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26.9.09

Zero al Massimo

 
 

Intervista a Del Papa, autore di Ti vivrò accanto. La favola infinita di Renato Zero

Massimo Del Papa (Milano, 1964), giornalista ("sono uno che scrive", corregge lui) è seduto di fronte a me, spettinatissimo, con un orecchino nuovo fiammante al lobo sinistro. “Di' che gesticolo molto, rido spesso, mi agito e bevo a piccoli sorsi un misterioso liquido ambrato”, mi suggerisce, sornione. In realtà basta il suo sguardo attento, la sua sagoma dinoccolata e scomposta a catturare l’attenzione.

- Ricordo quando mi accennasti per la prima volta al libro. Per scriverlo, hai impiegato una trentina d’anni… Aggiungo: si sente. È un libro che hai scritto per te: ed è una delle ragioni del suo fascino.

- E pensare che se non fosse stato per Marinella Venegoni, una persona speciale che ha scritto una prefazione molto lucida, non l’avrei mai pubblicato. Tu sai che Renato ha reso sé stesso un ponte per la vita di tanti. Ha stravolto il suo talento da fine a mezzo, per incidere, per cambiare molte vite.

- Inconsapevolmente…

- Certo, come dev’essere per ogni vero artista. E qui sta la sua forza. Ho conosciuto un’infinità di gente che mi ha detto: lui non ti molla, è presente davvero, diventa persino invadente se decide di starti vicino. Bene, questo libro ha preso qualcosa della storia che racconta.

- All’inizio volevi intitolarlo Un anarchico conservatore. Poi hai optato per Ti vivrò accanto, molto più suggestivo…-

- Ti vivrò accanto è uno dei versi più belli del suo canzoniere; volevo anche raccontare una favola, come recita il sottotitolo, infinita perché di questa vicenda umana si parlerà ancora fra cent’anni. Lui, Zero, può essere tutto ma non risulta mai mediocre. In un Paese che di mediocrità vive, e se ne vanta. Non dimentichiamolo: a 27 anni ne aveva già addosso 14 di gavetta, quattro dischi, l’Orfeo 9, i giri per Roma con Fellini, Ruzante in teatro, le coreografie di Don Lurio, Rita Pavone, l'Hair di Patroni Griffi, il Piper e tutta quella vita… ed era già tanta vita.

- Taluni, però, potrebbero equivocare: “Ti vivrò accanto”, cioè: sono uno di voi…
- No, Renato non è affatto “uno di noi”. Ti sfiora, ti passa vicino, ma le sue coordinate sono troppo diverse: non sta in te, e tu non sei in lui. I sorcini, che lo hanno cristologizzato, se ne facciano una ragione. È un anarchico conservatore, propone modelli che vanno bene per la società, ma lui se ne esorbita, sta altrove. Ti vive accanto, ma non lo puoi afferrare, fare tuo. Con la sua arte ha fatto più di mille convegni, ha sdoganato le diversità (non solo quella sessuale). Quando nelle scuole parlo di lui, come di Zappa e di altri esempi illustri di anarchici conservatori, mi riferisco all’individualità, alla specificità, che comprende la diversità, il coraggio di non conformarsi.

- Qualche purista sobbalzerà leggendo il nome di Zero accanto a quello di Zappa. Ma io rammento bene che, sul finire dei ’70, si indicava come possibile erede di Renato un nostro talentuoso concittadino, Faust’O [cfr. il sottostante video], che gli somigliava un po’ anche fisicamente, così emaciato e spettrale, e anch’egli portabandiera d’un rock all’avanguardia, anticipatore del punk, con testi disinibiti e iconoclasti.

- Certo, ma tu pensi che oggi potrebbe nascere un Renato Zero? Dicono: Renatino, tutto cuore… Ma era durissimo, fortissimo quel ragazzo. Con una incrollabile fiducia in sé stesso. Una macchina da guerra con un cuore. La gente non lo sospetta, non ha gli strumenti analitici per uscire dalla soggezione: mi piace=bello, non mi piace=brutto. Io ho tentato una chiave di lettura diversa, gli sono… vissuto accanto [risate], senza bisogno di fregole, di gossip. Vincenzo Incenzo ha notato: “Lo conosci meglio tu, che non l’hai mai incontrato, di tanti che gli vivono intorno”. Ma bastava ascoltarlo. Non esiste artista più autobiografico, più sincero. Dove lo trovi uno che ti dice che si sente un fallito, che si è inventato un circo “per non essere così”, per non ammettersi altrimenti? Non puoi chiedere di più a un artista. Il suo canzoniere è un po’ come l’Ecce homo di Nietzsche.

- Volevo restare su quell’aggettivo, “conservatore”, che si presta anch’esso a grandi equivoci. Mi è capitato persino di leggere che la critica all’aborto contenuta in Tragico samba (fra l’altro un brano piuttosto cinico e disincantato, come hai osservato tu, molto “lacero”, metropolitano, con persino un accenno a un fratello incestuoso, alla faccia della santità della famiglia…) era motivata dalla... fede cattolica di Renato.

- Ma figuriamoci! Conservatore non significa mica reazionario. Il vero ribelle non può che essere conservatore, perché gli stanno a cuore i temi ultimi, i punti nodali dell’esistenza. Che sono sempre quelli, da che mondo è mondo. E, al tempo stesso, sempre in movimento.

- La passione etica, come in Pasolini, altro anarchico conservatore…

- Esatto.

- Conservatore anche perché, mentre da un lato lo si additava come scandaloso, dall’altro lo si accusava di barare, dall’altro ancora di presentare una figura di “diverso” sempre sofferente, quindi, in ultima analisi, rassicurante per la società “normale”. A me non pare. Il solo fatto di aver infuso coraggio in tante persone mi darebbe ragione, ma i suoi brani sono “a tutto tondo”: non si limitano a denunciare l’emarginazione, hanno dimostrato che l’amore può nascere ovunque e per chiunque, e hanno descritto la bellezza di questi amori. Anche i loro limiti, certo, perché la sua visione è realistica, mai idealizzata.

- La maledizione di questo Paese è che tutti militano, stanno chiusi non nei barattoli ma nelle categorie. Io, per esempio, non reggo più quei giornalisti che anche seduti sul cesso fanno i giornalisti. Non c’è altro posto al mondo dove tutti ripetono: ah, io non sono come gli altri, io sono particolare e anche pazzo (che è una trovata miseranda per dire: sono egoista, stronzo e viziato, e voi dovete prendermi così). Però, al dunque, tutti si infilano in qualche militanza. Non voti a destra, “sei” di destra. Non voti a sinistra, firmi una cambiale a vita con la sinistra, qualsiasi cosa accada. Non sei uno con qualità sue, sei un gay, una lesbo, un macho, una velina, un terrone, un padano o quel che ti pare. Ma come si fa a vivere così? Come andare in un negozio di musica e chiedere: mi dà una chitarra ritmica, me ne dà una solista? Ma compra una maledetta chitarra e poi suonala! Zero andava in giro con una gallina al guinzaglio, che è molto meglio della scimmia sulla schiena. Anche perché, alla fine, la gallina te la mangi! L’importante è non tradirla mai, quella gallina, e io credo che, in fondo, Renato non l’abbia mai tradita. Devi adattarti, in qualche misura, ma alla fine penso che lui sia sempre lui. Come si dice: immorale nelle cose piccole, morale in quelle grandi. Sai perché alla fine gli si perdonano anche le scivolate retoriche, quell’andare a parlare di povertà francescana ad Assisi, con il parco macchine e la villa su piazza di Spagna? Perché alla fine lui dà molto di più di quel che riceve. Ha fatto felici milioni di persone per quarant’anni. Ha dimostrato, in particolare, che le provocazioni, le tutine, gli zatteroni, non erano fini a sé stesse, ma armi con cui scardinare certe incrostazioni. Ha mandato letteralmente a quel paese l’industria discografica e tu sai che queste cose, in Italia, si pagano. Poi è “imperfetto”, sicuro. Dicono che ha sempre recitato? E chi non lo fa? Io a muovermi sul palco ho imparato da lui. Da lui e da Keith Richards! Alla fine, non è più recitare. È liberare la parte più profonda e pericolosa.

- E, anche, il rapporto con le donne, sicuramente molto complicato, spesso conflittuale, sempre sofferto. Però non mi sembra corretto parlare di misoginia riguardo al primo Zero, i suoi pezzi al contrario di brani eseguiti da altri non mi hanno mai offesa, ho sempre avuto l’impressione si rivolgesse non all’intero genere femminile, ma solo a specifiche persone.

- La misoginia del Renato degli esordi somigliava molto da vicino a quella di Mick Jagger, che non a caso è stato uno dei suoi modelli.

- Insisto: in questa prima fase nessuna visione stereotipata, ma storie di vita (sue o altrui), donne singole e molto reali, corpi e non miti, rapporti paritari. Insomma, e per fortuna, nessuna Bella senz’anima in casa Zero, nemmeno nella canzone che tu ritieni più violenta, L’ambulanza.

- Sì, molto violenta.

- E, come violenza, lo si potrebbe avvicinare a Jim Morrison, a Iggy Pop. Visto comunque che abbiamo citato Tragico samba vorrei rimanere su Zerofobia. Come sai io adoro quel disco, lo ritengo la carta d’identità di Renato. È un disco “di cronaca”: più precisamente, di cronaca nera. Mi ricorda certe riviste, o rivistacce, degli anni ’70. in bianco e nero. A ciò affianco un libro uscito nel ’78 per Savelli, Lo scarico, ambientato naturalmente nelle borgate romane. Era il diario-verità (con tanto di nomi e cognomi, oggi in nome della privacy sarebbe impubblicabile) di Marco e Maria, “adolescenti ‘diversi’ del ghetto metropolitano” recitava la quarta di copertina. Violenza, degrado, squallore ma anche desiderio di riscatto, imprecisa ma concreta voglia di uscire dall’inerzia e di “entrare nella storia”, per dirla sempre con Pasolini…

- Zerofobia? Lo amo! Contiene lo spirito del tempo. Se vuoi capire cos'erano gli anni ‘70, devi ascoltare Zerofobia... di qualsiasi cosa parli! C'è qualcosa di malsano lì dentro, e non voglio neanche sapere come sia stato messo insieme. È uno dei pochi, veri dischi rock in Italia. Ma, dopotutto, uno dei talenti di Renato è sempre stato quello di cogliere il momento in cui viveva. Lui non è mai fuori sincrono, i suoi dischi sono utili a capire l'epoca da cui sgorgano ed è per questo che li ho scelti come filo conduttore per il mio lavoro, che poi è un libro su mezzo secolo di storia italiana. Basta saperli leggere in controluce. Prendi anche Zerolandia, l’album più pornografico della sua carriera…

- E anche il più allegramente amorale (mi riferisco almeno a certi pezzi), oggi si sente molto la mancanza di dischi così. A Matrix un brano come Triangolo aveva messo d’accordo tutti: donne, uomini, cristiani, musulmani, pagani… Ammiccavano divertiti e liberatori a quelle note maliziose.

- Lui aveva compreso che la gente s’era rotta di tutta quella violenza, quel sangue, e non parlo delle borgate adesso, ma degli anni di piombo. Non se ne poteva più. Ricordo i mondiali d’Argentina… tutta quell’euforia assurda. Ma avevano appena ammazzato Moro e si voleva dimenticare tutto. Lui reagiva a modo suo. Con una polemica in apparenza stralunata, in realtà affilatissima. Ah, voi volete la guerra politica? E io vi do le ammucchiate e le scopate con i trans! Sbattiamoci, quella era pericolosa davvero. Ma a molti ha fatto comodo prenderla come uno scherzo: “Ah, Zero, quel depravato!”. In fondo, è sempre lo stesso gioco. Fin da quando il “Times” titolava, a proposito dei Rolling Stones sbattuti in galera: Chi spezza le ali a una farfalla?. Per dire, sono solo dei ragazzi, non sono un nostro problema. Invece lo erano, eccome! E lo era Renato Zero all’epoca. Poteva scatenare comportamenti di massa, rivolte di massa, poi se n’è reso conto e a un certo punto ha chiesto "Tregua". Ma a Fantastico se n’è ricordato nuovamente: Viva la Rai, e arriva bardato come una drag queen: “State attenti, borghesucci da sabato sera, che se solo voglio, vi tolgo ancora il sonno!”. Oggi chi è capace di scatenare maree collettive? Un pivello uscito dal serraglio della De Filippi?

- Tu scrivi che Zerofobia, l’album “maledetto” di Renato, si conficca nel cuore dei fans ben deciso a restarci. Io non sono del tutto d’accordo. Molti, per esempio, sostengono che il capolavoro di Renato sia Amore dopo Amore. E, in un recente sondaggio, la terza canzone più rappresentativa di Zero, almeno secondo certi fans, sarebbe I migliori anni della nostra vita.

- Beh, sì, ascoltano Amore dopo Amore o I migliori anni (che ho definito "brano infingardo") e dicono: mio Dio. Ma perché amano venir soggiogati dalla quantità, da una proposta eclatante. Non hanno memoria storica. Lui, Zero, in questo è memoria storica e ha ragione a dire “è la memoria che ci rende interessanti”. Basta che sia memoria però, che non diventi presente, che non se lo mangi. Alcuni miei colleghi sono rimasti agli anni ’70. Non li sopporto, mi sembrano deficienti. Per me Renato Zero ha fatto bene a un certo punto a piantarla con le piume e le trombette. Non duri per sempre, non puoi fare a sessant’anni quello che ti riusciva a venti, e non solo per limiti fisici: se sei un artista intelligente non ti basti più, prosegui. Torniamo ai Rolling Stones. Io potrei uccidere a richiesta di Keith Richards [risate]. Ma vederli sempre uguali a sé stessi, condannati a danzare anche dopo morti, come pupazzi ossuti e macabri, mi preoccupa. Renato Zero ha compiuto questa magia, un successo spropositato nei ’70, la perdita di questo successo, il rinnovato trionfo con gli interessi nei ’90: il tutto, rimescolando gli ingredienti. Prima c’era un matto che con parole matte diceva cose di buon senso. Poi è arrivato questo “saggio”, vestito di scuro, che ogni tanto lascia balenare l’antica follia: “C’è sempre un cobra che dorme, eh eh!”. Lui è un maestro in questo…

- Si potrebbe facilmente obiettare che la saggezza può sconfinare, talvolta, nella retorica e nel perbenismo. Non mi sembra che Renato ne sia rimasto sempre immune. Fra l’altro, l’ha ammesso lui stesso: il pubblico mi segue per quegli anni là…

- Sbaglia. Conosco centinaia di fans convinti che lui abbia cominciato con I migliori anni… e lo amano! Si emozionano, provano gli stessi sentimenti che provavamo noi. Poi certo, io gli mostro, oppure scoprono da soli, su Youtube, di cos’era capace venti, trent’anni prima e… scatta la zeromania, la zerofobia e la zeroisteria. A ritroso! Presso le giovani generazioni di zerofolli parte come una caccia al tesoro, ma non è determinante, è solo un amore in più. Lo vogliono anche cominciando da oggi, e questo è degno di nota. Vado in giro e mi dicono: trattacelo bene Renato, ci appartiene, è nostro. E io: cazzo, uomo, ho fatto un libro su di lui! [risate] Comunque sì, lui ormai è una istituzione e questo è il suo attuale pericolo. Nessuno più lo contesta, lo mette in crisi, mentre lui è un uomo da battaglia.

- Piera Degli Esposti, dopo aver assistito alla commedia Quattro dischi e un po' di whisky , scritta da Roberto Biondi e ispirata ai brani del Nostro, ha dichiarato che quel testo mette in evidenza la solitudine di Renato.

- Non ho visto lo spettacolo ma, nel mondo attuale, un artista come Renato Zero non può che essere solo. Del resto, la solitudine è il tema che lui affronta di più, da sempre. L’Italia non ti perdona il tuo essere tu, ti vuol definire, cioè ridurre. E Zero a me sembra sempre un uomo solo, con dentro certe cose, certi esami di coscienza che, per quanto ne canti, non può davvero sperare che qualcuno colga fino in fondo. Perché credo pure che lui sia condannato a riesaminarsi di continuo. E che lo faccia con una certa lealtà. Siamo computer, o meglio, i computer sono stati costruiti a nostra somiglianza. Capita di usare gli stessi programmi per anni, poi ne scopri di nuovi… e l’approccio cambia. A volte poi ti devi “resettare”, pulire un po’ la memoria, per ricominciare. Io non scrivo come dieci o vent’anni fa, tu nemmeno… La scrittura cambia e così la musica. Questo, tra parentesi, è stato uno dei problemi del libro, perché ho cominciato a buttarlo giù, come dicevamo all’inizio, per motivi del tutto privati, molto prima di darlo alle stampe. Così, dentro non c’è sempre lo stesso stile, e ho dovuto renderlo omogeneo. Come lavorare sulla produzione, o sulla post-produzione, di un disco.

- Renato ama rifarsi a figure mitologiche, come Icaro e Prometeo, sempre legate al fuoco. E c’è anche un brano che s’intitola Ancora fuoco. Perché, secondo te?

- Icaro e Prometeo sono due tragedie: quando sono io, quando volo, quando vivo e ti do il fuoco… non me lo permettono. Mi uccidono. Lui spinge sempre al massimo, in tutta la sua vita, e a un determinato punto deve anche imparare a dosarsi, a non lasciarsi travolgere da sé stesso. “Successo, sei falso pure tu!”. E torna, ed è un uomo cambiato, pieno di cicatrici. Già questo a me fa venire la pelle d’oca, e la voglia di raccontare tutto, affinché non vada disperso.

- Poco fa ti è uscita una frase: “Basta che la memoria non diventi presente”. È arrivato il momento di parlare dell’ultimo album

- Presente è un buon disco, lo ascolto ancora dopo quattro mesi. Per essere un capolavoro, però, gli manca un elemento molto importante: le chitarre. Per avere un’idea di cos’avrebbe potuto essere, ascoltati Muoviti. Lì c’è un assolo strepitoso. E la fine de Il sole che non vedi è sprecata. C’è una coda orchestrale, tutta tuoni e fulmini, che ripete il tema in modo pedissequo. Lui ha improvvisato sopra un parlato, perché mancava la chitarra. Ma resta un buon disco. Involuto. Dove si parla spesso di speranza, ma partendo sempre dalla disperazione. Per me è un valore aggiunto: a 45 anni non mi va di venire illuso da uno di 58. Mi aspetto che Renato Zero mi faccia pesare la sua troppa vita, le troppe morti, le troppe lacrime, il troppo di tutto. Mi aspetto d’essere inquietato. Perché ho anche io da dire che sono disperato, che non vedo spiragli. Se Pasolini aveva cancellato la parola speranza, io ho archiviato anche la disperazione. Mi guardo intorno, e mi limito a ghignare di disperazione. E vado nelle scuole, e raggiungo le persone, ma la verità è che ci troviamo in una deriva irreversibile. Così, Renato Zero ci ha regalato un disco maturo, leale, rischiava tutto, poteva infilare dieci successi annunciati e invece perfino la cifra lirica ne esce compressa: lui vuole dire di più, smette le rime, le assonanze chiamate e trova echi, rimandi fra parole. Devi ascoltarle molte volte, quelle liriche, per apprezzarle. Vincenzo Incenzo, che è un grande, ha lavorato molto bene con lui. A suo parere Renato è molto propositivo e rispetta le proposte di chi gli sta vicino. È una fonte continua, un gioco che si rigenera sempre. So che Renato litiga con tutti: forse è questione di personalità, di non voler farsi travolgere. Io penso che un artista debba avere un pessimo carattere, anche perché alla fine la faccia è la sua, la voce è la sua, sul palco ci va lui. Gli artisti democratici non li capisco, sono solo dei cialtroni. Vincenzo mi ha detto: “Ogni tanto improvvisa qualcosa di cui non sono affatto convinto. Poi va sul palco, la esegue… e mi debbo ricredere, funziona”. Io sostengo che Renato ha il coraggio della retorica. Anche perché ha imparato a governarla, almeno su disco. Prima gli sfuggiva di più. Sì, certo, a volte diventa palloso con le sue esortazioni alla preghiera, al pane, alla domenica… ma, come ripeto, se lui decide di starti accanto, lo fa per davvero. Sarà uno dei vantaggi della crescita [risate].

- Come vedi Renato “da grande”?

- Non so, credo che una bella vecchiaia per Zero sarebbe quella di prendere certi classici letterari e ricavarne delle personalizzazioni musicali. Lui è l’unico che può farlo, perché ha saputo miscelare una vita vissuta su coordinate impensabili a un istinto artistico sensibile. Lui potrebbe tirar fuori qualcosa d’imprevedibile, e di davvero valido, da Leopardi, da Nietzsche o da chi gli pare. Perché sarà anche vero che “non basta solo la cultura”, ma non basta nemmeno la strada, eh no. È la cultura (da non confondere con l’erudizione) a dimostrarti che quello che hai colto, che hai scoperto, sta già da qualche parte: l’eterno ritorno e, come sai, non c’è quasi niente di davvero inedito. Io penso che uno come Zero potrebbe, in questo momento, porsi come veicolo di suggestioni culturali e artistiche in modo ancor più scoperto, deciso di prima. Tanti giovani hanno bisogno di scoprire qualcosa di antico, ma senza il tramite giusto non lo faranno mai.

- Per concludere: come è stato accolto il tuo libro?

- Questo libro ha uno strano karma. Hanno capito che non li prendevo in giro. L’ho scritto col massimo rispetto e gli stronco la metà delle canzoni! Ma non importa, quelle buone bastano e avanzano. La prima copia l’ho portata a una ragazzina ricoverata in psichiatria (a torto, peraltro: ero lì con lei e mi veniva in mente Depresso, le facili soluzioni d’una società che spegne i sogni e le curiosità di un’adolescente troppo sveglia). Ho altri amici, giovani, che, in mezzo a un momento difficile, si sono entusiasmati alla storia di Zero, hanno scoperto tutti i suoi dischi e, se non superato, hanno comunque assorbito la crisi. E di fatti curiosi, ne accadono. Una volta, nella Marche, un professore serissimo, culturalmente rigoroso, ascoltando Il cielo, al passaggio su “gli spermatozoi, l’unica forza tutto ciò che hai”, è “partito” e s’è messo a zereggiare: “Ricordatevi che gli spermatozoi di Renato sono nostri, dalle Marche sono partiti e nelle Marche torneranno… sempre!!!”. Un’altra volta presento il libro, cinquanta copie e nemmeno una persona. In un’altra occasione ancora, la libreria era gremita ma mancavano i volumi. Tornate domani, prego! Una sera lo presento a mezzanotte e penso: sarà un miracolo se arriveranno quattro gatti. Me ne sono ritrovati quasi seicento! È sempre diverso, perché parlo di Renato ma, sotto sotto, anche di me. A quindici anni ascoltavo eroZero e mi affacciavo dalla mia finestra di via Monte Nevoso, a Milano, di fronte al covo brigatista col memoriale Moro. Poi cambia tutto, mi ritrovo nelle Marche, la regione di mio padre, e per anni quei vecchi dischi sono le mie madeleines. Scrissi la prima poesia quando uscì Soggetti smarriti. Adesso allestisco spettacoli di poesie, scrivo anche le musiche, e in qualche modo lì dentro c’è qualcosa di quei dischi. Presente l’ho ascoltato, e ne ho scritto il relativo capitolo, il pomeriggio che è uscito: sentivo, scrivevo, mi tornavano alla mente i giri per Milano in furgone, con mio padre, e dentro l’autoradio con le cassette di Icaro. Sarebbe stato contento, di un libro su Renato Zero.

Tanta gente, me compreso, non ha mai vissuto un mondo senza Renato Zero. Spunta la luna, spunta il sole e ogni due anni spunta un disco di Renato. Da lui ho imparato una cosa: uno spettacolo riesce se il pubblico ignora cosa farai fra un attimo. Ama avere paura.



Daniela Tuscano (pubblicato, con qualche modifica, anche da Babysnakes)

13.6.07

Per comprendere cos'è un'emergenza.

venerdì 15 giugno 2007 ore 18
Napoli la Feltrinelli
via San Tommaso D'Aquino 70-76


Immagine1

Il sistema dei rifiuti in Campania


a partire dal libro-inchiesta di
Alessandro Iacuelli, Le vie infinite dei rifiuti. Il sistema campano
ne discutono:
Francesco Bassini un blogger attento ai problemi della città
Antonio Risi urbanista, esperto di questioni ambientali
partecipano: Marco Rossi-Doria (decidiamo insieme); Massimo Mendia (operatore del settore); Sabina Laddaga (rete campana salute e ambiente).

sarà presente l'autore.


L'inquinamento costante e sistematico dell'ambiente e dei suoi abitanti sta cambiando la morfologia del paesaggio, rendendolo ormai molto simile ad una grande discarica. Ciò che è visibile ad occhio nudo, tuttavia, non basta per comprendere un fenomeno molto più complesso, il cosiddetto "business dei rifiuti".

Nel desolante paesaggio generale emerge Napoli, che agonizza soffocata dalle esalazioni dei rifiuti urbani, e la Campania, che muore avvelenata da materiali tossici, dalla politica compiacente e dalla criminalità che la assedia.
"Le vie infinite dei rifiuti" è un'inchiesta giornalistica che ricostruisce il viaggio e lo smaltimento dei materiali tossici verso la Campania e le motivazioni concrete dell'ormai cronica "emergenza rifiuti" della regione.



dalla IV di copertina
Iacuelli ha scavato nelle radici di questa imbarazzante pagina della storia del nostro Paese ricostruendo nei dettagli il percorso che le ecomafie hanno fatto in quindici anni per conquistare il "potere" sul territorio e garantirsi introiti stratosferici attraverso traffici illegali che avvengono sotto gli occhi di tutti e senza che nessuno muova un dito per fermarli. Soprattutto quelli che avrebbero il dovere di farlo. Perchè la soluzione - anzi, le soluzioni - ci sono eccome. E Iacuelli non le tace, così come non manca di ricordare nomi, circostanze, luoghi e omertà che inchiodano i responsabili di questo scempio davanti all'opinione pubblica senza possibilità di sconti. Un'inchiesta, dunque, che consente a chiunque di vedere lucidamente i contorni del problema ed arrivare a capire qual è oggi il vero "oro di Napoli". E poter guardare negli occhi gli autori di questa vergogna senza alcun timore. Elena G. Polidori (La Nazione)



l'autore
Alessandro Iacuelli è giornalista free lance. Fa parte della redazione della testata on-line Altrenotizie, per la quale ha curato tra l'altro, inchieste sull'emergenza gas dell'inverno 2005/2006, sul nucleare in Italia e sui rifiuti tossici e le ecomafie in Italia meridionale.
Di origine napoletana e laureato in Fisica, da anni si sta occupando a tempo pieno della particolare "emergenza" che vive la Campania da quasi 15 anni, tornando a seguire la "sua" terra, il commissariamento straordinario dei rifiuti, le attività ecomafiose legate alla presenza camorristica, e l'aspetto sanitario che sta provocando un aumento dei casi di cancro nella regione.



il libro
Titolo Le vie infinite dei rifiuti. Il sistema campano
Autore Alessandro Iacuelli
Anno 2007
Editore Altrenotizie.org / Lulu
ISBN 978-1-84753-184-1
altre info http://rifiuti.alessandroiacuelli.net

23.5.07

Senza titolo 1850

Il 18 maggio si svolta a tempio la “ tappa “ Gallurese della presentazione del libro pornoromantica di Carolina cutolo ( per chi è interessato può  vedere qui  su questo blog   l'intervista fattagli  ) .
Purtroppo le aspettative di Giuseppe Pulina espresse in un buon articolo sulla pagina locale della nuova Sardegna del 16\5\07 : <<
Si tratta di un appuntamento molto atteso da quella categoria di lettori che ha seguito con
curiosità,contribuendo probabilmente anche a determinarlo, il successo  di una giovane scrittrice che, passando con grande disinvoltura dal blog all’editoria cartacea, è oggi una delle autrici del momento. Merito anche di alcune trasmissioni televisive che ne hanno ulteriormente amplificato il nome, oltre che del fiuto e delle strategie promozionali di una casa editrice, la Fazi di Roma, che, guarda caso, è la stessa che ha fatto soldi a palanche con il primo romanzo di Melissa.P. e che ha recentemente inserito nei propri cataloghi anche Isabella Santacroce  (..) >> Sono andate deluse in quanto non c'era il pienone come per Melissa p forse perchè lei è stato un fenomeno mediatico ma forse perchè in una città chiusa si scambia sesso ironico con pornografia . Infatti  ,la lettera di Massimo Dessena manda per presentare gli autori  stavolta ha  fatto flop  :



<<





(...)  Siete tutti invitati a partecipare. Proprio tutti !
... stavolta non è stato per niente facile perchè,per mettere in pratica il compito per casa assegnato alle femminucce, innanzitutto avrei dovuto  trovare un maschio da trombare, che non è cosa che si possa o si riesca a fare solo perchè ce l'ha ordinato il medico. Allora ho pensato che con qualcuno con cui lo hai già fatto c'è sempre una chance in più e mi sonno  messa a setacciare la rubrica in cerca di maschi con cui ho trombato, selezionando quelli che in effetti mi baciavano poco o si lamentavano delle coccole post-coito. Non è stato facile, perchè nel frattempo, tra quelli che si sono fidanzati, quelli che non mi ritromberei neanche col fucile puntato, e quelli che non mi si ritromberebbero neanche sotto minaccia di evirazione, ne è rimasto solo uno di cui non avevo notizie aggiornate e tali da escluderlo a priori, e allora ho preso il telefono e l'ho chiamato speramdo di rintracciarlo al vecchio numero di casa dei suoi genitori ...



>>






ha scoraggiato i probabili spettatori quelli che  nele piccole cittadine sono più chiusi o accettano passivamente  e acriticamente quello che passa il convento  ( vedi  melissa p  , forse perchè è andata da Vespa e da Costanzo )  come dice il prof di Lettere della mia facoltà Aldo Maria Morace ( quello  con cui devo dare  il secondo esame di letteratura  italiana ) : <<  i fautori del nuovo  sono in realtà  i conformisti dela trasgressione senza effetti >>  . I quali avranno  creduto da quello stralcio di brano  messo mnell'email  di segnalazione che Massimo  manda  per segnalare \ ricordare  la presentazione d'autori  che fosse  un romanzo Hard tanto che l'autrice ha detto : << meglio pochi ma buoni >> infatti , meno siamo meglio stiamo come diceva in una recente  trasmissione tv   Enzo Arbore .
Ma tutto sommato nonostante  l'introduzione del logorroico ,ma bravo e colto " filosofo  e scrittore " daniele Carbini ( qui una recensione  su di lui e sotto  a destra una foto  con l'autrice  ) ) presentatore della serata , abbia  bruciato ma non importa  molte possibili
domande del pubblico, comprese [ SIC ] alcune del sottoscritto, è andata molto bene   visto che è stata  40-45 minuti firmando autografi e dediche  . E come dice  l'autrice sul suo blog  : <<  (....) in soli due giorni mi sono affezionata a queste persone come non mi sarei aspettata e ho sviluppato una gran voglia di tornare a trovarli il più presto possibile: se esiste il mal d'Africa vi comunico che esiste anche il MAL DI TEMPIO PAUSANIA!!! Tempio è anche la cittadina scelta da Fabrizio de Andrè per costruire la casa in cui ha vissuto in Sardegna, e la cosa non mi stupisce affatto: gente deliziosa con grande senso dell'umorismo e capace di un'ospitalità commovente e per nulla ostentata. In particolare mi riferisco a Massimo della libreria Max88 e ai suoi amici, Barbara (poche volte come in lei ho visto coincidere bellezza, grazia e intelligenza), Daniele, lo scrittore di Tempio che mi ha presentata facendo ridere tutti e usando parole bellissime, Giuseppe, un ragazzo che mi ha fatto un sacco di foto tra cui quella che vedete qui a fianco e che mi seguiva sul blog da tempo, ma anche Pierpaolo, il proprietario del locale in cui ho presentato il libro, dove abbiamo cenato divinamente e con il quale ci siamo messi a suonare a fine serata alternando stornelli romani a canzoni sarde e pezzi storici di De Andrè, con una naturalezza da vecchi amici che mi ha toccata profondamente. Insomma, Tempio Pausania è stata la cittadina del tour che ho lasciato con più tristezza di partire, non me ne sarei andata più!!  continua qui >>



Comunque potendo parlare prima della presentazione ( o vantaggi dell'arrivare in anticipo alle presentazioni )






e andando a cena ( vantaggio di conoscere il libraio ) ho avuto conferma , nonostante abbia letto solo parzialmente il libro ma mi prometto di leggerlo dopo l'esame di letteratura itraliana II perchè seguendo  il suo  ( passivamentecioè senza intervenire  e solo parzialmente attivamente intervenendo sporadicamente ) il suo blog , sapevo dove andava a parare , nonostante le modifiche apportate ai post che trattava nel blog , e che poi ha messo  nel libro  che conferma in pieno la seconda parte : << Tutto questo sino a quando non le è venuta l’idea di tenere in rete un corso di sesso per corrispondenza, proponendosi, molto per gioco e un pò per slancio ideale, come una piccola liberatrice dalle sessuofobie e dalle mille inibizioni che opprimerebbero l’eros italico. Un blog nato, quindi, per combattere pregiudizi e sublimare fantasie, ridicolizzare paure e luoghi comuni e, di tanto in tanto, provare a ridere di quel che si dice.Se queste è la ricetta, viene facile a spiegarne il successo, testimoniato anche dalle centinaia di migliaia di accessi che il blog ha fatto registrare in pochi mesi: centomila contatti nel corso del primo anno, sei volte tanto aperto nel 2003  oggi.Il blog della scrittrice si è trasformato in libro, diventando inevitabilmente un caso letterario e c’è chi vede nel “pornoromanticismo” dell’autrice quasi un indirizzo di pensiero da seguire. >> dell'articolo di Pulina e che Carolina sia una ragazza senza peli sulla lingua una che ha il coraggio di dire quello che pensa e mettersi in gioco . inoltre dal quel che ho potuto constatare durante e dopo la cena è ; 1) una ragazza colta in ambito letterario e non solo ; 2) ironica ; 3) che scrivere delle belle canzoni che secondo indiscrezioni riportate anche nell'articolo citato : << ( .... ) Viene difficile però immaginare che venerdì e sabato si parli solo di letteratura e costume, o di musica, visto che Pasquale Panella, che ha scritto gli ultimi cinque album di Lucio Battisti, sta lavorando sui testi della pornoromantica Cutolo. >> ma né confermate né smentite dall'autrice . 4) se la cava con la chittarra come dimostra questa foto scattata  dopo  cena





per finire è un'ottima  compagna di viaggio peccato che sia esterna ( cioè non iscritta al blog ) ma d'altronde non i può avere tutto dalla vita .
Speriamo di rincontrarla presto al prossimo libro .



24.3.07

Senza titolo 1714



Proprio mentre m'acingo a scrivere questo post  mi  viene da canticchiare il ritornello ( che trovarte qua sotto   )  della famosa  canzone di Ligabue che  funge da colonna    sonora   del post  d'oggi 




                                Una vita da mediano 

una vita da mediano
a recuperar palloni
nato senza i piedi buoni
lavorare sui polmoni
una vita da mediano
con dei compiti precisi
a coprire certe zone
a giocare generosi

sempre lì
una vita da mediano
a recuperar palloni
nato senza i piedi buoni
lavorare sui polmoni
una vita da mediano
con dei compiti precisi
a coprire certe zone
a giocare generosi

sempre lì
lì nel mezzo
finchè ce n'hai stai lì
una vita da mediano
da chi segna sempre poco
che il pallone devi darlo
a chi finalizza il gioco
una vita da mediano
che natura non ti ha dato
nè lo spunto della punta
nè del 10 che peccato

sempre lì
lì nel mezzo
finchè ce n'hai stai lì
stai lì
sempre lì
lì nel mezzo
finchè ce n'hai
finche ce n'hai
stai lì
una vita da mediano
da uno che si brucia presto
perché quando hai dato troppo
devi andare e fare posto
una vita da mediano
lavorando come Oriali
anni di fatica e botte e
vinci casomai i mondiali

sempre lì
lì nel mezzo
finchè ce n'hai stai lì
stai lì
sempre lì
lì nel mezzo
finchè ce n'hai
finchè ce n'hai
stai lì

lì nel mezzo
finchè ce n'hai stai lì
una vita da mediano
da chi segna sempre poco
che il pallone devi darlo
a chi finalizza il gioco
una vita da mediano
che natura non ti ha dato
nè lo spunto della punta
nè del 10 che peccato

sempre lì
lì nel mezzo
finchè ce n'hai stai lì
stai lì
sempre lì
lì nel mezzo
finchè ce n'hai
finche ce n'hai
stai lì
una vita da mediano
da uno che si brucia presto
perché quando hai dato troppo
devi andare e fare posto
una vita da mediano
lavorando come Oriali
anni di fatica e botte e
vinci casomai i mondiali

sempre lì
lì nel mezzo
finchè ce n'hai stai lì
stai lì
sempre lì
lì nel mezzo
finchè ce n'hai
finchè ce n'hai
stai lì





IL  16 Marzo  a tempio  pausania   lo scrittore Cristiano Cavina al Cotton Club   bar   musicale  e letterario  ( ne vedete  la  foto   dei tavolini  scatta  prima   che  venisse  l'autore  sopra  )   ha  presentato  il suo ultimo romanzo " Un'ultima stagione da esordienti ". con  l'introduzione  di Michele Acciaro (Ex presidente dell'unione sportiva Tempio ed esperto di calcio giovanile )  e Luca Raineri (ex giocatore e allenatore delle  giovanili del US Tempio  )   che trovate  nella  foto sotto  con l'autore 


Alcune news   sull'autore   tratte  dalll'email   di massimo dessena  della libreria  max 88    ( sito  e blog  )  --- una delle  fucine   che   fanno si  che tempio  non muoia  e che ci sia  ancora in assenza di un  cinema  cultura  --   con cui mi s'invitava  alla  presentazione  del libro  in questione  :
 <<
(....)

Cristiano Cavina è nato a Casola Valsenio, in provincia di Ravenna, nel 1974. Cresce con la mamma e i nonni materni in "un appartamento striminzito"delle case popolari: si traveste da pirata a carnevale, si sfianca sul campo di calcio, macina chilometri e chilometri in bicicletta. Ascoltando i racconti dei vecchi, sviluppa una passione viscerale per le storie: i li
qui bri diventano presto la sua seconda casa.Senza esagerare con gli studi e lavorando dove capita, attraversa incolume gli anni bui e comincia a sua volta a raccontare. Vince qualche concorso letterario; il racconto Il Babbo Natale di Viale Neri arriva prima compare nell'antologia Il quarto re magio, edita da Marcos y Marcos nel 2002,accanto ad autori come Heinrich Böll, Pier Paolo Pasolini e Vittorio Tondelli. Pochi mesi dopo esce il suo romanzo "Alla grande",il quale Grazie all'accoglienza molto favorevole della critica, e all'entusiasmo (visto io  numero elevato di vendite   che ancora  continuano )  dei librai, "Alla grande " ha toccato da vicino moltissimi lettori anche me ( nonostante  abbia letto  solo  i  risvolti  in copertina )  che  sono solito non giudicare mai--- anche  se non sempre  ci riesco   completamente ---  a scatola  chiusa  ovvero quello  che in filosofia  viene chiamato  aprioristicamente  le  opere letterarie e artistiche  ed in maniera  particolare le persone
Infatti dall'uscita del romanzo a oggi, Cristiano non ha mai smesso di ricevere inviti da scuole, circoli di lettura, festival letterari e librerie, conquistando il pubblico con la sua forte carica umana .
Egli sbarca il lunario sfornando pizze nella pizzeria di famiglia   ma  anche   facendo  mille altri lavori  e quindi corre a scrivere appena può .
IL suo secondo romanzo "Nel paese di Tolintesàc",uscito nel 2005,riesce a mantere cosa rara nella letteratura  d'oggi,la freschezza del primo e offre una prospettiva ancora più vasta, più generale . Una mamma innamorata della campagna, che concepisce suo figlio per opera del sole e del grano. Uno zio turbolento, un po' ladro e un po' eroe, specializzato in scomparse e riapparizioni. Una zia corteggiatissima,raffinata e cagionevole, che si attira il malocchio. Un nonno capace di mille travestimenti.
Mitologia comica e sognante di una stirpe contadina,dell'Italia più autentica, nelle parole di una nonna che fino alla morte non smette di raccontare. E di un nipote che raccoglie il testimone, travolto da tanta ricchezza. Per non perdere la memoria, per salvare ciò che veramente importa .

>>
 
Ora  analiziamo il  libro  in  questione  .
Ho  trovato il libro  di Cristiano Cavina molto  coinvolgente tanto   da farmi immedesimmare nel protagonista,un libro  certo scritto con il cuore  ma npn stucchevole \ melenso  da essere  abbandonato  dopo  le prime pagine ( pesante insomma )
Un libro profondo , emozionante , profondo gioioso , commovente , struggente,semplice, diretto, un po'  nostalgico ( ma   nel  giusto   senza  eccedere  e piangersi addosso )  .
Finalmente un romanzo che vede il calcio  non più  e non solo come panem et circenses  o calciopoli , ma  come metafora dela vita   , una passione   che t'aiuta  a non morire lentamente   e che  andrebbe  fatta riscoprire  ai giovani  in modo che a giocare nelle nostre squadre di A  e  di  B non siano solo  , come avviene  negli ultimi 20  giocatori  stranieri  , e ricostituireuna  nazionale  vera  che non vince di culo  i mondiali , ma li vince  lottando   continuamente  e  non una partita si  e una no    .
 Infatti  :
SPOLLER   ( Attenzione: di seguito viene rivelata, del tutto o in parte, la trama dell'opera ) << "Eravamo una squadra che suscitava un sacco di allegria, in trasferta.Almeno prima del fischio d'inizio.
Le nostre maglie blu erano sbiadite da infiniti lavaggi e i numeri si scucivano dopo pochi minuti.Alcuni di noi avevano le scarpe di qualche misura in più, per non doverleri comprare nuove ogni anno.Poi si cominciava a giocare, e saltava fuori che non era per niente facile batterci.Non che fossimo dei fenomeni, a parte il Grande Poggio. Ma eravamo affamati del pallone. Gli davamo la caccia, come predatori. Eravamo nati per quello.Nell'ecosistema dei campionati giovanili,eravamo in cima alla catena alimentare".Erano tredicenni d'assalto: mettevano il calcio sopra ogni cosa. Il Dio del Calcio era il loro dio. E il Mister il suo profeta. L'estate macinavano polvere nel campetto di ghiaia. Appuntamento alle sette del mattino per la prima partita, e avanti fino a sera. Stava per cominciare la terza media, ma è solo un dettaglio.Era il calendario delle partite a scandire le tappe di un'avventura.
Sprofondavano nella Bassa,sotto un cielo esagerato,circondati da milioni di peschi. Si inerpicavano tra i monti, su campetti gelati, in fondo a tornanti interminabili. Per scardinare squadre di geometri ben pettinati,che li disorientavano con finte, passaggi di prima e triangoli di perfezione assoluta. Per sopravvivere agli attacchi di Elliot il Drago, che aveva le cosce di Rummenigge, e quando cambiava passo staccava le zolle di terra dal campo. Scortati dalla Regina dello Sterrato, il furgoncino di George Balducci e una testa di cinghiale imbalsamata. Un tunnel che porta dritto a Borgo Ghibellino, una filiale dell'inferno. In una finale epica, dove ci si gioca il campionato e molto di più.Era il calcio che giocavano allora. Bruciava nel loro sguardo, e li faceva uscire dagli spogliatoi con i borsoni in spalla, fieri come i paracadutisti.
Spoller
Inoltre esso mi  ha  fatto  ritornare  la passione per  il calcio ( credo che  riandrò allo stadio a  seguire  il tempio  che gioca  in  serie D   ) , passione  venuta  meno  e  diventata  apatia  , odio  a causa  delle  violenze   degli ultrà  e la corruzione  , il marcio  di cui calciopoli  ( non indagata  affondo  e in pieno )  , lo scandalo doping , lo scandalo scomesse  , ecc 




 per  avermi fattoconoscere  otimi scrittori Ringrazio  Massimo Dessena  e la  sua libreria   (  è quello  con la maglietta  bianca   )  per  avermi fattoconoscere  otimi scrittori


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...