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10.6.22

sebastiani dessanay ha fermato su cd il suo viaggio doppio CD 377:

Il viaggio   di Sebastiano Dessanay, nei 14 mesi di pedalate tra il 2018 e il 2019 su e giù per l’isola Attraverso i monti, In laguna, sugli Altopiani basaltici, Sotto le pale eoliche, tra Spèndulas e Miniere,<< non è stata una competizione con fotofinish e podio a ogni fine tappa, con champagne, baci di miss e antidoping. Bensì una sessione di composizione a tappe, lunga tutto un viaggio e scandita dai tempi lenti della bicicletta. Ma una volta messe le 28 tracce su un buon impianto di trasmissione del suono, come da lui stesso suggeritoci, ecco che veniamo catapultati in quel suo particolare Giru de Sardigna da Nùgoro a Casteddu ritrovandoci deretu in fatu suo: un po’ come vettura ammiraglia con ruote e corde di ukubass di scorta; un po’ come inseguitori sulla sua scia, quasi nel tentativo di strappargli una maglia che gialla non può essere come al Tour, rosa nemmeno come al Giro e rossa neppure come nella Vuelta. Forse arancione, colore che domina l’elegante digipak di 377:, un telaio che una volta aperto vincola a sé due cd, come se fossero le ruote del biciclo, e una mappa. Ecco che ci viene quindi male parlare di ultima fatica del nostro riferendoci solo a quella discografica. Sa podda mera e sìnchera, la fatica sudata poi ricompensata dagli abbracci comunitari delle 377 biddas e tzitades>> Sebastiano la ha assaporata e  faticata   prima di comporre l’album: quando ha sfidato le incognite meteo-fisiche di questo outdoor culturale per raggiungere le rispettive destinazioni. Luoghi nei quali ha composto «frammenti sonori» («uno al giorno») c la  si può    sentire  già dalla prima traccia (Si parte!) con il fiatone su corona e pignone. Passando al resto      del doppio  cd  (l’ascolto è consigliato «in maniera lenta e creativa ), sono diversi i motivi per cui 377: questa settimana ha preso la tête de la course della  rubrica   di https://www.sascena.it/sebastiano-dessanay-377/ <<  Stiamo parlando di un album che dà musica alla letteratura di viaggio; stiamo parlando di un album che, appunto, può essere ascoltato leggendoci gli antichi resoconti di La Marmora, di Lawrence, di Valery; oppure di una colonna sonora del nostro viaggiare in quest’isola che è certamente diversa da quella del trio citato, ma che ancora poco conosciamo. E poi c’è la ricerca sonora: con la musica etnica che sposa il jazz riuscendo a dare luci nuove a una miscela che, a dirla tutta, non è certamente inedita; con gli arrangiamenti in perenne tensione con l’orografia de su connotu, con le insenature de su meledu con le campede de s’assussegu. Di spessore anche le incisioni del vivere quotidiano attraverso le musiche e le coralità della tradizione orale sarda: frammenti di canti come quelli a tenore, polifonici e a chiterra che sarebbero stati dei filler in un altro album ma non in questo diario di Incontros, Ammentos e Tramas coloridas. Sebastiano riprende il contrabbasso una volta in studio e con lui ci sono Peter Waters al piano, Roberto Migoni dietro le pelli e i piatti, Francesco Morittu alla chitarra classica e campidanese, «il lirismo degli ospiti Max De Aloe e Emanuele Contis» rispettivamente all’armonica e al sax. «Questi musicisti – spiega Dessanay – hanno contribuito a creare sonorità e atmosfere che descrivono bene in musica ciò che ho provato durante il viaggio: l’entusiasmo dell’inizio, lo stupore davanti a scenari incredibili, davanti alla natura, all’archeologia, la malinconia trasmessa da alcuni piccoli paesi in via di spopolamento, la calma ammirando alcuni paesaggi incontaminati e a volte desolati, l’energia degli abitanti di alcuni paesi vivaci, e anche la tristezza di alcune storie narrate». Buon viaggio a chi ha il disco tra le mani per la prima volta. Anche se, come da fiatone finale, Il viaggio continua.  >>
bello ed interessante . una musica tradizionale e moderna insieme lontano dai luoghi comuni e folkoristici della nostra identità fatti generalmente ad e consumo del turismo di massa . le canzoni , come il viaggio
non seguono un ordine cronologico ma ciò non toglie niente all'ottimo lavoro . Un guardare avanti senza perdere le origini . Uno di quei casi a cui si può rispondere quando ti chiedono ma che musica fai ?



    al prossimo viaggio   per i comuni  piccoli borghi   che  sono stati saltati   nel  frattempo  acquistate  il   cd 

Il bellissimo poster A3 realizzato da Valentina Vinci Illustrator che si trova all'interno del doppio CD 377: 🤩
Il CD è in vendita sul sito dell'associazione
https://www.377aps.org/negozio/
o sulla mia pagina Bandcamp
https://sebastianodessanay.bandcamp.com/album/377
oltre che nei seguenti punti vendita:
alta fedeltà Cagliari
I ricavati delle vendite andranno a supportare le prossime attività dell'associazione 377,

14.7.21

ORGIANAS di Daniela Bionda

 ORGIANAS  di Daniela Bionda ISBN 88 87393 23 -0 edito dalla P:T:M Editrice aprile 2006

il libro da me scritto dal titolo "Orgianas" è composto da tre novelle,  ambientate in Sardegna , la prima, ambientata  nella Sardegna  nuragica degli Shardana,  parla della ribellione di Ampsicora e di suo figlio Iosto, all'invasione romana   ed è intitolata "Orgians"

la seconda novella è ambientata durante l'invasione della Sardegna da parte del Vandali, ed è intitolata "Selene e l'ultimo rifugio "

la terza novella è sugli Shardana in Egitto  ed è intitolata  "Il viaggio di Kia"Questo libro scritto nel 2006, è nato dalla mia passione per gli Shardana, popolo del mare, e dall'influenza che provavo in quel momento per le teorie di Leonardo Melis, sebbene le sue teorie non siano state confutate dall'archeologia tradizionale, o comunque solo parzialmente,  hanno esercitato in me il desiderio di scrivere tre racconti stile "Fantasy "basati su fatti e personaggi realmente esistiti ed altri nati dalla mia immaginazione. Per la prima novella dal titolo Orgianas, tutti i personaggi romani e punici,  e naturalmente Ampsicora e suo figlio Iosto sono realmente esistiti.Ho quindi deciso di fare un breve sunto di tutte le tre novelle , troppo lunghe per essere riportate integralmente la prima è tratta dalla novella Selene, e l'Ultimo Rifugio

Selene, e l'Ultimo Rifugio- racconto di Daniela Bionda tratto dal libro Orgianas tre novelle" P.T.M. Editrice
La novella non ha alcuna attinenza con la storia della Sardegna ma è semplicemente un parto della mia fantasia, essendo troppo lunga qui vi è solo un sunto in cui i puntini servono per separare periodi diversi nel racconto.
La deina Selene pallida come la luna di cui portava il nome, sfilò la tunica ed i morbidi sandali che portava, che poggio' sopra una roccia, per poi immergersi nell'acqua di un ruscello seminascosto che conduceva al villaggio di Tiscali, sul monte Lanaittu, ultimo rifugio contro le legioni romane prima, poi saraceni, vandali e Bizantini. Immersa nella fonte sacra , Selene, isolo' la sua mente da tutto ciò che la circondava, separando pian piano i colori, i rumori ed infine gli odori circostanti, lasciando che l' acqua limpida e fresca l'avvolgesse cullandola. Salita su di una roccia, rimase pigramente esposta ai tiepidi raggi del sole, nell' attesa di asciugarsi, dividendo nel frattempo una mela dalla buccia ruvida ed asprigna, così come era ruvida ed asprigna la sua amata terra, con un pettirosso. Deina dei territori limitrofi, con le sue danze ipnotiche riusciva a rubare il miele dai favi, di cui erano ricchi i dolci fatti dalle donne del villaggio.La ragazza viveva da sola, in perfetta armonia con la natura, cibandosi di frutta e miele e della carne che i cacciatori le portavano dopo aver scelto per lei i pezzi più pregiati.Le pelli di questi animali portati in dono venivano scuoiate e trattate per farne morbidi mantelli atti a tenere calda la grotta in cui la loro deina viveva. Le donne del villaggio provvedevano invece, a fornirla di tutti quegli utensili di uso quotidiano, vasetti, ciotole e piccole statue raffiguranti la dea madre, che barattavano in cambio di medicamenti, consigli e filtri d'amore. Una delle mansioni più importanti di Selene era quella di giudichessa, a lei si rivolgevano gli uomini di tutti i villaggi vicini per derimere le contese........... .
Quando voleva stare sola con se stessa, accompagnata dal suo fido falco URO, faceva delle passeggiate sulla spiaggia, in silenzio, a guardare il mare e a farsi cullare dalle onde che raggiungevano la riva. La sua grotta era piena di strani oggetti, provenienti da ogni parte del mondo sconosciuto e che il mare restituiva. La deina felice come non mai si precipitava a raccogliere ogni oggetto, dalle varie forme e colori, trovava tutto prezioso, e battendo le mani come una bambina ad ogni nuova scoperta, li stringeva al petto danzando con loro. L' isola dei venti, così battuta dal maestrale che piegava gli alberi come fuscelli, era spesso infida con i suoi occasionali visitatori, e tracce di vita passata venivano trovate lungo le coste dai pescatori, riemergendo dai flutti per poi depositarsi sulla spiaggia............
Selene da qualche giorno soffriva di una strana inquietudine a cui non sapeva dare ancora un nome. Preso un cavallo, si diresse con URO sulla spalla, e giunta su un promontorio Uni la sua mente a quella del falco, lanciandolo in volo. Le due menti presero a volare in quel cielo limpido e privo di nuvole.
In precedenza Selene non aveva avuto conoscenza delle correnti seguite da URO, e dalle quali si faceva solo trasportare, ora, invece, le sembrava di conoscerle, vederle, così si rilasso' e cominciò a guardare il panorama sottostante, mentre delle nuvole apparirono all' orizzonte. Selene udì l' odore della pioggia prima ancora di udire il tuono. Man mano vide un esercito di Vandali che avanzavano sulla spiaggia ......................
Selene trascino' il giovane vandalo svenuto sino alla grotta. Sebbene gli eventi lo avessero segnato non doveva avere più di venti anni. Il volto era circondato da lunghi capelli tra il biondo ed il rossastro, legati tra loro da un laccio. Piccole rughe di espressione circondavano gli occhi e la bocca come se fosse facile al riso, la sua pelle sana ed abbronzata rivelava una vita all'aria aperta. Comincio' con il lavare le ferite, la spalla ed il braccio erano feriti gravemente, ma il cuore ed i polmoni erano salvi. Nial, questo era il suo nome, borbotto qualcosa di incomprensibile nella sua lingua e subito Selene gli avvicinò il corno di idromele per poterlo addormentare. Avvolto in bende pulite, la ragazza mise il giovane vicino al fuoco sapendo che il freddo si sarebbe cibato della sua essenza. La mattina prese i suoi rimedi e con un puledrino si avviò al villaggio. I vandali erano stati cacciati, ma molti erano i morti e i feriti. Una parte di Selene dovette accettare il fatto di essersi innamorata del nemico..............
I giorni nella grotta passavano lieti, ed ogni giorno Nial diventava sempre più forte, la sera passavano il tempo presso la sacra fonte, dove Nial ritrovava la sua essenza, rendendo Selene molto felice. Anche la lingua non costituiva un'ostacolo , il loro era un intendersi di sguardi e di gesti.
Una sera, un gruppo di cacciatori tra i più esperti, che battevano in lungo ed in largo il terreno alla ricerca di tracce le trovo' vicino alla grotta della loro deina e fu chiaro che chi era li su trovava in veste di padrone e non di prigioniero. Sebbene Selene si fosse comportata come una nemica non poteva essere uccisa ed allora fu chiesto al giovane guerriero vandalo di combattere per la sua vita. Mentre Nial si dirigeva verso la morte, Selene usci a raccogliere dei funghi nel bosco che mise assieme ad altre erbe in un calderone, poi, verso' il composto nel corno. Il bosco era pieno di Sardi Pelliti, vestiti di sola pelle e con le facce coperte da maschere di legno lavorato che rappresentavano vari animali........
Quando verso sera UT portò a Selene il corpo di Nial che non aveva ancora esalato il suo ultino respiro, lo stesero sul sudario all''ombra di una quercia. UT la lascio' sola per dire addio al suo uomo. Nial le chiese una spada, lei acconsentì. Dopo, presi i lacci di pelle ed un grosso ago fatto d'osso, Selene iniziò a chiedere il sudario, quando giunse circa a metà lavoro bevve dal corno ed dopo essersi sdraiata accanto a Nial continuò con la sua opera di cucitura, fino a quando le braccia non risposero più, allora poggio' il suo capo sulla spalla , pronta per il lungo viaggio. Quando l' indomani i guerrieri vennero a rendere l'onore delle armi allo straniero venuto dal mare per l' abilità ed il coraggio con cui aveva combattuto, videro sotto la quercia una specie di bozzolo e lì dentro i due amanti abbracciati nel loro ultimo rifugio
 

2.4.21

storie dalla sardegna i nuovi sardi , sardegna e continente , OLTRE LA CRONACA


per gli amici della penisola continentali come gli chiamiamo noi che mi chiedono della Sardegna
Iniziamo con
 
   

la  storia    di   Giuseppe Cugusi che fa il pastore, ma sulla cartà d'identità non si può scrivere. Lo impedisce la burocrazia italiana per cui la professione più vecchia della storia semplicemente non esiste. Il programma automatico dell'anagrafe suggerisce "coltivatore diretto". Un altro modo per cancellare l'identità? Studiato o meno che sia, Giuseppe, non vuole accettarlo.
Scrive di lui Gianni Mura, giornalista di Repubblica: « ...I suoi pecorini si trovano da Pinchiorri a Firenze e da Beck a Roma, e fortunatamente anche nelle mie due tane milanesi. Come il whisky Laphroaig trent'anni fa, il suo pecorino affumicato e stagionato segna il radioso punto del non ritorno

gli altri sono  tratti dalla  nuova  Sardegna 


 

Nicola, il sogno di una vita sulle ali dell’aquila reale


Il giovane falconiere di Gavoi innamorato del volo libero dei rapaci

Locorra è una collina molto panoramica che sovrasta le ultime case di Gavoi. Il paesaggio è aperto, le due cime di Pizzuri sullo sfondo arricchiscono la scenografia. In una radura declinante un giovane snello e vigoroso indossa sulla mano sinistra, tesa verso l’alto, un robusto guantone di cuoio. Sul guantone è posato uno stupendo esemplare di aquila reale, possente e imponente, che urla in continuazione. Il giovane ruota con energia il braccio in avanti, lancia in volo il rapace e l’aria si carica dell’elettricità che accompagna sempre le planate della regina dei cieli. Lei è una giovane aquila reale di nove mesi; lui è Nicola, un gavoese innamorato dei rapaci. Di cognome fa Marcello, sia da parte del padre Raffaele di Sarule che della madre Franca di Gavoi.

E proprio dalla madre, che già da ragazzina raccoglieva ogni animale ferito o abbandonato, ha preso la grande passione per la natura e in particolar modo per i rapaci. Una volta il padre, esasperato dal suo desiderio di vedere l’aquila, lo portò con se nel cantiere forestale sotto Punta la Marmora, dove lavorava e dove il bambino per tutta la mattina avrebbe potuto guardare il cielo sperando di realizzare il suo sogno. Le prime esperienze dirette con i rapaci arriveranno più tardi. Molto intensa quella con un pulcino di gheppio caduto dal nido che mamma Franca allevò a casa, in assoluta libertà.
Al momento dell’involo il giovane gheppio, perfettamente in salute, andò via ma, per almeno un paio di mesi, continuò a frequentare il davanzale dove era cresciuto per cibarsi della carne posizionata lì per lui. Un altro contatto diretto fu con una poiana ardimentosa che si infilò nel pollaio della zia Filomena creando scompiglio e danno tra le galline. La zia, furiosa, entrò armata di un robusto randello decisa a fare giustizia sommaria. Fortunatamente intervenne Nicola che, con una mano parò i colpi della donna mentre con l’altra riuscì ad afferrare e portar via la poiana.
Per ampliare le sue conoscenze Nicola iniziò ben presto a frequentare la locale stazione del Corpo Forestale e l’ambulatorio del veterinario dove si recava ogni qual volta venisse portato un rapace ferito o malandato. Ma si tratta di episodi, pur se di forte coinvolgimento, sempre troppo fugaci. Nicola vuole di più, aspira al contatto diretto con il rapace e pensa alla falconeria. Appena può frequenta un corso organizzato dall’Associazione Falconieri di Eleonorae di San Gavino; pur se il corso dura solo 3 giorni, è tuttavia un primo importantissimo passo. Il resto lo faranno la sua determinazione, la pazienza infinita e la capacità di sperimentare. Dall’Associazione sangavinese prende una poiana di Harris, rapace molto diffuso nel continente americano, che per le sue qualità caratteriali ben si presta all’iniziazione dei falconieri neofiti. Finalmente un rapace sul pugno! Qualche buona lettura specialistica e via con le varie tappe necessarie per instaurare un rapporto di fiducia e di dipendenza col falco. Ma è solo il primo passo. Nicola sogna un futuro di totale convivenza con i rapaci. Chiede ed ottiene l’utilizzo dei locali di un agriturismo in disuso a Zoccai, a poca distanza dal paese, da utilizzare come giardino per tanti rapaci di diverse specie. Parte alla grande con due esemplari di gufo reale, perfetta incarnazione del fascino misterioso dei rapaci notturni, provenienti dall’allevamento austriaco di Markus Plattner. Ed ecco che brucia le tappe e dall’allevamento cecoslovacco di Vojtech Skrba arriva Zulemma (così la battezza) un pulcino di aquila reale della sottospecie daphanea . E la vita di Nicola cambia e prende i ritmi dettati dalle esigenze dell’aquilotta. Ogni momento libero dal lavoro (fa l’operaio in un caseificio) è dedicato a lei per ammansirla, nutrirla, farla salire sul pugno e iniziare a provare a farla volare. Bisogna vederli, lui e Zulemma che si guardano negli occhi, per capire l’affiatamento che li lega. E vedendo la naturale maestria con la quale questo apprendista falconiere lancia l’aquila in volo e come lei ritorna sul pugno, si rimane stupiti pensando come tutto ciò sia stato possibile in così poco tempo.




Per curiosità chiedo a Nicola come si comporta Zulemma con le altre persone. Mi guarda e il volto si trasfigura, colgo lo smarrimento e la fatica di fermare le lacrime. Capisco di aver varcato involontariamente un confine personalissimo, dove ogni parola ha un suo peso preciso. «L’unica persona da cui si lascia accarezzare è comare Maria Laura» mormora con un filo di voce. E vengo a conoscenza di una storia umana che riveste di nobiltà assoluta quanto ho visto sinora. Luigi è un ragazzino vivace, appassionato di rapaci, fan di Nicola. Sognano insieme un’Aquila da far volare. Così è quasi scontato che Luigi scelga Nicola come padrino di cresima. A volte la vita è molto crudele e Luigi muore per un tragico incidente a soli 15 anni. Per Nicola è una sofferenza terribile. E sarà proprio
questa sofferenza a spingerlo ad anticipare i tempi e prendere l’aquila pensando a lui. E quando scopre che Zulemma è nata il 4 maggio del 2020, proprio un anno esatto dal giorno della cresima di Luigi, vede un preciso segno del destino. Racconta, come stesse parlando a se stesso, che quando fa volare l’aquila a Perda Liana, sul Gennargentu o in altri posti di intensa naturalezza, dopo aver lanciato Zulemma, si distende in silenzio in assoluta solitudine e osserva la loro aquila volare; la guarda come se a farlo fossero gli occhi del suo giovane amico e magari pensa, con dolce consolazione «...deo l’isco, ses tue...», incarnando in quel leggiadro librarsi l’anima di Luigi.


31 MARZO 2021


La moglie sarda: «Il mio amore da Oscar con Riccardo, l’altro Fellini»

22.4.19

l'uomo che compro la luna di paolo zucca ridere della sardità folkoristica e guardare avanti senza scorarsi chi siamo stati e chi siamo

per  approfondire  
https://www.youtube.com/watch?v=dZey81g3lpI bufale  o  dubbi


"Mi piace inventare gli spettacoli che voglio... quelliche non riesco a vedere, cerco di sognarli..."
                             Guido Crepax (1933-2003)

Un attesa  del  50  anniversario     dello  sbarco     ( vero o presunto      che  sia   )    sulla  luna   oltre  alla  bellissima    trasmissione   di Andrea Purgatori  
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="360" src="https://static.la7.it/embedded/la7?&amp;tid=player&amp;content=269252&amp;title=atlantide-con-andrea-purgatori-la-conquista-della-luna-18-04-2019-269252" width="100%"></iframe><br /><b style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #666666; font-family: &quot;Open Sans&quot;, Arial, sans-serif; font-size: 16px;"><br /></b>
<b style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #666666; font-family: &quot;Open Sans&quot;, Arial, sans-serif; font-size: 16px;"><br /></b> <b style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #666666; font-family: &quot;Open Sans&quot;, Arial, sans-serif; font-size: 16px;"><br /></b> <b style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #666666; font-family: &quot;Open Sans&quot;, Arial, sans-serif; font-size: 16px;">L'uomo che comprò la luna</b><span style="background-color: white; color: #666666; font-family: &quot;open sans&quot; , &quot;arial&quot; , sans-serif; font-size: 16px;">&nbsp;è un film di genere commedia del 2018, diretto da Paolo Zucca, con Jacopo Cullin e Stefano Fresi. Uscita al cinema il 04 aprile 2019. Durata 102 minuti. Distribuito da Indigo Film.</span>
<span style="background-color: white; color: #666666; font-family: &quot;open sans&quot; , &quot;arial&quot; , sans-serif; font-size: 16px;"><br /></span>





Un ottimo film , molto meglio del precedente . Infatti https://www.mymovies.it/film/2018/luomo-che-compro-la-luna/ lo recensisce cosi 

[... ]
L'uomo che comprò la luna è una commedia "etnica" completamente imbevuta di quella "sardità" con cui Gavino deve confrontarsi. Alla regia c'è Paolo Zucca, al suo secondo lungometraggio dopo L'arbitro (già corto pluripremiato); alla sceneggiatura ci sono Geppi Cucciari e Barbara Alberti. Insieme confezionano una trama che è giusto definire "lunare", non solo perché vede al centro l'imprendibile Selene, ma anche perché è stralunata e surreale, e contiene eguali parti di poesia e di farsa.
Il punto debole è una trama che privilegia la gag etnica alla progressione della storia, dando molto spazio allo stereotipo sardo e meno all'intreccio degli eventi. Il punto di forza è la conoscenza approfondita che Zucca e Cucciari hanno della loro terra, che dà loro la libertà di prendersi in giro con disinvoltura senza lasciarsi intimidire da alcun tipo  di correctness.                                                                           Paolo Zucca sul set con uno dei...
di correctness.
Solo alla fine però ci si renderà davvero conto che il film racconta la riappropriazione di un'identità geografica, proponendosi come un'ode a tutti i sardi che le radici se le tengono strette, così come si tengono stretto il diritto di sognare e quei "fondamentali" che privilegiano lealtà e rispettoLa scena più commovente del film (e inaspettata, in quel contesto comico) è l'incontro fra Gavino e i sardi che, nella storia dell'isola, hanno saputo resistere per portare avanti la loro originale visione del mondo. Spassose invece le gag sulla "camminata del latitante" e l'esame di sardità di Gavino. E Zucca conferma il suo talento registico nella composizione accurata delle inquadrature e nella fluidità con cui la cinepresa accompagna i suoi personaggi, rispettando le caratteristiche individuali di ognuno: la legnosità nuragica del "formatore culturale", assai ben interpretato da Benito Urgu, come l'afflato poetico di Angela Molina, la donna per cui l'uomo che comprò la luna si è appropriato di ciò che gli americani credevano appartenere solo a loro.

Mi  è piaciuto un film   Ironico, surreale, divertente e mai offensivo, onirico e naturalmente magico benchè... stralunato. La sceneggiatura, punto forte nonostante  alcune  debolezze  di questa commedia, parla di vari aspetti ma in particolare dei sardi che tengono strette le proprie radici, così come si tengono stretto il diritto di sognare .  Come  rivendicare le  proprie  radici    e scherzarci  su   allo stesso tempo   .  Lo consiglio per tutte le età, uscirete dalla sala con animo più leggero di quando siete entrati.Un film   che contiene  a  chi  vuole  leggerli   dei messaggi   importanti   di denuncia   che  non  svelo per  non   fare  ulteriore     SPOILER   .e  magari    togliendovi la  voglia  d'anfare  a vederlo o  cercarvelo online 

5.4.15

sardi si nasce o si diventa ?


E' proprio leggendo  tali news  


da unione sarda del  2\4\2015

Omar Pedrini è da oggi in Sardegna per un tour di tre date.

Sul suo profilo Twitter c'è scritto: Omar Pedrini, Milano, aspirante sardo . «Amo questa terra per tanti motivi. Lo scorso maggio, sono stato a Cagliari ospite del mio amico Paolo Fresu per "Sardegna Chi-ama"», ricorda l'ex voce dei Timoria, da oggi nell'Isola per un tour di tre date: stasera alle 22 al
Cueva Rock di Quartucciu, domani al Birdland di Sassari, sabato al Biggest di Samassi. «Concerti nei quali ripercorrerò la mia carriera: dai successi firmati con la mia vecchia band, ai giorni nostri», aggiunge il cantante-chitarrista bresciano, che, sul palco, verrà affiancato da Marco Grasselli, chitarra, Larry Mancini, basso, Alberto Pavesi, batteria. Tra rock e sfumature acustiche.

e  tali  discussioni  sula pagina fb del  quotidiano  che  ti vengono certe   elucubrazioni   come quella  del titolo   del post  d'oggi  .

Una bella  domanda  .   Dipende



Dipende, da che dipende,
da che punto guardi il mondo tutto dipende
Dipende, da che dipende,
da che punto guardi il mondo tutto dipende


Cosa    s'intende  per nascere   o  diventare  . Io  esempio lo sono entrambi in quanto  il mio cognome  è d'origine  spagnola  risale  al 1300\1400 . Ma  è   vero  che  un conto e piacere innamorarsi della sardegna rispettarla un conto e essere sardi un bolognese e Camigliano  può vivere da x tutto ma rimane emiliano . Ma ma posso assicurare  che lo stesso amore e attaccamento che ha un Sardo lo può benissimo avere chi riesce ad innamorarsi profondamente di una terra come la Sardegna (  in questo caso  ) , e di un popolo . Mentre purtroppo ci sono Sardi che della propria terra e del propri fratelli e sorelle Sarde non gliene frega proprio niente....sono sicuro e voglio sperare di incontrarne sempre meno...ma ci sono. Condivido quanto scrive  nei commenti  all'articolo   sulla pagina  fb  dell'unione  sarda  Alessandro Pili Penso che sia un onore avere gente che ambisce a diventare sardo. Ciò vuol dire che molti apprezzano la Sardegna e i sardi, mentre altri, e ti assicuro tanti, stato italiano compreso, ci trattano come scarto dell'umanità.
Per   farvi capire   ulteriormente il mio pensiero  ma   essere  più obbiettivo   v'invito  a  vedere  il rapporto di Fabrizio  De  andrè  e la  sardegna  o le  storie  Citate   nei miei post  precedenti  


 Christophe Thibaudeau, da tutti conosciuto come Cristolu, parigino di nascita ma gavoese di adozione, è che  ha    ricoperto l'incarico  di  l'Assessore alla Cultura del centro barbaricino

Donatella Turi Gandolfi  la  brigitte bardò italiana 

Poi  c'è  chi lo diventa  per  moda \snobismo  o   chi  perchè lo sente  , ma  questa  è un altra storia  






20.11.13

Marco Pinna, il chitarrista che ha stregato gli Usa: “La mia carriera da Strehler a Chester Thompson”

da  http://www.sardiniapost.it/

Articolo pubblicato il 7 novembre 2013

Marco Pinna
«Ho cinquantotto anni, portati con disinvoltura. Infatti non ho ancora cominciato a pensare a che cosa farò da grande». Marco Pinna è di una semplicità spiazzante e complessa, butta lì frasi apparentemente astruse e contraddittorie; in realtà è l’unico modo per descrivere le sue molte vite racchiuse in una sola biografia.Chitarrista per vocazione, diventata professione grazie alla tv .«Un giorno vidi un programma con quattro ragazzi che suonavano, erano i Beatles, da quel momento ho iniziato a studiare e a esercitarmi per conto mio col chiodo fisso di imparare al meglio». L’artist,a originario di Oristano, vive da due anni negli Usa, a Nashville.Nella capitale del Tennessee, famosa per ilcountry ma ormai punto di riferimento per tutte le sperimentazioni, c’è arrivato grazie all’intuizione e alla determinazione di un manager locale:«Ha sentito alcuni miei pezzi su internet e mi ha mandato un messaggio nel quale c’era la bozza di un bel contratto pronto da firmare e la richiesta di trasferirmi negli States. Non mi sono fatto pregare, così sono salito sull’aereo con mia moglie e la mia chitarra. Attualmente ho un visto speciale che mi permette di stare qui».Non che in Europa le cose andassero male, anzi: le sue performance gli avevano già fatto guadagnare una discreta notorietà. Lasciata la Sardegna nel 1979, Marco ha espresso ben presto il suo talento, lavorando negli anni ottanta con il maestro Giorgio Strehler; nel 2007 ha realizzato al progetto “Ses Cordas” con un altro chitarrista sardo, Roberto Diana. Nel 2011 il trasloco negli Usa. «Faccio solo e soltanto la mia musica. La chitarra con le corde in nylon, il mio strumento principale, qui è una novità assoluta e gli americani apprezzano proprio quest’aspetto».
Vita da nomade della musica che traspare anche nei suoi pezzi, caleidoscopio di sonorità che lui stesso definisce «incrocio di molte culture», Marco Pinna racconta volentieri e con entusiastica dovizia di particolari la sua quotidianità a stelle e strisce. «La mia giornata inizia alle sei del mattino, dopo un caffè e qualche lettura mi esercito seguendo una tabella piuttosto lunga e impegnativa al termine della quale lavoro nel mio studio per poi dedicarmi alle pubbliche relazioni. Spesso mi esibisco anche in altre parti del Paese, viaggio moltissimo e sovente mi capita di perdere la cognizione del tempo e dei posti perché tutto avviene in maniera veloce. Qui negli Usa – chiarisce – fare il musicista equivale ad avere un’azienda che ha bisogno per andare avanti di più figure: manager, avvocato, commercialista e agenzia di booking. Insomma, devi avere il profilo di un uomo d’affari con una struttura solida alle spalle che sia capace di sostenerti; il talento e l’unicità non bastano, devi essere serio e affidabile. Dal mio punto di vista gli Stati Uniti sono meravigliosi, lo Stato funziona benissimo ed è leale col cittadino, le regole sono poche e chiare. La libertà qui è sacra. Se vali, ti apprezzano e ti aiutano. Le persone in media sono molto cordiali e alla mano, darsi arie non è concepito. Per quanto ho potuto vedere sinora, il difetto è di non possedere un’identità culturale forte, anche perché stiamo parlando di una nazione giovane; per il resto ci saranno anche altri lati negativi, tuttavia io non li ho ancora notati».Nonostante manchi dall’Isola da più di trent’anni, il chitarrista rivela: «Nei miei brani non mancano i riferimenti alla mia terra che è fonte incredibile d’ispirazione. La Sardegna non è solo suoni, ma anche profumi, sapori, mare e luoghi che comunque mi mancano. Quando torno a Oristano, adoro passeggiare nel centro storico, soprattutto di notte, quando l’atmosfera mi comunica chiaramente che io, comunque, appartengo a questa città, anche se sono in capo al mondo. Qui ho amici straordinari che porto sempre nel cuore. Il risvolto che non mi manca e che ho percepito quando sono andato via è l’invidia, unita alla tendenza ad affossare chi si dava da fare; non so se le cose siano cambiate col tempo, ma, lo spero».Tra un ricordo e l’altro, Marco Pinna accenna anche ai suoi progetti professionali con un pizzico di sana scaramanzia e malcelato orgoglio: «Sto lavorando al mio primo cd americano, ti posso solo anticipare che alla batteria ci sarà Chester Thompson, al basso Victor Wooten, mentre alla chitarra ritmica avrò Kyle Nightingale. Saranno tutti fisicamente con me al momento della registrazione in studio. Il produttore è Denny Jiosa, il chitarrista di smooth jazz nominato per ben quattro Grammy Award».
Un bel traguardo, quasi raggiunto in pochissimo tempo, grazie al lavoro e alla volontà: «A chi vuol seguire la mia strada, mi sento di raccomandare sacrificio, applicazione costante e onestà intellettuale, sono tre ingredienti che possono portare molto lontano e la mia esperienza lo dimostra».
Giovanni Runchina

25.8.13

perchè mi sento prima sardo che italiano

 rivedendomi in una serata  noiosa   e fredda  di quest'estate  ormai prossima al finire , in dvd il film     il vento fa il suo giro  Un film di Giorgio Diritti  2005



mi  ha  riportato alla mente   sia   lo sfogo che    riporto   qui   ( chi    ha  facebook clicchi  qui  per  l'intera e  interessante ,  120 commenti  ,  discussione  )   per  chi  non avesse  fb  o  non avesse me o il mio  compagno  di strada facebookiano e  non solo     lo scrittore e  dirigente al   Ministero della Giustizia Giampaolo Cassitta.

Sono sardo. 
Lo sono perché ci sono nato e perché i miei genitori e i miei nonni e bisnonni e trisavoli lo erano. Avevano calpestato prima di me questa terra. 

La Sardegna è la mia terra.     La sento intensamente mia, fiabescamente mia,terribilmente mia. Ho giocato negli stazzi galluresi fin da piccolo perché mia nonna ci abitava. Nella “cussogghja” di Austinacciu. Ho respirato quell’aria. La casa era costruita in maniera semplice: la camera centrale e due camere da letto. Lu “pinnenti” adiacente, lu forru per la cottura del pane e dei dolci e la “casedda” vicina all’abitazione principale; una sorta di cambusa dove era possibile trovare tutto. A quei tempi, nei primi anni settanta non c’era la corrente elettrica. 

Giocavamo - io e mio fratello - in una campagna che era, per noi ragazzi di città, una distesa immensa di giallo, di cicale, di cani da caccia, di sapori irripetibili e mai più trovati. 

Quelle estati hanno forgiato il mio amore per questa terra. Ho assaporato quei silenzi, quegli echi lontani, quel non poter uscire nel primo pomeriggio per colpa della “mamma di lu soli” quelle “parauli forti” ascoltate da mia nonna le notti prima di natale. Un mondo magico. Sardo. Forte. Mio. 
Leggere oggi che signori del Qatar, con molti soldi, vogliono rivoluzionare gli stazzi e farne una sorta di “costa stazzialda” mi lascia senza parole. Ho ripercorso con gli occhi, con i pensieri, con i ricordi le mie vecchie passeggiate, il mio attendere li cuccioleddi di meli, il pane di tricu ruju, il mio correre negli orti per aiutare mio nonno ad “abbare”. Ho riascoltato le parole di mia nonna, che parlava solo in gallurese, ho ridipinto quelle lunghe estati e non riesco a comprendere il perché tutto debba diventare mercato, turismo, business, perché dobbiamo vendere la nostra terra allo straniero. Non lo so. Ma non mi sembra una gran bella cosa. Dovremmo forse cominciare a partire da questi piccoli concetti: dallo stazzo, dalle passeggiate quotidiane tra uno stazzo all’altro. E quando si arrivava si trovava sempre il padrone di casa che aspettava e toccava la mano. Lo faceva sempre. Anche se ci si incontrava tutti i giorni. Questo mi manca. Quel parlare di poche e bellissime cose, di un mondo lento. Dolcissimo e immensamente mio. Sono sardo. Lo sono perché ci sono nato, vissuto e respirato. Lo sono per amore. E lo sarò sempre. Ma non tutti i sardi sono sardi come il mio “essere sardo”. Di questo si dovrebbe parlare. Visto che dobbiamo votare, a breve, il nuovo consiglio regionale. Partire dagli stazzi, dai loro silenzi e dai loro caldi abbracci. Da qui dovremmo ripartire.
Giocavamo - io e mio fratello - in una campagna che era, per noi ragazzi di città, una distesa immensa di giallo, di cicale, di cani da caccia, di sapori irripetibili e mai più trovati. 
Quelle estati hanno forgiato il mio amore per questa terra. Ho assaporato quei silenzi, quegli echi lontani, quel non poter uscire nel primo pomeriggio per colpa della “mamma di lu soli” quelle “parauli forti” ascoltate da mia nonna le notti prima di natale. Un mondo magico. Sardo. Forte. Mio. 
Leggere oggi che signori del Qatar, con molti soldi, vogliono rivoluzionare gli stazzi e farne una sorta di “costa stazzialda” mi lascia senza parole. Ho ripercorso con gli occhi, con i pensieri, con i ricordi le mie vecchie passeggiate, il mio attendere li cuccioleddi di meli, il pane di tricu ruju, il mio correre negli orti per aiutare mio nonno ad “abbare”. Ho riascoltato le parole di mia nonna, che parlava solo in gallurese, ho ridipinto quelle lunghe estati e non riesco a comprendere il perché tutto debba diventare mercato, turismo, business, perché dobbiamo vendere la nostra terra allo straniero. Non lo so. Ma non mi sembra una gran bella cosa. Dovremmo forse cominciare a partire da questi piccoli concetti: dallo stazzo, dalle passeggiate quotidiane tra uno stazzo all’altro. E quando si arrivava si trovava sempre il padrone di casa che aspettava e toccava la mano. Lo faceva sempre. Anche se ci si incontrava tutti i giorni. Questo mi manca. Quel parlare di poche e bellissime cose, di un mondo lento. Dolcissimo e immensamente mio. Sono sardo. Lo sono perché ci sono nato, vissuto e respirato. Lo sono per amore. E lo sarò sempre. Ma non tutti i sardi sono sardi come il mio “essere sardo”. Di questo si dovrebbe parlare. Visto che dobbiamo votare, a breve, il nuovo consiglio regionale. Partire dagli stazzi, dai loro silenzi e dai loro caldi abbracci. Da qui dovremmo ripartire.

sia   l'attualità di quanto scrissi tempo fa su queste pagine più precisamente qui

 sia  i ricordi  di quando  ero bambino (  prima   della  morte  dei miei nonni materni e  la  successiva  traformazione  da campagna ad  vivaio  florovivaistico )     : l'allevamento  di bestiame  ( maiali e  galline ) ,  l'orto    e le  api   i loro prodotti , ed  i  loro riti  \  feste  ( uccisione  e lavorazione dei maiali ,  vendemmia  ,  conserve  di pomodori , e degli altri prodotti dell'orto   raccolta  delle uova  e  del miele  .   Ma    per  chi ne  volesse  sapere  di più  oltre  i link   riportati sopra  ecco  la parte  riguardante  gli stazzi  ed   il modulo abitativo   della  Gallura  ,  della mia tesi di laurea

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 L'altra caratteristica  della  Gallura  è quella del popolamento dell'interno e l'abbandono delle coste. Infatti : « [...] Le condizioni storiche che causarono lo spopolamento sono da ricercare nello stato di abbandono generale nel quale si trovava tutta la Sardegna, dopo alcuni secoli di dominazione spagnola [o anche prima secondo altri studi] a questa si aggiungevano le frequenti incursioni saracene lungo le coste e si capisce il motivo per cui nella Gallura marittima esisteva il solo villaggio di Olbia. Gli altri erano raggruppati alle falde del Limbara (Aggius, Bortigiadas, Tempio, Luras, Calangianus e Nuchis)».[1]
La colonizzazione delle zone abbandonate fu la conseguenza di una notevole immigrazione dalla vicina Corsica; in seguito ulteriormente rafforzata, nei primi anni del Settecento, anche dal movimento della gente dell’interno, per lo più pastori, che dai villaggi, nelle loro transumanze, si spingevano fino alle zone disabitate. Si trattava in genere di migrazioni temporanee. Erano soliti abbandonare il villaggio nel tardo autunno per poi rientrare al villaggio d’origine, all’inizio dell’estate, quando era terminata l’annata agricola. Durante questo periodo, all’inizio, soggiornavano in strutture di fortuna utilizzando come abitazione qualche nuraghe o, più spesso le spelonche scavate nella roccia dagli agenti atmosferici. In seguito furono costruiti i “cuponi”, capanne circolari di pietre a secco con il tetto ricoperto di frascame, in pratica gli antenati della casa dello stazzo.
La prima fase della colonizzazione, caratterizzata dalla presenza di insediamenti temporanei presenta quindi in prevalenza un’economia di tipo pastorale allo stato brado. In seguito con il formarsi dei primi insediamenti fissi si intraprendono anche attività agricole e di allevamento più intensivo Tale insediamento rurale fu tipico  del nord Sardegna e della Corsica principalmente della Gallura.
IL  termine "stazzo"(in gallurese lu stazzu) deriva dal latino "statio", stazione, luogo di sosta Esso Indica contemporaneamente l'azienda contadina e la costruzione in cui abita il proprietario ed è costituito da un'abitazione di forma grossomodo rettangolare costituita da blocchi di granito e all'interno suddivisa in massimo due ambienti ,ma più spesso da un monolocale. All'esterno era spesso annesso il forno (lu furru) ed un piccolo magazzino (lu pinnenti). Raramente un edificio nato come stazzo si eleva oltre il piano terreno, ed in questo caso viene definito palazzo (lu palazzu) ,. Si può quindi parlare organismi \ strutture a funzione complementare agricola e pastorale, organizzati in modo da essere autosufficienti, disponendo di coltivi, pascoli, seminativi, nonché di una o più dimore.
Un insieme di stazzi formavano la cussorgia (la cussogghja), un'entità geografica e sociale unita da vincoli, particolari ed insoliti, di forti di amicizia e collaborazione soprattutto di ordine prevalentemente morale, specie durante il ciclo agricolo o in occasioni particolari come la trebbiatura, la vendemmia o la costruzione di un recinto, tutti i vicini di un proprietario formano una squadra di lavoro che presta gratuitamente la propria opera.
Un altro esempio di vincolo esistente tra i "cussoghjali" è quello della punitura. Questa norma di comportamento prevede che chiunque abbia perduto il gregge, per sorte avversa o per furto o per ritorsione, riceva in dono dai vicini un capo bovino o ovino.
Le case erano, prima d'essere abbandonate o “modernizzate”, piccoli capolavori di quella che può essere definita un'architettura molto semplice e spontanea. Difficilmente si notano le poche che non hanno subito radicali trasformazioni, spesso pacchiane: il loro impatto ambientale è pari a quello, di quelle poche che vengono curate, dei muretti a secco, ulteriore e fondamentale elemento della geografia gallurese, segni dell'uomo integrati nel tessuto agrario. Infatti essi hanno rappresentato in Gallura il fulcro della vita rurale di migliaia di pastori-agricoltori per centinaia di anni cioè fino alla fine XIX e inizi del XX secolo, quando la sua caratteristica viene messa discussione negli anni ‘50 con il fenomeno di migrazione dalle campagne verso i nuovi centri abitati (il cosiddetto boom economico e l’avvento del turismo) con l’affermarsi di nuovi sistemi economici e nuovi
la  nuova sardegna del  24\8\2013
modelli di vita, e poi dagli anni '60\80 quando si sono diffusi i fenomeni dell'inurbamento delle coste e poi la sub-urbanizzazione delle campagne portano in pratica alla fine della civiltà dello stazzo. Ma ancora persiste soprattutto nelle località marittime snaturato nella sua funzione originaria dal fenomeno delle seconde e terze case e secondo alcuni dalla trasformazione \ riadattamento in agriturismi e B;B dotati dei migliori comfort , talvolta inutili e  fuorvianti   come la piscina  
I motivi della scomparsa del modo di vita, della civiltà dello stazzo, sono da ricondurre all'evoluzione del sistema economico.
 L'economia basata sull'autoconsumo, sull'impiego intensivo della forza lavoro non può reggere di fronte alla concorrenza delle grandi aziende basate su una spinta meccanizzazione, elevata standardizzazione del prodotto. Il supermercato decreta la fine della produzione artigianale,parcellizzata. La politica agraria e sociale della regione sarda non ha saputo cogliere l'importanza dello Stazzo, insieme ad esso sono scomparse, l'insediamento sparso, la cura del territorio e dell'ambiente rurale, la civiltà ad esso legate, una parte  pezzo importante irriproducibile della nostra Isola.



[1] P.SUELZU Lo stazzo Gallurese,in  Atti del Convegno. "Coment'era” ,Viddalba 9 giugno 2007.pp.69-76 ,Alghero 2008 

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emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...