REPUBBLICA 23\10\2021
Berradi, marocchino di nascita, trasferitosi in Italia a 10 anni, è stato uno dei mezzofondisti più forti della nazionale azzurra. Oggi è impegnato nel sociale e nella diffusione della legalità tra i giovani di Palermo, un'attività per la quale è stato insignito da un'onoreficenza dal Quirinale
PALERMO - La lotta alla mafia si può fare in un’aula di tribunale, nelle stanze di una procura, nelle caserme dei carabinieri o nei commissariati di polizia. Ma la mafia si può combattere anche in una pista di atletica leggera, in un campo di calcio, per strada organizzando una manifestazione sportiva.E’ questa l’idea che da sempre porta avanti Rachid Berradi,
uno dei mezzofondisti più forti che l’Italia abbia mai avuto. A lungo primatista della mezza maratona e finalista nel 10 mila alle Olimpiadi di Sydney, Berradi è nato 46 anni fa a Meknes in Marocco, ma dall’età di dieci anni vive a Palermo.E proprio nel capoluogo siciliano ha trovato terreno fertile la voglia d‘impegno sociale che da sempre lo accompagna. Un impegno del quale si è accorto anche il Quirinale che nel dicembre del 2020 lo ha insignito con una onorificenza al merito della Repubblica. Il presidente Sergio Mattarella ha nominato il suo concittadino Rachid Berradi Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica e, nella motivazione del riconoscimento, c’è tutta la passione sportiva e civile dell’ex azzurro. “Per la sua appassionata cultura per la legalità e per il contributo al contrasto all’emarginazione sociale”.Quando il telefono ha squillato e una voce annunciava di chiamare dal centralino del Quirinale, Rachid ha pensato a uno scherzo. Un attimo, giusto il tempo di capire che era tutto vero e che i suoi sforzi – quelli sociali prima ancora che quelli sportivi – erano stati riconosciuti e premiati. Berradi è appuntato scelto dei Carabinieri ed è in servizio al Comando provinciale di Palermo. Smesse la scarpette chiodate non ha interrotto – semmai lo ha intensificato – il suo impegno per la legalità.Fare l’elenco della manifestazioni alle quali Rachid ha partecipato in prima persona o nelle quali ha prestato il suo volto e il suo nome come testimonial sarebbe praticamente impossibile. Basti però sapere che queste gare, questi avvenimenti, queste corse non competitive hanno avuto sempre il filo conduttore della legalità, dell’inclusione, della voglia di riscatto.E allora è facile spiegare come Berradi sia stato l’ideatore dell’Atletico Zen, una società sportiva che nasce in uno dei quartieri più difficili di Palermo, che con Rachid in panchina ha partecipato al Memorial “Paolo Borsellino” di calcio a 5.
ene" E ancora come Berradi sia stato l’anima di una staffetta in memoria di Filippo Raciti, il poliziotto ucciso prima di un derby tra Catania e Palermo. Una staffetta partita dallo stadio della Palme a Palermo, l’impianto di atletica leggera intitolato alla memoria di Vito Schifani, uno degli agenti della scorta di Giovanni Falcone ucciso nella strage di Capaci.Una vittima della mafia, Schifani, come vittime della mafia erano i personaggi effigiati nelle magliettine indossate dai ventiquattro ragazzi di Palermo e Lampedusa che grazie a una iniziativa di Berradi hanno partecipato all’edizione del 2013 del Golden Gala all’Olimpico. Una staffetta simbolica con i giovani atleti che si passavano il testimone ricavato da un pezzo di legno di una delle barche arrivate a Lampedusa cariche di migranti in cerca di un futuro migliore.Un futuro che Berradi sta cercando di dare anche ai tantissimi ragazzi con i quali ogni giorno lavora a Palermo. Ragazzi come quelli del 2013 che, al rientro da Roma, deposero due bandiere tricolori autografate dai big dell’atletica mondiale all’Albero Falcone dove il giudice abitava e in via D’Amelio dove invece Paolo Borsellino venne fatto saltare in aria da Cosa nostra insieme agli uomini della sua scorta. Esempi di un impegno sociale, di legalità, di senso civico. Gli stessi esempi che Rachid Berradi trasmette oggi ai “suoi” ragazzi, insegnando loro cosa significhi essere oggi cittadini del nostro tempo anche in una città difficile come Palermo. Dimostrando, con i fatti, che antimafia può essere anche dare un calcio a un pallone insieme agli amici o fare una corsa dove, mai come in questo caso, l’importante è partecipare. L’importante è esserci
Salutato con baciamano e abbracci da quanti lo attendevano all'uscita del palazzo dove i Carabinieri lo hanno scovato, nascosto in un bunker ricavato al di sopra del camino in cucina. Fanno scalpore le immagini trasmesse dal Tg1 e relative all'arresto di Giuseppe Giorgi, di 56 anni, catturato dai Carabinieri a San Luca nel palazzo dove risiede tutta la sua famiglia. Giuseppe Giorgi, detto "u capra", inserito nell'elenco dei 5 latitanti di massima pericolosità stilato dal ministero dell'Interno, era ricercato dall'agosto 1994 e deve scontare 28 anni e 9 mesi di reclusione per reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanza stupefacenti
Quel baciamano al boss latitante omaggiato come un sovrano
“Baciamo le mani”. Chi nel parlare di mafie, non ha mai usato quest’espressione? Sdoganata da film e racconti, è spesso strumento di racconti macchiettistici dei clan. Eppure è realtà. Quando dopo 23 anni di latitanza Giuseppe Giorgi "U capra", boss dei Romeo Staccu con 28 anni e 9 mesi da scontare per droga, è stato scovato nella sua San Luca c’è chi si precipitato ad omaggiarlo proprio così. Perché soprattutto nell’ala militare della ‘Ndrangheta segni e simboli, pesano più delle parole, consolidano un marchio, perpetuano un mito. E il boss, costretto a uscire dal cunicolo in cui si era nascosto calandosi giù come un topo, è stato portato via dai carabinieri mentre la folla lo omaggiava come un re.
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