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17.5.19

combattere il fascismo ma senza comportarsi come loro

A sinistra c'è chi redige liste nere di personaggi in odore di nazismo. Un'aggressività simile a quella delle squadracce di destra che assediano i rom, minacciano di stuprare, alimentano l'odio di periferia.E' vero ma essi hanno un fondo di verità. In quanto quello di quei partiti ,citati nello striscione sotto, non è vero antifascismo o lo è di facciata  rispetto a  quello   vero è militante

E'  vero  che alcuni dei giornalisti citati lo siano sia direttamente sia in doppietto cioè  (  ma  non  solo  )  in giacca  e  cravatta   come  si diceva    ed  era  evidente  fino a qualche tempo fa

Infatti va bene denunciare chi lo è perchè il vero antifascismo è militante . Ma L’accusa di fascismo o di corrività verso il fascismo dovrebbe essere usata con una prudenza perché istituisce una strana classe di giudici che possono dare o togliere la patente di antifascista o viceversa accusare di nazismo qualunque scrittore che a loro non piaccia. È una follia, se non fosse più semplicemente un tragico errore.                          Infatti,sempre secondo quanto  dice  questo  articolo di https://www.lettera43.it/

[....] FARE LISTE DI GIORNALISTI SGRADITI, UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA Personalmente, pur essendo un non violento, metterei le mani in faccia, come si dice dalle mie parti, a chi rivolgesse a me le accuse che sono state rivolte a Corrado Formigli e a Enrico Mentana. Non c’è nessuna cattedra giornalistica autorizzata a dare patenti di antifascismo o a toglierle. Nel caso dei due giornalisti di La7 l’accusa oltre a essere ridicola è assolutamente infondata. Con loro è citato anche Piero Sansonetti, giornalista anticonformista, che spesso fa casino con le sue prese di posizione ma che ha un formazione e una cultura antifascista e di sinistra inattaccabili. Bisogna cominciare ad aver paura di queste liste quasi quanto paura dobbiamo avere dell’aggressività di squadracce di destra che assediano i rom, minacciano di stuprare le loro donne, alimentano l’odio delle periferie contro i diversi. Mettete la testa in acqua molto fredda, cari compagni improvvisati. L’antifascismo si vede innanzitutto dalla capacità di rispettare gli altri, e voi non lo fate. Siete una vera minaccia per la democrazia, come quelli di CasaPound.
 Ora come giustamente propone   questo articolo di  https://left.it/

[...] Di fronte a un sempre più preoccupante clima di sdoganamento di gruppi fascistoidi (come CasaPound e Forza nuova) e di disapplicazione delle leggi Scelba e Mancino, il liberalismo alla Voltaire ha le armi spuntate, poiché considera libertà di espressione la propaganda di pensieri violenti che mirano a ledere la democrazia e colpiscono l’integrità psicofisica di donne, migranti e di soggetti appartenenti a minoranze. Colpire i soggetti più vulnerabili è la vigliaccata di tutti i fascisti. Dal criminale di guerra Mussolini fino ai suprematisti degli anni Duemila. E allora, di fronte agli astratti distinguo di storici allievi di De Felice e di ex direttori di quotidiani mainstream che ammoniscono chi usa il termine fascismo per descrivere il pensiero di estrema destra legittimato dal ministro dell’Interno che pubblica con una casa editrice vicina a CasaPound (ne abbiano parlato sul numero scorso), pensiamo che sia salutare tornare a studiare la storia, ricordando il rifiuto netto del fascismo, la capacità di reagire e il coraggio di guardare lontano di partigiani come Pertini, come Ferruccio Parri (di cui Laterza ora ripubblica Come farla finita con il fascismo) e tanti altri. Durante la liberazione di Genova, quando i nazifascisti cercano di patteggiare una ritirata alla chetichella chiedendo di incontrare i capi partigiani, Remo Scappini e compagni risposero «Giammai!». Quando Lombardi nel 1974 fu chiamato ad un confronto televisivo con Almirante, l’esponente socialista lasciò la sedia vuota, come ricorda Musacchio nel pezzo di apertura di questo sfoglio in cui Filippi traccia l’incredibile mappa dei salotti tv – da quello di Mentana a quello di Formigli e oltre – che ospitano chi semina odio, contenuti razzisti, misogini e antisemiti. È falso il liberalismo di chi mette sullo stesso piano i partigiani e i ragazzi di Salò poiché i primi lottavano contro il nazifascismo, i secondi per imporre quel regime totalitario e criminale. Il politically correct di chi parla di “censura” negando che il fascismo sia un crimine, fa pensare a quanti danni abbia prodotto l’amnistia senza un processo di elaborazione collettiva, senza un processo ai fascisti, senza una Norimberga italiana. Fare i conti con la storia del fascismo significa anche aprire gli occhi su quelle forme striscianti che arrivano al potere inopinatamente. Come è accaduto in Turchia. Lo scrive Ece Temelkuran in Come sfasciare un Paese in sette mosse (Bollati Boringhieri) denunciando il regime imposto da Erdoğan che nei giorni scorsi è arrivato a cancellare il risultato delle recenti elezioni a Istanbul dove ha vinto un sindaco democratico. Fare i conti con la storia del fascismo significa anche vedere come il fascismo cresca nella «zona grigia». Gli ideologi nazisti non sarebbero riusciti a imporre il loro lucido e disumano piano di sterminio se non ci fosse stato il silenzio colluso dei gregari, degli ignavi, di chi si dice né di destra né di sinistra, facendo così il gioco delle destre, anche le più impensabili. Di fronte alla pericolosa fatuità grillina e al tiepido impegno del Pd che ha cancellato l’antifascismo dal proprio statuto, proponiamo qui non certo la violenta ghigliottina giacobina, ma una forte chiamata alle armi della conoscenza, della critica, della risposta democratica, senza se e senza ma. Per questo serve un pensiero nuovo, serve chiarezza di idee sulla realtà umana in cui la violenza non è innata, serve distinguere il grano dal miglio e un nettissimo rifiuto del veleno che si nasconde nella normalizzazione dell’autoritarismo e del fascismo mascherato. 



 Ma come dicevo prima occorre farlo distinquendo chi lo denuncia facendoceli conoscere ( come fece sergio zavoli in Nascita di una dittatura nel lontano 1972 ) meglio o fornendo anticorpi visto la sempre più scarsa conoscenza dela storia del 900 da parte delle nuove generazioni da chi invece li elogia \ li difende . Evitando liste di proscrizione inutili .

8.7.13

Massimo A. Alberizzi ( corriere della sera ) «L'Ordine dei giornalisti? È un carrozzone da buttar via»

unione sarda 7\7\2013
In Italia c'è una potentissima lobby di cui si dice poco, anzi niente: è l'Ordine nazionale dei giornalisti, una casta che per misteriose ragioni trova poco spazio su quotidiani e televisioni. Rispetto a quella dei magistrati (ma anche dei notai o degli avvocati) appare piuttosto timida a parlare di sé. E a parlare comunque: basti dire che da anni si discute di riformare l'accesso alla professione ma la questione resta sospesa, surgelata a perdere.
Nel nostro Paese i giornalisti si dividono in due categorie: pubblicisti e professionisti. I professionisti sono quelli che esercitano il mestiere a tempo pieno, alle dipendenze di una testata. Per essere definiti professionisti debbono affrontare un esame di Stato che prevede uno scritto e, se si riesce a superarlo, l'orale. Una leggendaria bocciatura porta il nome di uno dei più importanti scrittori italiani del '900: Alberto Moravia.I pubblicisti svolgono altri mestieri e si occupano di giornalismo come secondo lavoro, non scrivono con la frequenza dei loro cugini professionisti e, soprattutto, non fanno parte di una redazione. Qualcuno dice che è sbagliato chiamarli giornalisti, bisognerebbe trovare un altro termine per non creare confusione. Altri, in genere talebani della Casta, li definiscono addirittura giornalisti di serie B. Piaccia o non piaccia, sono però la spina dorsale dell'Ordine.Massimo (Arturo) Alberizzi, storico corrispondente dall'Africa per il Corriere della Sera, è leader di un gruppo ( Senza bavaglio ) che si batte per l'abrogazione dell'Ordine, considerato «costoso, inutile, corporativo, fuori dalla Storia, poco trasparente». Sessantacinque anni, due figli (uno ingegnere informatico in Kenya; l'altra - bocconiana - lavora per una Ong in Namibia), Alberizzi aveva programmato tutt'altro destino. Sognava di fare il chimico e intanto collaborava col Corriere. Quand'è scoppiato il caso Seveso, il giornale l'ha assunto in via definitiva. Prima ha lavorato alla Cronaca delle province, poi è passato agli Esteri e da lì ha spiccato il volo.Nel 2003 il Consiglio di sicurezza dell'Onu lo ha reclutato in un team di esperti incaricato di investigare sul traffico d'armi in Somalia, tre anni più tardi - sempre in Somalia - è stato sequestrato dagli islamici su commissione di signori eritrei della guerra. Deve il ritorno in libertà allo sceicco Hassan Dawer Aweis, che gli americani considerano («sbagliando») un terrorista.A sentir parlare di Ordine dei giornalisti, Alberizzi si carica di ironia e indignazione. Lo considera molto peggio d'un qualsiasi ente inutile e ritiene sia arrivato il momento di celebrargli il funerale. «Così smetteremo di essere una corporazione e diventeremo una categoria moderna e pulita».

Perché ce l'ha con l'Ordine dei giornalisti?
«Prima di tutto perché l'Ordine dei giornalisti non è fatto da giornalisti. Attualmente gli iscritti sono centodiecimila, sessantamila negli Stati Uniti, quarantamila in Francia. A dilatare le fila sono i pubblicisti».
Cioè?
«Gente che nella vita fa altro: commercialisti, avvocati, farmacisti ma anche panettieri, venditori di vernici, pr e così via, mestieri diversi, dignitosi e legittimi per carità ma che niente hanno a che vedere col giornalismo».
Com'è strutturato l'Ordine?
«Tenetevi forte: ha un Consiglio nazionale composto da 150 membri (75 professionisti e 75 pubblicisti). Ogni seduta costa più o meno 150mila euro. Le trasferte nella sede nazionale, a Roma, prevedono un rimborso di 250 euro al giorno tra alberghi e pranzi e una diaria quotidiana di 150 euro».
Cosa fa l'Ordine?
«Diciamo prima quello che non fa. Conta al suo interno commissioni e gruppi di lavoro a cui partecipa gente che non ha mai scritto un articolo o fatto un titolo. Gente che arriva a Roma spesata di tutto e con l'aggiunta della diaria. Evidente l'obiettivo: incassare le prebende dell'Ordine».
E lei è furiosamente contrario.
«Quattro colleghe del mio gruppo, Senza bavaglio , sono state elette di recente. Hanno il compito di verificare quello che succede e denunciare questo scandalo che è sotto gli occhi di tutti senza però che nessuno alzi un dito e magari protesti».
Ce l'avete con l'elefantiaco Consiglio nazionale?
«Come si fa a parlare di Casta e fingere di non averla in casa propria? In Campania e Calabria c'è un numero di pubblicisti che raggiunge quello di Milano e Roma, come se la capitale dell'editoria fosse laggiù».
Tra poco arriverà la selezione: laurea obbligatoria per iscriversi all'Ordine.
«Abbiamo un'opinione decisamente opposta. Siamo contro l'imposizione della laurea per esercitare il giornalismo e contro l'obbligo di frequentare (prima dell'esame) un corso a pagamento organizzato dall'Ordine dei giornalisti, vera e propria gabella che favorisce mafie e consorterie, balzello inutile e costoso a carico dei più deboli, i praticanti, ossia gli aspiranti professionisti».
Sospetta inciuci?
«Peggio. Tant'è che renderemo pubblico l'elenco di coloro che siedono nei Consigli regionali o in quello nazionale dell'Ordine e contemporaneamente hanno incarichi retribuiti nelle scuole di giornalismo. Chiederemo a costoro che si dimettano, in nome dell'etica e del buonsenso».
Cosa rimprovera alle scuole dell'Ordine?
«Sono troppe. Non rispondono ad alcuna esigenza se non quella di foraggiare consorterie e lobby. La maggior parte va chiusa e non se ne devono aprire di nuove».
E la formazione professionale?
«A garantirla bastano e avanzano le facoltà universitarie, già di per sé esorbitanti rispetto alla domanda di nuovi giornalisti e al numero di disoccupati».
Niente da ridire almeno sull'esame di abilitazione.
«Lasciamo stare. Cercheremo di imporre criteri trasparenti per la nomina dei commissari. Nel futuro dell'Ordine ci sarà battaglia: siamo stufi di marchette e di chi se ne avvantaggia. Vogliamo che sia resa pubblica la condizione giuridica delle varie sedi: di proprietà o in affitto?, chi c'è dietro un eventuale acquisto e a quanto ammonta il conto?»
Non salvate niente.
«Abbiamo fatto nostra una riflessione di Joseph Pulitzer: non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri. Questo chiediamo a chi fa giornalismo, questo pretendiamo dall'Ordine».
Ma l'Ordine...
«L'Ordine non esiste in nessun Paese occidentale avanzato. Qualcosa di simile c'è in Polonia e Portogallo, che non rappresentano grandi esempi sul fronte della libertà di stampa».
Dunque abrogazione?
«Nel 1945 Luigi Einaudi si espresse con queste parole contro l'istituzione dell'Ordine: giornalisti sono tutti coloro che hanno qualcosa da dire o si sentono di esprimere la stessa idea che gli altri dicono o presentano male. L'albo, poi, è un comico nonsenso. Non esiste un albo dei poeti, non può esistere un albo di giornalisti. È chiaro cosa voleva dire Einaudi?»
Provi a spiegarlo.
«In un Paese democratico nessuno deve avere il diritto di decidere chi può fare il giornalista e chi no. È pensabile che occorra una sorta di patente per poter esercitare questo mestiere? All'estero, è stato ripetuto fino alla nausea, l'Ordine non esiste e spesso non esiste neppure il valore legale del titolo di studio».
Da noi invece?
«Da noi per fare il giornalista vogliono rafforzare i controlli, alzare le barriere. Tutti laureati dunque, come se la laurea garantisse a priori qualità che un diploma universitario non sarà mai in grado di dare, per esempio la faccia tosta necessaria a costringere i familiari di un morto ammazzato a consegnarti la sua fotografia o la forza per tenere a bada un direttore che ti chiede di violare la deontologia professionale».
Quindi?
«L'obbligo della laurea è un alibi per chi sostiene di aver risolto in questo modo l'accesso alla professione. Basterebbe invece che non venissero assunti gli amici, gli amici degli amici, i raccomandati o i fedeli anziché i bravi, i preparati, i volenterosi. Non è un caso che nel mondo anglosassone si parli di condizione professionale anziché di professione e basta».
Con quali regole?
«Semplice. Quando stai esercitando il mestiere a tempo pieno per una qualunque testata (e senza obbligo di laurea o di esami) sei nel pieno di una condizione professionale, titolo che perdi non appena smetti di lavorare o cambi mestiere. E soprattutto lo perde chi passa dal giornalismo alla politica».
Intanto stanno emergendo nuove figure professionali.
«Si tratta dei citizen journalist, cittadini qualunque che, all'occasione, diventano reporter. Hanno invaso il web, i blog, i dibattiti on line. Non a caso la Bbc o Sky lanciano appelli per ricevere informazioni dal basso: inviateci le vostre foto, i vostri video, le vostre testimonianze...»
Sono i giornalisti del futuro?
«Non lo so ma ai colleghi che si preoccupano dei controlli sull'attendibilità del Citizen journalism vorrei far presente che sui nostri giornali e sulle tv assistiamo a un boom della cattiva informazione e disinformazione, servilismo, scopiazzature, subordinazione al marketing, cronache trash».
Ma l'Ordine, se ravvisa (ammesso che ravvisi), può intervenire?
«Cane non mangia cane. Guardate com'è andata a finire la storia del giornalista Renato Farina che lavorava per i Servizi segreti col nome di agente Betulla. L'onestà, la correttezza di un giornalista non può essere affidata ad altri giornalisti».
E a chi, sennò?
«Un redattore che siede nel Consiglio dell'Ordine può davvero giudicare il suo direttore?, può giudicare il collega che al giornale gli siede nella scrivania a fianco? Per non parlare di pressioni e spinte indebite».
In conclusione, l'Ordine è da buttare?
«L'Ordine è una roccaforte di potere, un carrozzone, nonché una catena di montaggio che sforna a ripetizione nuovi giornalisti senza arte né parte. Nelle scuole ci sono evidenti commistioni d'interesse tra consiglieri dell'Ordine che fanno gli insegnanti negli istituti che loro stessi hanno contribuito ad avviare. È un vero scandalo che non riguarda i singoli ma l'istituzione in quanto tale».
Seppellito l'Ordine, che fare?
«Il controllo sui mass media dovrebbe essere affidato a un organismo nuovo, una sorta di Gran Giurì dell'Informazione, nel quale sia rappresentata la società intera, i giornalisti devono essere in minoranza e la politica tenuta fuori dalla porta».
Che farebbe il Gran Giurì?
«Avrà compiti di tutela della deontologia e onestà dell'informazione, terrà un elenco di giornalisti e avrà il potere di infliggere sanzioni a giornalisti, direttori, editori».
E se invece non succede niente?
«La nostra professione continuerà a sprofondare sempre più nella burocratizzazione, nel fiscalismo e soprattutto nella soggezione al potere politico ed economico».




19.1.09

CARTA STAMPATA GIORNALI E GIORNALISTI










dal blog di rosdrudidurella:                                                                        http://www.diteloame.splinder.com








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Carissimi amici blogger,



da un pò di tempo, ogni volta che apro il quotidiano ( minimo due ogni mattino) ho la sensazione di leggere un giornale vecchio.
Colpita dal grande " degiavù" vado a controllare la data riportata per essere sicura di non averne preso uno "scaduto".
Riflettendo capisco il motivo di tale sensazione. Oggi in rete le notizie arrivano prima che sui giornali,  ma sono mera cronaca, la notizia in sè punto. I tg delle varie tv (ne abbiamo una vasta scelta dal satellite, alla tv generalista, alla tv digitale terrestre a quelle regionali ed alle tv piccole di quartiere o cittadine).  ll giorno dopo sui quotidiani leggiamo le stesse cose appena viste nel tg della sera precedente.
Una domanda mi solletica mente e orecchie come fosse suggerita da una coscienza maliziosa, la mia.
Se oggi i direttori dei vari quotidiani italiani, lamentano la crisi di vendita degli stessi, e se i pochi lettori che li acquistano, poi si ritrovano notizie "già vecchie", allora perchè il quotidiano non torna a fare quello che dovrebbe da sempre e che una volta sapeva fare benissimo?! ....
Il quotidiano può, a differenza dei tg e della rete, approfondire gli argomenti uscendo dalla cronaca spicciola e fine a se stessa. Con tutti i giornalisti che abbiamo, molti dei quali eccelsi, perchè non tornare all'indagine sui fatti più scottanti ed anche su quelli poco noti, all'approfondimento serio, portando a galla situazioni sconosciute, celate e non chiare o capite ?!.
Una volta questo era l'abc di un quotidiano, mentre oggi oltre a trovare insopportabili sgrammaticature nei testi (non esiste più il correttore di bozze e si vede), passate per errori di battitura, si legge negli articoli ( a parte le rare eccezioni) superficialità e sciatteria.
Troppo spesso si nota la scarsa conoscenza di chi scrive in merito all' argomento, e che invece d'informarsi  in modo serio, ha solo cliccato su google, la domanda lecita è,  " Ma non esiste più un criterio per assegnare la scrittura dei pezzi privilegiando chi ne sa o ne è specializzato?"
Non voglio entrare in un territorio che non mi appartiene, ma solo esprimere un pensiero da lettrice,  mandarndo un consiglio ai vari direttori di giornali che seguono la rete in modo attento. Invece di "rapinarla" per idee e quant'altro con la scusa che si fa prima.
Se si vuole tornare ad una vendita ampia dei quotidiani e quindi conquistare nuovi lettori, con larghe fette nel bacino dei giovani,  si devono cambiare le logiche.
Scrivendo articoli che siano tali per esperienza e competenza di chi li scrive con approfondimenti fissi, indagini, dove il giornalista può dire o suggerire il suo pensiero o insospettire e alzare polveroni  dovuti su fatti  veri e non da gossip.
Che gli stessi (i giornalisti) vengano scelti e messi nelle condizioni di lavorare liberamente, per meritocrazia e non per altre vie. Che si crei una concorrenza a botte di eccellenza tra un quotidiano e l'altro grazie agli articoli firmati dai giornalisti, concorrenza positiva che spinge noi lettori a leggerli per vedere cosa ne pensa l'altro cosa ha scritto ecc.
Ne abbiamo tante di penne doc, usiamole.
Fin quando i quotidiani resteranno a bordo del ring mediatico per elemosinare brandelli di notizie già smunte, il destino della stampa sarà segnato e questo in un paese che si definisce democratico, non deve mai accadere! Non so se si è capito, ma amo la carta stampata, e se chi ne è ai vertici , l'affossa, la  puzza di marcio  dilaga. Oggi molti giornalisti aprono un blog per poter scrivere e dire quello che sul giornale non gli è più permesso.
Sempre perchè pensiamo di vivere in un paese "democratico", che sceglie per convenienza e mai per merito, che affossa chi è capace e premia gli asini nel nome del proprio interesse.
so bene che quanto ho scritto nell'ultima riga vale oggi, anche per tutti gli altri lavori, ma l'informazione e l'approfondimento fanno parte della cultura di un popolo e del loro futuro.

Buon inizio settimana a tutti,
































Rossella













10.9.07

Riflettori sulla MAFIA

Minacce al cronista della sede palermitana dell'«Ansa» e corrispondente de «La Stampa» Lirio Abbate, già sottoposto a intimidazioni nei mesi scorsi a causa del suo libro «I complici- Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento», scritto in collaborazione con Peter Gomez .
Nelle loro analisi Abbate e Gomez hanno descritto una trama (per altro tratta da documenti delle inchieste dei magistrati, ma correlati da inchieste svolte da bravi giornalisti e soprattutto messi insieme da una filo logico che percorre il libro dall'inizio alla fine) che non risparmia nessuno: e tanto per essere chiari fanno nomi e cognomi di chi ha avuto rapporti di favori e scambio con i boss mafiosi.
E' proprio scrivendo quei nomi e cognomi che Lirio Abbate ha pestato i piedi a chi oggi comanda in Cosa Nostra.Sabato scorso, a Palermo, c'erano tutti alla passeggiata di solidarietà che si è trasformata in una manifestazione: non solo sindaci e giornalisti a “passeggiare”,ma anche quelle persone di Palermo che vogliono vivere senza gioghi di sorta, senza ombre e combattere apertamente la Mafia.

'La libertà d'informare,
senza dovere temere per la propria vita o incolumità,
è un patrimonio prezioso che appartiene a tutti i cittadini.
In Sicilia e nel Mezzogiorno, poi, questa libertà
si lega alla lotta per la liberazione dal giogo mafioso e dell'illegalità in generale.'
Bloggers, uniamoci
affinchè i riflettori restino accesi,
con uguale dignità e serietà
perché non è assolutamente normale morire
mentre si cerca e si racconta la verità
e perché non diamo alcun alibi
né ombre
alla violenza.




Siate con noi.






16.6.07

Senza titolo 1891


La mezza verità sulla Diaz non basta, e occulta la verità sul G8 di Genova



di Gennaro Carotenuto


 
  Sulla Diaz e il G8 sta emergendo una mezza verità fuorviante. Si ammettono le violenze, ma si cancellano le motivazioni che portarono all'irruzione nella scuola. Il vice questore Michelangelo Fournier l'ha chiamata "macelleria messicana", ma non c'era bisogno di attraversare l'Oceano.



Le immagini del termosifone della Diaz, mostrate dal TG di Sky, con quell'enorme macchia di sangue raggrumato, riportano indietro di sei anni. Riportano all'alba di quella domenica mattina del 2001, quando chi scrive è entrato alla Diaz dopo aver attraversato a piedi Genova deserta. Di quella visita due dettagli mi hanno poi perseguitato per mesi. In primo luogo quel termosifone, con quell'enorme macchia di sangue raggrumato. Ancora adesso faccio fatica a credere che la persona che ebbe la testa fracassata contro quel termosifone sia sopravvissuta. Il vicequestore Michelangelo Fournier racconta di una ragazza che perdeva sangue così copiosamente da pensare impossibile che sopravvivesse, racconta di quello che a lui sembrava materiale cerebrale. Racconta le stesse cose che ricordo io, e decine o centinaia di altre persone. Ma doveva dirlo lui, un vicequestore, perché bucasse, anche se solo per un istante, il muro di omertà elevato dai media e dalla classe politica tutta sui fatti di Genova.


La verità di Fournier racconta i fatti, quelli che decine di testimoni avevano già raccontato senza essere creduti, ma non li spiega. La verità di Fournier può ancora collocare la Diaz nella categoria della frustrazione, della tensione sfogata, dello scoppio d'ira, della vendetta -che quando è compiuta dalle forze dell'ordine va ascritta alla categoria di rappresaglia- ma tutto sommato può essere archiviata come sbagliata, immotivata, irrazionale, estemporanea, casuale, non programmata, non avente alcun obbiettivo pratico. Davvero la violentissima irruzione alla Diaz, dove erano noto che fossero ospitati un centinaio di pacifici attivisti della comunicazione fu casuale?


LE PROVE DEL GSF La riapparizione di quel termosifone inondato di sangue dalla penombra della memoria è stata uno choc. Non lo fotografai, forse perché era così vivo da non essercene bisogno. In tutti questi anni non era in altro luogo che nella mia mente, ho perfino cercato di convincermi di averlo immaginato. Rivederlo per la prima volta in un TG è stato come un secchio di acqua gelata, come il pezzo di un puzzle che chiama un altro pezzo per completare il quadro.


Recupero un mio articolo, scritto all'epoca per il settimanale uruguayano Brecha, del quale ero inviato, dividendomi tra il G8 ufficiale e il Genoa Social Forum (GSF) che aveva il centro stampa proprio alla Diaz: "i locali, che fino a poche ore prima ospitavano il nostro lavoro, sono completamente distrutti. Il pavimento è un tappeto di macerie, sacchi a pelo, libri, quaderni, creme solari, assorbenti femminili, medicine, e sangue. Sangue da tutte le parti, sulle pareti, sul pavimento, tra i vestiti ammontonati, nelle scale, sui termosifoni. Siamo di fronte ad un luogo dove la democrazia è stata sospesa. [...] Ci descrivono la distruzione metodica dei computer, il sequestro dei dischi rigidi, ci raccontano la ricerca feroce di qualunque cosa che sembrasse una pellicola di foto o di video. Sono le prove che il GSF aveva promesso per testimoniare le violenze subite nei giorni anteriori".


E allora ricordo, ricordo perfettamente una parete della palestra dove più macerie erano accumulate, più vestiti, più oggetti personali insanguinati, ma soprattutto erano buttati lì decine e decine di rollini, oramai esposti alla luce e resi inservibili. Non posso più rimuovere. La violenza della Polizia che per sei anni è stata negata e adesso viene spiegata come irrazionale, dovuta all'esuberanza di pochi agenti particolarmente stressati, con catene di comando interrotte per salvare i veri responsabili, non lo fu affatto.


Ci fu la Diaz, perché c'era stata Genova. E dentro la Diaz c'erano decine di migliaia di foto, video e documenti sulle violenze dei due giorni anteriori che i presunti "terroristi" avevano interesse a diffondere e le forze dell'ordine, invece di sequestrare, distrussero perché non volevano fossero diffuse.


Alla Diaz alcuni poliziotti commisero le violenze sulle persone, 70 feriti e 92 arrestati, poi torturati a Bolzaneto. Ma ci furono soprattutto (e restano ancora totalmente nell'ombra) quelli che entrarono per distruggere le prove delle violenze del venerdì e del sabato. E' questo il vero motivo dell'irruzione alla Diaz nella notte tra sabato e domenica, altrimenti totalmente immotivata, o motivata con bugie dalle gambe corte.


Certo non tutti i poliziotti che infierirono su ragazze e ragazzi indifesi erano coscienti del perché erano lì. Ma un gruppo di loro, ben più addentro, aizzò e usò i colleghi per poter agire, distruggere metodicamente computer, esporre alla luce decine e decine di rollini, in nessun luogo concentrati come alla Diaz quella notte, già che il GSF, sbagliando, aveva chiesto che lì si concentrassero le prove delle violenze. Per quello l'assalto fu alla Diaz e non al Gaslini o alla Sciorba o in altri luoghi dove si concentravano militanti in qualche caso meno pacifici di quelli della Diaz. Fosse stato per vendetta, sarebbero andati a cercare i Disobbedienti, o i Black Block. Ma non interessavano.


A Genova successero molte cose. Un movimento forte, plurale e rigoglioso, si stava saldando e doveva essere messo in un angolo. Per farlo fu usato il terrore. La Diaz servì a distruggere le prove e ammettere quella violenza ma solo per farla passare come casuale ci allontana dalla verità.


Fonte: http://www.gennarocarotenuto.it

22.11.06

Senza titolo 1509

Quanta  acqua  è passata soptto i  ponti 
 da  repubblica online 

Radio Days, trent'anni di libertà via etere


di Claudia Spiti

Una mostra itinerante celebra i 30 anni dalla sentenza della Corte costituzionale che pose fine al monopolio della radio di Stato

Il 28 luglio 1976 la sentenza nº 202 della Corte costituzionale sancì la legittimità di trasmissioni radiofoniche private, purché a copertura locale: iniziava l'era della libertà d'antenna. A trent'anni di distanza una mostra celebra le radio italiane in Fm, un evento partito da Bologna a settembre e che toccherà varie città italiane fino alla conclusione, a Roma, ad ottobre 2007.

Già a partire dagli anni '60 c'era qualche alternativa ai tre canali Rai, e veniva dall'estero. C'era Radio Vaticana, ovviamente. Prima ancora, si potevano ascoltare le trasmissioni (in lingua straniera) di Radio Caroline e Radio Luxembourg. Dal 1966 iniziarono le trasmissioni in italiano di Radio Monte Carlo: al microfono dj-animatori come Awanagana, Ettore Antenna, Luisella Berrino, con un ritmo e uno stile completamente diversi dalle "voci" della radio pubblica. Poi fu la stagione dei "Cento Fiori", le radio libere e artigianali. Iniziarono a trasmettere regolamente Radio Parma, Radio Milano International, Radio Città Futura: la sentenza della Corte Costituzionale fece uscire dalla clandestinità i pionieri dell'etere, e dal 1976 in poi fu tutto un fiorire di emittenti, alcune destinate a soccombere (come Radio Alice, legata al movimento studentesco bolognese, chiusa in diretta da un'irruzione della polizia), altre sopravvissute ai giorni nostri, evolute in vere e proprie imprese commerciali che vendono spazi pubblicitari.
La mostra "Radio Fm  1976\2006 non segue un percorso cronologico: oggetti d'epoca, immagini, jingle e filmati sono raccolti in blocchi tematici: l'informazione in radio, radio e intrattenimento, la radio e i bambini, il futuro del mezzo. Interessante la galleria di fotografie "storiche", personaggi e star radiofoniche e televisive di oggi ritratte alle prime armi, quando erano semplici "ragazzi della porta accanto" alle prese con un microfono e la voglia di raccontare.     Quattordici i punti audio dai quali è possibile ascoltare interviste e programmi, mentre cover dei dischi, strumentazioni e racconti dei testimoni aiutano a ripercorrere la storia del mezzo in questi ultimi trent'anni. Il tutto accompagnato dalle vignette di celebri disegnatori quali Altan, Stefano Disegni, Milo Manara, e da una personale fotografica di Andrea Samaritani, un reportage realizzato nel 2005 in diversi studi radiofonici italiani. Trattandosi di una mostra itinerante, una sezione sarà di volta in volta dedicata alle peculiarità delle esperienze radiofoniche della città sede dell'evento, coinvolgendo le radio e i personaggi locali.
"Radio
Fm 1976\2006 è anche un volume celebrativo, a cura di Giovanni Cordoni, Peppino Ortoleva e Nicoletta Verna. La storia, i generi, i linguaggi, le tecnologie del mezzo attraverso contributi di importanti ricercatori, personalità del mondo della comunicazione, studiosi italiani e d'oltralpe e giornalisti. Radio FM   1976\2006  trent'anni di libertà d'antenna prossima tappa, Padova, 25 novembre/10 dicembre 2006 a seguire Alessandria, Arezzo, Asti, Bari, Catanzaro, Cesena, Crema, Forlì, Genova, Lecce, Livorno, Milano, Napoli, Piacenza, Pisa, Reggio Emilia, Torino, Udine, Vercelli, Roma.Ingresso libero  www.30annidiradiofm.it
 




12.6.06

Un grande uomo giornalista

“Abbiamo combattuto contro il nazismo e il fascismo, molti hanno dato la vita per la libertà, mai avrei pensato che un giorno nel nostro Paese si tornasse a parlare di epurazione, censura, regime, secessione e si mettesse in discussione la Carta dei Padri della Patria.”

Enzo Biagi, un  grande giornalista, ma soprattutto un grande uomo è tornato alla Tv nazionale. Ho guardato il viso di un uomo che ha molto sofferto per quanto ha subito in questi ultimi cinque anni. Voglio dimostrargli tutta la mia stima e simpatia e fargli avere un sorriso da chi come lui ha vissuto questi ultimi  anni con dolore.

Giovanna Nigris






emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...