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14.3.20

Kamira, la magia del caffè macchina da caffè senza cialde , caffè espresso come al bar

 canzoni   suggerite

Don Raffaé con testo - Fabrizio de André
Alex Britti - 7000 Caffè

     e la scena  di  fantozzi   la sveglia

Leggendo  , in tempi  di quarantena    capita    anche  questo  , su  quello  che  ( eccome non dargli torto  ) i  matusa   definiscono un giornale da massaie  e da  parrucchieri  , il  settimanale Oggi  ,  ho scoperto questo nuovo prodotto  made in italy  .  Una  caffettiera  ,  chiamata  Kamira,  con la  quale  si   può gustare   un espresso cremoso come al bar, realizzato sul fornello di casa con una caffettiera dal design unico; senza l’utilizzo di costose ed inquinanti cialde o capsule e senza alcun vincolo sul tipo di marca di caffè. Ma    soprattutto   come  dice  la  sua  pubblicità








funziona su qualunque tipo di fonte di calore: dal gas all’induzione, dalla vetroceramica alla piastra elettrica.
Proprio perché non è una macchina per l’espresso elettrica, Kamira è adatta per il camping e per la nautica, poiché funziona, anche, sul fornello da campeggio o sulla brace
Ecco come funziona  



da  quel poco  che  capisco  di caffe   mi  sembra   che   essa sia     un innovazione  rispetto  ai tre  balzi in avanti che  ci  sono stati   fin ora


Nessuna descrizione della foto disponibile.


comunque  essa sia   sarà salvo boicottaggio  delle  grosse industrie    di cialde   destinata a  rivoluzionare il mondo del caffè 


18.2.14

anche il cibo ha dele storie da raccontarci ed una di queste è quella di Oscar Farinetti

vere  o false   che sia  le accuse   che gli vengono rivolte  da ilfattoquotidiano  o dal ilgiornale   ( vedere  qui)Egli a  differenza  di altri   imprenditori  pessimisti  o  arraffoni in fuga  dall'Italia  ha  avuto  coraggio   con  Eataly di investire in eccellenza .

da l'unione  sarda  Edizione di lunedì 17 febbraio 2014 - Politica Italiana (Pagina 8)
Giuseppe Deiana
Fino al 2003 vendeva frigoriferi, lavatrici e televisori. Poi ha ceduto la catena Unieuro (con lauta plusvalenza) alla britannica Dixons Retail e ha deciso di dare sfogo alle sue passioni: terra, vino, prodotti agroalimentari e tutto ciò che riguarda il made in Italy a tavola. Oscar Farinetti, 60 anni il prossimo 24 settembre, imprenditore di successo e
grande amico di Renzi (anche se ha rifiutato il ministero dell'Agricoltura), ha messo insieme un impero che conta dieci sedi tra Italia, Stati Uniti e Giappone e che nel 2017 potrebbe essere quotato in Borsa. L'obiettivo? «Raccontare ciò che mangiamo».
Il suo ultimo libro, “Storie di coraggio”, è dedicato al mondo del vino: è passione o business?
«Devono esserci entrambi. Il business non si può fare senza passione e senza emozione e allo stesso tempo, la passione da sola non va. In Italia abbiamo mille vitigni autoctoni, siamo il secondo produttore di vini al mondo, un mercato che vale 60 miliardi. La Francia ne fa 21, noi appena dieci con lo stesso numero di ettolitri».
Lei ha oggi otto cantine, tra cui quella storica di Fontanafredda, fondata da Vittorio Emanuele II.
«Sono stato fortunato nella mia vita, non avevo terreni in eredità e li ho acquistati. Ma suggerisco a tutti, anche i piccoli produttori, di ripartire dai terreni, magari da un ettaro di vigneto, sviluppandolo pian piano. Ci sono zone, come le Langhe, dove la terra è carissima, ma in tanti altri posti, compresa la Sardegna, non è così».
Perché raccontare il coraggio attraverso il vino?
«Ho usato la categoria del vino, potevo usarne molte altre, per raccontare che si può fare. Certo, c'è differenza tra Walter Massa, che è riuscito a sfondare in una povera zona del tortonese, partendo da un vitigno autoctono, e Piero Antinori, erede di 26 generazioni di produttori. Anche lui, però, ha mostrato coraggio. Si deve credere in quello che si fa e ho fiducia nei giovani. Può darsi che questo periodo di crisi faccia venire la voglia di tornare on land , alla terra madre».
Lei però non narra e basta, vende il cibo su larga scala.
«Niente si vende se non viene narrato, non ha valore aggiunto. E i francesi sono più bravi di noi. Pensi ad esempio allo champagne: non c'è ricorrenza nella quale non lo si evochi. Ecco, perché il prezzo medio è molto più alto dei nostri spumanti. Cerco di spiegare con Eataly che il nostro cibo non veniva narrato: non esiste solo la mela, ma 200 tipi e bisogna spiegare come è coltivata, come viene raccolta. Con il progetto “Vino libero” raccontiamo cosa c'è dietro il semplice bicchiere».
Quali prodotti sardi apprezza?
«Sui vini la Sardegna ha fatto progressi enormi. L'Isola ha la maggiore area coltivabile non utilizzata e quindi si può lavorare sui terreni e sui vitigni autoctoni. La Sardegna merita di essere narrata per i suoi vini, i formaggi e anche i salumi. Ho assaggiato alcuni prosciutti sardi e non hanno niente da invidiare alle eccellenze».
Quale prodotto sardo vorrebbe avere all'interno di Eataly?
«Vini ne abbiamo tanti, per esempio quelli di Gavino Sanna, che con Mesa ha fatto un grande investimento nell'Isola. Comunque possiamo migliorare. Abbiamo il pecorino che è una vera eccellenza. E la fregola è un piatto straordinario che si presta a essere cucinata in mille modi. Abbiamo iniziato a farla nei nostri ristoranti. A volte arriva un bel prosciutto sardo, ma dobbiamo dare un po' di più all'Isola. E poi c'è una tradizione enogastronomica d'eccellenza, a partire dal porceddu».
Piatti che suscitano emozioni?
«Direi proprio di sì. Ci sono perle rare che vanno raccontate. La vostra è una regione che “suona” bene nel mondo, è conosciuta e ha fama internazionale. Dovete partire da lì per sfruttare la maggiori potenzialità di espansione rispetto ad altre regioni coltivate più intensamente. È importante che non passi l'idea che nella vostra isola si possano coltivare i terreni per produrre biocarburanti».
Crede ci sia questo rischio?
«Ho paura di sì e credo debba partire da voi sardi un movimento culturale di riscossa, cercando un leader che porti sviluppo».
Un movimento che pensi locale e agisca globale, è il suo motto.
«Proprio così, è il contrario di quello che ci hanno insegnato nelle scuole di marketing: narrare la biodiversità ed essere padroni delle tradizioni locali, per poi venderle nel mondo».
Che scopo ha il suo elogio dell'imperfezione.
«È una forma di realismo: siamo imperfetti. Bisogna cercare di arrivare vicino alla perfezione, ma anche essere pronti a scendere a compromessi per fare. In Italia c'è una sproporzione enorme tra ciò che si dice e ciò che si fa. E se continuiamo ad agire come nell'ultimo ventennio, non combiniamo niente, invece bisogna accettare l'imperfezione e i compromessi».
È una condanna della vecchia classe politica?
«Esatto. Mi piace Renzi perché si pone degli obiettivi, non è polemico, gestisce la sproporzione tra il dire e il fare. E io sono per le persone che fanno, c'è gente che non combina niente da 30 e continua a stare in Parlamento».
È diventato grillino?
«La mia non è una visione grillina. C'è un confine: dopo la protesta, bisogna partire e fare le robe, accettare compromessi, mentre i grillini si fermano alla protesta. L'Italia oggi usa tanto tempo per lamentarsi e poco per costruire».
Però lei viene mal visto da una certa sinistra, per esempio perché non difende l'articolo 18.
«Questo è l'ultimo dei problemi, una cavolata. Bisogna cambiare un po' di cose e lo ha detto anche la sinistra. I posti di lavoro si ottengono con progetti e nuovi servizi, mica con l'articolo 18».
Ultima domanda: lei viene accusato da alcuni giornali di assumere precari, pagati 800 euro al mese.
«Guardi, quelli sono quotidiani scandalistici. Non è vero. Non ho mai querelato nessuno, vorrei continuare su questa linea, ma le ribadisco che non è vero e non rappresenta la stampa chi scrive falsità per vendere. Per cui a questo non rispondo».

24.2.13

Giorgio Casu da artista giramondo al successo a New York


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  • http://www.deisardinelmondo.it  Dalla Sardegna/verso la Sardegna” e’ un lavoro di ricerca sui flussi migratori nell 'isola.Attraverso una documentazione fotografica, filmica e testuale,raccoglie le testimonianze di chi arriva in Sardegna e quelle di chi l’ha lasciata, creando una memoria, tracciandone i percorsi....
  • www.ciseionline.it/ Centro Internazionale Studi Emigrazione italiana (CISEI) 
  • http://www.orda.it/rizzoli/stella/home.htm siamo tutti emigranti  
  • un forum  (ovviamente  bisogna  registrarsi per   commentare  o scrivere) dove  i  sardi  emigranti nella penisola  ( una  volta  si diceva in continente  )  e nel resto  del mondo si    raccontano http://forum.unionesarda.it/forums/show/36.page


da  la  nuova  sardegna  online del 24\2\2013  
«Sino ad un paio di anni fa avevo una gatta, Ashley. Me l'hanno portato via e ora vive a Los Angeles. Con lei parlavo in sardo: abi sesi andendi, itta ses fadendi, itta oisi pappai? Giorgio Casu   (  foto a  sinistra  tratta  dal video sotto  )  vive a New York dal 2007. E' nato nel 1975 a San Gavino Monreale. Oggi è un artista di successo, dipinge, realizza oggetti di design, organizza mostre ed eventi artistici.Gli studi. «Mi sono laureato a Cagliari in Scienze dell'educazione, poi ho lavorato per un paio d'anni come educatore a Guspini, collaborando con un centro di igiene mentale e un centro sociale. Insegnavo animazione grafico pittorica, avevamo un laboratorio enorme, si lavorava tanto e bene. Facevamo attività per adolescenti e anziani. E' stata un'esperienza formativa importante, forse la più importante della mia vita, con un flusso educativo che andava in entrambe le direzioni. Imparavamo ad imparare».L’Inghilterra. A 27 anni Giorgio parte per l'Inghilterra, va a stare a Leeds, nello Yorkshire. L'intenzione è apprendere la lingua. «L'idea era: vado in Inghilterra, studio l'inglese, poi parto in giro per il mondo, così do un senso diverso alla mia vita e magari mi diverto un po'». A Leeds si ferma 2 anni, studia, fa dei lavori saltuari, comincia a dipingere su tela. «Non lo avevo mai fatto prima, anche se ho sempre disegnato, sin da bambino. In Sardegna, per i laboratori, dipingevo su stoffa o su vetro, disegnavo fumetti sulla carta, decoravo oggetti. A un certo punto, per caso, avevo cominciato a decorare gusci di noce di cocco. Un amico mi aveva chiesto di farne uno da utilizzare come posacenere per la macchina, un'automobile che aveva personalizzato. Ho fatto il primo ed è piaciuto, me ne hanno chiesto degli altri. Li decoravo con i colori di automobili o di squadre di calcio. Sono diventati una mania, alla fine pagavo una persona per levigarli, c'era tanta richiesta. Io mi limitavo a dipingerli. Quando sono andato in Inghilterra me ne sono portato dietro un paio e ne ho realizzato alcuni in loco. Ne ho fatto uno anche per l'allenatore del Leeds United».L’incontro. A Leeds incontra Enrico, un sassarese che aveva appena comprato casa e gli propone di realizzare per lui un dipinto su tela. «Ho fatto un grande quadro con quattro fiori giganteschi e l'ho venduto per 13 sterline. Una cifra voluta, perché in Inghilterra il 13 porta sfortuna. Così ho iniziato e dopo 4 o 5 mesi esponevo e vendevo a 5-600 sterline». Imparato l'inglese a sufficienza Giorgio parte per l'Oriente. Due mesi in Thailandia e poi l'Australia, dove si ferma per 2 anni. Quindi decide di spostarsi ancora, vuole andare a stare in una grande metropoli ed è indeciso tra Tokyo e New York, sceglie quest'ultima in virtù della lingua.Gli Usa. «Non avevo voglia di studiare il giapponese e son venuto qui. Non me ne sono mai pentito».
catturata dal video  sopra  
Arriva a New York nel novembre del 2007, va a stare a Brooklyn e si mette a dipingere. Fa freddo, dopo 2 anni trascorsi a seguire l'estate, il primo inverno newyorchese non è piacevole. Ma fa delle mostre che vanno bene, arrivano le prime commissioni di lavori pittorici, dopo qualche tempo chiede e ottiene un visto da artista. Poi la svolta, partecipa ad una mostra alla Casa Bianca,(  con questo ritratto  che trovate  a destra   )   fa degli eventi per il New York Times: la ruota gira.La creatività. «Sono convinto che una persona, se lo vuole e ha un po’ di capacità, puo costruire il suo destino, cambiare le cose. Che per me è anche un poco il senso ampio del dipingere. Credo nella creatività, nella formazione permanente e non ho una meta precisa. Per me il senso di ciò che faccio è rappresentato dal viaggio, dal nomadismo, dalla ricerca. Mi piace fare cose interessanti, che mi stupiscono e mi emozionano». 


E poi c'è la Sardegna «che su di me ha un potere rigenerativo che non ho trovato in nessun altro posto al mondo: il silenzio, la tranquillità, il mare. Rituali e luoghi vissuti da quando ne ho memoria, fanno parte di me e mi ricaricano fisicamente per tutto ciò che ha da venire».I carciofi. Per Giorgio l'isola è il posto dei carciofi, quelli di zio Mondino. «Mi basta mangiare il primo che non capisco più niente e mi rendo conto che ho ingoiato schifezze per mesi. Non è il paradiso terrestre, ci sono tante cose che non vanno, ma la qualità della vita è altissima e cerco di venirci il più spesso possibile». Proprio per questo, dice, non vuole incastrarsi in situazioni che lo possano legare, anche a una città bellissima come New York, per lui tra le più belle al mondo, che è insieme un’esperienza e una metafora. «La metafora del mondo che si riunisce in un posto e coabita. Dove l’arabo rimane arabo ma diventa altro e così l’italiano. Dopo una generazione tutti diventano parte di questa cultura “sporca”, io la chiamo così, ma non è un'accezione negativa. E' un luogo che ti succhia l’anima, che propone delle sfide quotidiane, dove c’è da fare ogni giorno, dove bisogna fare ogni giorno. Una città variopinta, in cui incontri persone interessanti, talentuose, una città dai tanti paradossi: in ogni piccolo quartiere c’è una vita diversa, persone diverse, gente che la pensa diversamente».L’infanzia. Giorgio racconta dell'infanzia a San Gavino, felicissima. «Sono cresciuto in una casa enorme, piena d'animali: avevamo galline, tartarughe, cigni e pavoni. C'era un maiale e abbiamo avuto anche un cavallo, quasi una fattoria in mezzo al paese, come una fiaba. E poi d'estate per 3 mesi al mare. Finite le scuole si partiva per Arborea, dove c'era il casotto. Tante famiglie, a San Gavino e nei dintorni, avevano queste piccole abitazioni abusive sul mare. Si formava una comunità: è andata avanti sino a quando avevo 13 anni. Poi li hanno buttati giù. Andavamo con la barca a pescare polpi che poi vendevamo alle signore in spiaggia. Era semplicemente fantastico».

30.7.08

Addio oro e travertino. Ecco la chiesa gonfiabile!

Messe volanti sulle spiagge, prima esperienza a Cagliari

Ma non tutti sono d'accordo e sul sito della diocesi fioccano le proteste

Addio oro e travertino

Ecco la chiesa gonfiabile













Addio oro e travertino Ecco la chiesa gonfiabile

La costruzione di una chiesa sulla spiaggia di Bibione nell'estate dello scorso anno



dal nostro inviato JENNER MELETTI :

CAGLIARI - Sono emozionate, le Sentinelle del mattino. «Ragazzi, è bellissima. L'abbiamo appena ritirata dalla ditta che ce l'ha costruita. È un capolavoro». Sono emozionate, queste Sentinelle (chiamate così da papa Wojtyla che disse loro: «Giovani, voi stessi siate gli apostoli degli altri giovani»). Sulla spiaggia del Poetto a Cagliari stanno per montare la prima chiesa gonfiabile poggiata sul suolo italiano. Lunga trenta metri, larga quindici, colori nero e fucsia che non ricordano certo le cattedrali romaniche. È completa di altare, abside, confessionali. Cinque compressori, in cinque minuti, permetteranno di "costruire" una chiesa che nei secoli passati richiedeva decenni, se non secoli, di lavoro.

Una domanda è d'obbligo. Era proprio necessaria? "Ci serviva - risponde don Andrea Brugnoli, il prete delle Sentinelle, da anni impegnato a evangelizzare in luoghi insoliti come gli autogrill, le spiagge, le discoteche - un luogo sacro dove poter accogliere i giovani che la notte sono alla ricerca di Dio. Non sempre c'è una chiesa, accanto ai luoghi del divertimento e della movida. E allora abbiamo fatto questo investimento, con la chiesa gonfiabile. Ci costa tanto, decine di migliaia di euro, perché è stata progettata e costruita esclusivamente per noi. Ma non sarà usata solo in Sardegna: dopo Cagliari, andremo su altre spiagge: a Campomarino di Tremoli, a Bibione, a Ravenna. Sì, lo so che c'è qualche polemica. Qualcuno ha detto che dopo la chiesa gonfiabile arriveranno anche i cristiani gonfiabili, ma noi questa scelta l'abbiamo fatta con serenità. L'abbiamo deciso l'anno scorso, a Bibione. Anche là, durante l'opera di evangelizzazione, non c'era una chiesa vicina e allora l'abbiamo costruita, con i tubi in ferro, legno, teli. È stata una vera fatica ma in una sola sera in quella chiesa improvvisata sono entrati più di mille giovani".

Ancor prima che la chiesa sia gonfiata, c'è già chi parla di degrado della liturgia. Nello stesso sito ufficiale della diocesi di Cagliari - il cui arcivescovo, Giuseppe Mani, ha chiamato le Sentinelle - c'è chi si scatena contro questa cattedrale di plastica. "Terribilis est locus iste: hic domus Dei est, et porta caeli". Il fedele che si firma L. J. C. ricorda "l'introito della S. Messa per la dedicazione di una chiesa". "Terribile, o importante, è questo luogo. Questa è la casa di Dio e la porta dei cieli...Queste parole ci spiegano cosa si debba intendere per chiesa. Oggi invece si propone questa chiesa gonfiabile, piazzata in mezzo a ombrelloni, materassini e annesse nudità varie... Se i bagnanti vogliono andare a messa, si vestano da fedeli e vadano nella chiesa più vicina che spesso - è anche il caso della spiaggia del Poetto - non dista certo centinaia di chilometri". A L. J. C. fa eco, "con fraternità", Caterina. "Passare dall'Arca tutta d'oro, con cherubini e tabernacolo, a una plastica gonfiabile dove tenere l'Eucarestia, il mistero dei misteri, lo trovo veramente squallido".

Il sacerdote delle Sentinelle non si scompone. "La messa - dice -non è prevista, l'adorazione del Santissimo sì. La nostra chiesa sarà aperta dalle 23 alle 3 della notte e come tetto avrà la luna e le stelle. Non c'è copertura, infatti, nel nostro luogo sacro. Noi crediamo di avere fatto una cosa bella che speriamo sia gradita al Signore, il quale merita sempre il meglio". Per "favorire l'incontro fra Gesù e i giovani" le Sentinelle della notte le hanno provate tutte. Hanno celebrato messe negli autogrill, hanno costruito cappelle per l'Adorazione sulle spiagge e nei viali della movida. "Per fortuna - dice don Brugnoli - nella fede non c'è il copyright". E allora dagli Anglicani ha preso l'idea degli "inviti a cena con Gesù", dove si mangia gratis e alla fine c'è un prete che parla di Cristo, del diavolo, del peccato e della conversione. "Le parole più importanti Gesù le ha pronunciate a tavola", sottolinea.

Dall'Inghilterra arriva anche l'idea della chiesa gonfiabile. Oltre la Manica è ormai una moda, per chi ad esempio non vuole costringere gli invitati a un matrimonio a spostarsi dalla chiesa al luogo del ricevimento. Si affitta la chiesa, si monta sul prato della villa, chiama un sacerdote. Ci sono anche tariffe precise: per un giorno, 3 mila euro. Per 2 giorni, 4.200. Per un weekend, 7.850 euro. Ma là - e anche in Spagna - i "gonfiabili" sono diventati quasi una mania. Ci sono non solo le chiese, ma anche le discoteche, i night club, le sale da gioco. In pochi minuti, in occasione di feste o sagre, si può allestire un mezzo paese.

Per ora, in Italia, è arrivata la prima chiesa. Chi rimpiange le pietre e i marmi, durante la preghiera avrà comunque una chance. Non ci sono tegole, nella chiesa di plastica, nemmeno finte. Guardando in alto, si potranno ammirare le stelle.

(26 luglio 2008)

Fonte articolo e immagine: Repubblica.it




 


Le mie considerazini sono molto brevi: attendo che dopo la realizzazione del Cristo morto in croce (ovviamente da gonfiare tipo ciambella per coloro che non sanno nuotare), dove metteranno il punto per soffiarci dentro??? Beh! vi sembra poco!? potrebbero scatenarsi tutti i moralisti teologi che stanno in Vaticano! Dovranno disporre di un cerimoniale solo per quello. Ma se il punto per gonfiare il Cristo fosse??? Insomma... non voglio sbilanciarmi indicando quale potrebbe essere "IL POSTO DOVE METTERE LA BOCCA E GONFIARE CRISTO". Qualunque sia il luogo di entrata o di uscita, sono convinto che scoppierà un puttiferio teologico.

A VOI AMICI LA SENTENZA... O MEGLIO IL VOSTRO PARERE RIGUARDO QUESTA INIZIATIVA

Con Amicizia e Rispetto

Gentleman -  (Morris) =^-^=

10.7.08

Carfagna: oltre il lato B

Carfagna inadatta al Ministero, come si blatera in questi giorni? Fate vobis. Io scrissi il seguente articolo l’8 maggio. Senza falsa modestia, non si potrà dire che non sia stata preveggente.


 


“Sarà quer che sarà, armanco è bello”: questo l’immediato commento del popolo romano all’elezione di Pio IX (1846). E vorrei fermarmi qui. In fondo l’ironia su Mara Carfagna, neo-Ministro delle Pari Opportunità (niente “popò” dimenoché…) del Berlusconi IV, riesce fin troppo facile e anche fastidiosa. I blog rigurgitano di sue foto nude - tentazione alla quale anch’io cederò - con toni che oscillano dal finto-scandalizzato voyeuristico, allo sconsolato, all’indignato, e chi più ne ha più ne metta. La Carfagna come simbolo della decadenza del Paese.
In verità, verrebbe da domandare se scandalizza di più una ex-soubrettina scosciata - protagonista lo scorso anno d’un memorabile scontro con Luxuria - o le facce biscottate dei vestitissimi (e rigorosamente maschi) . 1) Sandro Bondi ai Beni Culturali  (!?), 2) Angelino Alfano alla Giustizia (!!!), 3) Gianfranco Rotondi all’Attuazione del programma perché col suo contributo da prefisso telefonico meritava pure uno scranno in Parlamento.
Calderoli alla Semplificazione, poi, non necessita di nessuna chiosa. Basta quel nome e quel ministero nuovo di zecca. Sarà quer che sarà Carfagna, armanco è bella



Perché gli uomini, coi panni indosso, risultano sempre seri. Quand’anche si chiamassero Previti, l’abito grigio, evanescente e rigido segno d’una neutralità, impone la loro supremazia sessuale nel momento stesso in cui pare negarla. Quasi un’aporia visiva. L’ironia nei loro confronti è di segno del tutto diverso, e non tocca mai la corporeità.
Le donne invece, l’avevamo già scritto, sono percepite sempre - solo - come corpo, e per esso giudicate. A meno di non rinnegarlo, di “farsi maschi”. “Il Tempo” di oggi annota che le quattro neo-ministre hanno giurato in tailleur e pantaloni per nascondere al massimo la loro femminilità; ma non ha mancato di rimarcare che da quelli della Carfagna - sempre lei, ovviamente - spuntava il piede nudo. 

Nudo il piede, vuoto il cervello, che i maschi al contrario possiedono sempre, persino nelle macchinazioni curiali dello svaporato Mastella.Se dunque l’etica politica italiota si misura con simili parametri, sorry, ma non ci sto. Troppo comodo pigliarsela con la prediletta del Cavaliere, come lo fu con Cicciolina, anch’essa parlamentare italiana nel fatidico 1987. Troppo banale scagliarsi sul “mestiere”. Di starlette e pornodive in incognito la politica abbonda, queste almeno c’hanno messo la faccia. L’iniziale paragone con l’episodio papalino non vi suoni pertanto irriverente: sarà quer che sarà Carfagna, armanco è bella.

Ma allora - mi chiederete - la condanni o la difendi?Né l’una né l’altra cosa, ed entrambe. Ecco la mia risposta.

Naturalmente considero la Carfagna del tutto incapace di ricoprire il ruolo affidatole. Ma dietro di lei si intravede il ghigno tiepido del settantenne arzillo, e solo una fantasia perversa poteva concepirla lì, dove ora posa il suo niente “popò” dimenoché. La Carfagna è insomma un prodotto maschile, non l’emblema della stupidità femminile. Faremmo bene a non dimenticarlo, quando sorrideremo - o, forse, piangeremo - per le prevedibili cappellate che prenderà nell’addentrarsi in un mondo a lei sconosciuto. Ma, probabilmente, la prima da proteggere in nome delle Pari opportunità è proprio la nuova “ministra”. E perché, un domani, non potrebbe crescere? Imparare a essere donna, e non solo corpo? “Premiata” per la sua compiacenza al sultanato maschile, perché negarle la possibilità di usare un cervello che pure possiede? Nel corso della storia le donne sono sempre partite svantaggiate, ma ce l’hanno fatta lo stesso. E se avvenisse il miracolo persino con la Carfagna, significherebbe una volta di più che siamo davvero forti.

 

 

Daniela Tuscano



 

12.6.08

Malati di Cuore

...e così, mi hanno rubato anche la nascita. E, con essa, l'innocenza.





I pediatri degli anni Sessanta-Settanta raccomandavano alle future mamme di partorire in strutture mediche. Non voglio fare dietrologia, probabilmente erano mossi da scrupoli seri. Fino alla decade precedente l'Italia era ancora, sotto molti aspetti, un Paese arretrato e le morti di parto non così infrequenti

Quest'operazione di "pedagogia di massa" non appariva quindi peregrina: e del resto la stragrande maggioranza dei miei coetanei del Centro e del Sud (ma anche dell'area non milanese) continuava a veder la luce in casa.


I miei genitori, onesti operai animati dal proposito - il proposito pugnace e ingenuo di chi ha conosciuto le privazioni - di accogliere nel migliore dei modi quella che sarebbe stata la loro unica figlia, incuranti dei sacrifici economici, accettarono il consiglio di rivolgersi a una delle cliniche più lussuose e accreditate, situata nel centro di Milano: la Santa Rita, naturalmente.


Mi hanno raccontato che, quel giorno, pioveva. Anche questo molto naturale, eravamo in ottobre e le stagioni non ancora così sballate.

Insomma quella fu la mia primissima "casa": tra i motteggi bonari di qualche amico più grande, secondo cui io appartenevo alla generazione dei "bambini da batteria" o dei "nati in cattività". Ma ci si affeziona anche alle proprie "prigioni", specie se dorate. E poi quella santa, la mia protettrice: avrei saputo molti anni dopo che era una malmaritata, molto sofferente: pure la spina in fronte, le aveva regalato Gesù. Un segno premonitore? Chissà. Malgrado ciò la chiamavano la "santa degli impossibili", era legata ai fiori, alla dolcezza, alla tenerezza. Alla maternità. Alla cura degli altri.     Ma adesso, su questi fragili ricordi qualcuno vi ha apportato uno sfregio. Che non è una spina redentrice, ma un chiodo purulento. Non che mi stupisca eccessivamente: da quel piovoso ottobre di 43 anni fa, ho saggiato diverse cose nella vita, e più volte ho sfiorato l'assoluta non-curanza dei degeneri figli d'Ippocrate. Sicuro, non sono tutti uguali, non facciamo d'ogni erba un fascio, stiamo attenti al qualunquismo, ecc. ecc. Vero, vero, ma adesso non riesco a ragionare diversamente. Volgarità chiama volgarità e, se devo dirla tutta, ringrazio Iddio di non aver mai avuto davvero bisogno di loro. Ma un giorno dovrà pur accadere; e confesso di pensare con terrore a quel giorno. Non sono né ricca né potente: cosa ne sarà di me ?

Alcuni amici mi hanno informata che, da almeno tre anni, il Comitato dell'Elefante denunciava certe malefatte, ovviamente inascoltato. Ora che è scoppiato lo scandalo - fra l'altro, solo grazie a quelle intercettazioni telefoniche contro le quali il governo sta scatenando una guerra senza esclusione di colpi - se ne parlerà per qualche giorno, si fingerà indignazione, poi si tenterà, già si sta tentando, di circoscrivere l'episodio alla sola clinica che mi vide nascere, quindi... non mi stupirei se si passasse a un'opera di denigrazione delle titolari dell'inchiesta, le pm Tiziana Siciliano e Grazia Pradella. I nostri esimi statisti, lo sappiamo, non sono teneri coi giudici "persecutori". E tutto tornerà alla normalità. Come prima, peggio di prima.


Forse sbaglio. Forse sono troppo pessimista e, se le accuse verranno provate, i colpevoli puniti in modo esemplare. Ma cambierebbe poi molto ? Amputare un ramo (mai verbo si è rivelato più calzante) non basta per salvare l'albero. E l'albero è il sistema. Ci ripetiamo? Può darsi. Ma anche "loro" ci ammanniscono, da secoli, la medesima sbobba sulla magnificenza del privato (dimenticando che è participio passato di "privare", cioè "togliere"). Tuttavia non mi soffermerei troppo su questo aspetto. In certe strutture pubbliche avviene lo stesso. Punterei piuttosto il dito sul Signor Mercato, a sentir "loro" l'unico, vero garante di prosperità, civiltà, amore & pace.

Cosa c'entra il Mercato?, chiederete voi. C'entra, c'entra.

Lo dimostra l'amabile conversazione del principale accusato. Il quale, sentendosi il fiato sul collo, sembra abbia scritto un sms di questo tenore: "Ormai non dormo più. Sono disperato. Tra le cartelle chissà quante saranno pompate e mi arresteranno come truffatore. L' Arsenio Lupin della kirurgia". Con la "k". Come usa tra adolescenti.

Un truffatore. Ecco come temeva di essere considerato il primario di un'illustre clinica. Senza nemmeno rendersi conto che "pompare" cartelle cliniche per asportare tumori inesistenti o mutilare organi sani in vista di un ragguardevole rimborso non si chiama truffa, ma crimine. Un crimine contro l'umanità.

Ma è proprio questo il punto: l'umanità. E per chi possiede una mentalità da "Mercato", l'umanità non esiste. Anzi è inconcepibile e persino fastidiosa. L'uomo, quell'integrità inscindibile di cui parla Moni Ovadia, per il Mercato è un alieno. Si tratta semmai d'un ammasso di cellule, un'accozzaglia di fegati milze polmoni cuori seni tibie, da commerciare o di cui sbarazzarsi come qualsiasi altra merce fruttuosa o avariata. L'eventuale errore è solo di procedura. Non sorprende pertanto, in quest'ottica, il delitto derubricato a truffa. Il massimo della sciagura, per l'affarista, non è infatti il primo, ma che l'investimento gli vada male.
Lui si è paragonato ad Arsenio Lupin. Il ladro gentiluomo, come forse questi signori non sono tanto. Restiamo sempre in una logica strettamente mercantile. I giornali, invece, hanno scomodato Mengele.







Ma il Mercato ci "pareggia" tutti, o meglio, ci livella. Non è certo democratico. E' massificatore. C'è la massa che prospera, e la massa che subisce la prosperità altrui. Homo homini lupus. E il Mercato che oggettivizza la salute dei corpi, è lo stesso che produce l'ennesima strage sul lavoro (ormai un necrologio quotidiano), o che manda a ramengo l'istruzione e i servizi al cittadino: anche in tal caso è una questione di costi, speculazioni, ricavi, prodotti. Di conseguenza non c'è spazio nemmeno per i Lupin del bisturi, non luogo per vellicare narcissicamente il proprio ego, sia pur perverso.

E nessuno che si sia ricordato dell'unico, vero accostamento possibile: quello col Guido Tersilli immortalato da Alberto Sordi in due famosissimi e profetici film [nelle foto, le locandine]. Tersilli non è un raffinato e amabile truffatore (ci risiamo) come Lupin, né un genio del Male Assoluto come Mengele: a loro modo, due eccezionalità. No. Tersilli è solo un banale, piccolo uomo qualunque, dall'intelligenza mediocre, sballottato fra la sua stessa piccineria e l'avidità altrui. Uno come tanti. Uno che prima commercia, poi fa affari, nella più piatta e prevedibile logica di Mercato. Questa brada normalità, così grettamente terra-terra, non piace né ai vanitosi rampanti, né ai titolisti in cerca di effettacci thrilling.                                                                                                    


                                     Daniela Tuscano





emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

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