li lasciano marcire oppure li danno in gestione a gli amici loro come il caso del cerchio magico di Silvana Saguto
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C'è un numero che indica lo stato di salute dell'antimafia in Sicilia, è la percentuale dei beni confiscati che tornano alla collettività: solo il 45 per cento. Un dato preoccupante, che emerge dall'ultimo rapporto consegnato dall'ufficio della Regione siciliana che tiene sotto controllo il tesoro più grande dell'Isola, quello sottratto ai padrini di Cosa nostra. Da Palermo a Catania, da Trapani ad Agrigento, da Messina a Ragusa, ci sono 997 fabbricati e 278 terreni che ospitano attività sociali e istituzionali, ma ci sono anche 802 fabbricati e 768 terreni inutilizzati: 1570 beni che sono ancora nelle mani di mafiosi e abusivi.Per capire il perché di questa sconfitta per l'antimafia bisogna partire dal pesante atto d'accusa dell'ufficio della Regione - il Servizio Quinto dello staff del direttore generale - diretto da Emanuela Giuliano, la figlia di Boris, il capo della squadra mobile ucciso il 21 luglio 1979: "Il 55 per cento dei beni è rimasto inutilizzato per i seguenti motivi: mancanza delle risorse necessarie alla ristrutturazione e alla riconversione (36,11 per cento), mancato avvio o ultimazione delle relative procedure di assegnazione (30,57 per cento), occupazioni da parte di terzi con o senza titolo (6,82 per cento), avvisi pubblici per l'assegnazione andati deserti (3,06 per cento), strutture in quota indivisa (5,67 per cento)".La grande incompiuta
Eccola, la mappa siciliana della sconfitta, che ogni mese si allarga sempre più. Perché le forze dell'ordine e la magistratura continuano ad sequestrare beni a cosche in continua riorganizzazione. Intanto, lo Stato non riesce ancora a mettere a punto una macchina efficiente per la gestione dei beni sottratti ai padrini. A partire dalla prima esigenza: un monitoraggio dei dati. È quanto denuncia l'Istat, in una recente pubblicazione ("L'uso dei beni confiscati alla criminalità organizzata"): "L'ambito di policy delle politiche antimafia è caratterizzato da un approccio burocratico centrato sul processo, piuttosto che sul contenuto degli interventi e sui soggetti coinvolti: (...) sono disponibili dati elementari sui beni confiscati e destinati, ma non sul loro effettivo utilizzo". Insomma, l'Agenzia nazionale beni confiscati non ha ancora il controllo effettivo di tutto il patrimonio. La Regione ha chiesto informazioni ai 205 Comuni siciliani che risultano assegnatari dei tesori di mafia, solo 161 hanno risposto. Disinteresse? Incapacità di gestire immobili così importanti? Di sicuro, c'è tanta impreparazione nei Comuni. Ancora il report della Regione ci dice che solo 45 enti locali hanno chiesto finanziamenti per la sistemazione di 80 immobili. E i progetti presentati non devono essere stati neanche di qualità, perché sono stati concessi solo 23 milioni di euro sui 40 richiesti. Le cause di esclusione sono così sintetizzabili: "Mancanza dei requisiti, punteggio insufficiente, progetti presentati fuori termine". Sul tema dei fondi, i funzionari regionali hanno voluto approfondire, chiedendo ai diretti interessati. È emerso un altro dato preoccupante: "C'è una scarsa disponibilità di risorse da destinare alla redazione dei progetti".
Non è più rinviabile una riforma del sistema di gestione dei beni confiscati. La commissione regionale antimafia ha messo in risalto un altro dato allarmante nell'ultima relazione: su 780 imprese definitivamente confiscate solo 39 sono attive. Per quanto riguarda quelle destinate, solo 11 su 459 non sono state poste in liquidazione.
Ha scritto il presidente Claudio Fava: "La disciplina sul sequestro e la confisca dei beni alle mafie pretende subito un investimento di volontà politica e di determinazione istituzionale che fino a ora non c'è stato. Insomma, un sistema da ripensare". Parole che più chiare non potrebbero essere: "Il rischio è che lo Stato, e con lui l'intera comunità nazionale, perda la sfida lanciata alla mafia da Pio La Torre e Virginio Rognoni con la legge che porta il loro nome". Che fare? La commissione nazionale antimafia ha provato a cercare le cause del disastro. E ha stilato un'interessante mappa della ripartenza a partire dai problemi, che sono questi: "La distanza temporale eccessiva tra confisca definitiva e destinazione, le condizioni dei beni da destinare, spesso frattanto vandalizzati o comunque danneggiati dall'incuria, le problematiche degli abusi edilizi, la carenza di personale che consenta di seguire i beni confiscati o redigere il regolamento comunale, i bandi chiusi senza richieste da parte delle associazioni". Ma il problema dei problemi è uno: "La mancanza di fondi" per valorizzare il tesoro inutilizzato.
Palermo capitale
Se quasi quattro beni confiscati su 10 (il 38,7 per cento e circa seimila su 15.500) si trovano in Sicilia, a Palermo sono il 12,1 per cento: da solo il capoluogo siciliano ha ricevuto il 10 per cento di tutti i beni destinati ai comuni italiani. Un onore e un onere non semplice da gestire. Lo studio dell'Istat, curato da Ludovica Ioppolo e Fabrizio Consentino, offre uno spaccato. Erano quasi duemila i beni per il territorio palermitano al 31 dicembre 2019. Tra questi, 1281 sono destinati al Comune; gli altri 700 sono di pertinenza di altre istituzioni, come i Carabinieri (202) la Guardia di finanza (171) e la Regione (68). Ma qui sorge il problema. Dei 1281, soltanto 1050 sono acquisiti al patrimonio, 248 si trovano in una sorta di limbo, ovvero è stato emesso il decreto di destinazione, ma solo sulla carta. Tra i 1050 del patrimonio, 414 beni (il 39,4 per cento) non sono utilizzati.
Beni fatiscenti o occupati
Ma perché 4 beni su 10 non sono assegnati? "Prendere in gestione un bene confiscato non sempre conviene, perché gli immobili sono in cattive condizioni e si può spendere fino a 100mila euro", conferma Marco Farina, direttore dell'Ong palermitana Hryo. A volte passano molti anni tra l'assegnazione e la presa di possesso. "Nel 2017 abbiamo preso 100 punti, il massimo, per gestire un terreno a Ciaculli, ma siamo arrivati alla pari con un'altra associazione che è stata sorteggiata vincitrice - racconta Farina - così siamo rimasti due anni in graduatoria e a gennaio del 2019 ci è stato assegnato un terreno confiscato in via Trabucco a Cruillas per un progetto di inclusione sociale". Ma negli ultimi due anni l'associazione ha trovato mille ostacoli: tra cui i rifiuti speciali da bonificare, con un assegno da 10mila euro. "Può capitare anche di perdere migliaia di euro di fondi per riqualificare un bene, perché non arriva in tempo l'ok degli uffici comunali", aggiunge Farina.
Svolta sull'uso abitativo
Palermo, a Cruillas un orto sociale nel terreno confiscato alla mafia
Sicilia prima per il riuso sociale
L'altra faccia della medaglia è l'uso sociale dei beni per cui la Sicilia, secondo un censimento di Libera, è la prima regione in Italia con 204 soggetti gestori. E Palermo i beni a uso sociale sono 180. Storie di riscatto come la Sartoria Sociale della cooperativa Al Reves, che dal 2017 gestisce un immobile confiscato all'immobiliare Raffaello, gestita dal mafioso Antonino Buscemi, e dà lavoro a ex detenuti, vittime di tratta, disabili e migranti. O ancora la "Volpe Astuta" di Fondo Micciulla, al Altarello, confiscato alla famiglia Piraino per farne un campo base scout. Quello che le associazioni - da Libera ad Arci e Addiopizzo- non sono riuscite a ottenere è un osservatorio comunale sui beni confiscati: "A 25 anni dalla legge del '96 sul riuso sociale occorre rilanciare la visione cittadina sui beni confiscati - dice Chiara Natoli di Libera - non esiste una mappa e per superare ostacoli burocratici servirebbe uno sportello unico e uno spazio di confronto tra istituzioni e società civile come un osservatorio".
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