La Giornata Mondiale del Malato, istituita ventun anni fa da Giovanni
Paolo II, non è mai stata una ricorrenza popolare.
Si tende anzi a dimenticarla. Molti ne ignorano addirittura
l'esistenza.
Il malato non fa rumore. E non solo quando langue in ospedale. Il
malato tende a rinchiudersi per quella sorta di strano pudore, che lo affligge
e lo umilia davanti agli altri. Si sente inadeguato. La sua prima malattia è la
solitudine.
Il tempo del malato procede al rallentatore. Se dovessi personificare
questa giornata, le darei le fattezze di don Bruno, prete dalla tonaca lisa,
impercettibile anche nella fisicità plastica e rotonda; eppure sempre lì, tra
ospedali e condomini, villette e sperdute casupole. Nelle sue visite, e alla
comunità, non manca mai di ricordare una vecchina, un bambino, una persona
adulta o un giovane (sì, soffrono pure i giovani, spesso più di noi) che lui
conosce ad uno ad uno, e che resta accartocciato dietro persiane mute, a
osservare lo scorrere delle ore. E da quelle ore, magari, spera emerga un
sorriso.Don Bruno ce li ricorda come un popolo in festa. Mancasse lui, si
creerebbe una voragine enorme.Il malato è l'imperfetto perché umanità nuda e indifesa. Vogliamo
rimuoverlo.Ma malati siamo tutti; e infelici quelli che nemmeno s'accorgono del
proprio dolore.
Malati ci ricordano che il dovere di ogni uomo, e di ogni donna, è
l'accompagnamento. Don Bruno è sempre in movimento, ma la sua figura si staglia
su albe placide e paesaggi familiari. Riporta nelle case sofferenti un dolce
sole.
Basterebbe, come lui, essere presenti qualche minuto, qualche ora, dare
a tutti i dimenticati un nome. Siano benedetti i malati, il silenzioso coro comunionale
che si leva dal pietrame delle nostre città.