Chiama i dipendenti della sua azienda “collaboratori”, perché “i dipendenti ubbidiscono soltanto”, mentre “i collaboratori partecipano attivamente”. Marco Piccolo è uno degli esempi italiani di imprenditoria virtuosa: amministratore delegato dell’azienda torinese Reynaldi Cosmetici, Piccolo si ispira a una idea di economia di impresa dove l’inclusività, la sostenibilità, “il senso della vita”, “la cultura del dare” e “l’umanità” sono le basi portanti, perché “più dai, più ti viene restituito”.
Intervistato da Alessandro Milan nella trasmissione “Uno, nessuno 100Milan” (Radio24),
l’imprenditore spiega l’evoluzione della sua azienda, specializzata nella produzione di prodotti cosmetici per conto terzi: “Da un solo dipendente nel 2000, la nostra attività è cresciuta mediamente del 25% ogni anno e oggi abbiamo 75 lavoratori. La nostra è una piccola azienda familiare cresciuta da zero. Le persone che hanno lavorato con noi sono quelle che hanno determinato il successo dell’azienda. Mangiamo insieme, lavoriamo gomito a gomito, per cui se ci sono degli utili, perché devo tenermeli solo io? Quindi, oltre allo stipendio, agli straordinari e ai premi di produttività, i miei collaboratori prendono un terzo dell’utile prodotto, cioè fino a 5 mensilità in più in busta paga. È semplicemente una restituzione perché nella nostra azienda c’è reciprocità“.
Piccolo spiega la sua filosofia di impresa ‘etica’, che mette al centro il lavoratore: “Noi alle 16.30 fermiamo la produzione e alle 17.00 chiudiamo l’azienda, perché voglio che i genitori stiano coi figli. Diamo importanza al valore sociale dell’impresa e soprattutto alla vita. Non possiamo vedere imprese dove il tempo di lavoro è solo il tempo necessario per guadagnare soldi per vivere fuori. Al contrario, dobbiamo creare luoghi di lavoro dove viviamo e stiamo bene, perché ci passiamo gran parte del tempo. E quindi – continua – nei luoghi di lavoro dobbiamo stare bene ed essere felici. Quando ero più giovane e fondai con mia madre e mio fratello l’azienda, avevamo pochi soldi, non riuscivamo neanche a prendere lo stipendio. Poi lessi la biografia di Adriano Olivetti. E capii che l’economia di impresa è il motore della crescita della società per il bene comune”.
L’imprenditore, che aderisce all’Aipec, l’associazione di imprenditori e imprese per la “economia di comunione”, aggiunge: “L’unica chiave di successo è creare meccanismi ad alto valore aggiunto. L’Italia è la vera culla della cultura, siamo immersi in un brodo culturale pazzesco. Come imprenditori abbiamo il dovere sociale di innovare non solo per il bene dell’impresa, ma anche per le persone e per la comunità. Le aziende devono generare profitto onorevole e contemporaneamente avere impatti sociali e ambientali positivi. Il profitto non deve essere il primo obiettivo”.
Ma la Reynaldi non è solo un’azienda speciale per il suo modello umano di business. “Siamo in un mercato globale dove competiamo con aziende di altri Stati – osserva Piccolo – È evidente che, se le imprese italiane hanno un cuneo fiscale superiore a tutte le altre, le persone di eccellenza, a parità di importo, vanno all’estero”.
E spiega: “La nostra azienda ogni anno investe il 13% nella ricerca e nello sviluppo, creando 40 formule beauty al mese. Tutta la nostra produzione 4.0 è basata su intelligenze artificiali. Abbiamo investito nella sostenibilità riciclando il 97% dei rifiuti e arrivando a zero spreco di acqua di produzione e di emissioni di CO2. E poi ci sono tutti i progetti sociali: le collaborazioni con Don Ciotti, San Patrignano, il gruppo Abele. In breve, la ricchezza della nostra impresa non è solo focalizzata sul vendere una crema cosmetica in più, ma sul costruire delle relazioni. E tutto questo ritorna, perché le aziende di eccellenza sono fatte da persone di eccellenza. Questo è importante da capire”.
Commento critico dell’imprenditore sul credito d’imposta su ricerca e sviluppo destinato alle aziende e, in generale, sullo stato generale delle imprese italiane: “Quella misura non incentiva affatto la ricerca, perché ne beneficiano anche le imprese che fanno ricerca inutile e inefficiente. Non ha senso. Il vero problema in Italia è che c’è sempre la tendenza al ribasso, mentre, al contrario, si dovrebbe spingere al continuo miglioramento. Abbiamo bisogno di figure imprenditoriali che siano oneste, competenti, dotate di cultura e che insieme costruiscano una società – chiosa – Ma bisogna mettersi insieme e non bisticciare sempre. Dobbiamo riuscire a coniugare l’economia di mercato, e quindi il sostegno delle piccole e medie imprese, con la cura degli ultimi, ma in maniera strutturale, non facendo l’elemosina ai poveri o tenendo fuori delle persone. C’è sicuramente il diritto al lavoro, ma chi ha il dovere di creare questo lavoro? Ci vogliono persone intelligenti, oneste e competenti. Ma purtroppo è difficile trovarle”.
Piccolo spiega la sua filosofia di impresa ‘etica’, che mette al centro il lavoratore: “Noi alle 16.30 fermiamo la produzione e alle 17.00 chiudiamo l’azienda, perché voglio che i genitori stiano coi figli. Diamo importanza al valore sociale dell’impresa e soprattutto alla vita. Non possiamo vedere imprese dove il tempo di lavoro è solo il tempo necessario per guadagnare soldi per vivere fuori. Al contrario, dobbiamo creare luoghi di lavoro dove viviamo e stiamo bene, perché ci passiamo gran parte del tempo. E quindi – continua – nei luoghi di lavoro dobbiamo stare bene ed essere felici. Quando ero più giovane e fondai con mia madre e mio fratello l’azienda, avevamo pochi soldi, non riuscivamo neanche a prendere lo stipendio. Poi lessi la biografia di Adriano Olivetti. E capii che l’economia di impresa è il motore della crescita della società per il bene comune”.
L’imprenditore, che aderisce all’Aipec, l’associazione di imprenditori e imprese per la “economia di comunione”, aggiunge: “L’unica chiave di successo è creare meccanismi ad alto valore aggiunto. L’Italia è la vera culla della cultura, siamo immersi in un brodo culturale pazzesco. Come imprenditori abbiamo il dovere sociale di innovare non solo per il bene dell’impresa, ma anche per le persone e per la comunità. Le aziende devono generare profitto onorevole e contemporaneamente avere impatti sociali e ambientali positivi. Il profitto non deve essere il primo obiettivo”.
Ma la Reynaldi non è solo un’azienda speciale per il suo modello umano di business. “Siamo in un mercato globale dove competiamo con aziende di altri Stati – osserva Piccolo – È evidente che, se le imprese italiane hanno un cuneo fiscale superiore a tutte le altre, le persone di eccellenza, a parità di importo, vanno all’estero”.
E spiega: “La nostra azienda ogni anno investe il 13% nella ricerca e nello sviluppo, creando 40 formule beauty al mese. Tutta la nostra produzione 4.0 è basata su intelligenze artificiali. Abbiamo investito nella sostenibilità riciclando il 97% dei rifiuti e arrivando a zero spreco di acqua di produzione e di emissioni di CO2. E poi ci sono tutti i progetti sociali: le collaborazioni con Don Ciotti, San Patrignano, il gruppo Abele. In breve, la ricchezza della nostra impresa non è solo focalizzata sul vendere una crema cosmetica in più, ma sul costruire delle relazioni. E tutto questo ritorna, perché le aziende di eccellenza sono fatte da persone di eccellenza. Questo è importante da capire”.
Commento critico dell’imprenditore sul credito d’imposta su ricerca e sviluppo destinato alle aziende e, in generale, sullo stato generale delle imprese italiane: “Quella misura non incentiva affatto la ricerca, perché ne beneficiano anche le imprese che fanno ricerca inutile e inefficiente. Non ha senso. Il vero problema in Italia è che c’è sempre la tendenza al ribasso, mentre, al contrario, si dovrebbe spingere al continuo miglioramento. Abbiamo bisogno di figure imprenditoriali che siano oneste, competenti, dotate di cultura e che insieme costruiscano una società – chiosa – Ma bisogna mettersi insieme e non bisticciare sempre. Dobbiamo riuscire a coniugare l’economia di mercato, e quindi il sostegno delle piccole e medie imprese, con la cura degli ultimi, ma in maniera strutturale, non facendo l’elemosina ai poveri o tenendo fuori delle persone. C’è sicuramente il diritto al lavoro, ma chi ha il dovere di creare questo lavoro? Ci vogliono persone intelligenti, oneste e competenti. Ma purtroppo è difficile trovarle”.