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1) Una nuova edizione
di “Chiedi di lui” alla vigilia del nuovo album “Alt”, anche questa
godibilissima, ancor più ricca della prima. Ma perché questa scelta?
Cristian e
Daniela: «L’idea della nuova edizione è nata l’anno scorso,
quindi ben prima dell’annuncio del suo nuovo lavoro. Infatti è uscito
prima di “Alt” e non in contemporanea o subito dopo. Abbiamo
semplicemente avvertito la necessità di sviluppare altri aspetti che nella
prima edizione erano stati solamente abbozzati. “Chiedi di lui 2.0” è sì una
nuova edizione, ma al contempo un nuovo libro. Ci sono più di 150 pagine
nuove e percorsi del tutto inediti».
2) Di Zero sembra si
sappia tutto, in realtà non è così e forse in questo risiede il suo fascino,
che ne pensate?
Cristian: «Certamente.
In realtà nessuno può sapere tutto di un artista. Ogni libro è un tassello
che arricchisce l’immaginario di un artista. Possiamo leggere
mille biografie e interviste di quel dato cantante o pittore, ma non
scopriremo mai il suo mondo segreto. Quello che tocca a noi scrittori e
studiosi è, per l’appunto, analizzare certi aspetti poco
conosciuti, anche da un punto di vista semiotico, e studiarli alla
luce della logica, della critica e non basarci solo sull’opinione che
ne hanno i suoi ammiratori».
Daniela: «Il fascino di Zero risiede proprio nel presentarsi come
una sorta di fratello maggiore o amico intimo, uno che ti confida tutto, che è
proprio vicino a te. Il coinvolgimento emotivo è totale. Credo che la sua
intimità sia molto più variegata, come quella di ognuno di noi. Ma l’artista
amplifica e semplifica: l’identificazione scatta automatica specialmente verso
personaggi carismatici come lui».
3) Nella prefazione alla
nuova edizione leggiamo che Renato proveniva dall’avanguardia e certo questa
cosa sorprende: poi si citano sue frequentazioni davvero inaspettate… e si
finisce con Parco Lambro. Come mai?
Daniela: «Oggi uno
Zero di quel tipo sarebbe inimmaginabile, ma a quei tempi era un passaggio
quasi obbligato. In altri contesti, non lo voleva nessuno. Che poi lui si
trovasse a suo agio, era un altro paio di maniche. Negli anni Settanta si
respirava quell’aria, volenti o nolenti. Peraltro, in ambienti, diciamo così,
duri e puri, i suoi primi lavori suscitavano una certa diffidenza dato che si
risolvevano nella consueta formula della canzone di tre-quattro minuti. Renato
è riuscito a divulgare con l’essenzialità e con una certa facilità di scrittura
espressioni artistiche altrimenti riservate a un pubblico di nicchia».
4) Avete dedicato molta
parte della vostra opera alla relazione tra Renato e Pasolini. Non solo nella
prima parte della sua carriera, come sarebbe logico supporre, ma anche nella
seconda (mi sembra anzi che quella di Cristian sia più corposa). La vicinanza
di Pier Paolo alla musica popolare è notoria ma perché nessuno sembra mai
accorgersi delle tracce “pasoliniane” in Zero? Al limite si fa un generico accenno
alle periferie romane, ma fermi lì. Mentre con De André, Giovanna Marini, De
Gregori il discorso cambia notevolmente…
Cristian: «Con
Pasolini ho un rapporto speciale e l’ho raccontato anche nel libro. Da
ragazzino fui preso di mira da un insegnante che detestava Pier Paolo e lo
considerava l’untore, il male assoluto. Nel mio lavoro precedente (“Tutta
colpa del whisky” ndr) ho definito Pier Paolo un “maestro
dell’esistere”. Pasolini è stato spesso trattato con snobberia, senza tener
conto che la sua linfa poetica era alimentata dal popolo, dalla gente comune.
In virtù di questo Pasolini può essere considerato un artista pop.
Celebri le sue inchieste on the road. Per quanto riguarda Renato Zero
all’inizio non fu preso in considerazione perché nelle sue canzoni raccontava
le periferie esistenziali, mentre molti cantautori erano più propensi a
narrare realtà sociali intrise di ideologie. Oggi però le cose sono
sostanzialmente cambiate e Zero è amato e compreso dalla gente».
Daniela: «Le cose sono cambiate ma anche Zero è profondamente
cambiato. E onestamente adesso non lo si può più accostare a Pasolini, nemmeno
per analogia (non dimentichiamo che lui stesso ne prese le distanze in
un’intervista del 2010). Un tempo, però, senza Pier Paolo sarebbe stato
difficile comprendere del tutto l’opera di Renato. La scarsa considerazione nei
suoi confronti non mi stupisce. La cultura italiana è spocchiosa e, di
conseguenza, provinciale. Menzionare De André o Giovanna Marini è considerato
un punto d’onore, citare Renato Zero no. Di qui la scarsa attenzione verso un
artista che, al contrario, è stato fino a un certo punto il più vicino di tutti
al mondo di Pasolini».
5) De André, Zero,
Pasolini… Quali legami, quali differenze?
Cristian: «Sicuramente
ci sono dei legami e non solo con il mondo pasoliniano, ma in questa sede è
quasi impossibile elencarli tutti. In parte mi sono già occupato della tematica
culturale nel mio libro “I cantautori e la filosofia da Battiato a Zero”.
Lascio dunque la parola a Daniela».
Daniela: «Fabrizio aveva un approccio decisamente più
intellettuale, di testa; o meglio, aveva il cuore in testa. Renato esattamente
l’opposto. Ma cito solo un esempio. Il 28 novembre scorso, coi miei studenti di
Ragioneria, organizzai un incontro [fra i partecipanti lo scrittore Mattia
Morretta, ndr] dedicato al poeta nel 40° della morte. Aggregammo ai brani del
poeta alcune canzoni, fra cui “Casal de’ pazzi” che venne eseguita dal vivo. Un
mio collega, dopo averla ascoltata, ha esclamato: “Però! Più l’ascolto e più mi
piace, ha un bel testo ed è musicalmente molto elaborata”. Ma prima di quel
giorno non la conosceva nessuno».
6) Posto esista,
qual è il disco o il brano più pasoliniano di Renato?
Cristian: «Ma un brano
o un album in particolare non saprei indicarlo. Chiaramente il Renato Zero
degli esordi è più vicino al mondo pasoliniano di quanto, invece, lo sia adesso.
Per carità non so se Zero abbia mai letto Pasolini, ma ne condivideva,
certamente molti aspetti, anche in modo inconsapevole. “Quando non sei più
di nessuno” uscito nel 1993 in un certo qual modo conteneva tracce di
quell’universo lì. Infatti al suo interno si trovava “Casal de’ pazzi”.
Anche “Per non essere così” è un brano che mi riporta alla mente il
mondo di “Accattone”; oppure “ Pionieri” o “Marciapiedi”».
Daniela: «Nemmeno per me esiste un disco “pasoliniano” al cento
per cento nella produzione di Renato. Neppure “Zerofobia”, che nella sua
metropolitanità esasperata è invece il suo album meno europeo, autenticamente e
visceralmente rock. Quindi ben oltre la periferia di Pier Paolo, al limite più
confinante con alcuni paesaggi di Testori, che non a caso era e viveva a
Milano. Purtroppo oggi l’aggettivo “pasoliniano” è abusato e finisce per
significare tutto e niente: qualsiasi situazione scollacciata, qualsiasi
canzone con allusioni forti (o circa) viene sbrigativamente definita
“pasoliniana”, quando spesso non lo è affatto. Comunque, sono d’accordo con
Cristian; forse è proprio in “Artide Antartide” che troviamo affreschi, sia
pure un po’ manieristici, capaci di rievocare alcune pellicole di PPP».
7) Un altro artista che
ha molto in comune con Pier Paolo è Massimo Ranieri, di cui sta per uscire il
film “La Macchinazione”. Anche in tal caso: quali le affinità tra Pasolini,
Massimo e Renato? E tra i due cantanti?
Cristian: «Considero Massimo Ranieri uno degli artisti italiani più
completi in assoluto. Ha una voce spettacolare e carisma da vendere. La sua
presenza in un film o show televisivo è sinonimo di garanzia.
Inoltre Ranieri è un eccellente attore di teatro e proprio qualche anno
fa ho avuto modo di apprezzarlo dal vivo nello spettacolo “Viviani
Varietà”. Con Pasolini Ranieri ha in comune l’aspetto. La sua somiglianza
con Pier Paolo è davvero impressionante. Massimo e Renato sono stati, e lo
sono ancora, degli istrioni. Devoti alla loro arte si sono cimentati in
diversi ruoli e campi artistici. Non a caso la celebre canzone di Charles
Aznavour, “L’istrione”, è stata cantata in coppia da Ranieri e
Zero durante la trasmissione televisiva TGZDM. Sono certo che “La Macchinazione”
renderà il giusto merito a Pier Paolo, sicuramente più del film di Abel
Ferrara.»
Daniela: «Aspetto con impazienza il film di Massimo. È un attore
molto espressivo. Con Pasolini sarà costretto a diventare espressionista,
considerato che, poi, ha dovuto interpretare l’ultimo, e più fosco, capitolo
della sua vita. Ecco, somiglianza a parte, per la carnale spontaneità accosto
Massimo al Pasolini “friulano”, così goloso della vita, ma anche così
ottimisticamente ingenuo e aurorale. Qui invece l’artista napoletano ha dovuto
asciugarsi, riporre in un angolo la sua dirompenza meridionale per calarsi nel
vuoto dell’uomo incupito, solo, sperduto, dirozzato. Quale che sia il risultato
finale, ho fiducia comunque nella buona riuscita dell’opera anche perché l’uomo
è umile, sa imparare. In questo è diverso da Renato, che Pier Paolo l’ha spesso
subito, sentendoselo gravare sulle spalle in modo talora insopportabile. Poi ha
voluto liberarsene. Adesso, Zero somiglia di più a un dispensatore di saggi
consigli e sembra aver cancellato la parte nera – “dark”, direi – della sua
arte e forse della sua esistenza».
8) Anche Paolo
Bonacelli, altro attore pasoliniano (pensiamo a “Salò”) ha lavorato con Renato
sia in “Ciao Nì” sia in “Tutti Gli Zeri Del Mondo” [film del ’79 e
spettacolo monografico in quattro puntate andato in onda nel 2000, ndr]… Un caso?
Daniela: «Non ne ho la più pallida idea… Può trattarsi, com’è
accaduto per “Calore”, d’intertestualità; non va dimenticato che in Bonacelli
c’è anche molto Fellini, quell’atmosfera estatica, grottesca e saporosa capace
di stendere sulle realtà più sordide un velo d’innocenza fatata».
9) Entrambi ricordate la parentela con Mario Tronti e alcune
posizioni di Pasolini contro l’aborto e il divorzio che gli suscitarono
fraintendimenti da parte dei settori della sinistra e, al tempo stesso,
l’elogio della destra clericale e conservatrice…
Cristian: «Nonostante
la parentela con Mario Tronti Renato Zero ha cercato di tenersi ben
alla larga dalle correnti politiche. Purtroppo molte frange estremiste di
destra amano le sue canzoni e le strumentalizzano per fomentare sentimenti di intolleranza
e omofobia».
Daniela: «Tronti appartiene all’antica scuola marxista. È uno
spirito immaginifico, con saldi principi morali. Per questo non sorprende la
sua opposizione, condivisa da molti intellettuali della sinistra storica, alla
tecnocrazia capitalista che trasforma i corpi in merce (utero in affitto oggi, aborto
ieri). Pasolini venne strumentalizzato come oggi viene strumentalizzato Zero;
fatte le debite proporzioni, sia chiaro. Ma quest’ultimo ha lanciato messaggi
più ambigui».
10) Alcuni brani di
Renato sono rimasti un po’ in sordina; altri vengono continuamente riproposti.
Perché?
Daniela: «Bisognerebbe chiederlo a lui… Certo non è facile operare
una selezione dopo 50 anni di carriera e non sta a me suggerire le scalette per
i prossimi concerti! Non nascondo, però, che preferirei ascoltare canzoni come,
appunto, “Casal de’ pazzi” al posto di altre, magari di maggior impatto, ma
meno indicative della ricchezza dell’arte di Renato. Però, lo ripeto, si tratta
di scelte molto personali sulle quali non mi pronuncio».
11) A proposito di scelte, cosa ne pensate della copertina di
“Alt”? Parrebbe un ritorno a quelle atmosfere “dark” cui ci si riferiva
poc’anzi…
Cristian: «La
copertina di “Alt” ha un gusto vintage. A me ricorda molto gli
anni’80 e in special modo alcuni video dei Pet Shop Boys o di
Freddie Mercury e i Village people. Con quel look da Visitors sembra
proprio omaggiare quel decennio lì».
Daniela: «Non lo so. Senza dubbio, se voleva scioccare, c’è
riuscito. Tutto sta a vedere se rispecchia davvero il contenuto dell’album. A
me rievoca certo situazionismo di “Voyeur”, ma le ultime prove, anche i due
singoli, non sembrano andare in questa direzione. È pur vero che, a volte, i
brani di lancio non esprimono appieno lo “spirito” dell’album. Penso per
esempio a “A braccia aperte”: non si può certo dire che fosse il brano più
riuscito, né quello più significativo d’un lavoro elaborato come “Cattura”».
12) E le critiche a
Madonna?
Cristian: «Zero ha ammesso di non amare Madonna e di non
stimarla affatto. Eppure i due artisti rappresentano una tipologia di
musica che si concentra anche sull’aspetto
visivo della performance musicale. Sull’immagine hanno costruito entrambi una
carriera quindi non si capisce da quale pulpito parta la predica o in questo
caso la critica di Zero».
13) L’esperienza poco
riuscita di TGZDM dimostra che Zero “non è un mito transgenerazionale”, come si
legge nel libro; molti, oggi, sarebbero pronti a giurare di sì.
Cristian: «Io non parlerei
di esperienza poco riuscita. I programmi televisivi si misurano,
ahimé, con i dati Auditel e non con la qualità degli stessi. Detto questo
il Renato Zero di TGZDM non era il Renato di oggi. Nel senso che adesso il suo
pubblico è enormemente cresciuto ed è diventato un cantante per
famiglie. All’epoca manteneva ancora un po’ di quel sano distacco e non temeva
la cosiddetta “emarginazione” della maggioranza».
Daniela: «Ho sempre sostenuto che Renato, proveniente dal teatro,
non ha i “tempi” televisivi. Ciò premesso, se da un lato concordo con Cristian,
dall’altro quell’one-man-show mi ha dato un’idea d’incompiutezza. E non solo
per i superospiti negati a Zero. Talora ho avuto davvero la percezione di
“vorrei ma non posso”. Quella trasmissione ha tentato di conciliare messaggi
importanti, anche forti, e un’immagine sostanzialmente ancora trasgressiva, con
la paciosità familiare e familista della prima rete Rai. Un’operazione
praticamente impossibile, o impossibile a uno come Renato, che più cerca di
“addomesticarsi”, più suscita perplessità».
15) Cristian, come
spieghi l’affinità con Jackson e la freddezza con Bowie dopo la morte? E perché,
secondo te, Renato è più affine a Elton John?
Cristian: «All’interno del libro troverete diversi capitoli
incentrati sul confronto Jackson-Zero e Bowie - Renato. Le
reazioni sono diverse perché con il Re del Pop Zero non si è mai sentito in
competizione, mentre con Bowie ha subìto, nel tempo, diversi paragoni.
Detto ciò la freddezza con cui ha trattato la scomparsa
di David Bowie è inaccettabile e leggendo il libro capirete
perché. Con Elton sono molte le cose che lo accomunano. Look, brio,
comportamenti in scena, etc. Ovviamente Michael, David e Elton sono
musicisti mentre Renato no. Comunque nel testo si discute delle sue affinità
con questi grandi artisti e non di scopiazzamenti inesistenti. Sia chiaro!»
16) L’ammirazione del
cantante per Wojtyla non può essere spiegata anche dal fatto che il papa
polacco era stato un grande attore?
Cristian: «Ovviamente. Renato Zero ha portato in scena la maschera
teatrale e frequentato il mondo della recitazione. Wojtyla è riuscito ad
arrivare alle masse grazie proprio al suo trascorso di attore. Giovanni Paolo
II nel suo libro “Alzatevi, Andiamo!” ricordava l’importanza formativa del
teatro. Anche il pontefice descritto da Nanni Moretti in “Habemus Papam”
dice alla psicologa che il suo lavoro è recitare. Senza offesa per nessuno ma
Zero ha sempre avuto delle smanie di grandezza tipiche di un
artista e Wojtyla è stato il papa più massmediatico di sempre.
Non a caso subito dopo la sua elezione alla soglia di Pietro la Marvel, la
casa editrice dei supereroi, gli dedicò un fumetto. La fede con lui è diventata
spettacolo. Nacquero le messe di massa celebrate da una vera pop(e) star
del Sacro».
17) Forse è vero che
il travestito di “Mi vendo” non sarebbe mai andato a un Pride ma
resta che le sue canzoni ai Pride ancora oggi sono eseguite. Come si spiega?
Daniela: «Perché
nessuno meglio di lui ha saputo ritrarre non solo un’epoca ma uno stato
d’animo, un vissuto. Chi c’era in quegli anni non può negarlo».
18) “Che lo si voglia
ammettere oppure no Renato Zero, come ho già ricordato diverse volte, ha
favorito la discussione sull’omosessualità in una nazione ancorata ancora a
retrivi pregiudizi di matrice cattolica… Chi lo nega è solamente in malafede,
oppure vuole ricondurre tutto ad una strategia di marketing improntata dal
cantante per ingannare il suo pubblico e raggiungere facilmente il successo”.
Cristian, queste frasi insieme con la matrice cattolica sembrerebbero smentire
la posizione di Zero come un papa laico e così la copertina del nuovo album.
Oppure no?
Cristian: «Al legame tra Renato Zero e la fede ho
dedicato un intero capitolo. Ormai non è un mistero per nessuno che Zero, in
più di un’occasione, si è allineato alle direttive del Vaticano. Zero è un
cantante e da lui non mi aspetto nulla in materia di religione. Utilizzerà
la sua arte per esprimere la sua spiritualità. Io da filosofo non credente
non mi trovo nelle sue riflessioni attuali ma questo riguarda piuttosto me e
non lui. Anche alla tematica dell’omosessualità nella canzone italiana ho
dedicato un capitolo. Forse per non sminuire i concetti è meglio rimandare
alla lettura degli stessi».
20) È stato
riportato anche un siparietto frivolo (gossip). Perché questa scelta?
Cristian: «Ci è sembrata una scelta interessante per
avvicinarci anche ad un pubblico meno propenso allo studio serio e serioso
di un artista. È La gente ama il gossip ed è stato
accontentato. Chiaramente più che pettegolezzi sono, per
l’appunto, delle parentesi frivole in cui si narra di amicizie, di
spettacoli televisivi che dovranno, forse, concretizzarsi, etc.»
Daniela: «Io ho cercato di evitarlo il più possibile, perché lo
detesto e non sto nemmeno a scomodare Proust e il valore psicologico che dava
al pettegolezzo. Per carità, si parla di artisti pop, fa parte del loro mondo
(benché non sia inevitabile). Il punto è che però Renato ha deciso di
servirsene in passato e lo sta facendo ancora in questi ultimi tempi. È una
scelta professionale pure quella e noi ne abbiamo preso atto».
Donatella Tinari
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