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12.10.21

Beni confiscati, il grande spreco. Più della metà sono inutilizzati La denuncia delle associazioni: "Immobili in cattivo stato, mancano risorse e personale per gestirli". L'indagine della Regione siciliana : tanti Comuni impreparati, e i finanziamenti per le ristrutturazioni restano nel cassetti o finiscono in altri rivoli

 li  lasciano marcire  oppure   li danno in gestione  a gli amici  loro come il caso  del cerchio magico   di Silvana Saguto


leggete    questa  inchiesta   di repubblica  Palermo    più  precisamente  questo articolo

C'è un numero che indica lo stato di salute dell'antimafia in Sicilia, è la percentuale dei beni confiscati che tornano alla collettività: solo il 45 per cento. Un dato preoccupante, che emerge dall'ultimo rapporto consegnato dall'ufficio della Regione siciliana che tiene sotto controllo il tesoro più grande dell'Isola, quello sottratto ai padrini di Cosa nostra. Da Palermo a Catania, da Trapani ad Agrigento, da Messina a Ragusa, ci sono 997 fabbricati e 278 terreni che ospitano attività sociali e istituzionali, ma ci sono anche 802 fabbricati e 768 terreni inutilizzati: 1570 beni che sono ancora nelle mani di mafiosi e abusivi.Per capire il perché di questa sconfitta per l'antimafia bisogna partire dal pesante atto d'accusa dell'ufficio della Regione - il Servizio Quinto dello staff del direttore generale - diretto da Emanuela Giuliano, la figlia di Boris, il capo della squadra mobile ucciso il 21 luglio 1979: "Il 55 per cento dei beni è rimasto inutilizzato per i seguenti motivi: mancanza delle risorse necessarie alla ristrutturazione e alla riconversione (36,11 per cento), mancato avvio o ultimazione delle relative procedure di assegnazione (30,57 per cento), occupazioni da parte di terzi con o senza titolo (6,82 per cento), avvisi pubblici per l'assegnazione andati deserti (3,06 per cento), strutture in quota indivisa (5,67 per cento)".

La grande incompiuta

Eccola, la mappa siciliana della sconfitta, che ogni mese si allarga sempre più. Perché le forze dell'ordine e la magistratura continuano ad sequestrare beni a cosche in continua riorganizzazione. Intanto, lo Stato non riesce ancora a mettere a punto una macchina efficiente per la gestione dei beni sottratti ai padrini. A partire dalla prima esigenza: un monitoraggio dei dati. È quanto denuncia l'Istat, in una recente pubblicazione ("L'uso dei beni confiscati alla criminalità organizzata"): "L'ambito di policy delle politiche antimafia è caratterizzato da un approccio burocratico centrato sul processo, piuttosto che sul contenuto degli interventi e sui soggetti coinvolti: (...) sono disponibili dati elementari sui beni confiscati e destinati, ma non sul loro effettivo utilizzo". Insomma, l'Agenzia nazionale beni confiscati non ha ancora il controllo effettivo di tutto il patrimonio. La Regione ha chiesto informazioni ai 205 Comuni siciliani che risultano assegnatari dei tesori di mafia, solo 161 hanno risposto. Disinteresse? Incapacità di gestire immobili così importanti? Di sicuro, c'è tanta impreparazione nei Comuni. Ancora il report della Regione ci dice che solo 45 enti locali hanno chiesto finanziamenti per la sistemazione di 80 immobili. E i progetti presentati non devono essere stati neanche di qualità, perché sono stati concessi solo 23 milioni di euro sui 40 richiesti. Le cause di esclusione sono così sintetizzabili: "Mancanza dei requisiti, punteggio insufficiente, progetti presentati fuori termine". Sul tema dei fondi, i funzionari regionali hanno voluto approfondire, chiedendo ai diretti interessati. È emerso un altro dato preoccupante: "C'è una scarsa disponibilità di risorse da destinare alla redazione dei progetti".

Non è più rinviabile una riforma del sistema di gestione dei beni confiscati. La commissione regionale antimafia ha messo in risalto un altro dato allarmante nell'ultima relazione: su 780 imprese definitivamente confiscate solo 39 sono attive. Per quanto riguarda quelle destinate, solo 11 su 459 non sono state poste in liquidazione.

Ha scritto il presidente Claudio Fava: "La disciplina sul sequestro e la confisca dei beni alle mafie pretende subito un investimento di volontà politica e di determinazione istituzionale che fino a ora non c'è stato. Insomma, un sistema da ripensare". Parole che più chiare non potrebbero essere: "Il rischio è che lo Stato, e con lui l'intera comunità nazionale, perda la sfida lanciata alla mafia da Pio La Torre e Virginio Rognoni con la legge che porta il loro nome". Che fare? La commissione nazionale antimafia ha provato a cercare le cause del disastro. E ha stilato un'interessante mappa della ripartenza a partire dai problemi, che sono questi: "La distanza temporale eccessiva tra confisca definitiva e destinazione, le condizioni dei beni da destinare, spesso frattanto vandalizzati o comunque danneggiati dall'incuria, le problematiche degli abusi edilizi, la carenza di personale che consenta di seguire i beni confiscati o redigere il regolamento comunale, i bandi chiusi senza richieste da parte delle associazioni". Ma il problema dei problemi è uno: "La mancanza di fondi" per valorizzare il tesoro inutilizzato.

Palermo capitale

Se quasi quattro beni confiscati su 10 (il 38,7 per cento e circa seimila su 15.500) si trovano in Sicilia, a Palermo sono il 12,1 per cento: da solo il capoluogo siciliano ha ricevuto il 10 per cento di tutti i beni destinati ai comuni italiani. Un onore e un onere non semplice da gestire. Lo studio dell'Istat, curato da Ludovica Ioppolo e Fabrizio Consentino, offre uno spaccato. Erano quasi duemila i beni per il territorio palermitano al 31 dicembre 2019. Tra questi, 1281 sono destinati al Comune; gli altri 700 sono di pertinenza di altre istituzioni, come i Carabinieri (202) la Guardia di finanza (171) e la Regione (68). Ma qui sorge il problema. Dei 1281, soltanto 1050 sono acquisiti al patrimonio, 248 si trovano in una sorta di limbo, ovvero è stato emesso il decreto di destinazione, ma solo sulla carta. Tra i 1050 del patrimonio, 414 beni (il 39,4 per cento) non sono utilizzati.

Beni fatiscenti o occupati

Ma perché 4 beni su 10 non sono assegnati? "Prendere in gestione un bene confiscato non sempre conviene, perché gli immobili sono in cattive condizioni e si può spendere fino a 100mila euro", conferma Marco Farina, direttore dell'Ong palermitana Hryo. A volte passano molti anni tra l'assegnazione e la presa di possesso. "Nel 2017 abbiamo preso 100 punti, il massimo, per gestire un terreno a Ciaculli, ma siamo arrivati alla pari con un'altra associazione che è stata sorteggiata vincitrice - racconta Farina - così siamo rimasti due anni in graduatoria e a gennaio del 2019 ci è stato assegnato un terreno confiscato in via Trabucco a Cruillas per un progetto di inclusione sociale". Ma negli ultimi due anni l'associazione ha trovato mille ostacoli: tra cui i rifiuti speciali da bonificare, con un assegno da 10mila euro. "Può capitare anche di perdere migliaia di euro di fondi per riqualificare un bene, perché non arriva in tempo l'ok degli uffici comunali", aggiunge Farina.


C'è una montagna di carte nell'ufficio del servizio Beni confiscati, demanio e inventario del Comune, che ha un organico di 19 persone, tra cui tre funzionari e un dirigente, per gestire il più grande patrimonio d'Italia. "Molti beni non sono in condizioni ottimali e i comuni avrebbero bisogno di fondi per gestirli - dice l'assessore al Patrimonio Tony Sala - In passato, per ragioni storiche, sono stati acquisiti troppi beni, ma oggi la ragioneria generale è molto rigida, basti vedere l'ultima pratica sull'acquisizione di immobile per il settore scuola a Borgo Nuovo".

Svolta sull'uso abitativo

L'altro grande nodo è rappresentato dalle occupazioni dei senzatetto. A Palermo, 81 immobili risultano occupati abusivamente, quasi l'8 per cento. Basta scorrere l'ultimo elenco sul sito del Comune per trovare la voce: "Occupato abusivamente da nucleo familiare, procedure di sgombero in corso". Un caso recente è quello di Mandarinarte, mandarineto delle legalità di Ciaculli, trasformato con 240mila euro in uno spazio sociale, che a fine 2017 è stato occupato e devastato da due famiglie prima di essere sgomberato e restituito alle associazioni. A maggio scorso, il consiglio comunale ha approvato un nuovo regolamento comunale sui beni confiscati che definisce la prevalenza dell'uso abitativo. E sono in corso di valutazione le proposte per la concessione ad uso sociale di alcuni beni inseriti in un avviso pubblico di aprile del 2020.
Secondo lo studio Istat pubblicato di recente, a Palermo sono 181 i beni con uso abitativo: 140 gestiti da associazioni, 21 da enti ecclesiastici, 17 da cooperative e 2 da fondazioni. "Nella città dell'emergenza abitativa l'utilizzo del patrimonio confiscato per dare una casa a chi non ce l'ha è necessario - dice il consigliere di Sinistra Comune Fausto Melluso, che ha seguito l'iter del regolamento - ora si potranno invece sperimentare anche l'autorecupero o il co-housing e questo consentirà di utilizzare molte più abitazioni".

Palermo, a Cruillas un orto sociale nel terreno confiscato alla mafia

Sicilia prima per il riuso sociale

L'altra faccia della medaglia è l'uso sociale dei beni per cui la Sicilia, secondo un censimento di Libera, è la prima regione in Italia con 204 soggetti gestori. E Palermo i beni a uso sociale sono 180. Storie di riscatto come la Sartoria Sociale della cooperativa Al Reves, che dal 2017 gestisce un immobile confiscato all'immobiliare Raffaello, gestita dal mafioso Antonino Buscemi, e dà lavoro a ex detenuti, vittime di tratta, disabili e migranti. O ancora la "Volpe Astuta" di Fondo Micciulla, al Altarello, confiscato alla famiglia Piraino per farne un campo base scout. Quello che le associazioni - da Libera ad Arci e Addiopizzo- non sono riuscite a ottenere è un osservatorio comunale sui beni confiscati: "A 25 anni dalla legge del '96 sul riuso sociale occorre rilanciare la visione cittadina sui beni confiscati - dice Chiara Natoli di Libera - non esiste una mappa e per superare ostacoli burocratici servirebbe uno sportello unico e uno spazio di confronto tra istituzioni e società civile come un osservatorio".

26.9.21

anche i pornodipendenti hanno una dignità ed sono contro la pedopornografia e gli stupri ed la prstituzione minorile

Infatti da   fruitore prima fisso ora ocassionale di pornografia lo rimuovero pornohub dalle mie ricerche e dei miei preferiti . Un conto è uno stupro simulato o BDm e simili ( fantasie
al limite con la depravazione che non condivido e non guardo neppure , non riesco a ...... ci siamo capiti🙄😛😜 ) che sono simulate e consensuali un altro è quello vero soprattutto quando ripreso . Ha aveva ragione il capitolo dedicato alla pornografia di ( trovate sotto a sinistra l'immagine della copertina ) economia canaglia di loretta Napoleoni . Infatti secondo quuest'articolo di https://www.telejato.it/cronaca/

Trentaquattro donne portano in tribunale la più nota piattaforma pornografica al mondo: nonostante già il titolo chiariva che la ragazza aveva solo tredici anni per mesi è rimasto online.

È la «piattaforma per adulti più sicura al mondo». Così diversi mesi fa due dirigenti della società che gestisce Pornhub, la più conosciuta piattaforma web al mondo di contenuti pornografici, definì il portale. L’inchiesta del New York Times aveva già avviato l’onda di indignazione e indagini su quanto viene quotidianamente, nel


silenzio interessato dei gestori, pubblicato e squarciato il velo di abusi e violenze. Anche pedofile. Ma tutto questo ai multimilionari detentori non sembrava interessare minimamente e hanno continuato ad esprimere arrogante sicumera.La stessa che li ha portati, davanti a nuove denunce e a possibili nuovi processi, a definire le recenti nuove accuse «false» ed «infondate». Parole che non scalfiscono minimamente, e non poteva essere altrimenti, la notizia proveniente dagli Stati Uniti di recente. Ovvero la denuncia da parte di 34 donne di quanto pubblicato, e mantenuto online almeno per mesi, video che le ritraevano mentre subivano stupri e abusi sessuali. Quattordici donne erano minorenni all’epoca dei crimini. Una ragazza, Serena Fleites, l’unica che non ha scelto di rimanere anonima, ha scoperto l’esistenza di un video in cui già il titolo chiariva la sua minore età. Tredici anni. Eppure è sempre rimasto online finché lei non l’ha scoperto e si è attivata per chiedere la rimozione. Che è avvenuta solo diverso tempo dopo.Gli avvocati delle trentaquattro donne hanno evidenziato che Mindgeek, la società proprietaria di Pornhub, è proprietaria di oltre cento piattaforme e case di produzione che ogni mese totalizzano almeno 3.5 miliardi di visualizzazioni.Il 14 giugno Andre Garcia, produttore della società «GirlsDoPorn», è stato condannato dal tribunale federale californiano a 20 anni di carcere. «Traffico di persone a fini di sfruttamento sessuale» l’accusa per cui è stato processato e condannato, perpetrato «tramite coercizione e frode». A dicembre dell’anno scorso quaranta donne, vittime dei traffici di «GirlsDoPorn», hanno denunciato che video in cui erano ritratte erano rimasti pubblicati online e promossi anche dopo la rivelazione che erano video di stupri. La piattaforma web al centro delle loro denunce era, ancora una volta, PornHub.Il 9 giugno Lauren Kaye Scott, ragazza 27enne al centro di un numero sterminato di video caricati su Pornhube, è stata trovata morta in un camper di Los Angeles. Secondo alcune fonti, ha riportato il New York Times, Kaye Scott stava lottando con alcune dipendenze, alcol e fentanyl, e stava cercando di uscire da un ambiente familiare difficile. «Lauren era il prodotto di una famiglia altamente disfunzionale che coinvolgeva droghe, alcol, abusi fisici, emotivi, verbali e sessuali», ha detto al Sun una zia. Sono innumerevoli le ragazze i cui video sono stati pubblicati su queste piattaforme, o diffusi tramite altri canali, che denunciano dopo anni traumi e devastazioni psicologiche. Inchieste giornalistiche, come quella del New York Times, hanno documentato come sono innumerevoli – probabilmente almeno diversi milioni – i video che concretizzano la più depravata e criminale «cultura dello stupro».Aggressioni a donne anche svenute, donne torturate, video di soffocamento, l’elenco è drammatico quanto vario. E di questi video migliaia se non milioni vedono al centro minori di qualsiasi età vittime di ogni abuso. Come denunciò Meter nei mesi scorsi esistono anche video in cui bambini sono stati stuprati da cani. Una «cultura dello stupro», l’oggettificazione più perversa e ripugnante possibile, che in Italia abbiamo visto anche per esempio nei più recenti casi divenuti noti di stupro. Nell’onda di rivittimizzazione secondaria e colpevolizzazione delle vittime, davanti il fatto che sul banco degli imputati sono finiti personaggi noti e loro familiari, emerge – silenziato in una vasta puzza di omertà e maschilismo – quanto gli uomini accusati hanno concretizzato quello che quotidianamente viene pubblicato su ogni piattaforma online pornografica odierna.ornHub è infestato da video di stupri. La piattaforma incassa ogni giorno quasi tre miliardi in pubblicità e lucra senza scrupolo su stupri di minori, revenge porn, video di telecamere che spiano donne sotto la doccia, video razzisti e di donne imprigionate rischiando il soffocamento in sacchetti di plastica. La denuncia è del premio Pulitzer Nicholas Kristof nell’articolo del New York Times che nel dicembre scorso  ha squarciato il velo su cosa si nasconde dietro il fiorente business della più nota piattaforma pornografica al mondo. Tra le raccolte video scovate da Kristof alcune erano titolate «meno di 18 anni», «la migliore collezione di ragazze giovani» e «minorenni».«Pornhub è diventato il mio trafficante» ha dichiarato al New York Times una donna di nome Cali. La sua testimonianza è stata pubblicata nell’inchiesta che ha travolto PornHub nei mesi scorsi. Adottata in Cina era stata costretta a girare video pornografici dai 9 anni. Video publicati anche su PornHub. «Vengo ancora venduta, anche se sono cinque anni fuori da quella vita» ha denunciato al New York Times Cali. La ragazza ha oggi 23 anni, è una studentessa di Giurisprudenza eppure quei video esistono ancora: «Potrei avere 40 anni con otto figli» ma quei video potrebbero ancora essere pubblici.

«Hanno fatto soldi con il mio dolore e la mia sofferenza» la testimonianza di una ragazza, Taylor. «Sono andata a scuola il giorno dopo e tutti guardavano i loro telefoni e me mentre camminavo lungo il corridoio» ha raccontando piangendo a Kristof.

La ragazza, riporta il giornalista, ha tentato due volte il suicidio per il trauma subito. «Stanno guadagnando soldi dal momento peggiore della mia vita, dal mio corpo» è la testimonianza di una ragazza colombiana, filmata quando aveva 16 anni. «Era una delle tante sopravvissute di Pornhub che mi hanno detto di aver pensato o tentato il suicidio – ha scritto nell’articolo Kristof – Negli ultimi giorni, mentre stavo completando questo articolo, sono stati pubblicati due nuovi video di ragazze in età prepuberale aggredite, insieme a un video di sesso di una ragazza di 15 anni che si è suicidata dopo essere finita online».«Sarà sempre online – le disperate parole di una ragazza britannica, i video che la ritraggono sono stati girati quando lei aveva 15 anni – Perché i miei video di quando avevo 15 anni e sono stata ricattata, pornografia infantile, vengono caricati continuamente? Non finirà mai, stanno ottenendo soldi dai nostri traumi». Jessica Shumway, vittima della schiavitù sessuale, è stata filmata e i video sono stati caricati da uno stupratore a pagamento.Guardate «il nostro dolore e non ve ne rendete conto; ma io, che sono entrata nel porno a 21 anni dopo 8 anni di abusi in casa, posso dirvelo: non ho mai conosciuto una modella porno felice. All’epoca avevo denunciato la donna che aveva abusato di me; non potevo credere che invece fui io a essere umiliata e allontanata dai miei amici e dalla mia famiglia, come una vergogna, come se io bambina non fossi stata la vittima – è la testimonianza di una ragazza pubblicata dal sito web di Fight the New Drug





e diffusa in Italia solo da una pagina facebook che si pone l’obiettivo di far conoscere i drammi dietro le donne vittime della schiavitù sessuale online  In tribunale mostrarono ai giudici le foto dei miei genitali abusati, e per me fu un doppio trauma. Mi convinsi di essere così brutta da non poter venire mai accettata, non essere degna di amore; ma come tutti avevo bisogno di considerazione, l’abuso era la mia casa, e in qualche modo nel porno mi ero illusa di poter essere vista di nuovo come bella, guardata, e il mio trauma rivissuto controllato, sconfitto».«La violenza era la mia casa, ho vissuto con uomini violenti; prima di entrare nel porno convivevo con un uomo più grande di me che mi picchiò un giorno per quello che aveva letto nel mio diario. Come se mi fossi cercata io tutto questo – prosegue questa testimonianza – Pensavo di essere degna soltanto di quel mondo, e il porno bondage e poi quello sempre più estremo e violento fu quello in cui lavorai per anni.  Ero giovane e completamente plagiata dalla violenza, e i miei abusatori dicevano di amarmi e di essere loro la mia vera famiglia: ora io a voi, che guardate altre ragazze che soffrono come me mentre girano quei film, vi chiedo se secondo voi una vera famiglia farebbe soldi sulla vostra sofferenza, e se voi vi ritenete degni di guardare negli occhi il vostro partner e i vostri figli se poi godete in solitudine guardando altri figli che vengono violentati e distrutti. Se per voi vedere vostra figlia tra feci e urine, ingabbiata in un water, picchiata con lividi che ci mettono mesi a guarire, soffocata quasi alla morte con sacchetti di plastica, se è questo che vi fa godere guardatevi allo specchio e pensate ai mostri che siete. Perchè se non vi fate nemmeno un paio di domande su come fa un essere umano a ridursi in quel modo se non avendo conosciuto violenza fin da un’infanzia che nemmeno voi avreste mai voluto subire, allora siete mostri tanto quanto quelli che mi hanno torturata per anni. E sì, perchè guardarmi sullo schermo mi aveva convinta che il mio unico valore come essere umano consisteva nel livello di piacere sessuale che potevo dare a un altro, qualsiasi fosse il costo per me stessa. Mi ero offerta perchè ero stata già rapita dalla tossicità del mio passato».


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...