Visualizzazione post con etichetta non solo il 27 gennaio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta non solo il 27 gennaio. Mostra tutti i post

29.1.20

I GIUSTI DELL'ISLAM . Mussulmani che salvano ebrei dai i lager . ma di questo non se ne parla , si vedono solo i mussulmani come pericolo



lo che la giornata settimana della memoria finita è come me pensate che ...... vi capisco , ma nella foga retorica celebrativa ci si è , volutamente dimenticati e ignorato ( salvo eccezioni ) che fra coloro che salvarono gli ebrei ci furono anche 

I GIUSTI DELL'ISLAM



E di qualche anno fa  , più precisamente del 2009  Una mostra «Giusti dell’islam» - promossa dal Centro di cultura e attività missionaria Pime di Milano e curata da Giorgio Bernardelli - racconta alcune di queste storie. Parla di due bosniaci, tre albanesi, due diplomatici turchi e un iraniano che con il loro coraggio salvarono alcune decine di ebrei  e  che    viene  ripetuta  anche  quest'anno  come dimostra questo articolo   (  suggeritami  da  una  di  quelle  eccezioni  di cui  parlavo prima   la  compagna  di  strada   ed autrice  decennale   del nostro   blog   DAniela  Tuscano ) di repubblica  https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/01/28/  del riportato  sotto 










I musulmani che durante il nazismo salvarono gli ebrei, la loro storia in una mostra
"Giusti dell'islam" è il titolo dell’allestimento che parla dei musulmani nell'elenco dei “Giusti tra le nazioni”

                   di ZITA DAZZI

Una mostra per riscoprire le storie dimenticate di alcuni musulmani che durante la persecuzione nazista salvarono la vita ad alcuni ebrei e un incontro a più voci fra cristiani, ebrei e musulmani per favorire il dialogo interreligioso in occasione della Giornata della Memoria 2020. L'associazione ChiAmaMilano e "Casa Comune" propongono nella sede di via Laghetto 2, dietro alla Statale, la mostra curata da Pime Milano "Giusti dell'islam" che parla dei circa 22 mila nomi che sono nell'elenco dei “Giusti tra le nazioni” censiti dallo Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme. Fra questi ci sono settanta musulmani. Persone che - in nome di valori islamici - si diedero da fare per salvare la vita ad alcuni ebrei durante la persecuzione nazista. Con questo loro gesto hanno ricordato che la frase del Talmud "Chi salva una vita salva il mondo intero" compare anche nel Corano. Un invito ad andare oltre le generalizzazioni facili nella percezione dell’altro e delle sue aspirazioni.
Attraverso i suoi 14 pannelli, la mostra "Giusti dell’islam" - aperta dalle 10 alle 20 fino al 1° febbraio e promossa dal Centro di cultura e attività missionaria Pime di Milano e curata da Giorgio Bernardelli - racconta alcune di queste storie. Parla di due bosniaci, tre albanesi, due diplomatici turchi e un iraniano che con il loro coraggio salvarono alcune decine di ebrei. Inoltre rende conto del lavoro compiuto dallo storico americano Robert Satloff, il primo a proporre ufficialmente allo Yad Vashem un arabo come candidato «Giusto tra le nazioni». La mostra è a disposizione di scuole e amministrazioni locali per attività culturali legate al tema del rapporto tra religioni e identità diverse. Venerdì 31 gennaio alle 11 ci sarà un incontro pubblico fra Pierfrancesco Majorino eurodeputato Pd, Khalid Chaouki, ex presidente della Grande Moschea di Roma, Laura Silvia Battaglia, giornalista e documentarista, Giorgio Bernardelli del Pime, ideatore della mostra, don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della carità "A. Abriani", e Gabriele Nissim, presidente di Gariwo (l'associazione milanese che gestisce il giardino dei Giusti a Montestella), con un saluto di Milly Moratti. A introdurre l’incontro sarà Daniele Nahum, e parteciperanno alcune classi del Liceo classico Manzoni e dell'Itt Artemisia Gentileschi.rgomenti



Un vagone di uno dei treni con
 i quali vennero deportati gli ebrei (ansa)
Inoltre rende conto del lavoro compiuto dallo storico americano Robert Satloff, il primo a proporre ufficialmente allo Yad Vashem un arabo come candidato «Giusto tra le nazioni». per riscoprire le storie dimenticate di alcuni musulmani che durante la persecuzione nazista salvarono la vita ad alcuni ebrei Tra i circa ventiduemila nomi dei “Giusti tra le nazioni” censiti dallo Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme, figurano anche quelli di settanta musulmani. Persone che - in nome di valori islamici - si diedero da fare per salvare la vita ad alcuni ebrei durante la persecuzione nazista.Con questo loro gesto hanno ricordato che la frase del Talmud «Chi salva una vita salva il mondo intero» compare anche nel Corano. Oggi, però, sono i più dimenticati tra i Giusti, perché politicamente scorretti sia per tanti ebrei sia per tanti arabi. Sono infatti un invito ad andare oltre le generalizzazioni facili nella percezione dell’altro e delle sue aspirazioni.
Pe r chi avesse  qualcosa  d'obbiettare   questa   è la mia risposta  
L'immagine può contenere: testo   

altre informazioni tali storie 


23.1.20

Pacificazione non vuol dire niente finche si equipararono il razzismo fascista e le sue vittime come si vuole fare a verona dando la cittadinanza ala segre e poi istituendo una via a giorgio Almirante

Risultato immagine per pacificazione
Pacificazione non vuol dire niente    finché  si   equipararono  il razzismo fascista e le sue vittime come si   vuole fare  a verona  dando la  cittadinanza  alla Segre  e poi  istituendo una  via  a  giorgio Almirante .
Infatti    fin quando non si faranno i  conti con il proprio passato  che  ha influenzato la storia  successiva  fino  al 1992    del nostro paese  con episodi  sanguinosi e non solo  (  vedere post  precedente e  di come  viene le  celebrazioni    del  giorno del ricorso  ovvero il 10  febbraio   )   ed  ancora   oggi   anche  se   solo  con l''odio  ma     dai  fatti alle  parole    poco   ci manca   , non si  potrà ma  esserci     pacificazione   nè  per  usare  un termine  illusorio \  utopistico memoria  collettiva  . Ecco perchè  concordo con l'articolo   di repubblica   del 21 Gennaio 2020      riportato sotto
     

                                            di UMBERTO GENTILONI

Una breve frase, una considerazione di merito della senatrice Liliana Segre chiarisce ambiguità e pericolose confusioni. Come si fa a tenere insieme la cittadinanza onoraria a una testimone della Shoah con la proposta d'intitolare una strada a Giorgio Almirante? Possibile che non salti agli occhi una contraddizione insanabile, carica di conseguenze. Non si tratta di una svista né di un superficiale atto amministrativo di un comune distratto. Le reazioni di tanti in queste o...
Paywall
Una breve frase, una considerazione di merito della senatrice Liliana Segre chiarisce ambiguità e pericolose confusioni. Come si fa a tenere insieme la cittadinanza onoraria a una testimone della Shoah con la proposta d'intitolare una strada a Giorgio Almirante? Possibile che non salti agli occhi una contraddizione insanabile, carica di conseguenze. Non si tratta di una svista né di un superficiale atto amministrativo di un comune distratto. Le reazioni di tanti in queste ore chiamano in causa i riferimenti condivisi, i lasciti e le eredità della storia della Repubblica. Non tutto è sovrapponibile nella dimensione di un passato indistinto che annebbia e cancella differenze e ragioni, torti e meriti. Non può avere lo stesso significato rivolgersi a chi ha combattuto per la libertà e la democrazia o a chi invece ha militato dalla parte del nuovo ordine hitleriano. Chi ha tentato di sopravvivere per costruire un futuro comune, senza violenze e discriminazioni e chi, al contrario, ha cercato di far prevalere le motivazioni del più forte, le dinamiche di una guerra di conquista e distruzione. Sono campi che si scontrano negli anni del conflitto proiettando riferimenti, linguaggi e culture verso i decenni successivi. I rischi di oggi sono di natura duplice: da una parte l'oblio che tutto cancella, dall'altra una presunta pacificazione capace di confondere le scelte di allora in un presente senza tempo.
Talvolta può sembrare persino banale: dare un senso alle parole, alle argomentazioni come premessa per definire scelte e comportamenti conseguenti. L'intitolazione di una strada o di una piazza è un momento importante, indica alle future generazioni un esempio, un modello di vita e di cittadinanza. La scelta dei nomi da dare ai luoghi pubblici diventa occasione per una riflessione sulla storia e sull'identità di una nazione, sul passato e sul futuro. Almirante ha partecipato da protagonista alla rivista del nascente razzismo fascista (La difesa della razza, di cui è stato segretario di redazione), ha contribuito in prima persona a quella persecuzione antiebraica che ha segnato parte della storia del Novecento italiano. Si è distinto con ruoli significativi nella Repubblica di Salò come capo di gabinetto del Ministro Mezzasoma firmando tra le altre cose il bando di fucilazione dei giovani italiani che sceglievano di non arruolarsi nell'esercito della Rsi. Un'indicazione precisa: colpire a morte chi si rifiutava di combattere al fianco dei nazisti nel tornante decisivo della lotta di liberazione, nello scontro sanguinoso della guerra civile.
Non sono piani o situazioni compatibili, occorre scegliere da che parte stare. Dobbiamo essere grati alla chiarezza delle argomentazioni della senatrice Segre e alla profondità di una coerenza che non ammette deroghe. La comprensione degli eventi del passato non è un gioco casuale, né un'insignificante mescolanza di biografie, principi o valori. Meglio distinguere e approfondire con la giusta attenzione per il cammino di una comunità nazionale che si specchia nella carta del 1948.

20.1.19

Letteratura. La poesia indaga l'abisso della Shoah


Alessandro Zaccuri sabato 19 gennaio 2019


Giovanni Tesio raccoglie un’ottantina di poesie dedicate al dramma dello sterminio ebraico

                        Il campo di concentramento di Birkenau (Ansa)

Una donna ha i capelli d’oro, l’altra ha capelli di cenere: le parole non possono raccontare quello che c’è in mezzo, non riescono a popolare il vuoto che separa Margarete, perduta all’amore per Faust, da Sulamith, la sposa del Cantico dei Cantici. Le parole possono però testimoniare, anche con il silenzio e con la reticenza, specialmente con il pudore. Sono versi famosissimi, questi di Paul Celan in Fuga di morte, e non stupisce ritrovarli nell’antologia di «voci poetiche sulla Shoah» allestita da Giovanni Tesio per Interlinea con il titolo Nell'abisso del lager (pagine 292, euro 18,00).
Un libro che in un certo senso esisteva già, ma in forma invisibile, disperso in altri libri e in altre antologie. Solo adesso viene finalmente in superficie grazie al lavoro attento e appassionato di Tesio, italianista e poeta a sua volta, oltre che narratore con il recente Gli zoccoli nell’erba pesante (Lindau). A parte l’inedito di Gianni D’Elia riprodotto in questa pagina, i testi di Nell’abisso del lager erano già disponibili per il lettore italiano, talvolta in sedi non immediatamente accessibili. Mancava però un inquadramento complessivo che permettesse di ricostruire la storia di questo che non è affatto un genere letterario: semmai un avvenimento che attraversa la letteratura del Novecento e la trasforma per sempre, travolgendo anche chi dall'esperienza storica dei campi nazisti non è stato toccato di persona. È la distinzione, fondamentale nella struttura del volume così come Tesio l’ha concepito, tra le «voci dal lager» e le «voci del lager» (il corsivo è mio), tra quelli che a Buchenwald o a Birkenau ci sono stati veramente e quelli che, pur senza esservi stati imprigionati, hanno ugualmente bevuto il «latte nero dell’alba», per citare ancora una volta Celan. Il punto di partenza è una pietra d’inciampo, e non potrebbe essere altrimenti.
Che dopo Auschwitz fare poesia andasse considerato un atto di barbarie era, com’è noto, la posizione di Theodor Adorno, alla quale Primo Levi contrapponeva la necessità di permettere che la poesia sopravvivesse all’“ora incerta” dello sterminio e dell’orrore. Lui stesso, Levi, era diventato scrittore (e poeta) proprio ad Auschwitz, rispondendo a un’urgenza tutt’altro che letteraria. «Se ne scrivono ancora» è l’incipit di una celebre poesia di Vittorio Sereni, I versi, nella quale si ammette che «No, non è più felice l’esercizio».
Ancora più perentorio è il francese Mathieu Bénézet, nato nel 1946, fuori dai limiti cronologici della Shoah. In Quel che dice Euridice dimostra come la convinzione che la poesia non sia più « possibile » si fonda su un equivoco, dato che «non esiste poesia possibile» (questa volta i corsivi sono dell’autore): «Non dimenticare sempre la poesia / conobbe / l’Inferno», ripete Euridice, che qui diventa figura di ogni vittima e di ogni sopravvissuto. Sono, questi che abbiamo citato, solo alcuni dei poeti presenti in Nell’abisso del lager. Tesio ne accoglie un’ottantina, non senza qualche rinuncia, considerato che l’ombra della Shoah si proietta a lungo e in contesti spesso imprevisti.
Non mancano, anche in ambito italiano, le occasioni per riconsiderare la consistenza di un canone che rimane mobile e contraddittorio, drammatico per definizione. Una sola, per esempio, è l’occorrenza del dialetto ( Donne di Ravensbrück del piemontese Carlo Regis), mentre colpisce il ricorso a soluzione auliche come «Deh taci» da parte di Bruno Lodi, autore di un autobiografico Voce del “Lager” andato in stampa già nel 1946. Da parte sua, Quinto Osano – i cui «ricordi e pensieri di un ex deportato» usciranno solo all’inizio degli anni Novanta – fa tesoro della lezione di Palazzeschi adoperando come ritornello un verso onomatopeico, «Tu tum, tu tum, tu tum, tu tum», che rimanda al rumore del treno diretto a Mauthausen.
Testimoni anche loro, in ogni caso, al pari di poeti più grandi e riconosciuti, da Giorgio Caproni a Pier Paolo Pasolini, da Franco Fortini ad Antonella Anedda, da Mariangela Gualtieri a Mario Luzi, fino all’indimenticabile «preghiera trafitta dall’elevazione» intonata da Elsa Morante: «Per il dolore delle corsie malate / e di tutte le mura carcerarie / e dei campi spinati, dei forzati e dei loro guardiani, / e dei forni e delle Siberie e dei mattatoi / e delle marce e delle solitudini e delle intossicazioni e dei suicidi / e i sussulti della concezione /e il sapore dolciastro del seme e delle morti, /per il corpo innumerevole del dolore /loro e mio...». Non meno vasto e accidentato è il paesaggio che si apre al di fuori dei confini italiani. Nell’abisso del lager dà spazio a Nelly Sachs e a Else Lasker-Schüler, a Jean Cayrol e a Yves Bonnefoy, a Hilde Domin e alla Sylvia Plath di Lady Lazarus,dalla «pelle / splendente come un paralume nazista», ma a fianco di questa costellazione già nota e si avvistano autori non ancora abbastanza apprezzati, come l’israeliano Dan Pagis, al quale si deve il fulminanteScritto a matita in un vagone piombato: «Qui in questo convoglio / Io sono Eva / Con Abele mio figlio / Se vedete il mio figlio maggiore / Caino figlio d’Adamo / Ditegli che io».
La poesia non racconta, appunto. La parola non può dire. Ma dopo Auschwitz è necessaria più che mai, come la «farfalla di Buchenwald» cantata da Zoka Velichova, visione che «si libra spensierata nell’abisso». «I miei ricordi sono solo cenere – aggiunge la poetessa – sull’ali iridescenti della polvere».

Figura del Macello

Come il diretto che risfiora il mare
Ripreme il passo la terra contro sé
Ma non può fare a meno d’inquadrare
Il tufo giallo che insegue chi non è
O chi se c’è di là non riappare
Dai carri piombati nel fosco rullare
Rugginoso a zaffate d’un treno bestiame
Ecco rifrana il Fosso Seiore e traspare
E sa di musi nebbiosi incollati alle rare
Sbarre ai cigolanti cerchi ai rinchiusi
Mugli in vapori d’un macellar secolare
Che già bastò puerili castelli a spazzare
E dunque non è vero che il bello è sempre
Nelle care cose che ci calmano
La cattedrale di foglie di un albero
O le squame di luce del mare largo
Se un lento treno merci a agosto esausto
Basta a evocare il più infame olocausto?
(1991) (2016)

Gianni D’Elia

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...