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8.12.25

Silvia Neri, da Olbia a Tunisi fra ristorazione e spiritualità: «Ho una pizzeria e alleno i samurai»

  fonte  la nuova  sardegna  del 8\12\2025


Olbia Si pensava non esistessero più, inghiottiti dalla storia, confinati nella pellicola di un film o nelle pagine di un romanzo d’avventure. Tom Cruise e Ken Watanabe dovevano essere gli ultimi, invece il mito tutto giapponese dei samurai è vivo e prolifera dove meno si può immaginare. Lo dimostra la grande avventura umana e spirituale di una coach d’eccezione, Silvia Neri, olbiese 42enne, che da più di vent’anni vive e lavora in Tunisia dove forma, istruisce e dispensa energia alla squadra nazionale di kendo. Proprio così, l’arte marziale giapponese che vanta praticanti un po’ ovunque, anche in Sardegna, a Sassari e a Cagliari. Insomma, Silvia allena samurai secondo la disciplina sacra del Bushido.





Sette regole sette, inviolabili: lealtà, cortesia, sincerità, onore, coraggio, giustizia e compassione. E scusate se è poco. Da Olbia a Tunisi il passo può anche essere breve, ma sicuramente complesso, soprattutto per una giovane donna che unisce la passione per la gastronomia a quella per la spiritualità, tanto da metabolizzare una conversione dalla religione cattolica all’Islam. Sì, Silvia è musulmana, sufista per la precisione, cioè la dimensione mistica dell'Islam, che mira all'unione spirituale con Dio attraverso la purificazione del cuore e la pratica dell'amore divino. I praticanti, detti sufi, cercano di avvicinarsi a Dio tramite la preghiera, la meditazione e la guida di un maestro spirituale.
Pregare sì, vabbè, ma poi bisogna anche vivere e camparsi così Silvia a Tunisi apre una pizzeria e poi un’altra con il brand italianissimo “La focaccia”. Con amore e passione diventa una imprenditrice della ristorazione, il suo lavoro. Nel frattempo soddisfa la sua dimensione spirituale dedicandosi al Bushido, la “Via del guerriero”, antico codice etico e filosofico dei samurai giapponesi. Appena due mesi fa Silvia Neri ha anche pubblicato un libro che sta suscitando un certo interesse: “Hikari-dò - Il cammino di luce”, scritto in italiano e in francese, la storia di un giovane samurai alla ricerca della propria voce e dimensione. Silvia non vuole essere chiamata mental coach, piuttosto allenatrice e formatrice energetica. I suoi allievi sono i samurai tunisini che praticano la disciplina marziale del kendo, ma anche i samurai giovani manager in azienda, plasmati secondo un codice etico inflessibile, addestrati alla logica del profitto, nel senso positivo del termine. Come dire, la via umana al management moderno. Grazie a una formazione internazionale in leadership e management e grazie anche alla fiducia nel maestro Fares Ben Souilah, Silvia è diventata formatrice in questi ambiti.
«I valori del kendo richiamano quelli che ho scoperto nel mio percorso spirituale e all'interno della tradizione islamica – spiega Silvia – rispetto, tolleranza, disciplina e sincerità. Vedo in questa pratica un modo per trasmettere messaggi di conoscenza di sé, accettazione di sé e crescita personale». Grazie anche all’attività formativa di Silvia Neri, l’arte marziale del kendo in Tunisia oggi attraversa una fase di grande espansione pur essendo relativamente giovane (nata circa 15 anni fa). Il kendo sta attirando un numero crescente di praticanti. A conferma di ciò il grande evento Tunis international kendo open, che si è svolto nei giorni scorsi (dal 28 al 30 novembre), grande vetrina di promozione del kendo in Tunisia organizzata per incoraggiare lo scambio culturale con il Giappone. Cioè il kendo come uno sport ma anche come un modo per educare i giovani al rispetto, all'autocontrollo e alla disciplina. Silvia, infatti, sottolinea l'importanza di insegnare questi valori nella vita quotidiana: «I samurai tunisini si sforzano di trasmettere questo codice di valori oltre il dojo, il "luogo della via”, utilizzato principalmente per la pratica delle arti marziali nella società e anche nelle aziende nella formazione dei manager».

11.6.17

BAB’AZIZ - IL PRINCIPE CHE CONTEMPLAVA LA SUA ANIMA - NACER KHEMIR FILM DRAMMATICO ED ESISTENZIALE





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Non ricordo   precisamente, come nel mio cazzeggiare   giorvagare in rete   forse  cercando  url o spunti   per  introdurre  un precedente post sull'islam abbia treovato   il film Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima. Un film  dai contenuti esistenziali interessanti  .
Ora, mi sono già stati segnalati molti film con contenuti "esistenziali", ma raramente il film aveva contenuti così evidenti e belli come Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima. IL film  peraltro, non è mai stato importato in Italia, nonostante una paternità in parte italiana per cui è liberamente disponibile per tutti, per esempio su Youtube,  dove  è  li che l'ho trovatroe  visto  
Paternità in parte italiana, d  si  diceva   pocofa  : il film, diretto da Nacer Khemir, è stato scritto a quattro mani dal regista stesso e dallo sceneggiatore Tonino Guerra, sì, proprio quello   di “Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita”.  Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima (2005) è il terzo film di una trilogia, la cosiddetta Trilogia del deserto, dopo I figli delle mille e una notte (1984) e La collana perduta della colomba (1991).
L’ambientazione è quella del deserto, col film che ha svolto le sue riprese in parte in Iran e in parte in Tunisia (a Tataouine il luogo che ha dato volto e nome a Tatooine di Guerre stellari), e In Iran . Le altre riprese sono state girate a Kashan, Yazd, Kerman e nell'antica città di Bam, dove è stata girata la scena del raggruppamento dei dervisci. Pochi mesi dopo aver girato la città fu distrutta da un terremoto. In Tunisia, le altre riprese sono state girate a Tunisi, Korba, Sultan Walad e Tataouine.
IL  film  culturalmente si muove tra sufismo e misticismo islamico, e che più in generale ci parla di fiducia, del cammino dell’esistenza, del viaggio esteriore ed interiore, dei talenti e dei doni personali, e del rapporto tra le persone. Il regista ha affermato -- secondo  wikipedia   che le scene venivano girate solo una volta, poiché era impossibile ricreare la purezza della sabbia dopo che gli attori avevano lasciato orme su di essa, quindi nel caso una scena risultava insoddisfacente il set dove spostarsi in zone senza impronte. Sempre riguardo al luogo ha dichiarato: Il deserto è un campo letterario e un campo di astrazione, allo stesso tempo. Si tratta di uno dei rari luoghi dove l'infinitamente piccolo, che è un granello di sabbia, e l'infinitamente grande, che sono miliardi di granelli di sabbia, si incontrano. È anche un luogo dove si può avere un vero senso dell'Universo e della sua scala. Il deserto evoca anche la lingua araba, che porta la memoria delle sue origini. In ogni parola araba, vi scorre un po' di sabbia. È anche una delle principali fonti di poesia d'amore araba.
Ecco in grande sintesi la trama del film: Bab'Aziz è un vecchio derviscio ormai cieco, il quale viaggia con la nipote Ishtar, una bambina sveglia e premurosa.
I due sono diretti a un misterioso raduno di dervisci (sorta di monaci-mistici che utilizzano il canto e la danza come metodo di consapevolezza e di illuminazione spirituale) che si tiene ogni trent’anni…
… ma in un luogo sconosciuto, da cui il motivo del loro peregrinare alla sua ricerca.
Durante il loro viaggio, essi incontrano vari personaggi, tra cui Osman e Zaid, e inoltre Bab'Aziz racconta alla nipote, a puntate, la storia del principe che contempla la sua anima in una pozza d’acqua, racconto nel racconto.
<< Va da sé che :  Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima ci mostra -come dice https://foscodelnero.blogspot.it-- un viaggio, quello fisico di Bab’Aziz e di Ishtar (nome della dea babilonese dell’amore e della fertilità, mentre il nome Aziz richiama la forza e potenza, e suppongo che i nomi non siano stati scelti a caso), ma soprattutto ci racconta un viaggio interiore, quello che formalmente è la ricerca del raduno dei sufi, ma che di fatto è il viaggio di scoperta di sé e di evoluzione personale che ogni persona compie.>>
La natura di meta-racconto del film è evidenziata anche dal suo essere cornice di un racconto dentro al racconto: quello già citato del principe che contemplava la sua anima, che il nonno racconta alla nipote. A proposito, il rapporto tra i due è molto bello, e rappresenta il rapporto educativo ideale tra anzianità e giovinezza, quella che vi era nelle società tradizionali di millenni fa e che si presume tornerà in futuro: in esso l’anziano non è un relitto della società, un uomo che ha smesso di essere utile e che "è andato in pensione", ma è una risorsa enorme di saggezza ed esperienza… a patto, ovviamente, che abbia percorso un cammino di crescita spirituale, altrimenti si sarà come la gran parte dei vecchi di oggi, che sono bambini spirituali in corpi anziani.
A sottolineare il valore del film, mi sono segnato prese  da lla recensione  di    fosco   del nero (  vedere  citazione delle righe  precedenti  ) alcune frasi, tutte dette da Bab’Aziz, che ci parlano di fiducia nell’esistenza, di cammino personale, di talenti personali, di reincarnazione, ancora di fiducia e di cambiamento e abbandono-resa.

“Chi ha fede non si perderà mai.
Chi è nella pace non perderà la sua strada.”
“È sufficiente camminare, solo camminare.
Chi è stato invitato troverà la sua strada.”
“È sufficiente camminare, solo camminare.”
“E se ci perdiamo?”
“Chi ha fede non si perde mai.”
“Tutti usano i loro doni più preziosi per trovare la strada.
Nel tuo caso è la voce.
Canta, figlio mio, e ti sarà mostrata la strada.”
“Porti il marchio dell’angelo.”
“Bab’Aziz, cos’è il marchio dell’angelo?”
“I bambini nel ventre della madre conoscono tutti i segreti dell’universo. Ma poco prima di nascere viene un angelo che pone un dito sulle loro bocche così che dimentichino tutto. In ricordo di questa conoscenza perduta, alcuni di loro, come te, hanno un segno sul loro mento: questo è il marchio dell’angelo.”
“Ma allora un giorno ricorderemo tutto ciò che sapevamo?”
“Chi lo sa? Forse.”
“Figlio mio, non accontentarti di una goccia d’acqua.
Devi gettarti nella corrente.”
“Se al bambino nell’oscurità del ventre di sua madre fosse detto “Fuori c’è un mondo di luce, con alte montagne, grandi mari, distese ondulate, bei giardini in fiore, ruscelli, un cielo pieno di stelle, e un sole fiammeggiante, e tu, dinanzi a tutte queste meraviglie, stai rinchiuso in quest’oscurità”, il bambino non ancora nato, non sapendo nulla di queste meraviglie, non crederebbe a nessuna di esse. 




Bab'Aziz offre una visione affascinante in bilico tra sogno e realtà, dove immagini e ambientazioni, che paiono scaturire dalle favole dell’antico Oriente, si mescolano con grande naturalezza a dettagli contemporanei come radio, moto, occhiali e abiti. La figura del derviscio cieco fa il paio con quella del Derviscio Rosso, un sufi cencioso che risponde in pieno ai canoni del “folle di Dio”, mentre la bambina Ishtar, spirito rinchiuso in un corpo infantile, ha tuttavia un’anima anziana per saggezza e misteriosa esperienza. Il giovane Osman, invece, vuole ritrovare una bellissima donna incontrata in un palazzo incantato in fondo al pozzo in cui era precipitato, e sembra essere il gemello spirituale di Zaid, un altro giovane innamorato di una donna, conosciuta e sedotta dopo una tenzone poetica in cui è risultato vincitore con una poesia sulla danza dell’universo in lode a Dio.

C’è dunque un continuo contrappunto tra queste esistenze, che intersecano le loro strade e le sciolgono, mentre la luce del deserto delinea, con precisione e volatilità insieme, le orme del cammino che essi imprimono sulla sabbia. Come ha detto il regista stesso: “Il deserto è un campo letterario e un campo di astrazione, allo stesso tempo. Si tratta di uno dei rari luoghi dove l'infinitamente piccolo, che è un granello di sabbia, e l'infinitamente grande, che sono miliardi di granelli di sabbia, si incontrano. È anche un luogo dove si può avere un vero senso dell'Universo e della sua scala. Il deserto evoca anche la lingua araba, che porta la memoria delle sue origini. In ogni parola araba, vi scorre un po' di sabbia. È anche una delle principali fonti di poesia d'amore araba.”
La stessa storia del principe, perduto a contemplare la sua anima specchiandosi nel pozzo, si discosta dal mito di Narciso innamorato del proprio involucro esteriore, visione destinata a sbriciolarsi e a fallire, per calarsi nelle sue profondità invisibili ma durature. Conseguenza naturale è che, alla fine, il principe non si accontenterà della mera contemplazione dell'anima, ma l’abbraccerà fino in fondo in maniera più che sorprendente. Il regista ha spiegato che l’idea del principe gli era venuta da una lastra dipinta in Iran nel 12° secolo, e che voleva anche offrire una visione dell'Islam molto diversa da quella che purtroppo emerge dai fatti di cronaca, dalla lettura che ne danno i media e dagli integralismi religiosi.Infati il regista ( foto a sinistra ) riguardo al titolo del film dichiarato : << (...) È vero che il Principe si specchia sulle acque, ma non vede il proprio volto, a differenza di Narciso, perché chi vede solo il suo riflesso nell'acqua è incapace di amare. Il principe contempla ciò che è invisibile, che è la sua stessa anima. Siamo tutti simili agli iceberg; solo un decimo di noi è visibile, mentre il resto giace sotto il mare. L'idea del "Principe" mi è venuta da una bella lastra che è stata dipinta in Iran nel XII secolo. Si presenta con un principe in prossimità dell'acqua, e porta la seguente scritta "Il principe che contemplava la sua anima." Questa immagine mi ha colpito come qualcosa che dovevo costruire su di essa, motivo per cui mi sembrava ovvio che il film doveva essere girato in Iran. (....) continua qui su http://www.spiritualityandpractice.com/film >> .Il senso del film è una metafora della vita come viaggio nel tempo e libertà di ricerca, secondo la quale, come nel detto sufi che apre il film: Ci sono tante strade che portano a Dio, quante sono le anime sulla terra.”
Un film consigliato a tutti coloro non sono prevvenuti ma aperti e che ancora resistono alla proganda post 11\9\2001 e guardano per parafrasare Una famosa canzone dei  Mcr   sui questi tempi bui ed inquieti." da me più vote citata più volte in questo blog , oltre la guerra e la paura e riesce a sfuggiree e non cadere o quanto meno a schivare ed ad uscirne subito l’imperante cultura del terrore, che si fonde col qualunquismo e la sfiducia e ci rende egoisti, e deboli.
Scongliato  
 ai   :  leghisti (  e non ) , malpancisti   ,   agli islamfobici ma soprattutto a quelli che sono appiatti sulla proganda   che  afferma  l'equazione  islam \ mondo arabo = fanatismo e bombe .




Così siamo noi dinanzi alla morte. Ecco perché abbiamo paura.”

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata LXII PER RICONOSCERE LA PAURA VA ALLENATO IL CORAGGIO

La prudenza è l’arma più efficace, sempre. Ma è importante anche allenare il coraggio, che – bene intesi – non significa diventare impavidi,...