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18.6.19

Faber è vivo": a Copenaghen il ricordo di Fabrizio de André a vent'anni dalla sua scomparsa.Presenti all'iniziativa tanti artisti ed emigrati sardi

forse il mercato italiano è saturo e non sanno più come vendere de andrè allora si ricorre al mercato estero #faber #fabriziodeandrè #20annifadeAndrè 



Un ricordo fatto di musica e parole, pensieri e emozioni e anche con la presenza di tanti artisti ed emigrati sardi. E con l'importante messaggio: "Faber è ancora vivo!", ribadito anche nel titolo dell'iniziativa "De André è vivo, viva de André", organizzata dall'associazione culturale Sarda "Incantos", l'Ambasciata Italiana in Danimarca, l'Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen e Claus Miller.A collaborare anche l'Istituto Fernando Santi e Pierpaolo Cicalò, la Fondazione Sardegna Film Commission, il Ristorante "San Giorgio" e la Trattoria "La Vecchia Signora", gestiti da una coppia di emigrati mogoresi, Olimpia Grussu e Achille Melis, la Fondazione Fabrizio De André e Arnaldo Bolsi.Due serate con un ricco programma e che hanno emozionato tutti gli ospiti anche grazie alla presenza dell'artista Dori Ghezzi, compagna di vita di De André.

Simone Grussu, fisarmonicista di Mogoro (foto Antonio Pintori)
Simone Grussu, fisarmonicista di Mogoro (foto Antonio Pintori)

"Sono passati vent'anni anni dalla scomparsa di Fabrizio De André. Tuttavia, chi con le sue canzoni ha riso e pianto, si è innamorato, arrabbiato e emozionato, chi grazie a lui ha scoperto l'impegno civile e politico non ha dubbi: Faber è ancora vivo!", hanno detto gli organizzatori. "Fabrizio De André è stato il primo artista che ha preso le distanze dalle canzonette italiane e ha proposto testi socialmente impegnati. Era uno spirito libero, un rivoluzionario ostinato e controcorrente, sempre dalla parte degli ultimi. Ha affrontato temi universali. Per questo i suoi testi hanno attraversato il tempo e restano attuali ancora oggi, parlando al cuore e alla testa di adulti e ragazzi".

L'EVENTO - Il via alla rassegna al cinema Gloria di Copenaghen, con la proiezione del film "Faber in Sardegna & l'ultimo concerto di Fabrizio De Andrè" del regista Gianfranco Cabiddu. Dopo il film, Dori Ghezzi e la presidente dell'Associazione Incantos, Olimpia Grussu, hanno invitano gli ospiti al ristorante San Giorgio, per un buffet tipicamente sardo e per asoltare "Volta la Carta" e alcuni degli artisti che poi si sarebbero esibiti al concerto.Il giorno dopo, nell'Istituto Italiano di Cultura Hellerup, la serata di musica e parole: "De André è vivo, viva De Andrè!". "Un grande omaggio a Fabrizio de Andrè, che ci ha emozionato tutti", ha confessato la stessa Olimpia Grussu. Sul palco gli artisti Margherita Canu, Feinschmecker Quartet, Alessandro Garau, Pablo Paolo Peretti, Simone Grussu, Gatto Rosso, Laura Spano, Baldovino, Beniamino Solinas, Manuela Mameli e Maria Ylenia Trozzolo.

Dori Ghezzi assaggia la carapigna (foto Antonio Pintori)
Dori Ghezzi assaggia la carapigna (foto Antonio Pintori)

La serata è iniziata con l'intervento di Dori Ghezzi, introdotta dall'ambasciatore Luigi Ferrari e intervistata da Emma Fenu. Al termine tutti gli artisti, insieme al pubblico, hanno intonato "Il pescatore". La serata si è conclusa con un buffet tipicamente sardo servito dal ristorante "San Giorgio" di Achille Melis. Graziano Pranteddu ha fatto degustare la carapigna e il torrone.LE EMOZIONI - Simone Grussu, fisarmonicista di Mogoro, uno degli artisti che si è esibito sul palco, ha detto: "È stato tremendamente bello esibirmi nell'Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen davanti agli occhi lucidi di Dori Ghezzi. Inoltre è stato motivo di grande orgoglio artistico e professionale aver avuto la possibilità di dividere il palco con artisti di grandissimo spessore. Sono inoltre felice che venga data la giusta importanza a eventi culturali di questo livello, perché investire sulla buona cultura è sempre un trionfo".
La stessa Olimpia Grussu, originaria sempre di Mogoro, ha concluso: "Due giornate indimenticabili. Abbiamo sentito la Sardegna vicina anche grazie al ricordo e alla musica di Faber".
IL VIDEO:


24.3.17

ma dobbiamo andare fuori per realizzare il nostro talento ? il caso di Gangalistics alias di Gabriele Mario Ganga, dj e producer sardo, 33 anni, sassarese

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"Noi sardi? Originali, senza rendercene conto". L'intervista a Gangalistics

Oggi alle 13:10 - ultimo aggiornamento alle 15:56

Gangalistics
Un videoclip, girato per le strade di Liverpool, di notte. E il lato oscuro della città che ne emerge, mescolato a una musica profonda come i battiti del cuore. Scuri, rallentati, riflessivi, come la linea dettata dal singolo che quelle immagini rappresentano, un pezzo pubblicato a firma Gangalistics. Una sigla dietro cui si cela Gabriele Mario Ganga, dj e producer sardo, 33 anni, sassarese trasferitosi da qualche tempo in Inghilterra per dare fondo alla sua arte. Un percorso - racconta lui - "iniziato da ragazzino, grazie all'hip hop e al giradischi".
Sembra un'epoca fa, quando si parla di dischi e vinile...
"Avevo 16 anni quando ho acquistato il mio primo giradischi e già seguivo la scena. Erano gli anni Novanta ed ero molto affascinato dal rap, come molti ragazzini".
E lei come ha affinato la tecnica?
"Ci ho dedicato molto tempo, molto. Ho cominciato a fare delle battle, le sfide tra dj, e in una, anche piuttosto importante, a Palermo. sono arrivato secondo".
Nel frattempo andava a scuola?
"Sì, certo. Ho fatto il liceo scientifico a Sassari, nonostante la propensione alla creatività e all'arte".
E la svolta?
"Quando ho iniziato a suonare live, tra il 2004 e il 2005, con i Malos Cantores. Lì è cambiato l'approccio perché, oltre ad aver partecipato al loro secondo disco, mi sono reso conto di cosa voleva dire suonare dal vivo. Abbiamo girato tutta la Sardegna".
Gangalistics
Gangalistics
Gangalistics quando nasce?
"Quando con Quilo – Alisandru Sanna, ex Sa Razza, fondatore dell'etichetta Nootempo e mc dei Malos Cantores – abbiamo deciso di fare uscire il mio primo disco, alla fine del 2009".
Viveva ancora in Sardegna?
"Sì, facevo la spola, come sempre, tra Sassari e Cagliari. Ho suonato forse più spesso in Campidano che al nord. Poi ho ampliato la mia visione sulla musica".
In che modo?
"Ho dovuto studiare un po' la musica. Il giradischi e il campionamento ti limitano nella produzione. Con grande sacrificio mi sono fatto un mio studio, ho comprato il primo synth, uno Yamaha Motiv, che non era tutta 'sta gran cosa, ma se sai come usarlo...".
E lei ha saputo farlo?
"Ho imparato a comporre, a sperimentare. Con il primo disco sono andato fuori dall'hip hop, con pezzi un po' bossa, elettronici, trip hop. Massive Attack, Tricky, Dj Krush, dj Shadow, quelli erano i miei riferimenti di allora".
Il video di "2Shy"
Quanto ha contato la famiglia in questa crescita?
Vengo da una famiglia di persone creative. Mio padre, architetto, ha insegnato per una vita all'istituto d'arte, mia madre ha sempre dipinto e insegna pittura all'università della Terza età. Siamo cresciuti in questo contesto.
Vi hanno spinto all'arte?
Sempre, mai ostacolati. Io sono stato writer, breaker, dipingo, disegno. Mio fratello - in arte Flub - ha approfondito di più questo aspetto. Ci siamo influenzati sempre uno con l'altro.
Il singolo "2Shy"
Il singolo "2Shy"
Quando decide di lasciare la Sardegna e andare a Liverpool? E perché?
"La musica. È stato uno dei motivi principali. Ho deciso di spostarmi perché volevo studiare qui. Questo è un mondo in cui si deve essere molto specializzati".
È cambiato il suo sguardo sull'Isola stando lì?
"Il mondo della musica e dell'elettronica è sempre uguale e si muove con le medesime dinamiche. La differenza tra noi e gli artisti internazionali sta nel fatto che loro sono influenzati da molti più stimoli e peccano a volte in originalità, per colpa di un mercato più vasto e forse più omogeneo".
E noi sardi?
"Noi abbiamo atteggiamento molto più originale e spesso non ce ne rendiamo conto perché non abbiamo un confronto vero con l'esterno. Ma le cose non sono cambiate sotto ai miei occhi, con Nootempo la "factory" di cui faccio parte non solo come artista, produciamo cose che suscitano interesse e che riusciamo spesso a diffondere. E questo vuol dire che, forse, stiamo facendo bene".

12.9.16

Adele Madau Odissea Concerto di Suoni e Sapori Premiere pirri 9.9.2016



Intervista ad Adele Madau, realizzata a Barcellona il 26 aprile 2009 nell'ambito della ricerca "Migrazioni-In viaggio verso i migranti di Sardegna" © www.deisardinelmondo.it
https://www.youtube.com/watch?v=uBmSvwhiRFY  I parte
https://www.youtube.com/watch?v=j4UaLZmOytg  II parte





Ora non potendo   fisicamente    andare  a  vederla ,  sono  3 ore di macchina più le spese  per  dormire  li  Ho deciso  di  intervistarla . visto   e  considerando l’originalità delle musiche create  da  lei  Cena e concerto di violino, come andare a teatro e avere la possibilità di appagare non solo l’udito ma anche il palato.
http://www.eko.cat/portfolio/  più precisamente qui 
 L'evento    si terrà Venerdì 9 settembre dalle ore 21:00 a Casa di Zia Ines, via Socrate 15 Cagliari - Pirri  ). Credo che  La  violinista  e  cuoca  Adele Madau  sta creando da  diverso   tempo  un innovazione  in ambito  culinario  e  musicale   fondendo insieme  a musica  e  cucina ora   aggiungendovi la letteratura più precisamente  leggendario viaggio di ritorno di Ulisse a Itaca. Ogni piatto e la sua composizione musicale raccontano un episodio dell'odissea
ecco  la mia  intervista

1) quali sono i tuoi punti di riferimento culinari e musicali oltre al Cooking jazz (time jazz 2006) una delle  più belle  , a mio avviso , edizioni di time jazz ?

Il cooking jazz non é stato un mio punto di riferimento. Avevo creato precedentemente questo format di spettacolo.
Paolo era molto interessato e ha avuto il mio progetto ma poi forse si é dimenticato di invitarmi anche perché immagino che abbia miglaia di proposte e io non mi sono fatta piú sentire. Non mi piace mischiare l'amicizia con il lavoro.
Il mio punto di riferimento culinario sono i miei genitori e le mie zie, oltre che i numerosi cibi di varie etnie che ho potuto assaggiare nei miei viaggi di lavoro, ormai in tutto il mondo.
Ma ció che mi ha dato l'idea di creare uno spettacolo che possa stimolare allo stesso tempo tutii e 5 i sensi degli spettatori, valorizzando i sensi meno usati nella creazione artistica, come l'olfatto e il gusto e esaltandoli con la música in vece che con la vista, é stata l'esperienza con il grande regista e inventoredel teatro sensoriale,Enique Vargas, con il quale ho lavorato a bologna nel 2000.
 2) come è nata l'idea di unire , oltre alla cucina , anche la letteratura classica in questo caso l'odissea ?
In effetti nel nuovo CONCERTO DI SUONI E SAPORI, l'Odissea il testo é usato solo come suggerimento. Solo alcune brevi frasi sono inserite nel contesto musicale. Parlano dell'odissea ma non sono di Omero. 3 frasi sono tratte dalla poesia “Itaca” di Kavafis e una frase é tratta dalla canzone “il canto delle sirene di De Gregori.
Alcuni episodi dell'Odissea mi hanno ispirato la creazione delle ricette e la drammaturgia di ciascun piatto e della música. Si potrebbe dire che ogni piatto racconta un episodio dell'odissea (l'isola dei lotofagi, il canto delle sirene e Polifemo) attraverso odori, suoni, sensazioni tattili e suoni
3) Ti fermerai oltre al classico Omerico oppure faria altre incursioni in ambito letterario che permettonmo similicontaminazioni si pensi Gargantua e Pantagruel di Rabelas ? e quale ti piacerebbe rapressentare ?
Faró un'altra cena su altri episodi dell'odissea perché é molto stimolante, piena di metafore e interpretazioni trasversali
4) vedendo questo video https://vimeo.com/57911735 puoi descriverci come fai a suonare e a cucinare contemporaneamente ?
Ci lavoro duramente dal giorno prima per preparare giá una parte delle cose da cucinare. Per esmpio il dolce e le salse. Poi durante la cena cucino praticamente solo la pasta e per il secondo ci pensa il forno. É molto duro peró ce la faccio. D'altronde ció che distingue il mio progetto da altri simili é proprio la profondita e la apertura dell'immaginario che ti da il fatto di respirare e cucinare i piatti per i quali crei la música. Comunque alcune volte ho un aiuto cuoco che impara le mie ricette.
5) visto che hai dato origine con il format chiamato concerto di suoni e sapori a tali iniziative come ci si sente ad essere pionieri di simili generi ?
Mi sento felice e orgogliosa perché mi rendo conto che la gente esce da questa esperienza veramente
emozionata e arricchita. A volte quando suono o creo música per esempio per un concerto penso: “ non é indispensabile che io suoni e che faccia la mia música, c`´e gente che suona molto meglio e scrive o ha scrittomusica molto piú bella” penso che alla fine lo faccio solo per mio bisogno, per esprimermi e anche perché él'unico lavoro che so fare. Invece quando creo e interpreto un concerto di suoni e Sapori penso che sia importante farlo e che sia importante per la gente partecipare.
6) visto la tua poliedricità artistica oltre a cene sensoriali quali sono i tuoi altri progetti artistici e musicali ?
Io da sempre mi occupo di creare música per la danza contemporanea . Sono direttrice musicale e interprete di molte delle coreografie di Sol Picó e Vero Cendoya ( due coreografe catalane molto importanti) Con i loro ultimi spettacoli stiamo girando un pó il mondo. Il mio progetto artistico é continuare a girare il mondo facendo il mio lavoro. Altro progetto é creare un duo violino chitarra e voce per eseguire alcune canzoni che ho scritto su poesie sarde. Poi ho il progetto di realizzare una versione multidisciplinare dell'inferno di dante nel molo di un porto. Cmq progetti en penso 1 alla settimana, solo che tra il dire e il fare cé di mezzo il mare.
7) oltre a le ricette e le preparazioni culinaruie di tua invenzione fai anche , ovviamente applicandovi la musica , cucine tipica \ tradizionale della tua terra ?
Nei miei menú cè sempre un richiamo alla Sardegna , in particolare in “ALBUM di FAMIGLIA” e “ALDILÁ DELMARE” rivisito ricette dellla tradizione sarda o inserisco prodotti sardi.
8)  in una intervista  a http://www.notizienazionali.net/  hai dichiarato :
<< (...)  

Le sue cene a cosa s’ispirano? Al mare, ma faccio anche delle cene vegane, considerando che la richiesta è iniziata ad aumentare. La decisione di fare
delle cene a tema vegane e non vegetariane e che il vegetariano mangia cibo vegano, mentre il vegano no.
(...)  
Ora  non è che non ti sembra un luogo comune , quando dici << il vegetariano mangia cibo vegano, mentre il vegano no. >> visto che ad esempio io ho un amico vegano ma che mangia anche vegetariano . e spesso tra amici facciamo delle cene
vegetariane , anche se non mancano visto che è una compagnia mista dei cibi din carne e pesce , dove l'amico vegano mangia anche dei piatti vegetariani .


Non sono molto esperta di questioni vegane e vegetariane, quindi si, probabilmente é un luogo comune, non lo so, a me hanno spiegato che i vegani non mangiano cibi di provenienza animale mentre i vegetariani per  esempio mangiano il formaggio solitamente. Ho anche una cliente vegana che peró mangia pesce crudo...scusa  l'ignoranza peró non ci capisco niente. Cmq gli amici vegani, vegetariani e anche tutii gli intolleranti a particolari  cibi, sono benvenuti alle mie cene. Preparo loro sempre qualcosa a parte, cercando il piú possibile di matenere  la drammaturgia del piatto.

 Ora saltando di paolo in frasca

9 ) visto che sei famosa ormai che ne diresti di rientatre fissa in sardegna e di riportare tutto a casa evitando di :
«Torno in Sardegna spesso, anche in estate, ma evito agosto perché mi viene da piangere ». Adele Madau, artista cuciniera-musicista, parla dei ritorni. "Spiaggia di Villasimius, Campu Longu si chiama; mi è capitato di rimanere in piedi,asciugamano tra le braccia, non c'era un metro quadrato per poggiarlo, neppure sulle rocce. Non sto esagerando. Poiodio questo: che permettano distese fisse di ombrelloni, notte e giorno. Ombrelloni e lettini. Per me in Sardegna
dovrebbe essere proibito. Non dico di tornare indietro, le cose cambiano, sono servizi che producono reddito. Ma nel
litorale di Torvaianica se vuoi l'ombrellone lo piazzano al momento e al tramonto levano tutto. Lo so che è lavoro in più,
però ci deve essere la possibilità, almeno in una parte della giornata, di vedere la spiaggia libera. Che è bella, e in fin dei
conti é un bene di tutti? >>

come ha dichiarato alla alla nuova sardegna del 4.9.2011
E poi la Sardegna  non è solo spiagge 


Famosa? Il mondo é grande, per me famosi sono per esempio i rolling stones.
Tornare in Sardegna é una buona idea, peró mi rimane tanto da vedere, conoscere e imparare. Stavo pensando anche di tornare e muovermi dalla Sardegna, ma con la situazione dei trasporti odierna mi é proprio passta lavoglia. Magari fra 10 anni se sono stanca di viaggiare torno nell' Isola. In primavera e d'estate ho voglia di mare e non vengo i Sardegna per andare in campagna. Per evitare il sovraffollamente vado in barca con un'amica in un angolo di paradiso che é giusto dietro la sella del diavolo. La bellissima campagna sarda la frequento di piú nelle belle giorate d'autunno e inverno e all'inizio della primavera

10 ) il tuo buddismo ti ha e ti sta aiutando ?
Dal mio punto di vista il buddismo é dentro di me e dentro ad ogni essere sin dalla nascita, solo che non lo utilizziamo sino a quando non en veniamo a conoscenza. Per esempio una persona puó benissimo vivere senza un braccio ma con le due braccia vive meglio. Immagina che una persona non abbia coscenza di avere due braccia. Un giorno un' amico gli dice: “guarda che di braccia ne hai due”. Ovviamente il braccio inutilizzato sará atrofizzato e avrá bisogno di molto allenamento e sforzo per tornare in forma.
Quindi si puó dire che io aiuto me stessa utilizzando tutto il mio potenziale grazie al buddismo.

11 )concludo con questa domanda che feci a Karim metref , ti senti più seme visto che risiedi all'estero e viaggi nel mondo ,.oltre i ritorni a casa , ti o radice visto che sei anche legata come dichiarato a sardi nel mondo
Mi sento piú seme perché non riesco a mettere radici da nessuna parte inoltre in questo momento non ho legami a parte la mia famiglia sarda.
12 visto che per lavoro visiti anbche l'oriente hai assimilato e riportato ( o che riporterai nei tui spettacoli ) qualcosa ?
Si, naturalmente, ho assimilato odori, suoni e sapori d'oriente
13) oltre alla tua pirri ed il tuo campidano toccherai con le tue tournè altre parti della sardegna ?
Vado spesso a ISILI dove collaboro con mia cugina Alessandra Pisci che é una cuoca di talento oltre che produttricé di bontá quali miele e suoi derivati, olio, vino e verdure. La prossima replica sarda di “ODISSEA” potrebbe essere lì a fine ottobre o in dicembre (dipende dai miei impegni con la danza).
14 ) altro d'aggiungere o retificare ?
No grazie Giuseppe














20.11.13

Marco Pinna, il chitarrista che ha stregato gli Usa: “La mia carriera da Strehler a Chester Thompson”

da  http://www.sardiniapost.it/

Articolo pubblicato il 7 novembre 2013

Marco Pinna
«Ho cinquantotto anni, portati con disinvoltura. Infatti non ho ancora cominciato a pensare a che cosa farò da grande». Marco Pinna è di una semplicità spiazzante e complessa, butta lì frasi apparentemente astruse e contraddittorie; in realtà è l’unico modo per descrivere le sue molte vite racchiuse in una sola biografia.Chitarrista per vocazione, diventata professione grazie alla tv .«Un giorno vidi un programma con quattro ragazzi che suonavano, erano i Beatles, da quel momento ho iniziato a studiare e a esercitarmi per conto mio col chiodo fisso di imparare al meglio». L’artist,a originario di Oristano, vive da due anni negli Usa, a Nashville.Nella capitale del Tennessee, famosa per ilcountry ma ormai punto di riferimento per tutte le sperimentazioni, c’è arrivato grazie all’intuizione e alla determinazione di un manager locale:«Ha sentito alcuni miei pezzi su internet e mi ha mandato un messaggio nel quale c’era la bozza di un bel contratto pronto da firmare e la richiesta di trasferirmi negli States. Non mi sono fatto pregare, così sono salito sull’aereo con mia moglie e la mia chitarra. Attualmente ho un visto speciale che mi permette di stare qui».Non che in Europa le cose andassero male, anzi: le sue performance gli avevano già fatto guadagnare una discreta notorietà. Lasciata la Sardegna nel 1979, Marco ha espresso ben presto il suo talento, lavorando negli anni ottanta con il maestro Giorgio Strehler; nel 2007 ha realizzato al progetto “Ses Cordas” con un altro chitarrista sardo, Roberto Diana. Nel 2011 il trasloco negli Usa. «Faccio solo e soltanto la mia musica. La chitarra con le corde in nylon, il mio strumento principale, qui è una novità assoluta e gli americani apprezzano proprio quest’aspetto».
Vita da nomade della musica che traspare anche nei suoi pezzi, caleidoscopio di sonorità che lui stesso definisce «incrocio di molte culture», Marco Pinna racconta volentieri e con entusiastica dovizia di particolari la sua quotidianità a stelle e strisce. «La mia giornata inizia alle sei del mattino, dopo un caffè e qualche lettura mi esercito seguendo una tabella piuttosto lunga e impegnativa al termine della quale lavoro nel mio studio per poi dedicarmi alle pubbliche relazioni. Spesso mi esibisco anche in altre parti del Paese, viaggio moltissimo e sovente mi capita di perdere la cognizione del tempo e dei posti perché tutto avviene in maniera veloce. Qui negli Usa – chiarisce – fare il musicista equivale ad avere un’azienda che ha bisogno per andare avanti di più figure: manager, avvocato, commercialista e agenzia di booking. Insomma, devi avere il profilo di un uomo d’affari con una struttura solida alle spalle che sia capace di sostenerti; il talento e l’unicità non bastano, devi essere serio e affidabile. Dal mio punto di vista gli Stati Uniti sono meravigliosi, lo Stato funziona benissimo ed è leale col cittadino, le regole sono poche e chiare. La libertà qui è sacra. Se vali, ti apprezzano e ti aiutano. Le persone in media sono molto cordiali e alla mano, darsi arie non è concepito. Per quanto ho potuto vedere sinora, il difetto è di non possedere un’identità culturale forte, anche perché stiamo parlando di una nazione giovane; per il resto ci saranno anche altri lati negativi, tuttavia io non li ho ancora notati».Nonostante manchi dall’Isola da più di trent’anni, il chitarrista rivela: «Nei miei brani non mancano i riferimenti alla mia terra che è fonte incredibile d’ispirazione. La Sardegna non è solo suoni, ma anche profumi, sapori, mare e luoghi che comunque mi mancano. Quando torno a Oristano, adoro passeggiare nel centro storico, soprattutto di notte, quando l’atmosfera mi comunica chiaramente che io, comunque, appartengo a questa città, anche se sono in capo al mondo. Qui ho amici straordinari che porto sempre nel cuore. Il risvolto che non mi manca e che ho percepito quando sono andato via è l’invidia, unita alla tendenza ad affossare chi si dava da fare; non so se le cose siano cambiate col tempo, ma, lo spero».Tra un ricordo e l’altro, Marco Pinna accenna anche ai suoi progetti professionali con un pizzico di sana scaramanzia e malcelato orgoglio: «Sto lavorando al mio primo cd americano, ti posso solo anticipare che alla batteria ci sarà Chester Thompson, al basso Victor Wooten, mentre alla chitarra ritmica avrò Kyle Nightingale. Saranno tutti fisicamente con me al momento della registrazione in studio. Il produttore è Denny Jiosa, il chitarrista di smooth jazz nominato per ben quattro Grammy Award».
Un bel traguardo, quasi raggiunto in pochissimo tempo, grazie al lavoro e alla volontà: «A chi vuol seguire la mia strada, mi sento di raccomandare sacrificio, applicazione costante e onestà intellettuale, sono tre ingredienti che possono portare molto lontano e la mia esperienza lo dimostra».
Giovanni Runchina

6.11.13

Nel labirinto del Sol Levante: da Nuoro a Tokyo, sola andata


Nel labirinto del Sol Levante: da Nuoro a Tokyo, sola andata
di GIORGIO PISANO

Adesso fa la 'soressa di italiano nella televisione di Stato del Giappone, un po' come faceva con noi il maestro Manzi negli anni Sessanta. Prima di tutto questo, destinazione finale di un cammino iniziato molti anni prima, Eva Cambedda era una ragazzina di sedici anni che girava per Nuoro, capelli rasati a zero e tribali di cinque colori. Una volta in piazza Italia una comare non ha resistito: non ti vergogni ad andare in giro conciata così? Fortunatamente no, difatti ha tirato dritto senza degnarla.
In famiglia, d'altra parte, era considerata «una che fa di testa sua». Figlia di un bancario e di una donna che ancora oggi insegue la pensione sulle macerie dell'Enichem Fibre di Ottana, ha annunciato la partenza verso l'altra parte del mondo con la stessa naturalezza di quando s'è messa in testa un futuro speciale, magari cominciando dall'Istituto universitario Orientale di Napoli. La famiglia è rimasta a guardarla mentre faceva con calma la valigia, nemmeno una parola che potesse far vacillare una decisione che in ogni caso non prevedeva Appello.
Peccato che la strada da Nuoro a Tokyo, sola andata e scalo intermedio in Campania, non sia semplicissima. Nel bagaglio dev'esserci molta testardaggine, un pizzico di autostima e la certezza che alla fine - quando il portellone dell'aereo si spalancherà su un mondo nuovo - non mancherà l'happy end
Trentaquattro anni, sposata ad un napoletano che l'ha seguita in questa avventura, Eva Cambedda ( foto a sinistra presa dalla sua pagina di facebok) non ha figli «ma un centinaio di studenti, tra i 18 e gli 85 anni, da accudire». A voler essere precisi, nella casa del quartiere dove abita - su un lungofiume presidiato dai ciliegi - ci sono anche quattro pesci che il marito confida di trasferire in un acquario più ampio per infoltire i residenti. «Stiamo al quinto piano di una zona molto tranquilla, un passo da Shibuya, che è il quartiere più vivace della città. Quando esco, saluto qualche vicino... cosa abbastanza insolita per i giapponesi. A un passo c'è un ristorante sardo, Tharros, dove mi fermo anche solo per un caffè. E la mia giornata può finalmente decollare».
La storia di Eva si racconta in poche righe: dopo aver inutilmente cercato un'occupazione legata alla sua laurea, ha deciso di abbandonare Napoli e cercare un'alternativa a Tokyo. Entrata con un visto studentesco, ha trovato lavoro (molto pesante) in un'azienda di vini. Il salto lo ha fatto arrivando poi in cattedra alla Berlitz School, scuola di lingue dove attualmente insegna. Nel frattempo l'ha chiamata la tivù per proporle un corso di lingua italiana. Tra poco inizierà a girare un telefilm che è una sorta di traduttore applicato alla quotidianità: come ordinare in un ristorante (italiano ovviamente), dove e a chi chiedere informazioni, come comportarsi in hotel eccetera.
Senza scomodare la felicità, termine troppo impegnativo e ferocemente selettivo, cosa le manca? «Ci stavo riflettendo giusto un mese fa. Dovessi dirlo in una parola: la Sardegna. Ma è scontato, ovvio. Vorrei invece una casa più grande, per esempio con un giardino. Però so già che poi mi lamenterei perché non avrei tempo per starle dietro».
Sette anni in Giappone: quante volte è rientrata in Sardegna?
«Ci sono tornata tre volte. Purtroppo amo molto il mio lavoro e ho difficoltà a staccarmene».
Quante lingue parla?
«Giapponese e inglese correntemente. Parlavo molto bene anche francese e spagnolo ma non utilizzandoli da anni li ho un po' persi, comunque me la cavo».
Marito napoletano, lavoro giapponese: una nuorese dalla mentalità aperta.
«Ho avuto la fortuna di avere una famiglia molto severa che mi ha però sempre lasciata libera di fare le mie scelte. Fin dall'adolescenza avevo tendenze poco convenzionali ma allo stesso tempo ho sempre amato la tradizione. Non sono andata via da Nuoro perché non era abbastanza, me ne sono andata perché la Eva del tempo non mi bastava, dovevo crescere».
Appassionata di Storia antica del Giappone: come nasce questo interesse?
«È stato un processo graduale, come tutto nella mia vita: non sono una persona che si fa folgorare, ho bisogno di metabolizzare gli eventi per dargli il giusto peso. Forse però tutto è cominciato quando facevo judo. Mi affascinava il concetto del rispetto dell'avversario dettato dal Codice dei samurai».
Vivere a Tokyo.
«Tutto dipende dal lavoro che si fa ma in linea di massima Tokyo non dorme mai, milioni di persone si spostano ogni giorno sempre con una meta e spesso in solitudine. Vedere persone che mangiano o bevono da sole nei ristoranti o nei bar è all'ordine del giorno. I giapponesi non amano vivere la casa come noi, quindi la città diventa un vero teatro della vita quotidiana: lavoro, relazioni sociali, amore...».
Dà l'impressione d'essere un popolo felice?
«So che il Giappone figura tra i Paesi col maggior numero di suicidi. Felici? Non ne ho idea, probabilmente lo sono secondo i loro canoni. Che non sono affatto i nostri».
Dovesse descrivere in sintesi telegrafica i giapponesi?
«Popolo complesso difficilmente riassumibile in due parole. Il loro comportamento varia a seconda del contesto in cui si trovano. Li definirei sicuramente stoici, pervasi dal senso dell'effimero, impeccabili nel processo produttivo, carenti in quello decisionale».
Somiglianze e differenze.
«Coi sardi hanno in comune l'insularità e questo li porta per natura ad una chiusura caratteriale e a una generica diffidenza verso l'esterno. Siamo diversi nella spiccata curiosità che hanno nei confronti delle altre culture. Viaggiano ovunque e seguono corsi su qualsiasi cosa e a qualsiasi età. Basti dire che ho studenti ultraottantenni, tra l'altro i migliori direi, ricchi di storia e vivacità. Decisamente un po' lontani dallo stereotipo italiano».
Qual è l'atteggiamento comune verso l'Italia e gli italiani?
«Siamo fortunati, direi: amano l'Italia anche quando noi italiani non facciamo nulla per farci voler bene. Senza il loro estremo amore per il nostro Paese non avrei la possibilità di fare il mio lavoro. I ristoranti italiani e i centri di cultura italiani crescono come funghi. Permane un pochino l'immagine negativa dell'italiano fanfarone ma c'è anche quella dell'italiano ottimista e capace di arrangiarsi con il sorriso anche nelle situazioni più critiche».
Comportamento verso gli immigrati.
«Domanda alla quale preferirei non rispondere per la complessità dei contenuti poco riassumibili in due parole che porterebbero a fraintendimenti. Sicuramente non amano un'assoluta presenza straniera nel loro Paese. Le regole sull'immigrazione sono molto severe e spesso ce ne sono di speciali per gli stranieri, specialmente per quelli asiatici coinvolti nella seconda guerra mondiale. Giapponesi si nasce, non si diventa. Nel momento in cui sai di non voler diventare giapponese ma semplicemente essere italiano nel loro Paese rispettandone in tutto e per tutto tradizioni e regole, la vivi in modo molto positivo. Comunque noi italiani facciamo parte di una categoria speciale, appena sanno che siamo italiani gli brillano gli occhi».
Cosa non sopporta del Giappone?
«Non sopporto il loro disinteresse, almeno apparente, nei confronti dei temi politico-sociali. Sembra sempre che non abbiano curiosità o un'opinione su quello che succede. Il fatto che si viva bene li porta a non pensare che possa cambiare qualcosa. Si adagiano sulle decisioni altrui, soprattutto quelle della classe politica».
Qualunquismo o disinteresse?
«Credo sia solo indifferenza. Sono abituati a rispettare le regole e non metterle in discussione. Ne consegue una carenza di capacità critica».
Dopo la laurea ha fatto per un anno la commessa: avvilente?
«Avvilente certo, ma non per il lavoro in sé, che va rispettato. Avvilente come qualsiasi lavoro che non si sia scelto e per il quale si viene sfruttati. Ad ogni modo facevo del mio meglio e mi riusciva bene, forse avrei fatto carriera».
A quante porte ha bussato prima di partire?
«Troppe. Ricordo che avevo un'e-mail preimpostata con dentro gli indirizzi di centinaia di aziende italiane che avevano rapporti con il Sol Levante. Ogni mese la spedivo e ogni mattina accendevo il Pc con la speranza che qualcuno araccogliesse il mio sos ma, a parte le solite risposte automatiche prive del mio stesso nome nell'intestazione della lettera, nulla di nulla. Era quello che più mi spaventava dopo anni di studi».
Appena arrivata in Giappone ha invece trovato subito lavoro.
«Sì. In un'azienda che importava vini da tutto il mondo. Io mi occupavo della promozione locale e fungevo da interprete durante le manifestazioni con i produttori che venivano dall'estero».
Orari massacranti, giusto?
«Si comincia tardi rispetto all'Italia, di solito alle 9.30, ma non si sa quando si finisce. Se il superiore non va via nessuno va via, anche se non si ha niente da fare. Quante ore? Anche dodici, quattordici al giorno, spesso anche il fine settimana e dopo il lavoro a cena con il capo e i colleghi. Sembra comunque che ora le cose stiano cambiando: i giovani preferiscono essere assunti part-time anziché impiegati a tempo indeterminato in quelle che sembrano aziende-famiglia».
Lei parla di grande stress psicologico. Cioè?
«Mai una gratifica. Si deve sempre fare di più, sempre di più, non è mai abbastanza. Psicologicamente ti uccide».
Ottenuto il visto di lavoro, piovono offerte: come mai?
«Il punto sta nell'azienda per la quale lavoravo e tuttora lavoro, la Berlitz. È una scuola molto stimata, prestigiosa e super-cara (tipo: 40 minuti di lezione 80 euro) che ti apre le porte».
Insegnante alla Berlitz e ora prof nella tivù di Stato.
«Lavoro ancora per la Berlitz. In realtà sono una libera professionista. Di solito ho contratti annuali che si rinnovano automaticamente ogni anno. Mi piace decidere per quanto e per chi lavorare, non amo essere dipendente di un'azienda. La tv pubblica, la Nhk, è arrivata quasi per caso. Mi trovavo a registrare le voci per il corso di italiano della radio di Stato ed era presente, a mia insaputa, un produttore televisivo col quale ho parlato per un po'. Dopo qualche giorno mi arriva la sua e-mail in cui mi chiede di presentarmi per un colloquio: era stato colpito dalla mia vitalità e dal mio lavoro alla Berlitz».
Contraria all'idea del posto fisso?
«Non sono contraria, semplicemente non la ritengo indispensabile. Qui il salario minimo è di 1.500 euro: in una città come Tokyo ci si vive dignitosamente. Io tuttavia preferisco essere una libera professionista e decidere quali lavori mi vanno bene e a quali condizioni. In Giappone si può scegliere tra le due soluzioni».
È stata la televisione di Stato a chiamarla?
«Sì, non è qualcosa che ho cercato e in questo ho avuto fortuna. Ero nel posto giusto al momento giusto».
E sta pure girando un telefilm, adesso.
«Una serie di storielline che insegnano le regole della lingua italiana senza la pesantezza accademica che tende alla mera spiegazione grammaticale. Il mio motto sul lavoro è studiare divertendosi».
La tivù l'ha fatta diventare un personaggio popolare.
«Nell'ambito di chi studia o ama l'Italia sono conosciuta. Mi fermano per strada, oppure mi chiedono autografi e foto da fare insieme, per loro sono Eva dell'Nhk».
Voglia di tornare?
«Idealmente sì. Praticamente però è difficile lasciare il Paese che ti ha accolto a braccia aperte e ti ha dato quello che volevi. Amo il mio lavoro e amo farlo in un luogo che lo rispetta molto. Difficile lasciare qualcosa per cui si è lottato tanto».












24.2.13

Giorgio Casu da artista giramondo al successo a New York


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  • www.ciseionline.it/ Centro Internazionale Studi Emigrazione italiana (CISEI) 
  • http://www.orda.it/rizzoli/stella/home.htm siamo tutti emigranti  
  • un forum  (ovviamente  bisogna  registrarsi per   commentare  o scrivere) dove  i  sardi  emigranti nella penisola  ( una  volta  si diceva in continente  )  e nel resto  del mondo si    raccontano http://forum.unionesarda.it/forums/show/36.page


da  la  nuova  sardegna  online del 24\2\2013  
«Sino ad un paio di anni fa avevo una gatta, Ashley. Me l'hanno portato via e ora vive a Los Angeles. Con lei parlavo in sardo: abi sesi andendi, itta ses fadendi, itta oisi pappai? Giorgio Casu   (  foto a  sinistra  tratta  dal video sotto  )  vive a New York dal 2007. E' nato nel 1975 a San Gavino Monreale. Oggi è un artista di successo, dipinge, realizza oggetti di design, organizza mostre ed eventi artistici.Gli studi. «Mi sono laureato a Cagliari in Scienze dell'educazione, poi ho lavorato per un paio d'anni come educatore a Guspini, collaborando con un centro di igiene mentale e un centro sociale. Insegnavo animazione grafico pittorica, avevamo un laboratorio enorme, si lavorava tanto e bene. Facevamo attività per adolescenti e anziani. E' stata un'esperienza formativa importante, forse la più importante della mia vita, con un flusso educativo che andava in entrambe le direzioni. Imparavamo ad imparare».L’Inghilterra. A 27 anni Giorgio parte per l'Inghilterra, va a stare a Leeds, nello Yorkshire. L'intenzione è apprendere la lingua. «L'idea era: vado in Inghilterra, studio l'inglese, poi parto in giro per il mondo, così do un senso diverso alla mia vita e magari mi diverto un po'». A Leeds si ferma 2 anni, studia, fa dei lavori saltuari, comincia a dipingere su tela. «Non lo avevo mai fatto prima, anche se ho sempre disegnato, sin da bambino. In Sardegna, per i laboratori, dipingevo su stoffa o su vetro, disegnavo fumetti sulla carta, decoravo oggetti. A un certo punto, per caso, avevo cominciato a decorare gusci di noce di cocco. Un amico mi aveva chiesto di farne uno da utilizzare come posacenere per la macchina, un'automobile che aveva personalizzato. Ho fatto il primo ed è piaciuto, me ne hanno chiesto degli altri. Li decoravo con i colori di automobili o di squadre di calcio. Sono diventati una mania, alla fine pagavo una persona per levigarli, c'era tanta richiesta. Io mi limitavo a dipingerli. Quando sono andato in Inghilterra me ne sono portato dietro un paio e ne ho realizzato alcuni in loco. Ne ho fatto uno anche per l'allenatore del Leeds United».L’incontro. A Leeds incontra Enrico, un sassarese che aveva appena comprato casa e gli propone di realizzare per lui un dipinto su tela. «Ho fatto un grande quadro con quattro fiori giganteschi e l'ho venduto per 13 sterline. Una cifra voluta, perché in Inghilterra il 13 porta sfortuna. Così ho iniziato e dopo 4 o 5 mesi esponevo e vendevo a 5-600 sterline». Imparato l'inglese a sufficienza Giorgio parte per l'Oriente. Due mesi in Thailandia e poi l'Australia, dove si ferma per 2 anni. Quindi decide di spostarsi ancora, vuole andare a stare in una grande metropoli ed è indeciso tra Tokyo e New York, sceglie quest'ultima in virtù della lingua.Gli Usa. «Non avevo voglia di studiare il giapponese e son venuto qui. Non me ne sono mai pentito».
catturata dal video  sopra  
Arriva a New York nel novembre del 2007, va a stare a Brooklyn e si mette a dipingere. Fa freddo, dopo 2 anni trascorsi a seguire l'estate, il primo inverno newyorchese non è piacevole. Ma fa delle mostre che vanno bene, arrivano le prime commissioni di lavori pittorici, dopo qualche tempo chiede e ottiene un visto da artista. Poi la svolta, partecipa ad una mostra alla Casa Bianca,(  con questo ritratto  che trovate  a destra   )   fa degli eventi per il New York Times: la ruota gira.La creatività. «Sono convinto che una persona, se lo vuole e ha un po’ di capacità, puo costruire il suo destino, cambiare le cose. Che per me è anche un poco il senso ampio del dipingere. Credo nella creatività, nella formazione permanente e non ho una meta precisa. Per me il senso di ciò che faccio è rappresentato dal viaggio, dal nomadismo, dalla ricerca. Mi piace fare cose interessanti, che mi stupiscono e mi emozionano». 


E poi c'è la Sardegna «che su di me ha un potere rigenerativo che non ho trovato in nessun altro posto al mondo: il silenzio, la tranquillità, il mare. Rituali e luoghi vissuti da quando ne ho memoria, fanno parte di me e mi ricaricano fisicamente per tutto ciò che ha da venire».I carciofi. Per Giorgio l'isola è il posto dei carciofi, quelli di zio Mondino. «Mi basta mangiare il primo che non capisco più niente e mi rendo conto che ho ingoiato schifezze per mesi. Non è il paradiso terrestre, ci sono tante cose che non vanno, ma la qualità della vita è altissima e cerco di venirci il più spesso possibile». Proprio per questo, dice, non vuole incastrarsi in situazioni che lo possano legare, anche a una città bellissima come New York, per lui tra le più belle al mondo, che è insieme un’esperienza e una metafora. «La metafora del mondo che si riunisce in un posto e coabita. Dove l’arabo rimane arabo ma diventa altro e così l’italiano. Dopo una generazione tutti diventano parte di questa cultura “sporca”, io la chiamo così, ma non è un'accezione negativa. E' un luogo che ti succhia l’anima, che propone delle sfide quotidiane, dove c’è da fare ogni giorno, dove bisogna fare ogni giorno. Una città variopinta, in cui incontri persone interessanti, talentuose, una città dai tanti paradossi: in ogni piccolo quartiere c’è una vita diversa, persone diverse, gente che la pensa diversamente».L’infanzia. Giorgio racconta dell'infanzia a San Gavino, felicissima. «Sono cresciuto in una casa enorme, piena d'animali: avevamo galline, tartarughe, cigni e pavoni. C'era un maiale e abbiamo avuto anche un cavallo, quasi una fattoria in mezzo al paese, come una fiaba. E poi d'estate per 3 mesi al mare. Finite le scuole si partiva per Arborea, dove c'era il casotto. Tante famiglie, a San Gavino e nei dintorni, avevano queste piccole abitazioni abusive sul mare. Si formava una comunità: è andata avanti sino a quando avevo 13 anni. Poi li hanno buttati giù. Andavamo con la barca a pescare polpi che poi vendevamo alle signore in spiaggia. Era semplicemente fantastico».

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...