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4.6.21

non serve essere accademici per filosofare

 


come al solito ogni volta che condivido 
 


  o copio da internet argomenti di filosofia ed antologica molti \e di voi mi chiedono  se, alcuni in buona fede perché vogliono approfondire  le FAQ  molti perché ma anche molti  mandroni pigri  da non provare a vedere se in un blog  ci sono  FAQ , sono laureato o in filosofia o ho una solida  base filosofica  altri se sono laureato in scienze politiche . In realtà la mia conoscenza filosofica è scolastica ed per giunta insegnata male  e  di conseguenza con poco impegno da parte  mia . infatti  il 28 preso  ad l'unico esame di filosofia che ho dato all'università  è  frutto oltre al mio mettere il culo  sedere sulla sedia per passarlo e non laurearmi  troppo tardi ( anche poi non ce lo fatta a mettere in atto tale proposito , ma questa è  un altra storia che prima o poi  racconterò  ) oltre ad  t ripetete ciò  che  studiavo  e farmelo spiegare da un mio amico laureato e prof  di filosofia alle superiori  da mia zia pedagogista ed ex preside  di scuola (un tempo si chiamavano così  ) elementari
 Le mie condivisioni  provengono oltre che da persone affini ( ma non necessariamente ) da gruppi \pagine  psicologici e filosofici  e di storia e sono anche frutto di  : letture varie    delle diverse culture politiche e culturali  nuove e vecchie ( sono cresciuto durante la fase finale della 1 guerra fredda    1945\7  fino  al 1989\ 92 ovvero Usa contro Urss e paesi non  allineati,  nello scontro  tra fascismo e comunismo , cattolici progressisti \sociali e cattolici conservatrici per concilio  vaticano II  ) ,auto analisi  / messa in discussione, vecchie sedute d'analisi psicologica ( Sophia analisi ) ,esperienze personali ,    letture  di opere politiche e filosofiche  , ascolto di trasmissioni culturali   musica cantautorale e non solo ad argomenti introspettivo ed filosofico (  vedi esempio Battiato ) scambi d'opinione con alcuni amici  laureati  in filosofia  (in particolare il nostro Cristian Porcino  autore  di saggi interessanti non accademici  come i cantautori e  la filosofia  da Battiato a  Zero   vedi   foto di copertina    a  sinistra  ) ed insegnanti della materia ma anche semplici appassionati  senza pregiudizi e preconcetti culturali ed ideologici ascoltando o leggendo anche se  in alcuni casi  dopo alcune righe  o alcuni minuti d'ascolto  sbadiglio perché  troppo i filosofi sono  (soprattutto il primo ) filosofi da salotto  come Fusaro o  troppo accademici  come Cacciari chiamati  solo per fare ascolti  in tv .

P.s
non do consigli  perché





con questo ė veramente tutto . alla prossima 

3.6.17

QUELLE STRANE OCCASIONI… - A proposito di “Chiedi di lui 2.0”





Sfogliando il bello e ricco libro di Daniela Tuscano e Cristian Porcino Ferrara su Renato Zero si capisce quanto la fine degli anni ’70 sia stata importante. 


Noi, giovanissimi ai tempi, non ce ne rendevamo conto, ma quello fu forse l’ultimo strascico della contestazione. Gli scontri all’interno della famiglia erano diretti, spesso aspri. Seguire un personaggio come Zero era in un certo senso un atto “politico”. Senza la seriosità di partiti e movimenti ma sensibili a tutti gli stimoli di novità che provenivano dal mondo della cultura popolare, visiva e musicale. Renato li rappresentava totalmente e non era impresa facile: all’epoca, tutti i cantautori erano al massimo dell’inventiva e ogni disco era più bello dell’altro. Ma Renato era un mondo a parte, un mondo dove il privato, come scrive Daniela, diventava davvero politico, o forse sociale, comunque rivoluzionario. Una rivoluzione incruenta e colorata ma ugualmente potente. E qui sorge anche un rammarico. Proseguendo nella lettura, e avvicinandoci agli anni più recenti (il volume è infatti diviso in due parti, diverse ma complementari), si ha quasi la sensazione di trovarsi di fronte a un altro artista, con un’altra storia. Fino a un certo punto, e anche in tal caso il percorso è reso molto bene da Cristian, si poteva parlare di maturità ed evoluzione: ma a partire soprattutto dalle ultime prove è chiara l’impressione di una svolta netta in una dimensione più decisamente nazionalpopolare e conservatrice. Mentre in principio queste componenti erano equamente dosate, d’un tratto sono diventate predominanti al punto quasi da “trasformare” il personaggio. In tal senso appare molto interessante il capitolo in cui si analizza il rapporto tra Zero e la comunità Lgbt. Il rammarico è dovuto proprio al confronto tra le potenzialità dimostrate da Zero e le successive scelte. Insomma ci si domanda a quali risultati avrebbe potuto approdare un artista unico come lui se avesse continuato sulla strada del glam-rock e della sperimentazione piuttosto che adagiarsi su un repertorio simil-classico (come dimostra l’ultimo, controverso “Zerovskji”) e temi rassicuranti per il grande pubblico. Quest’ultima opzione si è rivelata sicuramente più fruttuosa in termini di popolarità ma dal punto di vista musicale mi sorge il dubbio si sia persa, o ridimensionata, un’occasione unica, soprattutto in Italia dove il discorso artistico appariva così prevedibile e stantio. I due autori non propongono tesi preconcette, lasciano aperte tante domande e questo per me è un altro grande vantaggio. Lo scopo dei libri è infatti quello di stimolare degli interrogativi, non di imporre la propria visione come una verità assoluta. Forse la parola “fine” sul cantautore Zero è destinata a rimanere aperta, a suscitare tanto interesse e qualche rimpianto.

Carlo Giordano

29.1.17

Un libro per combattere l’omofobia e la violenza sulle donne

"Canzoni contro l'omofobia e la violenza sulle donne" di Cristian A. Porcino Ferrara


 è un saggio ben strutturato e, come sempre, scritto bene. Inoltre c'è l'elemento della novità: nessuno ha trattato due temi così delicati e importanti attraverso l'analisi dei testi di celebri canzoni.
Porcino Ferrara, filosofo e scrittore indipendente, ha creduto fortemente nell'uscita del libro nonostante i diversi apprezzamenti ricevuti da editori non disposti, però, ad investire economicamente su di un libro che si occupa dei cosiddetti “perduti della storia” (definizione racchiusa nella prefazione di D. Tuscano). Una scelta vittoriosa, quella del nostro autore, se pensiamo che il libro ha ottenuto anche il plauso della senatrice Monica Cirinnà. L'autore ricostruisce le vicende storiche che si celano dietro la tardiva emancipazione dell'universo femminile a causa di una società maschilista e aggressiva, spalleggiata, quasi sempre, dai rappresentanti religiosi (anch'essi, ahimè, maschi!). Inoltre si affronta con competenza la radice dell'intolleranza omofobica e le relative aggressioni a chi ha un orientamento sentimentale diverso dal proprio. A conclusione del libro si trova un progetto educativo per sensibilizzare gli studenti delle scuole sulle diverse forme di affettività. Cristian insiste nel sostenere che la violenza e l’intolleranza sono manifestazioni proprie dell'ignoranza, e di conseguenza vanno combattute con la conoscenza. Un testo che, a parer mio, deve essere letto proprio per contrastare comportamenti e situazioni ancora così frequenti nella nostra società. È notizia di questi giorni di una nuova aggressione omofoba a Milano, e della legge votata in Russia che depenalizza la violenza domestica su donne e bambini. In tal senso il viaggio dentro la storia operato da Porcino Ferrara si fa ancor più illuminante per noi lettori. Dunque auspicando una rapida diffusione del volume vi esorto alla lettura di un libro così tanto sentito e ispirato.



(Federica Giuliani)



Il libro può essere ordinato presso le librerie Mondadori e Giunti oppure acquistato su Amazon al seguente link:

17.3.16

RENATO ZERO, QUELLO CHE NON HA DETTO Nuova edizione di “Chiedi di lui”, viaggio tra le note dell’artista romano. Incontro con gli autori, Daniela Tuscano e Cristian A. Porcino Ferrara


se  desideri acquistarlo   vai  qui su  http://www.lulu.com/shop
1) Una nuova edizione di “Chiedi di lui” alla vigilia del nuovo album “Alt”, anche questa godibilissima, ancor più ricca della prima. Ma perché questa scelta?
Cristian e Daniela: «L’idea della nuova edizione è nata l’anno scorso, quindi ben prima dell’annuncio del suo nuovo lavoro. Infatti è uscito prima di “Alt” e non in contemporanea o subito dopo. Abbiamo semplicemente avvertito la necessità di sviluppare altri aspetti che nella prima edizione erano stati solamente abbozzati. “Chiedi di lui 2.0” è sì una nuova edizione, ma al contempo un nuovo libro. Ci sono più di 150 pagine nuove e percorsi del tutto inediti».
2) Di Zero sembra si sappia tutto, in realtà non è così e forse in questo risiede il suo fascino, che ne pensate?
Cristian: «Certamente. In realtà nessuno può sapere tutto di un artista. Ogni libro è un tassello che arricchisce l’immaginario di un artista. Possiamo leggere mille biografie e interviste di quel dato cantante o pittore, ma non scopriremo mai il suo mondo segreto. Quello che tocca a noi scrittori e studiosi è, per l’appunto, analizzare certi aspetti poco conosciuti, anche da un punto di vista semiotico, e studiarli alla luce della logica, della critica e non basarci solo sull’opinione che ne hanno i suoi ammiratori».
Daniela: «Il fascino di Zero risiede proprio nel presentarsi come una sorta di fratello maggiore o amico intimo, uno che ti confida tutto, che è proprio vicino a te. Il coinvolgimento emotivo è totale. Credo che la sua intimità sia molto più variegata, come quella di ognuno di noi. Ma l’artista amplifica e semplifica: l’identificazione scatta automatica specialmente verso personaggi carismatici come lui».
3) Nella prefazione alla nuova edizione leggiamo che Renato proveniva dall’avanguardia e certo questa cosa sorprende: poi si citano sue frequentazioni davvero inaspettate… e si finisce con Parco Lambro. Come mai?
Daniela: «Oggi uno Zero di quel tipo sarebbe inimmaginabile, ma a quei tempi era un passaggio quasi obbligato. In altri contesti, non lo voleva nessuno. Che poi lui si trovasse a suo agio, era un altro paio di maniche. Negli anni Settanta si respirava quell’aria, volenti o nolenti. Peraltro, in ambienti, diciamo così, duri e puri, i suoi primi lavori suscitavano una certa diffidenza dato che si risolvevano nella consueta formula della canzone di tre-quattro minuti. Renato è riuscito a divulgare con l’essenzialità e con una certa facilità di scrittura espressioni artistiche altrimenti riservate a un pubblico di nicchia».
4) Avete dedicato molta parte della vostra opera alla relazione tra Renato e Pasolini. Non solo nella prima parte della sua carriera, come sarebbe logico supporre, ma anche nella seconda (mi sembra anzi che quella di Cristian sia più corposa). La vicinanza di Pier Paolo alla musica popolare è notoria ma perché nessuno sembra mai accorgersi delle tracce “pasoliniane” in Zero? Al limite si fa un generico accenno alle periferie romane, ma fermi lì. Mentre con De André, Giovanna Marini, De Gregori il discorso cambia notevolmente…
Cristian: «Con Pasolini ho un rapporto speciale e l’ho raccontato anche nel libro. Da ragazzino fui preso di mira da un insegnante che detestava Pier Paolo e lo considerava l’untore, il male assoluto. Nel mio lavoro precedente (“Tutta colpa del whisky” ndr) ho definito Pier Paolo un “maestro dell’esistere”. Pasolini è stato spesso trattato con snobberia, senza tener conto che la sua linfa poetica era alimentata dal popolo, dalla gente comune. In virtù di questo Pasolini può essere considerato un artista pop. Celebri le sue inchieste on the road. Per quanto riguarda Renato Zero all’inizio non fu preso in considerazione perché nelle sue canzoni raccontava le periferie esistenziali, mentre molti cantautori erano più propensi a narrare realtà sociali intrise di ideologie. Oggi però le cose sono sostanzialmente cambiate e Zero è amato e compreso dalla gente».
Daniela: «Le cose sono cambiate ma anche Zero è profondamente cambiato. E onestamente adesso non lo si può più accostare a Pasolini, nemmeno per analogia (non dimentichiamo che lui stesso ne prese le distanze in un’intervista del 2010). Un tempo, però, senza Pier Paolo sarebbe stato difficile comprendere del tutto l’opera di Renato. La scarsa considerazione nei suoi confronti non mi stupisce. La cultura italiana è spocchiosa e, di conseguenza, provinciale. Menzionare De André o Giovanna Marini è considerato un punto d’onore, citare Renato Zero no. Di qui la scarsa attenzione verso un artista che, al contrario, è stato fino a un certo punto il più vicino di tutti al mondo di Pasolini».
 5) De André, Zero, Pasolini… Quali legami, quali differenze?
Cristian: «Sicuramente ci sono dei legami e non solo con il mondo pasoliniano, ma in questa sede è quasi impossibile elencarli tutti. In parte mi sono già occupato della tematica culturale nel mio libro  “I cantautori e la filosofia da Battiato a Zero”. Lascio dunque la parola a Daniela».
Daniela: «Fabrizio aveva un approccio decisamente più intellettuale, di testa; o meglio, aveva il cuore in testa. Renato esattamente l’opposto. Ma cito solo un esempio. Il 28 novembre scorso, coi miei studenti di Ragioneria, organizzai un incontro [fra i partecipanti lo scrittore Mattia Morretta, ndr] dedicato al poeta nel 40° della morte. Aggregammo ai brani del poeta alcune canzoni, fra cui “Casal de’ pazzi” che venne eseguita dal vivo. Un mio collega, dopo averla ascoltata, ha esclamato: “Però! Più l’ascolto e più mi piace, ha un bel testo ed è musicalmente molto elaborata”. Ma prima di quel giorno non la conosceva nessuno».
6) Posto esista, qual è il disco o il brano più pasoliniano di Renato?
Cristian: «Ma un brano o un album in particolare non saprei indicarlo. Chiaramente il Renato Zero degli esordi è più vicino al mondo pasoliniano di quanto, invece, lo sia adesso. Per carità non so se Zero abbia mai letto Pasolini, ma ne condivideva, certamente molti aspetti, anche in modo inconsapevole. “Quando non sei più di nessuno” uscito nel 1993 in un certo qual modo conteneva tracce di quell’universo lì. Infatti al suo interno si trovava “Casal de’ pazzi”. Anche “Per non essere così” è un brano che mi riporta alla mente il mondo di “Accattone”; oppure “ Pionieri” o “Marciapiedi”».
Daniela: «Nemmeno per me esiste un disco “pasoliniano” al cento per cento nella produzione di Renato. Neppure “Zerofobia”, che nella sua metropolitanità esasperata è invece il suo album meno europeo, autenticamente e visceralmente rock. Quindi ben oltre la periferia di Pier Paolo, al limite più confinante con alcuni paesaggi di Testori, che non a caso era e viveva a Milano. Purtroppo oggi l’aggettivo “pasoliniano” è abusato e finisce per significare tutto e niente: qualsiasi situazione scollacciata, qualsiasi canzone con allusioni forti (o circa) viene sbrigativamente definita “pasoliniana”, quando spesso non lo è affatto. Comunque, sono d’accordo con Cristian; forse è proprio in “Artide Antartide” che troviamo affreschi, sia pure un po’ manieristici, capaci di rievocare alcune pellicole di PPP».
7) Un altro artista che ha molto in comune con Pier Paolo è Massimo Ranieri, di cui sta per uscire il film “La Macchinazione”. Anche in tal caso: quali le affinità tra Pasolini, Massimo e Renato? E tra i due cantanti?
Cristian: «Considero Massimo Ranieri uno degli artisti italiani più completi in assoluto. Ha una voce spettacolare e carisma da vendere. La sua presenza in un film o show televisivo è sinonimo di garanzia. Inoltre Ranieri è un eccellente attore di teatro e proprio qualche anno fa ho avuto modo di apprezzarlo dal vivo nello spettacolo “Viviani Varietà”. Con Pasolini Ranieri ha in comune l’aspetto. La sua somiglianza con Pier Paolo è davvero impressionante. Massimo e Renato sono stati, e lo sono ancora, degli istrioni. Devoti alla loro arte si sono cimentati in diversi ruoli e campi artistici. Non a caso la celebre canzone di Charles Aznavour, “L’istrione”, è stata cantata in coppia da Ranieri e Zero durante la trasmissione televisiva TGZDM. Sono certo che “La Macchinazione” renderà il giusto merito a Pier Paolo, sicuramente più del film di Abel Ferrara.»
Daniela: «Aspetto con impazienza il film di Massimo. È un attore molto espressivo. Con Pasolini sarà costretto a diventare espressionista, considerato che, poi, ha dovuto interpretare l’ultimo, e più fosco, capitolo della sua vita. Ecco, somiglianza a parte, per la carnale spontaneità accosto Massimo al Pasolini “friulano”, così goloso della vita, ma anche così ottimisticamente ingenuo e aurorale. Qui invece l’artista napoletano ha dovuto asciugarsi, riporre in un angolo la sua dirompenza meridionale per calarsi nel vuoto dell’uomo incupito, solo, sperduto, dirozzato. Quale che sia il risultato finale, ho fiducia comunque nella buona riuscita dell’opera anche perché l’uomo è umile, sa imparare. In questo è diverso da Renato, che Pier Paolo l’ha spesso subito, sentendoselo gravare sulle spalle in modo talora insopportabile. Poi ha voluto liberarsene. Adesso, Zero somiglia di più a un dispensatore di saggi consigli e sembra aver cancellato la parte nera – “dark”, direi – della sua arte e forse della sua esistenza».
8) Anche Paolo Bonacelli, altro attore pasoliniano (pensiamo a “Salò”) ha lavorato con Renato sia in “Ciao Nì” sia in “Tutti Gli Zeri Del Mondo” [film del ’79 e spettacolo monografico in quattro puntate andato in onda nel 2000, ndr]… Un caso?
Daniela: «Non ne ho la più pallida idea… Può trattarsi, com’è accaduto per “Calore”, d’intertestualità; non va dimenticato che in Bonacelli c’è anche molto Fellini, quell’atmosfera estatica, grottesca e saporosa capace di stendere sulle realtà più sordide un velo d’innocenza fatata».
9) Entrambi ricordate la parentela con Mario Tronti e alcune posizioni di Pasolini contro l’aborto e il divorzio che gli suscitarono fraintendimenti da parte dei settori della sinistra e, al tempo stesso, l’elogio della destra clericale e conservatrice…
Cristian: «Nonostante la parentela con Mario Tronti Renato Zero ha cercato di tenersi ben alla larga dalle correnti politiche. Purtroppo molte frange estremiste di destra amano le sue canzoni e le strumentalizzano per fomentare sentimenti di intolleranza e omofobia».
Daniela: «Tronti appartiene all’antica scuola marxista. È uno spirito immaginifico, con saldi principi morali. Per questo non sorprende la sua opposizione, condivisa da molti intellettuali della sinistra storica, alla tecnocrazia capitalista che trasforma i corpi in merce (utero in affitto oggi, aborto ieri). Pasolini venne strumentalizzato come oggi viene strumentalizzato Zero; fatte le debite proporzioni, sia chiaro. Ma quest’ultimo ha lanciato messaggi più ambigui».
10) Alcuni brani di Renato sono rimasti un po’ in sordina; altri vengono continuamente riproposti. Perché?
Daniela: «Bisognerebbe chiederlo a lui… Certo non è facile operare una selezione dopo 50 anni di carriera e non sta a me suggerire le scalette per i prossimi concerti! Non nascondo, però, che preferirei ascoltare canzoni come, appunto, “Casal de’ pazzi” al posto di altre, magari di maggior impatto, ma meno indicative della ricchezza dell’arte di Renato. Però, lo ripeto, si tratta di scelte molto personali sulle quali non mi pronuncio».
11) A proposito di scelte, cosa ne pensate della copertina di “Alt”? Parrebbe un ritorno a quelle atmosfere “dark” cui ci si riferiva poc’anzi…
Cristian: «La copertina di “Alt” ha un gusto vintage. A me ricorda molto gli anni’80 e in special modo alcuni video dei Pet Shop Boys o di Freddie Mercury e i Village people. Con quel look da Visitors sembra proprio omaggiare quel decennio lì».
Daniela: «Non lo so. Senza dubbio, se voleva scioccare, c’è riuscito. Tutto sta a vedere se rispecchia davvero il contenuto dell’album. A me rievoca certo situazionismo di “Voyeur”, ma le ultime prove, anche i due singoli, non sembrano andare in questa direzione. È pur vero che, a volte, i brani di lancio non esprimono appieno lo “spirito” dell’album. Penso per esempio a “A braccia aperte”: non si può certo dire che fosse il brano più riuscito, né quello più significativo d’un lavoro elaborato come “Cattura”».
12) E le critiche a Madonna?



Cristian: «Zero ha ammesso di non amare Madonna e di non stimarla affatto. Eppure i due artisti rappresentano una tipologia di musica che si concentra anche sull’aspetto visivo della performance musicale. Sull’immagine hanno costruito entrambi una carriera quindi non si capisce da quale pulpito parta la predica o in questo caso la critica di Zero».
13) L’esperienza poco riuscita di TGZDM dimostra che Zero “non è un mito transgenerazionale”, come si legge nel libro; molti, oggi, sarebbero pronti a giurare di sì.
Cristian: «Io non parlerei di esperienza poco riuscita. I programmi televisivi si misurano, ahimé, con i dati Auditel e non con la qualità degli stessi. Detto questo il Renato Zero di TGZDM non era il Renato di oggi. Nel senso che adesso il suo pubblico è enormemente cresciuto ed è diventato un cantante per famiglie. All’epoca manteneva ancora un po’ di quel sano distacco e non temeva la cosiddetta “emarginazione” della maggioranza».
Daniela: «Ho sempre sostenuto che Renato, proveniente dal teatro, non ha i “tempi” televisivi. Ciò premesso, se da un lato concordo con Cristian, dall’altro quell’one-man-show mi ha dato un’idea d’incompiutezza. E non solo per i superospiti negati a Zero. Talora ho avuto davvero la percezione di “vorrei ma non posso”. Quella trasmissione ha tentato di conciliare messaggi importanti, anche forti, e un’immagine sostanzialmente ancora trasgressiva, con la paciosità familiare e familista della prima rete Rai. Un’operazione praticamente impossibile, o impossibile a uno come Renato, che più cerca di “addomesticarsi”, più suscita perplessità». 
15) Cristian, come spieghi l’affinità con Jackson e la freddezza con Bowie dopo la morte? E perché, secondo te, Renato è più affine a Elton John?
Cristian: «All’interno del libro troverete diversi capitoli incentrati sul confronto Jackson-Zero e  Bowie - Renato. Le reazioni sono diverse perché con il Re del Pop Zero non si è mai sentito in competizione, mentre con Bowie ha subìto, nel tempo, diversi paragoni. Detto ciò la freddezza con cui ha trattato la scomparsa di David Bowie è inaccettabile e leggendo il libro capirete perché. Con Elton sono molte le cose che lo accomunano. Look, brio, comportamenti in scena, etc. Ovviamente Michael, David e Elton sono musicisti mentre Renato no. Comunque nel testo si discute delle sue affinità con questi grandi artisti e non di scopiazzamenti inesistenti. Sia chiaro!»
16) L’ammirazione del cantante per Wojtyla non può essere spiegata anche dal fatto che il papa polacco era stato un grande attore?
Cristian: «Ovviamente. Renato Zero ha portato in scena la maschera teatrale e frequentato il mondo della recitazione. Wojtyla è riuscito ad arrivare alle masse grazie proprio al suo trascorso di attore. Giovanni Paolo II nel suo libro “Alzatevi, Andiamo!” ricordava l’importanza formativa del teatro. Anche il pontefice descritto da Nanni Moretti in “Habemus Papam” dice alla psicologa che il suo lavoro è recitare. Senza offesa per nessuno ma Zero ha sempre avuto delle smanie di grandezza tipiche di un artista e Wojtyla è stato il papa più massmediatico di sempre. Non a caso subito dopo la sua elezione alla soglia di Pietro la Marvel, la casa editrice dei supereroi, gli dedicò un fumetto. La fede con lui è diventata spettacolo. Nacquero le messe di massa celebrate da una vera pop(e) star del Sacro».
17) Forse è vero che il travestito di “Mi vendo” non sarebbe mai andato a un Pride ma resta che le sue canzoni ai Pride ancora oggi sono eseguite. Come si spiega?
Daniela: «Perché nessuno meglio di lui ha saputo ritrarre non solo un’epoca ma uno stato d’animo, un vissuto. Chi c’era in quegli anni non può negarlo».
18) “Che lo si voglia ammettere oppure no Renato Zero, come ho già ricordato diverse volte, ha favorito la discussione sull’omosessualità in una nazione ancorata ancora a retrivi pregiudizi di matrice cattolica… Chi lo nega è solamente in malafede, oppure vuole ricondurre tutto ad una strategia di marketing improntata dal cantante per ingannare il suo pubblico e raggiungere facilmente il successo”. Cristian, queste frasi insieme con la matrice cattolica sembrerebbero smentire la posizione di Zero come un papa laico e così la copertina del nuovo album. Oppure no?
Cristian: «Al legame tra Renato Zero e la fede ho dedicato un intero capitolo. Ormai non è un mistero per nessuno che Zero, in più di un’occasione, si è allineato alle direttive del Vaticano. Zero è un cantante e da lui non mi aspetto nulla in materia di religione. Utilizzerà la sua arte per esprimere la sua spiritualità. Io da filosofo non credente non mi trovo nelle sue riflessioni attuali ma questo riguarda piuttosto me e non lui. Anche alla tematica dell’omosessualità nella canzone italiana ho dedicato un capitolo. Forse per non sminuire i concetti è meglio rimandare alla lettura degli stessi».
20) È stato riportato anche un siparietto frivolo (gossip). Perché questa scelta?
Cristian: «Ci è sembrata una scelta interessante per avvicinarci anche ad un pubblico meno propenso allo studio serio e serioso di un artista. È La gente ama il gossip ed è stato accontentato. Chiaramente più che pettegolezzi sono, per l’appunto, delle parentesi frivole in cui si narra di amicizie, di spettacoli televisivi che dovranno, forse, concretizzarsi, etc.»
Daniela: «Io ho cercato di evitarlo il più possibile, perché lo detesto e non sto nemmeno a scomodare Proust e il valore psicologico che dava al pettegolezzo. Per carità, si parla di artisti pop, fa parte del loro mondo (benché non sia inevitabile). Il punto è che però Renato ha deciso di servirsene in passato e lo sta facendo ancora in questi ultimi tempi. È una scelta professionale pure quella e noi ne abbiamo preso atto». 

              Donatella Tinari

23.11.15

6 Canzoni contro l’omofobia e la violenza sulle donne”. di Cristian Porcino “ con prefazione di Daniela Tuscano. recensito da Ada Romano

                    Un libro contro la violenza sulle donne e l’omofobia

Curiosando su amazon ho scoperto il libro “6 Canzoni contro l’omofobia e la violenza sulle donne”.
Libri che trattano queste piaghe sociali sono ben pochi e solitamente scritti con una terminologia accademica, diciamo per addetti ai lavori. Porcino, invece, utilizza un linguaggio diretto, colto ma non ridondante. Io non ho fatto l’università e mi sono fermata al diploma. Purtroppo a quei tempi
restare incinta in giovane età non permetteva grandi avanzamenti culturali e lavorativi alle donne della mia generazione. Però non ho mai smesso di leggere e documentarmi. Ho così appreso tante curiosità seminate nelle canzoni spiegate nel libro e ascoltate per tanti anni con troppa leggerezza e quindi non capite fino in fondo. Non avevo mai compreso Madonna e le sue canzoni; la consideravo solo una provocatrice. Mentre scopro, con sorpresa e interesse, la sua battaglia in favore dell’emancipazione delle donne. Utili gli aneddoti  storici racchiusi nei brevi excursus che aprono il volume. Così come ho apprezzato il progetto educativo ideato dall’autore per essere attuato nelle scuole italiane. Mi permetto quindi di consigliare questo volume che “ha il pregio delle grandi opere….è appassionante, suasiva e agile ma al tempo stesso dura e corposa” come scrive Daniela Tuscano nella Prefazione. I nostri figli, specialmente i figli maschi, devono crescere con la consapevolezza che gli stereotipi e i pregiudizi offendono la loro intelligenza. Soprattutto quel
machismo imperante che deve essere definitivamente estirpato dalla nostra cultura.

Ada Romano

5.11.15

“Chiedi di lui", un romanzo verità su Renato Zero


Un romanzo-verità su Renato Zero, che si fa apprezzare per la fluidità della scrittura e la ricchezza dei contenuti. “Chiedi di lui, viaggio nell'universo musicale di Renato Zero” è un libro originale e completo, diviso in tre parti, che abbracciano l’intera carriera del cantante romano. È un libro “per tutti” che soddisfa tutte le esigenze perché vi si ritrova il Renato degli esordi beat e pasoliniani (finalmente in modo appropriato, senza accostamenti fuori luogo ma con documentata puntualità) e quello del successo, prima scandaloso poi accettato, il periodo buio, la rinascita e la consacrazione
degli ultimi anni. E sullo sfondo le vicende storiche, sociali, politiche, sessuali e di costume di 40 anni di quest’Italia che ci fanno capire come Renato abbia rappresentato benissimo uno spaccato del nostro vissuto. Daniela Tuscano e Cristian Porcino, gli autori del volume, sono da lungo tempo attenti osservatori dell'artista. Si sono basati su testimonianze dirette e personali e sulla loro capacità critica, senza farsi condizionare dal gossip o dalla loro stessa passione. Sono infatti convinto che un libro “vero” su Renato può essere scritto solo da chi lo apprezza sinceramente, ma anche questo è un rischio perché si può sconfinare nella glorificazione o finire per “modellarlo” secondo i propri gusti, dimenticando la sua realtà. Questo rischio nel libro di Daniela e Cristian è stato evitato perché si conserva la giusta capacità di analisi senza perdere l'ammirazione. Un piccolo classico, insomma, che resisterà alle mode e al passare del tempo.

Renato Porcelli






Per acquistare il libro:

25.2.15

SUL LAGO SI PARLA DI... RENATO ZERO

Sabato 28 febbraio 2015 sarò a Colico a presentare il mio ultimo libro scritto in coppia con Cristian Porcino. Letture, buffet e musica dal vivo. Vi aspetto !
                               Daniela Tuscano





23.12.14

L'ANIMA DI RENATO Una mostra a Testaccio celebra l'arte di Zero di Federico Diatz

  di  Federico Diatz
Sono trascorsi ormai alcuni giorni dalla mia visita alla mostra "Zero" (La Pelanda, Spazio Macro Testaccio, Roma). Come al solito, ogni iniziativa riguardante Renato ha bisogno di una riflessione. Ritornare con la mente in quelle sale, nel buio restituito da quei silenzi, mi trasmette il senso profondo di questa nuova avventura. Location suggestiva e raccolta, rassegna che all'inizio mi era sembrata un po' scarna, pur non mancando alcune chicche per la delizia degli appassionati: gli abbozzi dei brani, i provini, i video... Non del tutto sconosciuti, ma ci hanno ricordato le radici di Renato.
Pochi i costumi presentati ma non conta (li abbiamo già visti al SeiZero e nell'Amo Tour). Ben più importante era comprendere il suo background culturale e psicologico. Quindi buona l'idea degli organizzatori di strutturare le sale come il percorso di un feto intervallato dai battiti del cuore di Renato. Come a dirci che quella era la sua vita intima, nascosta solo all'apparenza. Non condivido le critiche di chi pretendeva una maggior quantità o varietà di materiale (c'è il book per questo, ben confezionato, con foto in parte conosciute ma anche preziosi inediti). Forse ne vedremo nelle prossime puntate visto che dovrebbero seguire altri momenti della retrospettiva. Ma a cosa sarebbe servito inserire pagine di inutili rotocalchi, stupidi gossip, falsi scoop di riviste popolari (io avrei tolto persino la pseudo-inchiesta di Sorrisi...), buone solo per rassicurare, forse, la parrucchiera del rione ma non per capire l'anima reale di Zero? Lui è nato come personaggio inquieto e inafferrabile, un frutto periferico. Meglio, molto meglio le foto in bianco e nero dell'infanzia e dei coraggiosi esordi, davvero molto pasoliniani. Bella l'aggregazione tra le tappe del percorso artistico di Renato e i momenti storico-sociali di quell'Italia. È un'operazione già intrapresa da Daniela Tuscano e Cristian Porcino nel loro libro ("Chiedi di lui") dove viene citata perfino "Supermarket", un inedito del '73 ascoltato in esclusiva per l'occasione (vedi seconda foto  al centro   sotto  )

. E a me che non ho vissuto quell'età ha procurato una autentica scossa leggerla e, adesso, vederla! La rivoluzione dei costumi, la lotta contro il perbenismo sessuale, le maschere, la contestazione giovanile e l'unicità di un personaggio che ha attraversato tutto mantenendo una sua specificità... questo è importante. Un rammarico: buona parte del pubblico ha ignorato questi momenti affannandosi soltanto a cercare le immagini "inedite" di Zero. Ma non si può capire un fenomeno se non lo si colloca, appunto, nel periodo in cui è sorto. Cose che purtroppo avvengono presso quei fans che non hanno dimestichezza con la cultura. In conclusione, mi pare che questo sia un primo tentativo di recuperare un'identità artistica "essenziale" quanto mai indispensabile dopo anni di successi clamorosi ma non sempre adeguatamente assimilati.

                                                   Federico Diatz
                    
P.s
 le   Foto: elaborazione grafica di Roberto Rossiello, Ivan Zingariello e Rita Podda

12.2.14

chiedi di renato

Daniela Tuscano, insegnante, blogger e scrittrice milanese, classe 1964. Cristian Porcino, filosofo, romanziere e autore di diversi saggi, di Catania, 33 anni. Cosa li accomuna? La passione per Renato Zero, naturalmente. Che li ha spinti a scrivere un libro («Chiedi di lui», ed. Lulu,foto a  sinistra  acquistabile  qui )

- Un libro su Renato Zero è sempre una novità, malgrado ne siano stati scritti tanti. Come mai, secondo voi?

«Si, è vero, negli anni sono usciti diversi libri su Renato Zero ma l’intento degli autori molto spesso è stato forse quello di dare più risalto al personaggio dimenticandosi o tralasciando la forza prorompente della sua produzione musicale. Ciò che
contraddistingue il nostro libro consiste proprio in una rilettura personale dell’opera del cantautore romano. Non ci siamo occupati di gossip o di dare rilievo ad argomentazioni becere, bensì abbiamo analizzato più di 40 anni di carriera discografica di Zero. Quindi non ci stupisce l’entusiasmo che ancora oggi desta negli spettatori il carisma e il talento del re dei sorcini ».
- Ho notato che si struttura in tre parti…
«Abbiamo preferito questa opzione per spiegare in modo più lineare ed esaustivo il percorso storico-artistico di Zero. Nella prima parte Daniela si è occupata degli esordi di Renato fino alla fine degli 80, mentre nella seconda parte Cristian ha raccontato dagli anni Novanta fino ad oggi. Alla fine delle due sezioni abbiamo incluso alcune testimonianze di fan di quasi tutte le età per completare un ritratto a 360 gradi di Renato Zero».
«Quando ho proposto a Daniela di scrivere un libro su Renato Zero – interviene Cristian – le ho detto che il testo doveva raccontare le nostre emozioni e il nostro vissuto per poter meglio descrivere la sua musica. Nel libro ci siamo appunto noi, però non noi in quanto semplici ammiratori di Renato ma Cristian e Daniela; 
due soggetti della storia che sono cresciuti e si sono evoluti anche grazie alle canzoni di Zero. Non volevamo redigere una sequela di nozioni biografiche, ma partire proprio dalla nostra vita, dai momenti importanti che coincidevano quasi sempre con le svolte artistiche di Renato. Il nostro obiettivo principale era proprio quello di descrivere uno dei più grandi cantautori italiani partendo proprio da noi stessi. Anche se con età ed esperienze diverse, Daniela ed io siamo stati in grado di raccontare un mito transgenerazionale che non smette mai di entusiasmare le folle… e anche noi».
Il libro ha la prefazione di Maria Giovanna Farina. Grazie agli autori e buona lettura… a fans e non.
Silvia Calzolari, poetessa e scrittrice  


23.4.13

Nella loro solitudine



Ha compiuto 66 anni lo scorso 21 aprile ed è sempre il solito: eccessivo, grandguignolesco. Espressionista, aggiungerei, se non temessi di scivolare nella banalità. Perché Iggy Pop “è” l’espressionismo. Nella sua forma più conclamata, popolare e popolaresca.
È tornato con un album incendiario con copertina incendiaria, da kamikaze, e testi incendiari. Gli stessi, anche nei riff energici e cavernosi. Eppure non potrebbe essere che così, eppure lo riconosci sempre pugnace, vecchio e rabbioso. Mi ha attratto e l’ho pure amato, ma confesso di conoscerlo piuttosto superficialmente. Solo i brani più famosi, così clamorosamente anticipatori del punk, dell’indie, dell’heavy metal, del grunge e di tutto il graffio e la bruttura che riassumono quest’epoca incerta. La mia non vuol essere una recensione prettamente musicale. Semmai estetica; perché spesso si dimentica che il rock non è solo fenomeno musicale, ma stato d’animo. Visione e corpo. Se segno esiste della sua internazionalità, lo si percepisce nell’accostamento di due figure solo all’apparenza lontanissime: la sua, appunto, e quella d’un artista nostrano, anch’egli in questo periodo in clima di ricorrenze: disco appena pubblicato, una serie di concerti da tutto esaurito di qui a tre giorni. Mi riferisco a Renato Zero.
Che di anni ne ha 62 compiuti (ne farà 63 il prossimo settembre), che pare, e in qualche caso è, ormai alieno dagli eccessi degli esordi; eppure, se c’è stato un artista autenticamente cosmopolita, e autenticamente rock, quest’ultimo era proprio Zero.
Il giovane Iggy e il giovanissimo Renato. Immortalati nello stesso periodo (1971) da due grandi dell’obiettivo, Gerard Malanga e Arpad Kertesz. Pittori e artigiani, prima che fotografi. Entrambi nudi, entrambi frontali, entrambi maschi. Il primo, manco a dirlo, dionisiaco. Tutto muscoli e tendini, vibrante di poderosità malata, rude, ma con una malcelata grazia da Egon Schiele, e che non deve ingannare. Non un San Sebastiano, tranne una languida sensualità. Sguardo sfrontato. Renato, manco a dirlo, apollineo. Più bellino, più aggraziato. Ma stessi occhi di Iggy, persino identica posa. Bombetta in testa, a sottolineare l’ironia e la giocosità d’un frizzo altrimenti troppo ardito. In ambedue, una sessualità esibita e contemporaneamente velata, e, al suo posto, un triangolo strano; oscuro o sovraesposto in una luce confusa. Che scompare nell’istante esatto in cui si scopre. Un petto ossuto, marcato, simile a mammelle di donna. Quelle che vediamo in altre due immagini, dove un Pop ormai stagionato e un Renato ancora imberbe, conciato dal genio maligno di Patroni Griffi in isterica donna incinta (!), irridono la maschilità sfoggiandola in abiti goffi, inadatti e impertinenti.
Iggy e Renato evocano asperità da camionisti, nella voce, nelle immagini a tinte forti. Ma camionisti d’un’autostrada senza fine, quella della vita. Soffocati nella sperdutezza d’un mondo senza più identità precise. Iggy ha continuato a sorridere e a irridere, con sarcasmo e disperazione. Renato ne ha sofferto atrocemente fino a cercare consolazione in accenti sfibrati, per taluni manieristici. Ambedue icone d’un passaggio d’epoca, nevrastenica e balbuziente. Due uomini divenuti corpo senza esserne possessori. In questo, Cristi pagani – e blasfemi. Testimoni loro malgrado della crisi del maschio, del suo tragico e maestoso declino.

26.9.09

Zero al Massimo

 
 

Intervista a Del Papa, autore di Ti vivrò accanto. La favola infinita di Renato Zero

Massimo Del Papa (Milano, 1964), giornalista ("sono uno che scrive", corregge lui) è seduto di fronte a me, spettinatissimo, con un orecchino nuovo fiammante al lobo sinistro. “Di' che gesticolo molto, rido spesso, mi agito e bevo a piccoli sorsi un misterioso liquido ambrato”, mi suggerisce, sornione. In realtà basta il suo sguardo attento, la sua sagoma dinoccolata e scomposta a catturare l’attenzione.

- Ricordo quando mi accennasti per la prima volta al libro. Per scriverlo, hai impiegato una trentina d’anni… Aggiungo: si sente. È un libro che hai scritto per te: ed è una delle ragioni del suo fascino.

- E pensare che se non fosse stato per Marinella Venegoni, una persona speciale che ha scritto una prefazione molto lucida, non l’avrei mai pubblicato. Tu sai che Renato ha reso sé stesso un ponte per la vita di tanti. Ha stravolto il suo talento da fine a mezzo, per incidere, per cambiare molte vite.

- Inconsapevolmente…

- Certo, come dev’essere per ogni vero artista. E qui sta la sua forza. Ho conosciuto un’infinità di gente che mi ha detto: lui non ti molla, è presente davvero, diventa persino invadente se decide di starti vicino. Bene, questo libro ha preso qualcosa della storia che racconta.

- All’inizio volevi intitolarlo Un anarchico conservatore. Poi hai optato per Ti vivrò accanto, molto più suggestivo…-

- Ti vivrò accanto è uno dei versi più belli del suo canzoniere; volevo anche raccontare una favola, come recita il sottotitolo, infinita perché di questa vicenda umana si parlerà ancora fra cent’anni. Lui, Zero, può essere tutto ma non risulta mai mediocre. In un Paese che di mediocrità vive, e se ne vanta. Non dimentichiamolo: a 27 anni ne aveva già addosso 14 di gavetta, quattro dischi, l’Orfeo 9, i giri per Roma con Fellini, Ruzante in teatro, le coreografie di Don Lurio, Rita Pavone, l'Hair di Patroni Griffi, il Piper e tutta quella vita… ed era già tanta vita.

- Taluni, però, potrebbero equivocare: “Ti vivrò accanto”, cioè: sono uno di voi…
- No, Renato non è affatto “uno di noi”. Ti sfiora, ti passa vicino, ma le sue coordinate sono troppo diverse: non sta in te, e tu non sei in lui. I sorcini, che lo hanno cristologizzato, se ne facciano una ragione. È un anarchico conservatore, propone modelli che vanno bene per la società, ma lui se ne esorbita, sta altrove. Ti vive accanto, ma non lo puoi afferrare, fare tuo. Con la sua arte ha fatto più di mille convegni, ha sdoganato le diversità (non solo quella sessuale). Quando nelle scuole parlo di lui, come di Zappa e di altri esempi illustri di anarchici conservatori, mi riferisco all’individualità, alla specificità, che comprende la diversità, il coraggio di non conformarsi.

- Qualche purista sobbalzerà leggendo il nome di Zero accanto a quello di Zappa. Ma io rammento bene che, sul finire dei ’70, si indicava come possibile erede di Renato un nostro talentuoso concittadino, Faust’O [cfr. il sottostante video], che gli somigliava un po’ anche fisicamente, così emaciato e spettrale, e anch’egli portabandiera d’un rock all’avanguardia, anticipatore del punk, con testi disinibiti e iconoclasti.

- Certo, ma tu pensi che oggi potrebbe nascere un Renato Zero? Dicono: Renatino, tutto cuore… Ma era durissimo, fortissimo quel ragazzo. Con una incrollabile fiducia in sé stesso. Una macchina da guerra con un cuore. La gente non lo sospetta, non ha gli strumenti analitici per uscire dalla soggezione: mi piace=bello, non mi piace=brutto. Io ho tentato una chiave di lettura diversa, gli sono… vissuto accanto [risate], senza bisogno di fregole, di gossip. Vincenzo Incenzo ha notato: “Lo conosci meglio tu, che non l’hai mai incontrato, di tanti che gli vivono intorno”. Ma bastava ascoltarlo. Non esiste artista più autobiografico, più sincero. Dove lo trovi uno che ti dice che si sente un fallito, che si è inventato un circo “per non essere così”, per non ammettersi altrimenti? Non puoi chiedere di più a un artista. Il suo canzoniere è un po’ come l’Ecce homo di Nietzsche.

- Volevo restare su quell’aggettivo, “conservatore”, che si presta anch’esso a grandi equivoci. Mi è capitato persino di leggere che la critica all’aborto contenuta in Tragico samba (fra l’altro un brano piuttosto cinico e disincantato, come hai osservato tu, molto “lacero”, metropolitano, con persino un accenno a un fratello incestuoso, alla faccia della santità della famiglia…) era motivata dalla... fede cattolica di Renato.

- Ma figuriamoci! Conservatore non significa mica reazionario. Il vero ribelle non può che essere conservatore, perché gli stanno a cuore i temi ultimi, i punti nodali dell’esistenza. Che sono sempre quelli, da che mondo è mondo. E, al tempo stesso, sempre in movimento.

- La passione etica, come in Pasolini, altro anarchico conservatore…

- Esatto.

- Conservatore anche perché, mentre da un lato lo si additava come scandaloso, dall’altro lo si accusava di barare, dall’altro ancora di presentare una figura di “diverso” sempre sofferente, quindi, in ultima analisi, rassicurante per la società “normale”. A me non pare. Il solo fatto di aver infuso coraggio in tante persone mi darebbe ragione, ma i suoi brani sono “a tutto tondo”: non si limitano a denunciare l’emarginazione, hanno dimostrato che l’amore può nascere ovunque e per chiunque, e hanno descritto la bellezza di questi amori. Anche i loro limiti, certo, perché la sua visione è realistica, mai idealizzata.

- La maledizione di questo Paese è che tutti militano, stanno chiusi non nei barattoli ma nelle categorie. Io, per esempio, non reggo più quei giornalisti che anche seduti sul cesso fanno i giornalisti. Non c’è altro posto al mondo dove tutti ripetono: ah, io non sono come gli altri, io sono particolare e anche pazzo (che è una trovata miseranda per dire: sono egoista, stronzo e viziato, e voi dovete prendermi così). Però, al dunque, tutti si infilano in qualche militanza. Non voti a destra, “sei” di destra. Non voti a sinistra, firmi una cambiale a vita con la sinistra, qualsiasi cosa accada. Non sei uno con qualità sue, sei un gay, una lesbo, un macho, una velina, un terrone, un padano o quel che ti pare. Ma come si fa a vivere così? Come andare in un negozio di musica e chiedere: mi dà una chitarra ritmica, me ne dà una solista? Ma compra una maledetta chitarra e poi suonala! Zero andava in giro con una gallina al guinzaglio, che è molto meglio della scimmia sulla schiena. Anche perché, alla fine, la gallina te la mangi! L’importante è non tradirla mai, quella gallina, e io credo che, in fondo, Renato non l’abbia mai tradita. Devi adattarti, in qualche misura, ma alla fine penso che lui sia sempre lui. Come si dice: immorale nelle cose piccole, morale in quelle grandi. Sai perché alla fine gli si perdonano anche le scivolate retoriche, quell’andare a parlare di povertà francescana ad Assisi, con il parco macchine e la villa su piazza di Spagna? Perché alla fine lui dà molto di più di quel che riceve. Ha fatto felici milioni di persone per quarant’anni. Ha dimostrato, in particolare, che le provocazioni, le tutine, gli zatteroni, non erano fini a sé stesse, ma armi con cui scardinare certe incrostazioni. Ha mandato letteralmente a quel paese l’industria discografica e tu sai che queste cose, in Italia, si pagano. Poi è “imperfetto”, sicuro. Dicono che ha sempre recitato? E chi non lo fa? Io a muovermi sul palco ho imparato da lui. Da lui e da Keith Richards! Alla fine, non è più recitare. È liberare la parte più profonda e pericolosa.

- E, anche, il rapporto con le donne, sicuramente molto complicato, spesso conflittuale, sempre sofferto. Però non mi sembra corretto parlare di misoginia riguardo al primo Zero, i suoi pezzi al contrario di brani eseguiti da altri non mi hanno mai offesa, ho sempre avuto l’impressione si rivolgesse non all’intero genere femminile, ma solo a specifiche persone.

- La misoginia del Renato degli esordi somigliava molto da vicino a quella di Mick Jagger, che non a caso è stato uno dei suoi modelli.

- Insisto: in questa prima fase nessuna visione stereotipata, ma storie di vita (sue o altrui), donne singole e molto reali, corpi e non miti, rapporti paritari. Insomma, e per fortuna, nessuna Bella senz’anima in casa Zero, nemmeno nella canzone che tu ritieni più violenta, L’ambulanza.

- Sì, molto violenta.

- E, come violenza, lo si potrebbe avvicinare a Jim Morrison, a Iggy Pop. Visto comunque che abbiamo citato Tragico samba vorrei rimanere su Zerofobia. Come sai io adoro quel disco, lo ritengo la carta d’identità di Renato. È un disco “di cronaca”: più precisamente, di cronaca nera. Mi ricorda certe riviste, o rivistacce, degli anni ’70. in bianco e nero. A ciò affianco un libro uscito nel ’78 per Savelli, Lo scarico, ambientato naturalmente nelle borgate romane. Era il diario-verità (con tanto di nomi e cognomi, oggi in nome della privacy sarebbe impubblicabile) di Marco e Maria, “adolescenti ‘diversi’ del ghetto metropolitano” recitava la quarta di copertina. Violenza, degrado, squallore ma anche desiderio di riscatto, imprecisa ma concreta voglia di uscire dall’inerzia e di “entrare nella storia”, per dirla sempre con Pasolini…

- Zerofobia? Lo amo! Contiene lo spirito del tempo. Se vuoi capire cos'erano gli anni ‘70, devi ascoltare Zerofobia... di qualsiasi cosa parli! C'è qualcosa di malsano lì dentro, e non voglio neanche sapere come sia stato messo insieme. È uno dei pochi, veri dischi rock in Italia. Ma, dopotutto, uno dei talenti di Renato è sempre stato quello di cogliere il momento in cui viveva. Lui non è mai fuori sincrono, i suoi dischi sono utili a capire l'epoca da cui sgorgano ed è per questo che li ho scelti come filo conduttore per il mio lavoro, che poi è un libro su mezzo secolo di storia italiana. Basta saperli leggere in controluce. Prendi anche Zerolandia, l’album più pornografico della sua carriera…

- E anche il più allegramente amorale (mi riferisco almeno a certi pezzi), oggi si sente molto la mancanza di dischi così. A Matrix un brano come Triangolo aveva messo d’accordo tutti: donne, uomini, cristiani, musulmani, pagani… Ammiccavano divertiti e liberatori a quelle note maliziose.

- Lui aveva compreso che la gente s’era rotta di tutta quella violenza, quel sangue, e non parlo delle borgate adesso, ma degli anni di piombo. Non se ne poteva più. Ricordo i mondiali d’Argentina… tutta quell’euforia assurda. Ma avevano appena ammazzato Moro e si voleva dimenticare tutto. Lui reagiva a modo suo. Con una polemica in apparenza stralunata, in realtà affilatissima. Ah, voi volete la guerra politica? E io vi do le ammucchiate e le scopate con i trans! Sbattiamoci, quella era pericolosa davvero. Ma a molti ha fatto comodo prenderla come uno scherzo: “Ah, Zero, quel depravato!”. In fondo, è sempre lo stesso gioco. Fin da quando il “Times” titolava, a proposito dei Rolling Stones sbattuti in galera: Chi spezza le ali a una farfalla?. Per dire, sono solo dei ragazzi, non sono un nostro problema. Invece lo erano, eccome! E lo era Renato Zero all’epoca. Poteva scatenare comportamenti di massa, rivolte di massa, poi se n’è reso conto e a un certo punto ha chiesto "Tregua". Ma a Fantastico se n’è ricordato nuovamente: Viva la Rai, e arriva bardato come una drag queen: “State attenti, borghesucci da sabato sera, che se solo voglio, vi tolgo ancora il sonno!”. Oggi chi è capace di scatenare maree collettive? Un pivello uscito dal serraglio della De Filippi?

- Tu scrivi che Zerofobia, l’album “maledetto” di Renato, si conficca nel cuore dei fans ben deciso a restarci. Io non sono del tutto d’accordo. Molti, per esempio, sostengono che il capolavoro di Renato sia Amore dopo Amore. E, in un recente sondaggio, la terza canzone più rappresentativa di Zero, almeno secondo certi fans, sarebbe I migliori anni della nostra vita.

- Beh, sì, ascoltano Amore dopo Amore o I migliori anni (che ho definito "brano infingardo") e dicono: mio Dio. Ma perché amano venir soggiogati dalla quantità, da una proposta eclatante. Non hanno memoria storica. Lui, Zero, in questo è memoria storica e ha ragione a dire “è la memoria che ci rende interessanti”. Basta che sia memoria però, che non diventi presente, che non se lo mangi. Alcuni miei colleghi sono rimasti agli anni ’70. Non li sopporto, mi sembrano deficienti. Per me Renato Zero ha fatto bene a un certo punto a piantarla con le piume e le trombette. Non duri per sempre, non puoi fare a sessant’anni quello che ti riusciva a venti, e non solo per limiti fisici: se sei un artista intelligente non ti basti più, prosegui. Torniamo ai Rolling Stones. Io potrei uccidere a richiesta di Keith Richards [risate]. Ma vederli sempre uguali a sé stessi, condannati a danzare anche dopo morti, come pupazzi ossuti e macabri, mi preoccupa. Renato Zero ha compiuto questa magia, un successo spropositato nei ’70, la perdita di questo successo, il rinnovato trionfo con gli interessi nei ’90: il tutto, rimescolando gli ingredienti. Prima c’era un matto che con parole matte diceva cose di buon senso. Poi è arrivato questo “saggio”, vestito di scuro, che ogni tanto lascia balenare l’antica follia: “C’è sempre un cobra che dorme, eh eh!”. Lui è un maestro in questo…

- Si potrebbe facilmente obiettare che la saggezza può sconfinare, talvolta, nella retorica e nel perbenismo. Non mi sembra che Renato ne sia rimasto sempre immune. Fra l’altro, l’ha ammesso lui stesso: il pubblico mi segue per quegli anni là…

- Sbaglia. Conosco centinaia di fans convinti che lui abbia cominciato con I migliori anni… e lo amano! Si emozionano, provano gli stessi sentimenti che provavamo noi. Poi certo, io gli mostro, oppure scoprono da soli, su Youtube, di cos’era capace venti, trent’anni prima e… scatta la zeromania, la zerofobia e la zeroisteria. A ritroso! Presso le giovani generazioni di zerofolli parte come una caccia al tesoro, ma non è determinante, è solo un amore in più. Lo vogliono anche cominciando da oggi, e questo è degno di nota. Vado in giro e mi dicono: trattacelo bene Renato, ci appartiene, è nostro. E io: cazzo, uomo, ho fatto un libro su di lui! [risate] Comunque sì, lui ormai è una istituzione e questo è il suo attuale pericolo. Nessuno più lo contesta, lo mette in crisi, mentre lui è un uomo da battaglia.

- Piera Degli Esposti, dopo aver assistito alla commedia Quattro dischi e un po' di whisky , scritta da Roberto Biondi e ispirata ai brani del Nostro, ha dichiarato che quel testo mette in evidenza la solitudine di Renato.

- Non ho visto lo spettacolo ma, nel mondo attuale, un artista come Renato Zero non può che essere solo. Del resto, la solitudine è il tema che lui affronta di più, da sempre. L’Italia non ti perdona il tuo essere tu, ti vuol definire, cioè ridurre. E Zero a me sembra sempre un uomo solo, con dentro certe cose, certi esami di coscienza che, per quanto ne canti, non può davvero sperare che qualcuno colga fino in fondo. Perché credo pure che lui sia condannato a riesaminarsi di continuo. E che lo faccia con una certa lealtà. Siamo computer, o meglio, i computer sono stati costruiti a nostra somiglianza. Capita di usare gli stessi programmi per anni, poi ne scopri di nuovi… e l’approccio cambia. A volte poi ti devi “resettare”, pulire un po’ la memoria, per ricominciare. Io non scrivo come dieci o vent’anni fa, tu nemmeno… La scrittura cambia e così la musica. Questo, tra parentesi, è stato uno dei problemi del libro, perché ho cominciato a buttarlo giù, come dicevamo all’inizio, per motivi del tutto privati, molto prima di darlo alle stampe. Così, dentro non c’è sempre lo stesso stile, e ho dovuto renderlo omogeneo. Come lavorare sulla produzione, o sulla post-produzione, di un disco.

- Renato ama rifarsi a figure mitologiche, come Icaro e Prometeo, sempre legate al fuoco. E c’è anche un brano che s’intitola Ancora fuoco. Perché, secondo te?

- Icaro e Prometeo sono due tragedie: quando sono io, quando volo, quando vivo e ti do il fuoco… non me lo permettono. Mi uccidono. Lui spinge sempre al massimo, in tutta la sua vita, e a un determinato punto deve anche imparare a dosarsi, a non lasciarsi travolgere da sé stesso. “Successo, sei falso pure tu!”. E torna, ed è un uomo cambiato, pieno di cicatrici. Già questo a me fa venire la pelle d’oca, e la voglia di raccontare tutto, affinché non vada disperso.

- Poco fa ti è uscita una frase: “Basta che la memoria non diventi presente”. È arrivato il momento di parlare dell’ultimo album

- Presente è un buon disco, lo ascolto ancora dopo quattro mesi. Per essere un capolavoro, però, gli manca un elemento molto importante: le chitarre. Per avere un’idea di cos’avrebbe potuto essere, ascoltati Muoviti. Lì c’è un assolo strepitoso. E la fine de Il sole che non vedi è sprecata. C’è una coda orchestrale, tutta tuoni e fulmini, che ripete il tema in modo pedissequo. Lui ha improvvisato sopra un parlato, perché mancava la chitarra. Ma resta un buon disco. Involuto. Dove si parla spesso di speranza, ma partendo sempre dalla disperazione. Per me è un valore aggiunto: a 45 anni non mi va di venire illuso da uno di 58. Mi aspetto che Renato Zero mi faccia pesare la sua troppa vita, le troppe morti, le troppe lacrime, il troppo di tutto. Mi aspetto d’essere inquietato. Perché ho anche io da dire che sono disperato, che non vedo spiragli. Se Pasolini aveva cancellato la parola speranza, io ho archiviato anche la disperazione. Mi guardo intorno, e mi limito a ghignare di disperazione. E vado nelle scuole, e raggiungo le persone, ma la verità è che ci troviamo in una deriva irreversibile. Così, Renato Zero ci ha regalato un disco maturo, leale, rischiava tutto, poteva infilare dieci successi annunciati e invece perfino la cifra lirica ne esce compressa: lui vuole dire di più, smette le rime, le assonanze chiamate e trova echi, rimandi fra parole. Devi ascoltarle molte volte, quelle liriche, per apprezzarle. Vincenzo Incenzo, che è un grande, ha lavorato molto bene con lui. A suo parere Renato è molto propositivo e rispetta le proposte di chi gli sta vicino. È una fonte continua, un gioco che si rigenera sempre. So che Renato litiga con tutti: forse è questione di personalità, di non voler farsi travolgere. Io penso che un artista debba avere un pessimo carattere, anche perché alla fine la faccia è la sua, la voce è la sua, sul palco ci va lui. Gli artisti democratici non li capisco, sono solo dei cialtroni. Vincenzo mi ha detto: “Ogni tanto improvvisa qualcosa di cui non sono affatto convinto. Poi va sul palco, la esegue… e mi debbo ricredere, funziona”. Io sostengo che Renato ha il coraggio della retorica. Anche perché ha imparato a governarla, almeno su disco. Prima gli sfuggiva di più. Sì, certo, a volte diventa palloso con le sue esortazioni alla preghiera, al pane, alla domenica… ma, come ripeto, se lui decide di starti accanto, lo fa per davvero. Sarà uno dei vantaggi della crescita [risate].

- Come vedi Renato “da grande”?

- Non so, credo che una bella vecchiaia per Zero sarebbe quella di prendere certi classici letterari e ricavarne delle personalizzazioni musicali. Lui è l’unico che può farlo, perché ha saputo miscelare una vita vissuta su coordinate impensabili a un istinto artistico sensibile. Lui potrebbe tirar fuori qualcosa d’imprevedibile, e di davvero valido, da Leopardi, da Nietzsche o da chi gli pare. Perché sarà anche vero che “non basta solo la cultura”, ma non basta nemmeno la strada, eh no. È la cultura (da non confondere con l’erudizione) a dimostrarti che quello che hai colto, che hai scoperto, sta già da qualche parte: l’eterno ritorno e, come sai, non c’è quasi niente di davvero inedito. Io penso che uno come Zero potrebbe, in questo momento, porsi come veicolo di suggestioni culturali e artistiche in modo ancor più scoperto, deciso di prima. Tanti giovani hanno bisogno di scoprire qualcosa di antico, ma senza il tramite giusto non lo faranno mai.

- Per concludere: come è stato accolto il tuo libro?

- Questo libro ha uno strano karma. Hanno capito che non li prendevo in giro. L’ho scritto col massimo rispetto e gli stronco la metà delle canzoni! Ma non importa, quelle buone bastano e avanzano. La prima copia l’ho portata a una ragazzina ricoverata in psichiatria (a torto, peraltro: ero lì con lei e mi veniva in mente Depresso, le facili soluzioni d’una società che spegne i sogni e le curiosità di un’adolescente troppo sveglia). Ho altri amici, giovani, che, in mezzo a un momento difficile, si sono entusiasmati alla storia di Zero, hanno scoperto tutti i suoi dischi e, se non superato, hanno comunque assorbito la crisi. E di fatti curiosi, ne accadono. Una volta, nella Marche, un professore serissimo, culturalmente rigoroso, ascoltando Il cielo, al passaggio su “gli spermatozoi, l’unica forza tutto ciò che hai”, è “partito” e s’è messo a zereggiare: “Ricordatevi che gli spermatozoi di Renato sono nostri, dalle Marche sono partiti e nelle Marche torneranno… sempre!!!”. Un’altra volta presento il libro, cinquanta copie e nemmeno una persona. In un’altra occasione ancora, la libreria era gremita ma mancavano i volumi. Tornate domani, prego! Una sera lo presento a mezzanotte e penso: sarà un miracolo se arriveranno quattro gatti. Me ne sono ritrovati quasi seicento! È sempre diverso, perché parlo di Renato ma, sotto sotto, anche di me. A quindici anni ascoltavo eroZero e mi affacciavo dalla mia finestra di via Monte Nevoso, a Milano, di fronte al covo brigatista col memoriale Moro. Poi cambia tutto, mi ritrovo nelle Marche, la regione di mio padre, e per anni quei vecchi dischi sono le mie madeleines. Scrissi la prima poesia quando uscì Soggetti smarriti. Adesso allestisco spettacoli di poesie, scrivo anche le musiche, e in qualche modo lì dentro c’è qualcosa di quei dischi. Presente l’ho ascoltato, e ne ho scritto il relativo capitolo, il pomeriggio che è uscito: sentivo, scrivevo, mi tornavano alla mente i giri per Milano in furgone, con mio padre, e dentro l’autoradio con le cassette di Icaro. Sarebbe stato contento, di un libro su Renato Zero.

Tanta gente, me compreso, non ha mai vissuto un mondo senza Renato Zero. Spunta la luna, spunta il sole e ogni due anni spunta un disco di Renato. Da lui ho imparato una cosa: uno spettacolo riesce se il pubblico ignora cosa farai fra un attimo. Ama avere paura.



Daniela Tuscano (pubblicato, con qualche modifica, anche da Babysnakes)

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...