La risposta alla domanda , espressa nel titolo , la risposta è Si . IL film 5 è il numero perfetto n'è la prova
Infatti per un regista esordiente nel mondo del cinema raggiungere il numero di riconoscimenti che ha fin qui meritatamente ricevuto Igor Tuveri con la sua opera prima, non è solo pazzesco, è incredibile !
“5 è il numero perfetto”, a mio modestissimo parere, avrebbe meritato qualcosa di più ai David di Donatello 2020, ma con la vittoria di Valeria Golino come migliore attrice non protagonista e le candidature come miglior attore protagonista di Servillo, migliore attore non protagonista per Buccirosso, migliori effetti, miglior trucco, migliore scenografia, miglior suono, migliori costumi, credo che sia stata riconosciuta la qualità di un progetto davvero innovativo .
Infatti c'è il fattoi che 5 è il numero perfetto è la rappresentazione tangibile che anche in Italia si possano fare film fuori dal coro, dove visione d'autore e spettacolo convivono con forza e intelligenza.
Infatti c'è il fattoi che 5 è il numero perfetto è la rappresentazione tangibile che anche in Italia si possano fare film fuori dal coro, dove visione d'autore e spettacolo convivono con forza e intelligenza.
Igor e il suo gruppo hanno costruito il racconto mantenendo intatta l’atmosfera e la carica emotiva della storia disegnata e credo che in tutto questo abbia giocato un ruolo importante quel pizzico d’incoscienza da parte di chi ha affrontato per la prima volta (a questi livelli) non un foglio di carta ma una macchina da ripresa: secondo il mio modo di vedere è questa specie di “balentía” che ha dato freschezza e originalità all’opera. E mi sembra che i riconoscimenti che sta ricevendo diano ragione alla spavalderia di Igort . Toni Servillo, presentando il film a Roma, ha definito il fumetto il “Quaderno napoletano” di Igort. Si tratta di una definizione felice ed azzeccata visto la cura dei particolari che Igor mette dentro ale sue opere . In quest’opera emerge il tipico approccio dell’autore cagliaritano, una sorta di immersione totale nell’atmosfera più sottile di un luogo, a svellerne le “radici genesiache” (direbbe Artaud, scomparso recentemente ), a destarne e a corteggiarne il genius loci.
<< Napoli è protagonista << come dice Adriano Ercolani Scrittore e critico letterario sul il fattoi quodiano del 5\9\2019 << teatro onirico di barocche visioni mistiche e di una realtà ben più allucinata. Nella sua mescolanza, quasi da metropoli indiana, di alto e basso, santità e vizio, solennità e sberleffo, spensierata saggezza ed efferato sadismo, Napoli è l’unico scenario pensabile per la parabola paradossale di Peppino Lo Cicero (interpretato da un Servillo quanto mai centrato): eroe nell’abiezione, trionfale nello strazio, grigio impiegato della morte che, nel mondo moralmente a rovescio della malavita, diviene traditore disubbidiente per amore e per sopravvivenza. La stessa condizione del regista è paradossale: un maestro del fumetto, esordiente al cinema, che traspone nel medium in cui è meno esperto la sua opera più apprezzata, dunque diviene potenzialmente il peggior traditore di se stesso. Una sfida non per tutti.>>
Il film, ovviamente, mantiene e affronta, almeno da quelle poche tavole che ho visto e dale recensiuoni che ho trovsato in rete , tutti i temi che rendono il fumetto di Igort un’opera di grande intelligenza, a partire dalle contraddizioni che lacerano il protagonista: il tradimento e la vendetta, la coesistenza di dolci sentimenti e spietatezza omicida, il contrasto grottesco tra devozione mariana e abitudine al massacro, un sottotesto di sapienza taoista mascherata in lazzi in vernacolo partenopeo. Solo un ricercatore consapevole e ironico come Igort poteva nascondere in bocca a un anziano killer napoletano che sorseggia un caffè dopo una carneficina una splendida allegoria dal sapore gurdjieffiano (ovvero, il titolo della storia).
I pedanti professori ed i fissati del genere noir e dei film sule mafie potrebbero obiettare circa una certa lentezza nel ritmo, soprattutto iniziale, ma << non si può relegare 5 è il numero perfetto alla categoria noir: se lo si vede in quell’ottica, è chiaro che non ha i tempi adrenalinici di una macelleria tarantiniana.>> non concordo la tesi di Adriano ercolani . Ma la bellezza del film è altrove, è un’opera filosofica, una meditazione sulla vanità dell’apparenza mascherata da noir, prova ne sia come, nel momento dell’apice parossistico della vendetta il protagonista si trasformi in un Meursault o in Edmond Dantès de Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas. , Lo Straniero camusiano, al contrario. Un film che rimarrà al contrario, delle sciocche polemiche che hanno accompagnato una frase (meno felice di quella citata) di Servillo. Ma, si sa, in Italia ogni giorno c’è un torneo di volpi, riunite attorno ad ogni nuovo grappolo d’uva. Alcuni passano la vita a tirare fango, altri a estrarre diamanti . Un film bellissimo , poetico , malinconico , vedere soprattuttto le scene con la pioggia . Azzecate le musiche della colonna sonora .
Infatti concordo con questa bellissima recensione di https://www.fumettologica.it/
Citando l’amico André Bazin, Jean-Luc Godard sosteneva che «il cinema sostituisce al nostro sguardo un mondo che si accorda ai nostri desideri». Il fumettista Igort, al secolo Igor Tuveri, ha ben chiara questa lezione quando debutta alla regia per adattare il suo graphic novel 5 è il numero perfetto. Il suo noir napoletano si discosta da modelli cinematografici e televisivi recenti – Gomorra ed epigoni – e dalle loro pretese di trasporre e narrativizzare il reale. Questo non è cinema verité, ma cinema che racconta, reinventa e seduce, inquadrando una sequela di immaginari più o meno condivisi attraverso la lente distorcente del fumetto [...]
Una storia d'altro tempi , nella sua visione sembra tornare indietro agli anni 30 dl secolo scorso .Infatti 5 è il numero perfetto è una storia fatta di storie, un vero e proprio racconto dei racconti, per riprendere un altro fortunato lungometraggio partenopeo. Il film offre allo spettatore un sofisticato pastiche di suggestioni cinematografiche, letterarie, fumettistiche e finanche geografiche.
Incontri sincretici, a seguire il leitmotiv della produzione dell’autore: da Dick Tracy e Batman a Kriminal, dal noir di Howard Hawks, Fritz Lang, Jean-Pierre Melville al wuxia e Heroic bloodshed da Hong Kong, passando per il cinema italiano di genere e quello non di genere, volendo d’autore, quello di Michelangelo Antonioni e Federico Fellini, o quello di Paolo Sorrentino evocato meta-cinematograficamente dall’incedere sommesso e dai monologhi di Toni Servillo. Praticamente , ai più sembrerà banale , è riuscito a dare forma ( credo che de andrè o i suoi eredi gli avrebbero se richiesto concesso i diritti per la canzone ) alla canzone, in questo momento in canna nel mio stereo don Raffaè di fabrizio de Andrè . Cosi come credo che se la Bonelli cambiasse idea e abbatesse il suo ultimo tabù di genere pubblicasse graphic novel dovrà tenere conto di lui . Cocludo confermando quanto dice sempre ilsito fumettologica
<< [...] Nel 2002, parlando del Peppino Lo Cicero fumettistico, Igort diceva «ho l’impressione che questo personaggio vivrà a lungo, ho in mente altre storie. Altre atmosfere, altri tic che forse contribuiranno a renderlo più umano, più vicino». E nel cinema, forse, ha trovato la sua destinazione ideale, la sua umanità, il suo Parador. >>
Buona visione