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1.10.21

Dalla morsa del racket agli stadi per i mondiali di calcio. Gaetano Saffioti: "Denunciare le mafie conviene"

 

D'oggi   il blog    riporterà  fra i  tag  le storie   approfondimenti e memoria su uno dei temi che più segnano la vita del nostro Paese: la criminalità organizzata e la sfida ( o  almeno i tentativi  pe r debellarla   visto    che  ancora  è  uscito in questi  giorni  ,un video  in cui  compare  Matteo Messina denaro   , proprio lui il  famoso  boss  ,    che  ancora  gira   a piede libero   )  per sconfiggerla da parte dello Stato e dei cittadini. Per  non essere  o uscire  da  quel clima di torpore  in cui  si  è  caduti   dopo le stragi di  Capaci e  via  d'Amelio Dalle inchieste del pool di Palermo e dal maxi-processo, passando per il racconto sulla Nuova Camorra e sulla stagione delle stragi, fino alle inchieste sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'economia del Paese



Dalla morsa del racket agli stadi per i mondiali di calcio. Gaetano Saffioti: "Denunciare le mafie conviene"Da testimone di giustizia contro la 'ndrangheta alla rinascita umana e professionale. Una storia di riscatto e resistenza che inizia il 25 gennaio 2002


di Giuseppe Baldessarro

  repubblica 30 SETTEMBRE 2021


Quando all'orizzonte li vede affiorare dalle sabbie del deserto, un sorriso disegna il volto di Gaetano. E' inevitabile, perché li sente un po' figli. Creature che hanno il suo calcestruzzo in corpo, gioielli di tecnologia, stabilità e confort. Si chiamano "Al Janoub", "Al Thumama" e "Al Bayat", e sono tre degli otto stadi che ospiteranno i mondiali di calcio nel 2022 in Qatar. Li guarda con soddisfazione ogni volta che arriva dall'autostrada, con quello stesso orgoglio col quale guarda gli ultimi 20 anni di vita personale

e professionale. Si, perché Gaetano Saffioti (  foto a  sinistra  )non è un imprenditore qualsiasi. "Tanino", comancora lo chiamano a Palmi, il suo paese sulla costa tirrenica della provincia di Reggio Calabria, è un testimone di giustizia. Uno che a un certo punto della sua esistenza ha detto basta alle cosche della 'ndrangheta liberandosi dal giogo mafioso. "Sono nato all'alba del 25 gennaio 2002", dice sempre ai ragazzi che incontra nelle scuole che lo invitano a parlare. Quel giorno scattò l'operazione "Tallone d'Achille" contro i clandella Piana di Gioia Tauro. Finirono in carcere 48 esponenti delle famiglie Bellocco, Mazzagatti, Romeo, Piromalli, Nasone e Gallico. Boss e tirapiedi, assassini e usurai, estorsori e imprenditori collusi. Gente che a nominarla ancora oggi tremano i polsi. Il "Tallone d'Achille", come lo battezzarono all'epoca gli uomini della Guardia di Finanza, era Saffioti, per anni era stato vittima delle angherie di un sistema asfissiante.
"La prima estorsione me l'hanno fatta in terza elementare - racconta - ero stato uno dei più bravi della scuola e come si usava in quegli anni i meritevoli venivano premiati con una colonia estiva: sette giorni in montagna, a pochi chilometri da casa. A me che non ero mai uscito da Palmi sembrava di dover andare all'estero. Il terzo giorno mio padre venne a prendermi per riportarmi a casa. Non mi spiegò il perché e io pensai che aveva bisogno di aiuto nel lavoro del frantoio di famiglia. Pensai che fosse stato egoista e gli portai rancore per questo". La verità Tanino la scoprì anni dopo da sua madre. Gli spiegò che il padre voleva comprare un terreno che interessava ad altri, a quelli della "Maffia" (con due effe, come si diceva negli anni 60, ndr). E che avevano minacciato di ammazzarlo. "Ti facciamo trovare tuo figlio in un fosso", gli avevano detto. E lui, papà Vincenzo, era corso a riprenderlo quel figlio in pericolo. Saffioti ora sapeva la verità, suo padre era morto da poco e lui non aveva avuto il tempo di chiedergli scusa per averlo giudicato male.
Ecco - spiega oggi Saffioti - mi hanno estorto i miei giorni di vacanza. Dei soldi pagati in tangenti e dei mezzi che mi hanno bruciato sui cantieri non mi interessa. I soldi si rifanno e le macchine si ricomprano, ma per i giorni rubati a un bambino e per il rancore portato a un padre non c'è risarcimento. Non li perdonerò mai". A quattrodici anni guidava il trattore. A diciassette davanti a quello stesso mezzo montò una pala meccanica. A venti era un maestro alle leve di comando degli escavatori. Prima li prendeva in affitto a giornate per lavorare. Poi via via arrivò la sua prima ruspa acquistata a rate e i lavori di sbancamento per i privati, fino agli appalti. Su ogni cantiere si presentava il tirapiedi del boss di turno: "Pagavano tutti e anche io pur di lavorare, era la normalità. Ero convinto che se fossi diventato un imprenditore importante mi avrebbero lasciato stare. Mi illudevo".

                                                   Il porto di Gioia Tauro 

Cantieri sempre più grandi fino a quelli per la costruzione del porto di Gioia Tauro. "Comprai il primo impianto per fare da me il calcestruzzo invece di fornirmi da altri - ricorda - qualche anno dopo ne presi uno ancora più moderno. Gli affari crescevano, ma con i fatturati crescevano anche le richieste dei clan. Stabilivano loro gli appalti che potevo vincere e quelli che dovevo perdere, chi doveva lavorare nei cantieri e chi no. Mi rendevo conto che era impossibile vivere così". Pressioni e richieste d'ogni genere, nessuna possibilità di scelta, nessuna libertà. Saffioti si sentiva in gabbia. Per questo iniziò a mandare lettere anonime alle forze dell'ordine, a chiedere consigli alle persone che gli erano vicine, ma niente: "Anche il prete dl paese mi disse di non denunciare, ma di mettermi d'accordo con i clan".                     La paura ha il colore del disonore, della vergogna, dell'essere scambiato per carnefice invece che vittima: "Avevo il terrore di essere coinvolto in qualche indagine sui clan della zona. Pensavo che si potesse pensare che ero un complice e non una vittima". Così Gaetano inizia a registrare ogni cosa. Mette le telecamere nell'ufficio e si nasconde un micro registratore in tasca ogni volta che incontra boss e picciotti. La video sorveglianza interna riprende gli esattori della 'ndrangheta. Le voci dei padrini latitanti restano incise sui nastri audio. In più appunta tutto su delle agende. Tangenti, acquisti, assunzioni, favori. "Pensavo che se mi avessero arrestato assieme a quelli, almeno sarebbe restata traccia della mia innocenza". La goccia che fa traboccare il vaso sono le tangenti durante la costruzione dei piazzali del porto. Una percentuale doveva essere versata alla cosca del paese dove si produceva il calcestruzzo. Un'altra a quella del paese dove veniva messo in opera. Una terza spettava al clan del territorio su cui passavano le betoniere. "In più per ogni metro cubo di calcestruzzo che producevo dovevo acquistare il cemento da chi dicevano loro e persino la terra che potevo estrarre dalla mia cava ero costretto a comprarla dal loro impianto. Pagavo a peso d'oro materiale scadente".Nel 2001 l'antimafia di Reggio Calabria fa arrestare una serie di mafiosi della Piana di Gioia Tauro. Il Pm Roberto Pennisi intervistato dalla Rai descrive l'indagine e dice: "Purtroppo gli imprenditori non denunciano. Sono dei codardi". Qualche giorno dopo, Saffioti si fa accompagnare da un ufficiale della Guardia di finanza a palazzo di giustizia. Pennisi racconterà così quell'incontro: "Ho visto entrare in ufficio un uomo con la barba che mi ha detto: "Mi chiamo Gaetano Saffioti, sono un imprenditore e non sono un codardo".Un testimone di giustizia, il primo in Calabria, che non solo è pronto a testimoniare, ma che consegna al magistrato le registrazioni e gli appunti per dimostrare anni di angherie. Un'indagine praticamente fatta, pronta per essere portata in aula davanti ai giudici. Tre cose chiese Saffioti ai pm: "Non voglio cambiare identità. Non voglio andare via da Palmi. E non voglio cambiare mestiere". Un accordo a cui si aggiunse anche un'altra rinuncia: "Niente aiuti economici dallo Stato. Se ce la faccio, ce la faccio da solo".E' cocciuto "Tanino", lo è sempre stato. Sa che rinunciare ad una delle condizioni dettate ai magistrati sarebbe comunque una sconfitta. Che i clan si sarebbero poi vantati di averlo costretto a scappare, a cambiare vita. Se avesse preso soldi avrebbero detto che era un fallito pronto a vendersi per denaro. Se invece ce l'avesse fatta da solo avrebbe dimostrato che i clan, la 'ndrangheta, si può battere. Lui stesso ne sarebbe stato il testimone. Per loro sarebbe stato una spina nel fianco, per sempre.

Al processo "Tanino" siede al banco dei testimoni nell'aula bunker di Palmi. Racconta tutto, indica i boss e riconosce gli uomini del clan. Le mani sudano e il cuore trema, ma la testa resta alta e lo sguardo dritto. I protagonisti dell'inchiesta vengono quasi tutti condannati. Negli anni successivi Saffioti contribuisce ad altre operazioni antimafia. Testimonia lui e convince altri imprenditori a fare altrettanto. E' un dito nella piaga per le cosche, anche se è costretto a vivere sotto scorta. La sua casa, il suo impianto, i suoi magazzini sono recitanti col filo spinato e sorvegliati 24 ore al giorno. Il 20 settembre scorso chiamato al telefono ha ricordato: "Sono sotto tutela da19 anni, 7 mesi e 28 giorni, è il tempo della mia libertà. Non ho rimpianti lo rifarei mille e mille volte". Non è stato semplice. La mattina del 25 gennaio 2002 a Palmi "c'era un silenzio surreale, neppure gli uccelli cantavano". All'epoca aveva un fatturato importante e una trentina di dipendenti: "Quella mattina a lavoro si presentarono in tre, gli altri avevano paura o semplicemente non volevano più avere nulla da spartire con me perché ero diventato un infame". Il telefono che riceveva decine di telefonate al giorno non ha più squillato, i committenti spariscono, amici e parenti si eclissano. Per anni il fatturato diventa pari a zero, "persino le banche mi chiudevano i conti correnti nei quali ero in attivo e sui quali c'erano i miei soldi". Saffioti viene isolato ed emarginato. Paga un prezzo altissimo.



                                    Janoub Stadium (Qatar) 

Racconta: "Iniziai a girare l'Italia in cerca di commesse e per partecipare agli appalti. Inizialmente dormivo negli alberghi, poi mi dissero che la presenza della scorta creava disagio per gli altri clienti. Qualche volta affittavo un appartamento in periferia, altre ho dormito nei capannoni assieme ai camion e agli escavatori. Anche al nord c'era la 'ndrangheta, l'ho incontrata spesso e ovviamente dove c'erano loro non potevo esserci io. I primi anni anche in Emilia Romagna mi bruciarono i camion impedendomi di lavorare".Col tempo arrivano le prime commesse, ma il lavoro vero è soprattutto all'estero. In Italia per lui non ci sono cantieri. Gli uffici restano a Palmi, Saffioti non lascia il suo quartier generale, per lavorare però deve spostarsi. Si fa spazio grazio alle sue competenze, alla precisione nel realizzare opere complesse, alla voglia di migliorare l'azienda facendo ricerca sui materiali. I suoi calcestruzzi sono sempre più efficienti, gli asfalti di altissima qualità, le miscele studiate e bilanciate per evitare sprechi. Assume ingegneri, autisti, operai specializzati. Con Saffioti vogliono lavorare in tanti "perché pagavo puntuale, e bene, ferie comprese". Dal quel gennaio 2002 le cose sono cambiate, ora il fatturato si è decuplicato, i dipendenti sono centinaia e di ogni parte del mondo, ma soprattutto "sono libero".Tanino dalla sua Palmi guarda "Al Janoub", "Al Thumama" e "Al Bayat", le sue ultime creature realizzate assieme ad altri partener. Sono stadi a forma di conchiglia, di tenda beduina, di cappello tipico della zona. Il primo l'ha progettato l'archistar Zaha Hadid, l'ultimo è quello che è piaciuto più ai committenti. A "Tanino" piacciono tutti, perché non sono solo strutture, ma sogni che si realizzano: "Di quando da ragazzo guidavo l'escavatore parlandogli perché lo immaginavo come una cosa viva, con al suo interno un cuore che pulsa e sangue che circola".Un solo rammarico, "In giro per il mondo creo ricchezza per gli altri paesi, infrastrutture che portano benessere e lavoro, nel mio Paese non ci sono ancora riuscito, ma sono cocciuto, non mollo". Attorno alla sua casa, suo ufficio e all'impianto di calcestruzzo c'è ancora il filo spinato e le telecamere. Davanti alla porta c'è sempre la scorta della Guardia di Finanza. Ora però, oltre tutto questo, c'è futuro: "Oggi posso dire che denunciare le mafie non è solo un dovere, oggi posso sostenere che è anche conveniente per chi vuole avere un futuro come imprenditore".  



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