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30.6.17

QUEI CHARLIE INCONSAPEVOLI © Daniela Tuscano

 Anch'io   che  sono per  tesstamento  biologico   , considero  tale  decisone della magistratura  un omicidio di stato in   quanto  non viene  presa  in considerazione , in casi estremi    come questo  , la possibilità  per i  genitori  di decidere   . Ed in base  a  ciò riporto condividendo  in tutto  quello  che  ha  scritto la nostra utente  Daniela  .


Nella foto: Charlie Gard fra le braccia del padre)
Papa, fai sentire la tua voce in difesa del piccolo Charlie!


da
Compagnidistrada
28 giugno alle ore 18:32 ·


                                  QUEI CHARLIE INCONSAPEVOLI

Charlie Gard morirà, Charlie Gard sarebbe morto comunque.
Questo scriveranno. Ed è vero. Il destino di questo bimbo londinese, 10 mesi, affetto da una rarissima malattia mitocondriale (16 casi al mondo), è segnato. Ci vorrebbe un miracolo; un surplus di natura, qualcosa che la potenzi e la trasfiguri; una rinascita. La nostra biologia ordinaria, numerabile e quantificabile, non basta a salvargli la vita.
Ma Charlie Gard non è un semplice ammasso cellulare. Si chiama uomo perché, sottomesso alla natura, non ne è però schiavo. Morirà, certo. Come tutti noi, perché è questo il nostro arcano, sconvolgente tributo all'eternità. Ma nel frattempo esiste e resiste, tenace, esasperato, ostinatamente dipendente. Non può respirare da solo, ma gli occhi sono desti, e non soffre; c'è. Nella sua inerme lotta gli sono accanto i genitori, che nel miracolo, quindi nell'uomo - nell'uomo tutto intero - credono. Come tutti i genitori, non si sono mai arresi. Hanno cercato e trovato un ospedale negli Stati Uniti in grado di offrire le cure necessarie al bambino. O, almeno, una speranza. Una parvenza di speranza. Qualcosa, insomma. Raccolgono la somma necessaria per il viaggio, ma i medici inglesi si oppongono alla decisione e si appellano al tribunale. Che dà loro ragione: quella speranza non esiste, non deve esistere. Charlie va soppresso, meglio sospendere le cure. I due si rivolgono allora alla suprema corte dei diritti umani (diritti umani!) ed è un nuovo calvario: la sentenza viene dilazionata di una settimana, poi di tre, poi nuovamente anticipata. Ma il verdetto non muta: Charlie deve morire. Gli verrà tolto il respiratore. Se ne andrà nel buio. Quando gli mancherà l'aria, nessuno udrà il suo grido silenzioso.
Saremo Charlie? Lo siamo già, invero. Ma non ce ne rendiamo conto. Innanzi tutto perché lo ignoriamo. I mass media hanno tenuto occultata la vicenda il più possibile. Nei loro disegni, Charlie avrebbe dovuto sparire senza clamore, nella logica indifferenza. Se i genitori avessero accettato di farlo "morire con dignità", allora sì, Charlie adesso sarebbe un esempio mondiale, un idolo defunto da inalberare sull'ara del postmoderno, e i coniugi Gard gli eroici sacerdoti del verbo eutanasico. Ma i coniugi Gard esigono per loro figlio l'unico diritto che la società plurale non sa né vuol dargli: quello alla vita. E la vita è diventata un bene relativo, di mercato. Quindi disponibile e valutabile a seconda della convenienza. Alla famiglia non spetta più l'ultima parola: nel supermarket dei sentimenti, dove ogni pretesa ha diritto di cittadinanza, non vi è però spazio per un amore gratuito, fuori della logica efficientistica. Amare, e basta, un essere umano per la sua pura esistenza, non è contemplato. Troppo dispendioso. Senza tornaconto. E non importa si tratti d'un neonato, un anziano, un adulto solo e povero. Diviene peso e lo si elimina.
E in più si deve ringraziare, perché è per il suo bene, per evitargli inutili sofferenze (come se morire soffocati fosse un piacevole viatico), perché sarebbe lo stesso, perché siamo già in troppi su questo pianeta. E qualcuno dovrà pur andarsene. Sempre un altro, sempre l'altro. L'idea di comunità s'è sfaldata assieme a quella di famiglia. Distrutta l'una, vien meno l'altra; e ci ritroviamo massa, anzi, individui, legione che non crea gruppo, monadi nelle mani del liberismo più sfrenato. Siamo tutti Charlie, perché un giorno toccherà pure a noi giacere su un letto, indifesi e perduti, e forse vorremo morire, o forse no, e comunque vorremo, sempre vorremo, uno scambio d'occhi, qualcuno che ci abbia provato e c'infonda un refolo di futuro. Siamo tutti Charlie ma non lo sappiamo, perché non ci riguarda, perché - blandamente - i tempi di Hitler sono tornati (P. P. Pasolini) e nessun cardinale von Galen lo denuncia dal pulpito. I pulpiti sono anzi stati svuotati, fra gl'idioti applausi suicidi dell'egolatria. Siamo tutti Charlie e, finché le parole avranno un senso, oggi in Europa si perpetra un infanticidio di Stato.
Anche in Italia abbiamo un Charlie. Si chiama Emanuele Campostrini. La vicenda inglese vale come monito per noi. Ci stanno intimando di non provarci nemmeno. La nostra vita è nelle mani di moderni demiurghi senza volto. Ottant'anni fa, sui manifesti di un'avanzata nazione europea, campeggiavano bimbi sorridenti e, alle loro spalle, un profilo d'uomo accigliato, all'apparenza lontano, in realtà pervasivo e incombente. E il memento: "Anche tu gli appartieni". Siamo ancora in Europa, il profilo è sparito del tutto, ma la frase non ha smesso di rintoccare, implacabile come una campana.


© Daniela Tuscano

3.3.17

cari Binetti fai pace con il cervello e sei coerente e caro Gustavo Zagrebelsky non c'è solo il diritto umano ma anche quello naturale

Lo  so che  sia io in  uno dei   precedenti post     che   criap   nel suo ultimo n° dell'elzeviro del filosofo imnpertinente    abbiamo già  detto tutto  e di più  sulla  tristissima  vicenda  di Fabo  e    di tutti\e  quellic he si trovano  in tali situazioni .   Ma     due parole  a 


Paola Binetti membro di quella setta Cattolica ultraconservatrice chiamata Opus Dei, una che dorme sul legno e porta il cilicio, cita Pavese (ateo e morto suicida), per dire no all'eutanasia.


  #coerenza. Non sapere cosa sia.









Fate pace col cervello e soprattutto la prima non citare ad minchia cavolo per supportare teorie ormai retrograde
a Gustavo Zagrebelsky in un intervista rilasciata al Il Fatto Quotidiano del 14 dicembre 2011
ad almeno con lui ci si può ragionare e mi sembra coerente anche se dalla parte opposta alla mia


Con questa intervista al costituzionalista Gustavo Zagrebelsky (al quale risponderà domani Marco Travaglio) proseguiamo il dibattito iniziato il 2 dicembre (leggi l’articolo del viceDirettore de Il Fatto) dopo la morte di Lucio Magri.

Il diritto può essere “una corruzione del comune sentire o uno strumento attraverso cui scrutare un orizzonte più profondo”. Comincia così la conversazione con Gustavo Zagrebelsky, autore di un libro che non a caso s’intitola “Il diritto mite” (Einaudi, 1992). Parliamo della decisione di Lucio Magri (scomparso in una clinica svizzera dove l’hanno aiutato a togliersi la vita) e in generale della scelta di morire. Con una premessa: “Quello che sto per dire è in una prospettiva laica. Vorrei usare argomenti non dico condivisibili, ma almeno comprensibili per chiunque. Se si parte da una prospettiva religiosa, si escludono a priori tutti coloro che non l’accettano”.
Il discorso sul darsi la morte è molto sdrucciolevole, non trova?
Su queste questioni ultime, si è sempre penultimi. Sono discorsi ‘allo stato’ delle proprie attuali riflessioni. Guai alla sicumera. Nelle questioni di questo genere, la problematicità è un dovere.

Cos’è il suicidio? 

La tragedia più grande. Stiamo toccando, dal punto di vista morale e cognitivo, un tema sconvolgente. Ma è un tema composito. È difficile trattarne in generale, tanto più volendo stabilire una norma che valga sempre e per tutti.

Ci sono molti suicidi?

Sì. Il suicidio può dipendere da molte ragioni. Non si può non tenerne conto.

Esempi?

Il suicidio per solitudine, delusione, angoscia, vergogna, rimorso. Tutte queste sono ragioni morali che possono crescere al punto d’essere decisive, anche se all’origine sono minime, come il classico ‘brutto voto’. Le si può riassumere in una frase dell’etica kantiana: ‘Se sulla terra non c’è speranza di giustizia, non c’è posto per gli uomini’. Quando una persona, nutrita d’ideali, vede che tutto è inutile, perde la speranza. Nella nostra società, ci si toglie la vita per aver perso il lavoro. Nelle carceri ci si suicida per disperazione; nei campi di sterminio, ci si appendeva alle reti ad alta tensione; nelle carceri degli aguzzini, ci si impiccava per timore di non resistere alle torture e di tradire i compagni; nelle foreste del Mato Grosso, i nativi si uccidevano gettandosi nelle cascate, davanti all’invasione portoghese. Il suicidio può essere un atto dimostrativo, di accusa. Ricorda Jan Palach? C’è anche il suicidio filosofico, quello degli stoici, quando ci si trova in una situazione eticamente senza sbocco.

Ce lo spiega meglio?

Ho in mente il gioco immensamente crudele degli aguzzini nei campi nazisti. Si aprivano i vagoni e usciva una mamma con due bambini per mano: ‘Scegline uno’. Qual è la via d’uscita? Non certo la scelta. C’è solo il suicidio.

Ne “I Demoni” di Dostoesvkij, Kirillov si suicida per dimostrare che Dio non esiste.

Compie un atto di estrema libertà. Chi è Dio? Colui che dà e toglie la vita. Kirillov dice: mi tolgo la vita e prendo il posto di Dio. Ma ci sono anche suicidi inspiegabili, come quello di Primo Levi e tanti altri scampati ai lager, che si sono uccisi a distanza di tanti anni. Perché? Una delle spiegazioni è l’avere visto l’orrore dell’essere umano che ti toglie ogni speranza nell’umanità. Ma è inutile cercar di spiegare tutto. Il suicidio appartiene spesso alla sfera dell’insondabile.

Come si comporta il nostro diritto penale di fronte alla volontà di morire? 

In modo apparentemente ambiguo. Non punisce il suicidio. Lo considera un mero fatto. Se fosse un delitto, si punirebbe il tentativo. Cosa che non è.

Ci manca che uno prova a uccidersi, non ci riesce e pure lo mettono in galera.

Vero. Ma quello che importa è che non c’è sanzione se tu cerchi di ucciderti da solo. In questi confini estremi dell’esistenza individuale il diritto non può far nulla, ed è bene che taccia. Lasciando che ciascuno gestisca i suoi drammi ultimi da solo.

Però ci sono gli articoli 579 e 580 che puniscono l’omicidio del consenziente e l’istigazione o aiuto al suicidio. 

Questi, infatti, sono delitti.

Non c’è contraddizione? In un caso, il diritto tace, in altri punisce. Eppure sempre con suicidi si ha a che fare. Come si spiega?

In un modo molto semplice. Se tu ti uccidi da solo questo è considerato un fatto, un mero fatto dicevo – che resta entro la tua personale sfera giuridica. Ma se entra in gioco qualcun altro, diventa un fatto sociale. Anche solo se sono due: chi chiede di morire e chi l’aiuta. E ancor più se c’è un’organizzazione, pubblica o privata che sia, come in Svizzera o in Olanda. La distinzione ha una ragione morale.

Quale?

Se la gran parte dei casi di suicidio deriva da ingiustizie, depressione o solitudine il suicidio come fatto sociale ci pone una domanda. Può la società dire: va bene, togliti di mezzo, e io pure ti aiuto a farlo? Non è troppo facile? Il suo dovere non è il contrario: dare speranza a tutti? Il primo diritto di ogni persona è di poter vivere una vita sensata, e a ciò corrisponde il dovere della società di crearne le condizioni.

Vale anche per chi soffre sapendo di dover morire? 

Certamente. Una cosa è il suicidio come fatto individuale; un’altra, il suicidio socialmente organizzato. La società, con le sue strutture, ha il dovere di curare, se è possibile; di alleviare almeno, se non è possibile. In ogni caso, non confondiamo il nostro tema con quello del rifiuto di trattamenti medicali, anche se ciò può portare alla morte. Posso voler non essere curato, o curato in un certo modo, anche se ciò comporta la morte: ma questo non è voler morire. Il rifiuto delle cure è un diritto e, come tale, deve essere rispettato. Ma ripeto, è un problema diverso.

Non c’è un “diritto di morire”? 

C’è la morte che ci si dà, come dato di fatto. Ma l’espressione che ha usato contiene una contraddizione. Parliamo di diritti o libertà come espansione delle possibilità. Si può parlare di diritto al nulla, o di libertà di nulla? A me pare una mostruosità.

O il massimo della libertà.

D’accordo: come per Kirillov. Ma andiamo a leggere I Demoni e comprendiamo, oltre la genialità di Dostoevskij, il gelo di quel personaggio.


che esiste anche un diritto naturale \ antropologico non solo quello legislativo fatto dagli uomini



da 

1.3.17

Il fine vita non è solo eutanasia un breve dizionario sui termini onde evitare come fanno mario adinolfi e soci confusione e d strumentalizzazione


l'altro giorno avevo condiviso sull'appendice facebookiana del blog ( https://www.facebook.com/compagnidistrada/ ) questa news


Il veterinario: "Non faccio più eutanasie non necessarie"Era stufo di ascoltare le richieste di clienti che gli chiedevano di sopprimere il cane perché "non so più dove metterlo" o il gatto perché "rovina i divani". E ha deciso di dire basta esponendo nel suo ambulatorio a Milano un cartello in cui prende una posizione netta contro l'eutanasia di animali praticata quando non necessario. Alessio Giordana, veterinario che gestisce uno studio in via delle Primule, in zona Lorenteggio, sta ricevendo centinaia di messaggi di apprezzamento e solidarietà da tutta Italia sui social network (testo di Lucia Landoni, foto dal profilo Facebook del veterinario )

 con questa  discussione

aniela Tuscano Eutanasia sugli animali è crudele. Eutanasia sulle persone è un diritto.

Compagnidistrada Anche su gli uomini
Mi piaceRispondiCommento di Giuseppe Scano9 h


  Ora   molte  gente     chi  :   in buona  fede  (visto le   radici  cattoliche      e  la  disinformazione  e riduttivismo  dei media  )   chi   in  malafede (per  strumentalizzazione  ideologica  e culturale  )  confonde  i  termini ed  usa  i termini sbagliati   .  L'eutanasia, la libera scelta non può dipendere da una guerra di definizioni : Infatti  come  dicono MARCO CAPPATO e FILOMENA GALLO   qui su  repubblica  del  28\2\2017 : <<  Nel dibattito in corso, la guerra delle definizioni allontana la possibilità per il cittadino di comprendere, e soprattutto allontana dalla chiarezza della decisione di fondo: alla fine chi sceglie ?  >> (  ....  continua  qui  ) .  Infatti   suggerisco   di leggere  ad   entram bi gli  schieramenti  prima d'iniziare a parlare  e confrontarsi
  questo   articolo

“Il dizionario del fine vita” di Maria Novella De Luca (  sempre  su  Repubblica 28.2.17 )


Eutanasia, la libera scelta non può dipendere da una guerra di definizioni
Fabiano Antoniani (dj Fabo), morto in una clinica Svizzera (ansa)
“”Eutanasia, suicidio assistito, accanimento terapeutico, rifiuto delle cure, sedazione. Libertà di vivere, scelta di morire. Nel grande e immenso tema del fine-vita le parole sono più importanti che mai. Perché è sui termini, e spesso sulla mistificazione di questi, che si gioca oggi la grande partita di leggi e protocolli che regoleranno d’ora in poi la vita di tutti noi. Con l’aiuto di Maurizio Mori, professore di Bioetica all’università di Torino, abbiamo provato a definire i termini più importanti che riguardano, appunto, il diritto o meno di poter decidere quando e come morire se gravemente malati.
ACCANIMENTO TERAPEUTICO. Si definisce “accanimento” la somministrazione di terapie sproporzionate per le condizioni del paziente, terapie che producono sofferenze estreme e non sono di alcun beneficio per il malato. «Il punto delicato – spiega Maurizio Mori – è chi decide se si tratta di accanimento, il medico o il paziente? Non esiste una legge che definisca qual è il limite tra la cura e l’abuso della cura, e in questa zona grigia il rischio di non rispettare il paziente è ancora molto alto».
Nessun testo alternativo automatico disponibile.BIOTESTAMENTO. Oppure Dat. Oppure Testamento biologico. Ognuna di queste definizioni ha sfumature diverse ma la sostanza è la stessa, sia che vengano definite testamento, o “Dichiarazioni anticipate di trattamento” come nell’attuale proposta di legge che verrà discussa la prossima settimana alla Camera. Spiega Mori: «In tutti i casi si tratta di una dichiarazione, scritta ora per allora, in cui la persona specifica quali sono le cure a cui vorrà essere sottoposta quando si troverà in una determinata situazione di malattia o disabilità. E soprattutto quando e come le cure dovranno essere interrotte, e quale il limite oltre il quale i sanitari non potranno proseguire con i trattamenti». Sembra semplice, in realtà le posizioni etiche e politiche sul testamento biologico restano nel nostro paese abissalmente lontane.
EUTANASIA. È l’atto con cui il medico causa volontariamente la morte del paziente su richiesta del paziente stesso. La parola viene dal greco e vuol dire “buona morte”. Da non confondersi, assolutamente, con il suicidio assistito. È vietata in Italia e praticamente in tutta Europa tranne che in Belgio e in Olanda, dove è stata ammessa, tra durissime polemiche, anche per i minorenni. In commissione Giustizia giace una legge per la depenalizzazione dell’eutanasia, ma è assai difficile che approdi, né ora né mai, al dibattito parlamentare. Il mondo cattolico parla poi anche di “eutanasia passiva” per definire il rifiuto delle cure da parte del malato, e la sospensione di queste da parte del medico. Ma gran parte dei bioeticisti afferma che questa definizione non esiste, perché il rifiuto delle cure è qualcosa di ben diverso dall’eutanasia.
RIFIUTO DELLE CURE. Nel nostro paese è legittimo e sancito dall’articolo 32 della Costituzione il diritto di rifiutare le cure. In ogni momento il paziente può ottenere la sospensione dei trattamenti medici, in qualunque fase della malattia. I problemi sorgono, naturalmente, in assenza di una legge sul testamento biologico, quando il paziente non è più autonomo e in grado di far valere le sue volontà. Come ad esempio, nel caso di Eluana Englaro, a cui alla fine della lunga battaglia giudiziaria del padre Beppino, furono sospese la nutrizione e l’idratazione artificiale (vuol dire mangiare e bere attraverso un sondino o attraverso la Peg, Sossia un bottone posizionato nella pancia, e nel quale viene immesso il cibo frullato o artificiale). Questo è un punto cruciale, sia per quanto riguarda il testamento biologico sia per la sospensione delle cure. Chiarisce Maurizio Mori: «C’è chi ritiene idratazione e nutrizione terapie mediche, di cui è lecita l’interruzione, e chi invece le definisce sostegni vitali e quindi impossibili da sospendere». La legge sul biotestamento in discussione al Parlamento prevede che si possa ottenere lo stop dell’alimentazione artificiale.
SEDAZIONE PROFONDA. È una pratica della medicina palliativa. Consiste nel somministrare al paziente, su sua richiesta, farmaci che ne annullino progressivamente la coscienza, allo scopo di alleviarne i sintomi fisici e psichici, nelle condizioni di imminenza della morte. È ciò che chiedono spesso i malati terminali, in particolare i malati di Sla quando rifiutano le cure per poter morire senza dolore. Il caso emblematico è quello di Piergiorgio Welby che la ottenne, dopo essersi fatto togliere il respiratore.
SUICIDIO ASSISTITO. Da non confondere mai con l’eutanasia, ed è la strada scelta per morire dal Dj Fabo. In strutture a questo dedicate, il paziente beve autonomamente il cocktail di farmaci che lo porteranno alla morte. È dunque un atto volontario del malato, e per questo non deve essere confuso con l’eutanasia. Vietato in Italia, è invece permesso in Svizzera, e sono ormai centinaia i pazienti in fase terminale che spesso accompagnati dai parenti, e grazie ad associazioni come “Exit”, giungono nello chalet d’oltralpe dove assistiti da medici e infermieri muoiono dolcemente. Per ottenere il suicidio assistito si devono presentare cartelle cliniche che attestino la fase terminale della malattia.”

L'immagine può contenere: sMS
concludo  rispondendo  a  chi  mi dice ed  accusa  che   che sono per una cultura di morte o che solo dio può e darti toglierti la vita , ecc rispondo condividendo :  ciò  che ha scritto  Elisa  Fini      << (...) Per la legge italiana non puoi accompagnare chi sta intraprendendo questo cammino o vieni punito con un conconcorso in omicidio e 12 anni di reclusione. La cosa che trovo assurda e vergognosa è che si debba morire lontano da casa, solo e senza il conforto, senza un ultima carezza sul viso, senza un bacio in fronte. Lontano da chi ti ha amato e continua a farlo. E' ora di prendere seriamente in considerazione il diritto del libero arbitrio quando la propria vita (supportata da documentazioni mediche) non e' piu vita; perche le macchine si sono anteposte al volere di Dio....non il contrario !!!! Qui Dio non c'entra nulla.Qui e ora c'entra solo l'uomo. (...) >> sul  gruppo  fcebook  Eutanasia e Testamento Biologico




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(ANSA) - ROMA, 12 MAR - Alla fine hanno deciso di prendere il problema di petto, facendo uno sciopero, con tanto di presidio e un video per...