IL più pagano dei cristiani se n'è andato proprio un venerdì santo. Atterrava nella mia Milano ogni anno, ed era sempre goduria. Amore ricambiatissimo: teatro Carcano sempre pieno. Amichevolmente, sensualmente, riverentemente pieno. Paolo Poli era il nostro attore più italiano ed europeo, la nostra coscienza sottotraccia, libero e leggiadro, il Machiavelli del palcoscenico. Ma senza cattiveria, semmai con amabilissima perfidia. Perché Paolo, a differenza del suo concittadino Niccolò, buono lo era.
Poli s'è incuneato lungo il periglioso Novecento col suo metro e novanta d'irriverenza, femminilità, preziosismi letterari e battuage. È stato l'omosessuale (o l'invertito, ecco) quando non si poteva esserlo ma lui ci riusciva ogni volta, e smaccatamente. È stato il travestito senza mai diventar maschera, c'era lui non dietro, ma in mezzo, oltre quelle piume. Mica gli serviva, l'ambiguità.
È stato tradizione quando trionfavano le avanguardie che sapevano di vecchio e le sbaragliava immancabilmente. È stato il nostro maestro (maestra) dalla penna rossa, ci faceva il ripasso, ma no, la lectio magistralis su Palazzeschi Parise Artusi Pascoli (ma si, pure Manzoni) e mamme e Italia porcella ipocrita contadina e futurista, pacchiana nel suo virilismo in stivaloni neri. E fustigata (in tutti i sensi) nei cinemini di periferia, che' quelli erano il nostro vero confessionale. Paolo, hai avuto una vita lunghissima, ma eri un non concluso tanto straripava il tuo pozzo nero!!! (Così avrebbe esclamato monsieur Proust). E adesso chi riempie il nostro orfelinato? Oh beh ci arrangiassimo, e hai ragione, dato che abbiamo saputo applaudirti, scroscianti, solo a teatro, per poi continuare a indossar maschere nella vita. Addio, caro signore. La terra ti sia lieve.
© Daniela Tuscano
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© Daniela Tuscano
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