciliazione


Ieri, in occasione della giornata della memoria delle vittime del terrorismo, dopo che il Presidente Napolitano ha incluso Pino Pinelli tra le vittime della strage di Piazza Fontana, le vedove del commissario Calabresi e dell'anarchico Pinelli si sono scambiate uno storico abbraccio, dopo tanti anni dai tragici avvenimenti che le avevano messe, senza nessuna vera scelta da parte loro, sui lati opposti di una sorta di faida che sembrava inconciliabile; una faida non tanto tra le famiglie o tra le signore stesse, ma tra i gruppi di appartenenza, tra i mondi culturali e sociali rappresentati dai rispettivi mariti, tutti e due caduti vittima dell'assurda violenza di un'intera epoca. L'abbraccio di oggi, dopo le sagge parole di Napolitano su Pinelli e sulla nascita di quella stagione di tensione.

È un fatto commovente in sé stesso, ma anche molto di più: è una dimostrazione di come
riconciliazione non possa passare dalla dimenticanza dei fatti, come se con il tempo avvenimenti tragici e gravi potessero non essere più tali solo per la distanza con cui non si riesce più a scorgerli nitidamente. Al contrario: bisogna ricordare bene tutto, soprattutto le offese ricevute e fatte, proprio per riuscire a comprendere la dinamica degli avvenimenti, farsi carico di eventuali proprie responsabilità, e provare almeno ad intuire quali possano essere le ragioni che hanno spinto gli altri a fare quello che hanno fatto. Quell'abbraccio è la dimostrazione che è possibile sempre trovare qualcosa che unisce e che ciò può permettere di iniziare un percorso di riconciliazione.

In un mondo pieno di guerre e di situazioni di violenza che sembrano senza uscita quell'abbraccio è un vero segnale di speranza.





Giorgio Schultze
Portavoce europeo del Movimento Umanista
Candidato indipendente nelle Liste di IDV nella Circoscrizione Nord Occidentale

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...