Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta sardità. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sardità. Mostra tutti i post

3.10.25

DIArio di bordo n 149 anno III Bianca Pitzorno: «Tutta folclore e fuori dalla storia, detesto l’isola descritta ai turisti» .,La ripartenza Dall’incendio alla rinascita: la lavanderia che restituisce la sabbia alle spiagge ., Coltivatori di funghi a 900 metri sul livello del mare: la scommessa contro lo spopolamento

conconcordo   con Concordo in pieno con la  scrittice  Bianca Pitzorno

 la  Nuova   Sardegna   2\10\2025 

L’intervista-la mia Sardegna
Bianca Pitzorno: «Tutta folclore e fuori dalla storia, detesto l’isola descritta ai turisti» 

La scrittrice racconta l’infanzia e la gioventù vissuta a Sassari: «I giochi, le vasche, i primi flirt; Piazza d’Italia era il cuore della vita sociale

                                                  di Massimo Sechi
Bianca Pitzorno: «Tutta folclore e fuori dalla storia, detesto l’isola descritta ai turisti»


«Io non mi sento sarda, mi sento sassarese. Per me Sassari è una enclave nella Sardegna così diversa che, per chi è veramente sassarese come sono io, il resto della Sardegna è un paese straniero come fosse il continente». Bianca Pitzorno non usa mezzi termini quando parla della sua terra e della sua città. Nata in via Roma, vissuta in Piazza d'Italia fino ai 26 anni, la scrittrice ha fatto di Sassari il centro della sua memoria e di molte sue storie, senza mai cedere alla retorica dell'identità sarda, un concetto che non nasconde di detestare, così come tanti stereotipi sull’isola.

Se pensa a Sassari quali ricordi le vengono in mente?

«Prima di tutto Piazza d’Italia, che era il cuore della vita sociale, ma anche il posto dove andavamo a passeggio, facevamo le vasche. I bambini più piccoli giocavano a rincorrersi, noi alle medie ci divertivamo con la guerra francese, poi un po’ più grandi nascevano i primi flirt. Poi c'è il liceo Azuni. Ho frequentato in quell’edificio dalla prima media alla terza liceo. Tutti i giorni andavo da Piazza d'Italia lungo via Cagliari, via Torre Tonda, i giardini pubblici. Mio fratello si era preso l'appento (la briga) di contare quante volte avevamo fatto quel percorso nella nostra vita ed erano infinite. Se parliamo invece di profumi ricordo quelli della favata, i lumaconi, le frittelle fatte con l’imbuto. E anche la zagara dei frutteti intorno alla città».

Quanto c'è di Sardegna nei suoi libri?

«C'è naturalmente tanto, perché per tutti gli scrittori la propria esperienza è la prima base della scrittura. Ho vissuto un quarto della mia vita qui e inevitabilmente alcuni dei miei libri sono ambientati a Sassari, ad esempio una serie di libri per ragazzi è ambientata nella scuola di San Giuseppe, storie veramente successe lì. Ho scritto dannandomi l'anima la biografia di Eleonora d'Arborea, perché non c'era quasi alcuna documentazione. La Sardegna c'è sempre tanto perché è stata la mia esperienza del periodo più importante della vita».

Ritorna spesso nell’isola?

«Io vengo spessissimo in Sardegna. Ho ancora una sorella che vive qui, una gran quantità di cugini, moltissimi amici fin dalle elementari con i quali sono rimasta molto legata. La mia necessità di tornare è di vedere quelle persone, non tanto di vedere la terra, ma le persone che a differenza mia sono rimaste a vivere qui. E quando riesco a beccarla, vado alla commedia sassarese, mi fa scompisciare dalle risate».

Che cosa non le piace della Sardegna di oggi?

«Ho vissuto il momento in cui è nata la Costa Smeralda, perché proprio in quel periodo facevo la mia tesi con Lilliu e partecipavo a degli scavi a Arzachena. Ho visto stravolgere quei luoghi. Devo dire che detesto la Sardegna raccontata a fini turistici, anche in alcuni libri recenti di successo. Si inventano una Sardegna fuori dalla storia, ad uso di chi arriva nell’isola con il tutto compreso, non esce dal villaggio se non per due gite guidate e se ne torna a casa sua con un’idea di questa terra favolosa ma che poi non è quella reale».

Quali scrittori sardi apprezza di oggi e del passato?

«Apprezzo moltissimo Marcello Fois quando parla di Sardegna come nella saga dei Chironi o  in “Memorie del vuoto” sulla vita di Stocchino. Ma mi piace anche quando racconta storie ambientate nel continente, come nel suo ultimo romanzo.  Anche Toti Mannuzzu era un grande scrittore. Poi c'è stato Sergio Atzeni: “Bellas Mariposas” secondo me è uno dei libri di formazione sull'adolescenza più belli della fine del Novecento. Invece ci sono altri scrittori che offrono una descrizione della Sardegna tutta folclore, magica. Quelli non li posso sopportare. La Sardegna ha avuto una storia nell'Europa, ai tempi di Eleonora i Giudici di Arborea erano alla pari dei principi europei. E ha avuto le sue classi sociali: non solo pastori e contadini, ma avvocati, ingegneri, pittori».

Cosa consiglierebbe a un giovane scrittore sardo: partire o restare?

«Oggi è necessario avere un agente. Quando uno ha un buon agente, che viva in Sardegna o fuori è uguale, deve vivere dove si trova meglio, dove ha i suoi affetti. Questo col fatto di fare lo scrittore non c'entra niente. Attenzione però: con questa moda della Sardegna favolosa, se uno si presenta con i gambali e la berritta, anche con un testo mediocre viene guardato con più interesse di uno vestito in jeans come un ragazzo di Trieste».

Tra i tanti premi ricevuti, che posto hanno quelli legati a Sassari?

«Il Candeliere d’oro fu un riconoscimento affettuoso, nato quasi per caso, dopo la mia laurea honoris causa a Bologna. Ma il premio che ho amato di più è stata la “chiave d’oro dei cancelletti degli orti”, che mi consegnò lo scrittore Franco Enna e che mi nominava sassarese in ciabi. Forse mi ha fatto più piacere quello che non il candeliere d’oro speciale».

.....

IDEM 

La ripartenza
Dall’incendio alla rinascita: la lavanderia che restituisce la sabbia alle spiagge


Sassari 
Quattro anni fa, sembrava tutto finito. Le fiamme avevano distrutto i sogni e i progetti di una vita: la prima sede della ditta di pulizie Arte Clean era andata in fumo insieme ad altri nove capannoni e altrettante aziende nella parte sud di Predda Niedda  «Quell’incendio ci ha cambiati: forse le cose non sarebbero andate così» dicono Barbara Grandu e Sandro Usai, con un sorriso che quattro anni fa sarebbe stato inimmaginabile. E che però è diventato possibile, grazie all’aiuto di tanti e alla forza di volontà dei due.

«Pian piano siamo riusciti a rimetterci in piedi, abbiamo iniziato a lavorare con importati realtà turistiche della Costa Smeralda, e ci siamo resi conto di un fatto: gli asciugamani, per quanto vengano scossi e sbattuti dalle persone, contengono ancora tanta sabbia, che resta nella trama» raccontano. E così, prima per gioco e poi sempre più seriamente, insieme ai propri dipendenti hanno iniziato a raccogliere la sabbia che restava nei filtri degli essiccatori: «Noi ci teniamo alla nostra terra bellissima e se possiamo in qualche modo, anche piccolissimo modo, contribuire a tenerla bella, lo facciamo volentieri».
Al termine della stagione, il bottino raccolto è stato di 40 chilogrammi: «È tanto, è poco? Non lo so, è un inizio. Sappiamo da dove arriva, perché da lì arrivano gli asciugamani, e così, dopo aver filtrato la sabbia, ripulendola da cicche e gomme, la abbiamo riportata a Liscia Ruja» dice Sandro.

Embed Image

La fenice Eppure, quattro anni fa, ogni cosa sembrava perduta. L’incendio fu devastante. «Era il 21 settembre 2021 e il mondo si fermò» racconta Barbara Grandu. Sarebbe stato molto facile arrendersi, anche perché all’enorme ondata di commozione e solidarietà, come spesso capita in questi casi, non corrispose poi un concreto aiuto economico. «Ma abbiamo avuto la fortuna di incontrare degli amici, degli angeli che ci hanno aiutato a rimetterci in piedi» spiega. E in quel momento tutto è cambiato, a cominciare dal logo di Arte Clean. Un nuovo simbolo che non poteva che essere la fenice, l’uccello mitologico che rinasce dalle sue stesse ceneri, rossa come le fiamme che avrebbero potuto distruggere un progetto, ma che invece ne hanno fatto nascere uno nuovo, trasformando una impresa di pulizie specializzata nelle case vacanze in una lavanderia artigianale all’avanguardia, con un occhio di riguardo per l’ambiente. «Non sarebbe potuto accadere senza coloro che ci hanno aiutato, a cominciare dalle nostre dipendenti, che hanno acquistato personalmente scope, palette e altri utensili per continuare a lavorare dopo che il materiale era andato distrutto» raccontano Barbara e Sandro. Ma non sono state le uniche: «Siamo stati accolti alla Farfalla, dove il personale amministrativo ha potuto chiudere le fatture entro il 30 settembre grazie a due vecchi computer sistemati e donatici dal nostro tecnico. Ci ha aiutato anche Agricola Mariani, mentre Filippo Salaris, di Sorgente Solare, ci ha portato qui, nella sede dove stiamo adesso, noi non avevamo soldi per pagare l’affitto ma ci ha detto: “Iniziate a lavorare, ci rivediamo fra un anno e mezzo”. O ancora i commercianti del centro, che ci hanno aiutato con una donazione grazie all’impegno di Diana Tessuti. Insomma, abbiamo ricevuto tanto bene, e ora vogliamo restituirlo». E anche riportare la sabbia nelle spiagge di origine è un piccolo modo per farlo. «Ora stiamo studiando con il nostro fabbro-inventore, Giovanni Lella, un macchinario che ci consenta di scuotere gli asciugamani ancora prima di metterli in lavatrice» spiega Sandro Usai. Che mostra orgoglioso i macchinari dell’azienda: «La mia idea è che tutti gli utili vadano investiti in innovazione tecnologica: non ho bisogno di comprarmi la Porsche, questa è la mia Porsche» dice, indicando una macchina che piega i tovaglioli. Più in là ce n’è una per il lavaggio dei tappeti: «In Italia non le produce nessuno e non se ne trovano più, l’abbiamo dovuta far arrivare dalla Turchia».Di fronte c’è un macchinario per stenderli, progettato sempre dal solito fabbro-inventore. «Ma l’automazione non deve sostituire il fattore umano, che è la vera risorsa di un’azienda che ha scelto di lavorare con la qualità piuttosto che con la quantità. Il gruppo ha circa una quarantina di dipendenti, e anche se il lavoro segue un andamento stagionale, la gran parte ha il contratto a tempo indeterminato, perché non possiamo permetterci di perdere la loro professionalità».

----



I titolari dell'azienda a Belvì Dante Carboni e Luciano Onano

Belvì I funghi più alti della Sardegna nascono a Belvì. Li coltivano da oltre quattro lustri, esattamente da 24 anni, Dante Carboni e il suo socio della Società agricola funghi belviesi, Luciano Onano. Consapevole che il marketing gioca anche su alcune parole chiave, anche l’altimetria dei prelibati funghi lo è, per conferire maggior appeal al prodotto. «Sì, siamo a circa 900 metri dal livello del mare. Penso che sia l’unica azienda per la produzione di funghi che lo faccia a questa altezza. In Sardegna di sicuro, ma probabilmente anche in Italia. Non mi risultano casi del genere. I competitor ci sono. E anche tanti, ma sono tutti in pianura», dice l’imprenditore con il nome del sommo poeta e con un sorriso accogliente e i modi decisi e rapidi della gente di montagna. Da sempre abituata a darsi da fare e a superare difficoltà imposte in primis dalla geografia e orografia dei luoghi.La sua è una famiglia di commercianti («mio nonno paterno veniva da Bosa era de “sos perriganos” citando il soprannome che nella città del Temo marchia tutti in maniera indelebile), ma per i funghi c’è una passione tutta personale e una competenza acquisita negli anni. Sicuramente ha contato anche essere un cercatore esperto in un territorio che sa regalare soddisfazioni. «Tutti noi abbiamo sempre vissuto nel bosco e i funghi li andavamo a cercare fin da bambini. Si creava una sorta di competizione. Io ero gelosissimo dei miei e quelli che prendevo li dovevo assaggiare io per primo», dice l’imprenditore che con il socio i funghi li coltiva in nove serre adagiate in mezzo al bosco. Un punto che si raggiunge percorrendo una strada che si arrampica tra i fusti di corbezzolo. «Di sicuro non ho mai venduto i porcini che ho trovato, quella è un’altra storia», dice Dante che qui da sempre ha trovato il suo equilibrio con la natura tra funghi, caccia e pesca.«La produzione annua solitamente supera i 540 quintali. La stagione dei funghi da queste parti inizia ad agosto e di solito si conclude ai primi di luglio. Poi sono altri a farla arrivare nelle tavole dei consumatori. Noi serviamo i gruppi principali della grande distribuzione a cui diamo un prodotto fresco che piace e di conseguenza per fortuna si vende». Le tipologie sono diverse. Principalmente qui si producono i pleurotus ostreatus, bianco ostrica, molto apprezzato per la sua consistenza carne e il sapore gradevole. Poi il cardoncello, pioppino e pleurotus cornucopia. «Facciamo anche qualcosa per le aziende che lo commercializzano sott’olio. Insomma, ci si da da fare», commenta anche sul bilancio di una vita da coltivatore, come tutti i commercianti si mantiene molto cauto.
«A volte si perde, altre volte si pareggia e poche altre ancora si fa qualche utile – commenta – Forse sarei già dovuto andare in pensione, ma sono ancora qua. Mi piacerebbe che mio figlio che al momento sta studiando prenda in mano l’attività e gli dia continuità. Un ragioniere in azienda serve sempre, così come braccia e volontà», aggiunge. «È il sogno di ogni belviese avere dei figli che possano rimanere in questi territori. Il passaggio generazionale è importante, così come poter condividere le varie tappe dell’esistenza vicini e non a migliaia di chilometri di distanza». In questi anni non sono mancati anche i finanziamenti e i supporti per piccoli grandi investimenti. «Qui ogni piccolo contributo aiuta non poco ogni impresa, perché viviamo in delle zone dove gli spostamenti sono difficoltosi e i costi anche per i soli spostamenti delle merci lievitano. Basta immaginarsi che noi quando siamo in produzione mediamente produciamo al giorno 5-6 quintali di funghi. Il prodotto che non si può conservare più di tanto deve essere un prodotto giornaliero per non perdere le sue qualità». L’impresa, l’azienda agricola funghi belviesi, e le altre sono un toccasana per il paese e il territorio. «Significano presenza, reddito e vita per le persone e in bosco. Non è poco, è tutto». 



10.6.22

sebastiani dessanay ha fermato su cd il suo viaggio doppio CD 377:

Il viaggio   di Sebastiano Dessanay, nei 14 mesi di pedalate tra il 2018 e il 2019 su e giù per l’isola Attraverso i monti, In laguna, sugli Altopiani basaltici, Sotto le pale eoliche, tra Spèndulas e Miniere,<< non è stata una competizione con fotofinish e podio a ogni fine tappa, con champagne, baci di miss e antidoping. Bensì una sessione di composizione a tappe, lunga tutto un viaggio e scandita dai tempi lenti della bicicletta. Ma una volta messe le 28 tracce su un buon impianto di trasmissione del suono, come da lui stesso suggeritoci, ecco che veniamo catapultati in quel suo particolare Giru de Sardigna da Nùgoro a Casteddu ritrovandoci deretu in fatu suo: un po’ come vettura ammiraglia con ruote e corde di ukubass di scorta; un po’ come inseguitori sulla sua scia, quasi nel tentativo di strappargli una maglia che gialla non può essere come al Tour, rosa nemmeno come al Giro e rossa neppure come nella Vuelta. Forse arancione, colore che domina l’elegante digipak di 377:, un telaio che una volta aperto vincola a sé due cd, come se fossero le ruote del biciclo, e una mappa. Ecco che ci viene quindi male parlare di ultima fatica del nostro riferendoci solo a quella discografica. Sa podda mera e sìnchera, la fatica sudata poi ricompensata dagli abbracci comunitari delle 377 biddas e tzitades>> Sebastiano la ha assaporata e  faticata   prima di comporre l’album: quando ha sfidato le incognite meteo-fisiche di questo outdoor culturale per raggiungere le rispettive destinazioni. Luoghi nei quali ha composto «frammenti sonori» («uno al giorno») c la  si può    sentire  già dalla prima traccia (Si parte!) con il fiatone su corona e pignone. Passando al resto      del doppio  cd  (l’ascolto è consigliato «in maniera lenta e creativa ), sono diversi i motivi per cui 377: questa settimana ha preso la tête de la course della  rubrica   di https://www.sascena.it/sebastiano-dessanay-377/ <<  Stiamo parlando di un album che dà musica alla letteratura di viaggio; stiamo parlando di un album che, appunto, può essere ascoltato leggendoci gli antichi resoconti di La Marmora, di Lawrence, di Valery; oppure di una colonna sonora del nostro viaggiare in quest’isola che è certamente diversa da quella del trio citato, ma che ancora poco conosciamo. E poi c’è la ricerca sonora: con la musica etnica che sposa il jazz riuscendo a dare luci nuove a una miscela che, a dirla tutta, non è certamente inedita; con gli arrangiamenti in perenne tensione con l’orografia de su connotu, con le insenature de su meledu con le campede de s’assussegu. Di spessore anche le incisioni del vivere quotidiano attraverso le musiche e le coralità della tradizione orale sarda: frammenti di canti come quelli a tenore, polifonici e a chiterra che sarebbero stati dei filler in un altro album ma non in questo diario di Incontros, Ammentos e Tramas coloridas. Sebastiano riprende il contrabbasso una volta in studio e con lui ci sono Peter Waters al piano, Roberto Migoni dietro le pelli e i piatti, Francesco Morittu alla chitarra classica e campidanese, «il lirismo degli ospiti Max De Aloe e Emanuele Contis» rispettivamente all’armonica e al sax. «Questi musicisti – spiega Dessanay – hanno contribuito a creare sonorità e atmosfere che descrivono bene in musica ciò che ho provato durante il viaggio: l’entusiasmo dell’inizio, lo stupore davanti a scenari incredibili, davanti alla natura, all’archeologia, la malinconia trasmessa da alcuni piccoli paesi in via di spopolamento, la calma ammirando alcuni paesaggi incontaminati e a volte desolati, l’energia degli abitanti di alcuni paesi vivaci, e anche la tristezza di alcune storie narrate». Buon viaggio a chi ha il disco tra le mani per la prima volta. Anche se, come da fiatone finale, Il viaggio continua.  >>
bello ed interessante . una musica tradizionale e moderna insieme lontano dai luoghi comuni e folkoristici della nostra identità fatti generalmente ad e consumo del turismo di massa . le canzoni , come il viaggio
non seguono un ordine cronologico ma ciò non toglie niente all'ottimo lavoro . Un guardare avanti senza perdere le origini . Uno di quei casi a cui si può rispondere quando ti chiedono ma che musica fai ?



    al prossimo viaggio   per i comuni  piccoli borghi   che  sono stati saltati   nel  frattempo  acquistate  il   cd 

Il bellissimo poster A3 realizzato da Valentina Vinci Illustrator che si trova all'interno del doppio CD 377: 🤩
Il CD è in vendita sul sito dell'associazione
https://www.377aps.org/negozio/
o sulla mia pagina Bandcamp
https://sebastianodessanay.bandcamp.com/album/377
oltre che nei seguenti punti vendita:
alta fedeltà Cagliari
I ricavati delle vendite andranno a supportare le prossime attività dell'associazione 377,

14.7.21

ORGIANAS di Daniela Bionda

 ORGIANAS  di Daniela Bionda ISBN 88 87393 23 -0 edito dalla P:T:M Editrice aprile 2006

il libro da me scritto dal titolo "Orgianas" è composto da tre novelle,  ambientate in Sardegna , la prima, ambientata  nella Sardegna  nuragica degli Shardana,  parla della ribellione di Ampsicora e di suo figlio Iosto, all'invasione romana   ed è intitolata "Orgians"

la seconda novella è ambientata durante l'invasione della Sardegna da parte del Vandali, ed è intitolata "Selene e l'ultimo rifugio "

la terza novella è sugli Shardana in Egitto  ed è intitolata  "Il viaggio di Kia"Questo libro scritto nel 2006, è nato dalla mia passione per gli Shardana, popolo del mare, e dall'influenza che provavo in quel momento per le teorie di Leonardo Melis, sebbene le sue teorie non siano state confutate dall'archeologia tradizionale, o comunque solo parzialmente,  hanno esercitato in me il desiderio di scrivere tre racconti stile "Fantasy "basati su fatti e personaggi realmente esistiti ed altri nati dalla mia immaginazione. Per la prima novella dal titolo Orgianas, tutti i personaggi romani e punici,  e naturalmente Ampsicora e suo figlio Iosto sono realmente esistiti.Ho quindi deciso di fare un breve sunto di tutte le tre novelle , troppo lunghe per essere riportate integralmente la prima è tratta dalla novella Selene, e l'Ultimo Rifugio

Selene, e l'Ultimo Rifugio- racconto di Daniela Bionda tratto dal libro Orgianas tre novelle" P.T.M. Editrice
La novella non ha alcuna attinenza con la storia della Sardegna ma è semplicemente un parto della mia fantasia, essendo troppo lunga qui vi è solo un sunto in cui i puntini servono per separare periodi diversi nel racconto.
La deina Selene pallida come la luna di cui portava il nome, sfilò la tunica ed i morbidi sandali che portava, che poggio' sopra una roccia, per poi immergersi nell'acqua di un ruscello seminascosto che conduceva al villaggio di Tiscali, sul monte Lanaittu, ultimo rifugio contro le legioni romane prima, poi saraceni, vandali e Bizantini. Immersa nella fonte sacra , Selene, isolo' la sua mente da tutto ciò che la circondava, separando pian piano i colori, i rumori ed infine gli odori circostanti, lasciando che l' acqua limpida e fresca l'avvolgesse cullandola. Salita su di una roccia, rimase pigramente esposta ai tiepidi raggi del sole, nell' attesa di asciugarsi, dividendo nel frattempo una mela dalla buccia ruvida ed asprigna, così come era ruvida ed asprigna la sua amata terra, con un pettirosso. Deina dei territori limitrofi, con le sue danze ipnotiche riusciva a rubare il miele dai favi, di cui erano ricchi i dolci fatti dalle donne del villaggio.La ragazza viveva da sola, in perfetta armonia con la natura, cibandosi di frutta e miele e della carne che i cacciatori le portavano dopo aver scelto per lei i pezzi più pregiati.Le pelli di questi animali portati in dono venivano scuoiate e trattate per farne morbidi mantelli atti a tenere calda la grotta in cui la loro deina viveva. Le donne del villaggio provvedevano invece, a fornirla di tutti quegli utensili di uso quotidiano, vasetti, ciotole e piccole statue raffiguranti la dea madre, che barattavano in cambio di medicamenti, consigli e filtri d'amore. Una delle mansioni più importanti di Selene era quella di giudichessa, a lei si rivolgevano gli uomini di tutti i villaggi vicini per derimere le contese........... .
Quando voleva stare sola con se stessa, accompagnata dal suo fido falco URO, faceva delle passeggiate sulla spiaggia, in silenzio, a guardare il mare e a farsi cullare dalle onde che raggiungevano la riva. La sua grotta era piena di strani oggetti, provenienti da ogni parte del mondo sconosciuto e che il mare restituiva. La deina felice come non mai si precipitava a raccogliere ogni oggetto, dalle varie forme e colori, trovava tutto prezioso, e battendo le mani come una bambina ad ogni nuova scoperta, li stringeva al petto danzando con loro. L' isola dei venti, così battuta dal maestrale che piegava gli alberi come fuscelli, era spesso infida con i suoi occasionali visitatori, e tracce di vita passata venivano trovate lungo le coste dai pescatori, riemergendo dai flutti per poi depositarsi sulla spiaggia............
Selene da qualche giorno soffriva di una strana inquietudine a cui non sapeva dare ancora un nome. Preso un cavallo, si diresse con URO sulla spalla, e giunta su un promontorio Uni la sua mente a quella del falco, lanciandolo in volo. Le due menti presero a volare in quel cielo limpido e privo di nuvole.
In precedenza Selene non aveva avuto conoscenza delle correnti seguite da URO, e dalle quali si faceva solo trasportare, ora, invece, le sembrava di conoscerle, vederle, così si rilasso' e cominciò a guardare il panorama sottostante, mentre delle nuvole apparirono all' orizzonte. Selene udì l' odore della pioggia prima ancora di udire il tuono. Man mano vide un esercito di Vandali che avanzavano sulla spiaggia ......................
Selene trascino' il giovane vandalo svenuto sino alla grotta. Sebbene gli eventi lo avessero segnato non doveva avere più di venti anni. Il volto era circondato da lunghi capelli tra il biondo ed il rossastro, legati tra loro da un laccio. Piccole rughe di espressione circondavano gli occhi e la bocca come se fosse facile al riso, la sua pelle sana ed abbronzata rivelava una vita all'aria aperta. Comincio' con il lavare le ferite, la spalla ed il braccio erano feriti gravemente, ma il cuore ed i polmoni erano salvi. Nial, questo era il suo nome, borbotto qualcosa di incomprensibile nella sua lingua e subito Selene gli avvicinò il corno di idromele per poterlo addormentare. Avvolto in bende pulite, la ragazza mise il giovane vicino al fuoco sapendo che il freddo si sarebbe cibato della sua essenza. La mattina prese i suoi rimedi e con un puledrino si avviò al villaggio. I vandali erano stati cacciati, ma molti erano i morti e i feriti. Una parte di Selene dovette accettare il fatto di essersi innamorata del nemico..............
I giorni nella grotta passavano lieti, ed ogni giorno Nial diventava sempre più forte, la sera passavano il tempo presso la sacra fonte, dove Nial ritrovava la sua essenza, rendendo Selene molto felice. Anche la lingua non costituiva un'ostacolo , il loro era un intendersi di sguardi e di gesti.
Una sera, un gruppo di cacciatori tra i più esperti, che battevano in lungo ed in largo il terreno alla ricerca di tracce le trovo' vicino alla grotta della loro deina e fu chiaro che chi era li su trovava in veste di padrone e non di prigioniero. Sebbene Selene si fosse comportata come una nemica non poteva essere uccisa ed allora fu chiesto al giovane guerriero vandalo di combattere per la sua vita. Mentre Nial si dirigeva verso la morte, Selene usci a raccogliere dei funghi nel bosco che mise assieme ad altre erbe in un calderone, poi, verso' il composto nel corno. Il bosco era pieno di Sardi Pelliti, vestiti di sola pelle e con le facce coperte da maschere di legno lavorato che rappresentavano vari animali........
Quando verso sera UT portò a Selene il corpo di Nial che non aveva ancora esalato il suo ultino respiro, lo stesero sul sudario all''ombra di una quercia. UT la lascio' sola per dire addio al suo uomo. Nial le chiese una spada, lei acconsentì. Dopo, presi i lacci di pelle ed un grosso ago fatto d'osso, Selene iniziò a chiedere il sudario, quando giunse circa a metà lavoro bevve dal corno ed dopo essersi sdraiata accanto a Nial continuò con la sua opera di cucitura, fino a quando le braccia non risposero più, allora poggio' il suo capo sulla spalla , pronta per il lungo viaggio. Quando l' indomani i guerrieri vennero a rendere l'onore delle armi allo straniero venuto dal mare per l' abilità ed il coraggio con cui aveva combattuto, videro sotto la quercia una specie di bozzolo e lì dentro i due amanti abbracciati nel loro ultimo rifugio
 

2.4.21

storie dalla sardegna i nuovi sardi , sardegna e continente , OLTRE LA CRONACA


per gli amici della penisola continentali come gli chiamiamo noi che mi chiedono della Sardegna
Iniziamo con
 
   

la  storia    di   Giuseppe Cugusi che fa il pastore, ma sulla cartà d'identità non si può scrivere. Lo impedisce la burocrazia italiana per cui la professione più vecchia della storia semplicemente non esiste. Il programma automatico dell'anagrafe suggerisce "coltivatore diretto". Un altro modo per cancellare l'identità? Studiato o meno che sia, Giuseppe, non vuole accettarlo.
Scrive di lui Gianni Mura, giornalista di Repubblica: « ...I suoi pecorini si trovano da Pinchiorri a Firenze e da Beck a Roma, e fortunatamente anche nelle mie due tane milanesi. Come il whisky Laphroaig trent'anni fa, il suo pecorino affumicato e stagionato segna il radioso punto del non ritorno

gli altri sono  tratti dalla  nuova  Sardegna 


 

Nicola, il sogno di una vita sulle ali dell’aquila reale


Il giovane falconiere di Gavoi innamorato del volo libero dei rapaci

Locorra è una collina molto panoramica che sovrasta le ultime case di Gavoi. Il paesaggio è aperto, le due cime di Pizzuri sullo sfondo arricchiscono la scenografia. In una radura declinante un giovane snello e vigoroso indossa sulla mano sinistra, tesa verso l’alto, un robusto guantone di cuoio. Sul guantone è posato uno stupendo esemplare di aquila reale, possente e imponente, che urla in continuazione. Il giovane ruota con energia il braccio in avanti, lancia in volo il rapace e l’aria si carica dell’elettricità che accompagna sempre le planate della regina dei cieli. Lei è una giovane aquila reale di nove mesi; lui è Nicola, un gavoese innamorato dei rapaci. Di cognome fa Marcello, sia da parte del padre Raffaele di Sarule che della madre Franca di Gavoi.

E proprio dalla madre, che già da ragazzina raccoglieva ogni animale ferito o abbandonato, ha preso la grande passione per la natura e in particolar modo per i rapaci. Una volta il padre, esasperato dal suo desiderio di vedere l’aquila, lo portò con se nel cantiere forestale sotto Punta la Marmora, dove lavorava e dove il bambino per tutta la mattina avrebbe potuto guardare il cielo sperando di realizzare il suo sogno. Le prime esperienze dirette con i rapaci arriveranno più tardi. Molto intensa quella con un pulcino di gheppio caduto dal nido che mamma Franca allevò a casa, in assoluta libertà.
Al momento dell’involo il giovane gheppio, perfettamente in salute, andò via ma, per almeno un paio di mesi, continuò a frequentare il davanzale dove era cresciuto per cibarsi della carne posizionata lì per lui. Un altro contatto diretto fu con una poiana ardimentosa che si infilò nel pollaio della zia Filomena creando scompiglio e danno tra le galline. La zia, furiosa, entrò armata di un robusto randello decisa a fare giustizia sommaria. Fortunatamente intervenne Nicola che, con una mano parò i colpi della donna mentre con l’altra riuscì ad afferrare e portar via la poiana.
Per ampliare le sue conoscenze Nicola iniziò ben presto a frequentare la locale stazione del Corpo Forestale e l’ambulatorio del veterinario dove si recava ogni qual volta venisse portato un rapace ferito o malandato. Ma si tratta di episodi, pur se di forte coinvolgimento, sempre troppo fugaci. Nicola vuole di più, aspira al contatto diretto con il rapace e pensa alla falconeria. Appena può frequenta un corso organizzato dall’Associazione Falconieri di Eleonorae di San Gavino; pur se il corso dura solo 3 giorni, è tuttavia un primo importantissimo passo. Il resto lo faranno la sua determinazione, la pazienza infinita e la capacità di sperimentare. Dall’Associazione sangavinese prende una poiana di Harris, rapace molto diffuso nel continente americano, che per le sue qualità caratteriali ben si presta all’iniziazione dei falconieri neofiti. Finalmente un rapace sul pugno! Qualche buona lettura specialistica e via con le varie tappe necessarie per instaurare un rapporto di fiducia e di dipendenza col falco. Ma è solo il primo passo. Nicola sogna un futuro di totale convivenza con i rapaci. Chiede ed ottiene l’utilizzo dei locali di un agriturismo in disuso a Zoccai, a poca distanza dal paese, da utilizzare come giardino per tanti rapaci di diverse specie. Parte alla grande con due esemplari di gufo reale, perfetta incarnazione del fascino misterioso dei rapaci notturni, provenienti dall’allevamento austriaco di Markus Plattner. Ed ecco che brucia le tappe e dall’allevamento cecoslovacco di Vojtech Skrba arriva Zulemma (così la battezza) un pulcino di aquila reale della sottospecie daphanea . E la vita di Nicola cambia e prende i ritmi dettati dalle esigenze dell’aquilotta. Ogni momento libero dal lavoro (fa l’operaio in un caseificio) è dedicato a lei per ammansirla, nutrirla, farla salire sul pugno e iniziare a provare a farla volare. Bisogna vederli, lui e Zulemma che si guardano negli occhi, per capire l’affiatamento che li lega. E vedendo la naturale maestria con la quale questo apprendista falconiere lancia l’aquila in volo e come lei ritorna sul pugno, si rimane stupiti pensando come tutto ciò sia stato possibile in così poco tempo.




Per curiosità chiedo a Nicola come si comporta Zulemma con le altre persone. Mi guarda e il volto si trasfigura, colgo lo smarrimento e la fatica di fermare le lacrime. Capisco di aver varcato involontariamente un confine personalissimo, dove ogni parola ha un suo peso preciso. «L’unica persona da cui si lascia accarezzare è comare Maria Laura» mormora con un filo di voce. E vengo a conoscenza di una storia umana che riveste di nobiltà assoluta quanto ho visto sinora. Luigi è un ragazzino vivace, appassionato di rapaci, fan di Nicola. Sognano insieme un’Aquila da far volare. Così è quasi scontato che Luigi scelga Nicola come padrino di cresima. A volte la vita è molto crudele e Luigi muore per un tragico incidente a soli 15 anni. Per Nicola è una sofferenza terribile. E sarà proprio
questa sofferenza a spingerlo ad anticipare i tempi e prendere l’aquila pensando a lui. E quando scopre che Zulemma è nata il 4 maggio del 2020, proprio un anno esatto dal giorno della cresima di Luigi, vede un preciso segno del destino. Racconta, come stesse parlando a se stesso, che quando fa volare l’aquila a Perda Liana, sul Gennargentu o in altri posti di intensa naturalezza, dopo aver lanciato Zulemma, si distende in silenzio in assoluta solitudine e osserva la loro aquila volare; la guarda come se a farlo fossero gli occhi del suo giovane amico e magari pensa, con dolce consolazione «...deo l’isco, ses tue...», incarnando in quel leggiadro librarsi l’anima di Luigi.


31 MARZO 2021


La moglie sarda: «Il mio amore da Oscar con Riccardo, l’altro Fellini»

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...