È davvero meraviglioso che io non abbia lasciato perdere tutti i miei ideali perché sembrano assurdi e impossibili da realizzare.
Eppure me li tengo stretti perché, malgrado tutto, credo ancora che la gente sia veramente buona di cuore.
Semplicemente non posso fondare le mie speranze sulla confusione, sulla miseria e sulla morte. Vedo il mondo che si trasforma gradualmente in una terra inospitale; sento avvicinarsi il tuono che distruggerà anche noi; posso percepire le sofferenze di milioni di persone; ma, se guardo il cielo lassù, penso che tutto tornerà al suo posto, che anche questa crudeltà avrà fine e che ritorneranno la pace e la tranquillità.
Amministrative: il centrosinistra vince quasi dappertutto
E' anche centro, anche Sud. Napoli, per esempio. Però lasciatemelo godere, adesso, il Nord. Lasciatemi amare Milano. Il "mio" Milano (al maschile, come usava tra gli antichi abitanti).
Lasciatemelo amare da oriunda. Da una che ci è piovuta a caso, e non sa come. Mica facile, da amare, questo Milano. Lasciatemelo amare con le sue guglie d'oro antico, carolingio, squillante e rasserenato. Oro di guazza e di cieli meno ingombri.
Adesso lasciatemelo solo amare. Forse per la prima volta, da quando ero bambina, accompagnata da mio padre in piazza Duomo a comprare il settimanale "Il Milanese" e a sostare al Camparino. Io ero scura e mediterranea, poi ne sono seguiti altri, più scuri e mediterranei di me.
Sarebbe sbagliato affermare che "ha vinto Pisapia". E, forse, nemmeno (solo) la sinistra, com'è accaduto a Napoli e altrove. Un pochino, abbiamo vinto noi. Un pochino. L'inizio. Laura, Roberto P., Miriam, Rita, Giovanna e tanti altri, quel programma l'hanno stilato insieme, per la prima volta hanno assaggiato quella democrazia partecipativa propugnata per anni dagli umanisti.
Nell'elaborazione grafica, la Madonnina "arancione", colore dei sostenitori di Pisapia in questa tornata elettorale.
Nell'elaborazione grafica, la Madonnina "arancione", colore dei sostenitori di Pisapia in questa tornata elettorale.
Hanno già vinto, perché un barlume d'arcobaleno è per noi fierezza e vento. Ci ha commosso, Giovanna, la scorsa settimana, quando l'abbiamo udita affermare: "Per me Pisapia è anche una persona buona. La bontà non dovrebbe essere una categoria politica. Ma non mi vergogno a menzionarla. Perché in tutti questi anni, siamo stati governati dalla cattiveria". Cattiveria verso le minoranze, i diritti civili, i deboli, gli sconfitti, ma anche e soprattutto, semplicemente, i cittadini onesti. Nella legalità, nel rapporto con gli altri, nella diuturna resistenza nei confronti del "libero mercato" spersonalizzante e inumano.
Hanno vinto, con noi, Gina, Roberto, Luz: amici vissuti solo nella speranza, amici scomparsi nella fede, aspettando un domani che non hanno fatto in tempo a vedere. Amici che hanno lasciato i loro corpi in un(a) Milano all'apparenza distratta, affaccendata e indifferente; amici annoverati tra i mille morti giovani, catalogati da una fredda burocrazia. Corpi sepolti, ma anime salve, che hanno creduto senza aver veduto.
Mi piace vedere Pisapia a Niguarda (cfr. la sottostante foto). Abito nelle immediate vicinanze di questa periferia. Proprio alle spalle del neosindaco si staglia la lapide di un'altra Gina: la Galeotti Bianchi, partigiana, femminista, nome di battaglia Lia. Poco più in là ha sede un teatro popolare, ricordo dei tempi in cui la cultura andava alla ricerca dei poveri, li prendeva a braccetto, li accomodava sulle panche di legno e... forniva loro gli strumenti per raccontar/si.
Anche questo è Nord. Qui noi viviamo. Qui, ci apprestiamo non al potere, ma alla voce.
Il 15 e 16 maggio, a Milano, si terranno le elezioni amministrative. Tra i redattori del "manifesto dei cittadini" fatto redigere dal candidato Sindaco Giuliano Pisapia ad associazioni, gruppi, partiti e singole donne e uomini figura anche la giovane ricercatrice precaria Laura Di Dio, umanista, candidata al Consiglio comunale assieme ad altri amici, in corsa per il Consiglio di zona. La lotta potrebbe sembrare impari, data la feroce e dispendiosa campagna elettorale di Berlusconi, ma giungere al ballottaggio costituirebbe già un ottimo risultato. Tra i sostenitori dell'avv. Pisapia tutti i rappresentanto della Milano migliore, da Roberto Vecchioni (che terrà un concerto di chiusura venerdì 13 in piazza Duomo) a Benedetta Tobagi, figlia di Walter, agli eredi Ambrosoli, Rossa, Bachelet, vittime del terrorismo negli anni '70, a don Andrea Gallo e moltissimi altri. In bocca al lupo, futuro, in bocca al lupo, Laura.
Milano vive in questi giorni uno straordinario momento di rinascita e speranza: dopo vent’anni di governo della destra, finalmente, con Giuliano Pisapia c’è la concreta possibilità di voltare pagina e di lasciarsi alle spalle razzismo, affarismo, tagli ai servizi sociali e l’arrogante convinzione che il denaro può comprare tutto, anche le persone. Come umanisti ci riconosciamo nei punti cardine del programma di Pisapia – diritti, lotta al precariato, difesa dei beni comuni, partecipazione dei cittadini – e pensiamo di poter contribuire al rinnovamento di Milano portando il nostro patrimonio di ventennale lavoro nei quartieri a favore della nonviolenza, della non discriminazione, del dialogo tra le culture e della democrazia partecipativa.
PERCHE' VOTARE LAURA
E’ donna, giovane (26 anni) e preparata: laureata in Comunicazione politica e sociale, da dieci anni porta avanti attività di volontariato per la tutela dei diritti umani e il dialogo tra le diverse realtà culturali presenti in città.
Precaria, rappresenta la “generazione clandestina”, esclusa dai diritti e privata del futuro e può portare in Consiglio Comunale le esigenze e le aspirazioni dei giovani.
GLI IMPEGNI DI LAURA PER MILANO
DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA
- Modifica dello Statuto comunale per introdurre consultazioni e referendum vincolanti su temi comunali e di zona. - Conferimento di maggiori poteri ai Consigli di Zona. - Verifica periodica dell’operato degli eletti da parte degli elettori.
EDUCAZIONE
- Aumento del numero delle Scuole Materne e degli Asili Nido comunali, fino a soddisfare la domanda, a costi proporzionati al reddito e con tendenza graduale verso la gratuità. - Assunzione di tutto il personale comunale precario. - Gestione diretta delle Scuole Materne e degli Asili Nido, senza appalti a cooperative ed enti privati. - Riapertura delle scuole civiche comunali. - Manutenzione tempestiva degli edifici scolastici.
AMBIENTE E MOBILITÀ
- Impegno a contrastare la privatizzazione del servizio idrico. - Potenziamento dei mezzi pubblici, anche in orari notturni, per decongestionare il traffico e ridurre l’inquinamento dell'aria. - Creazione di piste ciclabili protette che partano a raggiera dal centro a arrivino in tutti i quartieri.
GIOVANI
- Creazione di un organo comunale di controllo dell’utilizzo indiscriminato degli stage da parte delle aziende. - Creazione di un fondo agevolato e di spazi idonei per il sostegno alla microimprenditoria giovanile. - Sostegno agli spazi che permettono aggregazione e offrono cultura. - Assegnazione di alloggi comunali, anche in condivisione, a prezzi accessibili.
IMMIGRAZIONE
- Utilizzo dei fondi UE per le reali necessità delle comunità Rom e moratoria degli sgomberi dei campi. - Sostegno all’inserimento lavorativo e sociale di rifugiati e richiedenti asilo. - Istituzione di una Consulta Comunale dei migranti. - Diritto di voto alle elezioni e ai referendum comunali. - Rifiuto da parte del Comune di ospitare un Centro di Identificazione ed Espulsione come l’attuale Corelli e creazione di strutture di reale accoglienza.
NON DISCRIMINAZIONE E NONVIOLENZA
- Istituzione di un Registro Comunale delle Coppie di Fatto eterosessuali e omosessuali ed equiparazione dei loro diritti a quelli delle coppie coniugate per quanto concerne i servizi comunali. - Patrocinio al Gay Pride e alle iniziative per la Giornata mondiale contro l'Omofobia (17 maggio). - Costituzione a livello comunale e di zona di un Osservatorio per la nonviolenza, che svolga compiti di prevenzione e denuncia, fornisca sostegno alle vittime di ogni forma di violenza e discriminazione e lavori in rete con le scuole e le associazioni operanti sul territorio per promuovere la cultura della nonviolenza.
Quand'ero bambina, e ascoltavo il racconto biblico della Pasqua ebraica (quest'anno festeggiata poco prima di quella cristiana, il 19 aprile), ricordo che i miei occhi si riempivano d'emozione. Tifavo per i "nostri eroi": il popolo d'Israele perseguitato in Egitto che, presto, sarebbe stato riscattato dalla mano potente del suo Signore. C'era quel particolare degli agnelli sgozzati,
A lato: l'interno della sinagoga di Trieste, sede di una delle più importanti comunità israelitiche in Italia.
Questo Re, lo vedevo avvolto nella nube. Aveva vaghi ma classici connotati: anziano, con la lunga barba fluente. Lo stesso che poi reincontravo nella cappellina barocca del collegio dove studiavo: in mezzo all'altare riccamente adornato trionfava un Cristo sanguinante, morto; ma con le dita spalancate a "V", nel segno della vittoria. Era un'estasi, già lo presentivo in seguito, trionfante sull'arcobaleno. Il Re e l'uomo di Nazareth erano consustanziali e intercambiabili. Invincibili, certo, ma accompagnati da un lungo strascico di dolore, entrambi. Il Re aveva scelto un popolo disprezzato, il Nazareno ne faceva addirittura parte ed era segnato da una storia atroce.Oggi certa teologia cattolica tende a rimarcare le differenze, un tempo persino le contrapposizioni, tra quell'antico Re e l'emblema misericordioso di Gesù. Ma ai miei occhi, in virtù di quanto esposto poc'anzi, non poteva essere così. Mi sono sempre sentita più gesuana che cristiana. Senza, peraltro, che una cosa escludesse l'altra. L'umanità di Gesù era quella di un uomo ebreo vissuto duemila anni fa. Compenetrato della sua cultura e così riccamente variegato e culturale da trascenderne. Il Gesù della cappellina barocca appariva come un martoriato e il volto trasudava espressività. Ma i muscoli erano tesi, forti, il corpo ancor vigoroso, giovane. Lo sguardo chiuso, il volto bello e gravato da una corona di spine che risultava pesante, pregna di tutto il male dell'universo. Taceva, ma il suo sangue stillante e vermiglio urlava.Il Gesù deposto di Lorenzo Lotto ( sotto a destra), che avrei ammirato molti anni più tardi, era invece un Messia muto. Un corpo ormai slogato, inerme, stremato ed estenuato.Un'altra faccia dell'umanità. La perdita, la sconfitta. Gli astanti si domandano, anch'essi muti, il perché di tanto strazio. E non trovano alcuna risposta. E' il quadro del nulla.La Madonna è un'icona araba completamente velata, perché esiste un pudore nella sofferenza troppo gridata, incomprensibile. Persino il viso dell'angelo è interrogativo, quasi a domandare il senso di tutto questo.
La Madonna è un'icona araba completamente velata, perché esiste un pudore nella sofferenza troppo gridata, incomprensibile. Persino il viso dell'angelo è interrogativo, quasi a domandare il senso di tutto questo.Da da bambina non incontravo difficoltà a coniugare il Gesù dei Vangeli al JHWH dell'Antico Testamento, ma della loro pronta risposta, del loro accorrere solerte e misericordioso mai avrei dubitato; in seguito dovetti sperimentare, al contrario, quel mutismo, quell'ostinazione abissale nel buio, nella dissoluzione, nel grigio bituminoso dei nostri inferni quotidiani. Era, è per noi, in tutto il viaggio terreno, il tempo della deposizione, il tempo sospeso.Oggi i nuovi deposti sono i testimoni di pace anonimi o dimenticati. Hanno il volto di Shahbaz Bhatti, Ministro pachistano per le minoranze, difensore di Asia Bibie di molti altri perseguitati, di ogni religione e cultura, del suo Paese; o quello di Bruno Hussar, fondatore di Nevé Shalom, il primo kibbutz israelo-palestineseall'interno del quale si trova la Casa del Silenzio, edificio sgombro e circolare, privo di immagini sacre, enigmatico e definitivo, dove ognuno può riunirsi per pregare il proprio Re, Cristo, Allah o semplicemente ritrovare un amico, fare un vuoto, riappropriarsi della propria essenza profonda. I deposti, poi, sono tutti quegli occhi fermi e senza nome, o quelle storie comuni e spezzate, come i migranti annullati dal mare, o donne sgozzate e martoriate (ad Ascoli Piceno, la ventinovenne Carmela Rea è stata accoltellata e la sua schiena incisa con una svastica), o tutti i... fame e sete di giustizia .Io non so cosa avvenga "dopo". Forse, adesso, mi rassicura di più pensare che anche quel mutismo ostinato in fondo era scritto e contemplato. "Non lasciare fuori niente della creazione", probabilmente significa questo. Ma mi piace pensare che, alla fine, in un pertugio lontano e sfolgorante, torni quel Re, meno ingenuo e più creaturale, innocente per aver provato il male, quindi riedificato. E non inesperto, dopo aver veduto.
Mi chiameranno sovversivo.
E io dirò loro: lo sono.
Per il mio popolo in lotta, vivo.
Con il mio popolo in marcia, vado.
Ho fede di guerrigliero
ed amore di rivoluzione.E tra Vangelo e canzone
soffro e dico quello che voglio
.
Se scandalizzo, in primo luogo
bruciai il mio cuore
al fuoco di questa Passione,
croce del Suo stesso Legno.
Incito alla sovversione
contro il Potere ed il Denaro.
Voglio sovvertire la Leggeche perverte il Popolo in gregge
"Esce di mano a lui che la vagheggia/prima che sia, a guisa di fanciulla/che piangendo e ridendo pargoleggia,/l'anima semplicetta che sa nulla,/salvo che, mossa da lieto fattore,/volentier torna a ciò che la trastulla" (Purg., XVI).
Buon compleanno, Italia. Giovine Italia. Sei ancora come quella fanciulletta descritta da Marco Lombardo. Sei "un'anima semplicetta che sa nulla", e che "di picciol bene in pria sente sapore", smarrendosi poi, come nel giardino dell'Eden dopo il peccato di conoscenza. Così, d'improvviso, prima ancora di diventare adulta, ti sei ritrovata vecchia, stanca, spogliata e sterile. "Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?". Hai la Costituzione più bella del mondo, e per quella fame inesperta di vitalità diffusa e infantile permetti pure che la dileggino. E ne ridi, o te ne disinteressi esausta. I tuoi sono i peccati dell'inesperienza e dell'accidia, eppure la tua storia è antica. Culla d'Europa, si diceva con qualche ridondanza. Ma sei restata in culla. Hai accettato di farti violentare da oppressioni, dittature, atarassia e ti sei ninnata in quello stato di soggezione in cui ti ha mantenuto la gerarchia ecclesiastica. Ventre molle d'eterna madre, per una figlia mai svezzata. Italia che oggi vorremmo tornare a definire patria; vocabolo scrostato dagli orpelli nazionalistici e reazionari in cui l'aveva confinato il fascismo e scandito - assieme al celebre Inno del giovane Mameli - nei cori di chi, oggi, si batte per salvare lo Stato di diritto, l'eguaglianza delle leggi, la parità tra i cittadini. Italia che, per questo, sarebbe molto più Matria, e se lo fosse, oggi, ci troveremmo in un grembo adulto, cosmopolita, fecondo. E l'avevano compreso non solo le grandi figure di Garibaldi, Cavour e Mazzini, ma le stesse protagoniste di quegli anni, ancora integre per la scoperta: Anita Garibaldi Ribeiro , prima rivoluzionaria che moglie dell'Eroe. Prima brasiliana che italiana, e per questo, più fortemente nostra. L'unica donna tumulata nel Gianicolo, emblema dell'Indipendenza, è un'extracomunitaria, consorte di un uomo forse troppo vasto per un mondo solo: gliene occorsero, in effetti, addirittura due. Italia terra d'oppressi e perciò in prima fila accanto agli oppressi di tutti i tempi: lo affermava Mazzini e oggi quell'Italia dovrebbe stare accanto ai rivoluzionari arabi e a tutti i popoli che si battono per la democrazia. Non stupisce che a quest'idea di nazione, ma non di nazionalismo, siano del tutto estranee la sindachessa di Milano Moratti e la sua alleata Lega, che l'altro ieri ha preferito rimanere alla buvette mentre in Consiglio comunale, si eseguiva l'Inno di Mameli; mentre la cosiddetta prima cittadina si esibiva dalla sgallettata Barbara D'Urso, a Pomeriggio Cinque, ballando una sfrenata Waka waka. A quest'ultimo personaggio non dedichiamo una riga in più. La sua stretta e particolaristica visione, del resto, è arcitaliana, anzi, italiota: di quell'altra Italia che si rifiuta di crescere, di quell'Italia pargoletta, ineducata, afasica, di quell'Italia levantina e pigra, malgrado si fregi di sano realismo padano. L'Italia adulta, invece, è ancora accennata. In Anita, ma anche in Cristina Trivulzio di Belgiojoso , femminista, politica, scrittrice, e in un uomo, quel Salvatore Morelli , mazziniano, che condivideva col suo maestro, l'insegnante che amava la chitarra, l'idea che una nazione non può essere davvero libera senza il contributo delle donne.
Buon compleanno, Italia. Sei un disegno incompiuto che vorremmo, anzi vogliamo, completare già qui, ora, in questa vita.
N. B.: Nelle foto di questo servizio, alcuni momenti della mostra Italia Donna, realizzata dall'associazione Riciclando e ospitata a Bresso (Milano), nei locali dell'ex-ghiacciaia.
Il restauro di Miracolo a Milano non è solo una bella notizia. E' la restituzione di un'infanzia, un viaggio a ritroso in una sarabanda di specchi, insegne, cieli sabiani in cui s'accendono parole, smaglianti bianco e nero densi di luce e gioia. E' un ritorno a scabri arenili e a corpi accesi nel rovente sole dei tardi anni Quaranta. E' uno sguardo nelle nostre origini, uno scrutare nel segreto, nell'inviolabile. Perché in quel film, così antico e fulgente e straccione, ho visto mio padre.
Anch'egli, come tanti, si trovava perso in quel marasma di ragazzetti dalle ginocchia sparute, che salutavano i poveri saliti al cielo a cavallo d'una scopa. Sopra il cielo finalmente vasto, e brilluccicante, in vortici e turbini di giocosa beatitudine.
Chissà cosa pensava, allora. Niente; si lasciava trascinare sotto il suo baschetto floscio. Le baracche milanesi erano del tutto simili a quelle romane. Lui non abitava lì. Viveva, o meglio passava, in via Angelo Mosso, tra Gorla e Turro, già allora ferrigna di ringhiere, ma comunque abitazione, conquistata chissà come. Mio padre, bambino, vi volteggiava. Ogni tanto. Non so se amasse le penombre lise della cucina e dell'acquaio. Ma era così aereo. Come quei poveri sulle scope, mio padre era, in realtà, nato sulla strada e in strada trovava la sua famiglia di compagni, o di monelletti, con nomi che avrebbero fatto la felicità di Gadda, o d'un Pasolini in trasferta: il Marietto, il Demi Demi, e, più di tutti, il Boia Faust di Chicago. Coi quali, un giorno, condivise il ritrovamento d'una banconota da mille lire, nei pressi d'una pasticceria. I cui profumi dolci s'erano limitati ad assaporare. Leccandosi le labbra secche e sporche. Quel giorno non cacciarono le lucertole né fecero rissa coi compagni, né sostarono al cinema ABC per giocare brutti tiri a qualche rancido "culatun". S'ingozzarono, invece, di paste, incuranti e avidi e materici e sgangherati, bambini per sempre, pervasi d'un'irrefrenabile allegria di naufragi, ebbri per un domani che si credeva prossimo, e tattile.
Grazie, Roberto! Grazie perché la tua vittoria a Sanremo è stata veramente meritata. Grazie perché ti chiamano professore, ma io non ti ho mai sentito così collega come adesso. Grazie perché le tue note mi scivolavano addosso rotonde, piene, ampie, logiche come l'acqua fresca, come un abbraccio rigenerante, come una finestra spalancata, attesa, agognata, eppure da sempre lì, e non ce ne eravamo mai accorti. Grazie per aver ricordato a tutti che la semplicità non è semplicismo, grazie per questa tua ballata antica e accorata, così tipicamente italiana, quell'Italia che tu ami svisceratamente - l'hai detto, e si capisce -, grazie per averla dedicata a tutte le donne e in particolare alla tua. Sì, hai rivendicato con quel tuo sorriso largo e quei gesti dinoccolati e, in certo senso, teneramente scomposti, Chiamami ancora amore è un brano "elettorale", cioè di parte, cioè di tutti, o forse di ognuno (ognuna).
Grazie perché la tua carnalità ha sempre qualcosa di legnoso. Quel legno resistente, bruno, di lunghi autunni, di sigari e di buone letture. Ecco, torniamo sempre lì. Sei aristocratico, Roberto. Questo forse t'imbarazza, ti duole, paziente ed esausto per non esser mai capito. Una pazienza d'imprecazioni. Di chi ama dannatamente il suo grande popolo, la sua immensa tradizione, e la vede immiserita, e resta quasi muto di fronte a tanto incredibile scempio... Grazie perché, a quasi 70 anni, ti sei commosso e ci hai commosso. Non solo quando intonavi il tuo pezzo. Ma anche nell'esecuzione di 'O surdato 'nnammurato, perché ti pareva di masticare quell'Italia vera. Tu stesso, milanese figlio di napoletani, hai provato l'ebbrezza di unirla nel tuo canto e fra le tue braccia.
Mi sento di ringraziare anche Tricarico. Il suo Sanremo è andato così così. Ma i suoi Tre colori rimangono lì, sospesi, azzurri, intatti, puri come una celesta. Mi hanno ricordato un quadro di Mirò. Impreziositi poi dai bambini, anch'essi bambini autentici, non parodie dei peggiori adulti in miniatura. Trasognato Tricarico, la tua scontrosità infeltrita era toccante. Sempre fuori posto sul palco di Sanremo, chissà se il tuo pezzo farà strada, ma un sentiero o un varco luminoso, in una notte cloisonnée, l'hai comunque aperto…
E grazie all'AlienoBattiato, che ha accompagnato il bravo Luca Madonia in un brano che qualcuno ha definito "un auto-plagio" e che a me pare piuttosto una citazione, o una riedizione del sound del cantautore siciliano. E' il suo stile, ma se pure qualche nota di troppo è finita nella canzone sanremese, poco male: si tratta, alla fine, d'una pioggia di stelle, di sidereo respiro: a Sanremo, uno scorcio di qualche remota partitura d'archi, suona come una strana, aliena suggestione. Tra le nuove proposte, il più sanremese è stato senz'altro Raphael Gualazzi: ma, attenzione: sanremese, mica nazionalpopolare. Sanremese come Sanremo: città degli eleganti fiori, dei turisti inglesi, delle preziosità Art nouveau. In questa lunga e brillante tradizione europea si colloca Gualazzi, forse con una voce ancora incerta, ma con sicuro piglio di grande intrattenitore. Auguri.
La Crus & Nina Zilli hanno presentato un pezzo musicalmente raffinato, anche se dal testo poco originale e a tratti debole, con un pericoloso spostamento d'accento. Comunque, piacevoli. E poi è arrivato lui, l'altro Roberto (Benigni). In realtà si è esibito nel corso del secondo appuntamento, ma il Festival verrà ricordato, oltre che per Vecchioni, per la sua Fratelli d'Italia, pudica e lacrimata. Potrà parere incredibile, ma dall'altra sera mi ritrovo a canticchiare il verso sincopato "Stringiam'ci a coorte/siam pronti alla morte/siam pronti alla morte/ l'Italia chiamò..."; e nello stesso semitono esitante, che fa da contraltare all'esibita passione di Vecchioni: l'Italia inerme e sfilacciata, lascia intendere Benigni, va trattata con delicatezza, perché bella e giovane, fatta da giovani.
Così è. Un Roberto ha inaugurato la festa, un altro Roberto l'ha chiusa. Comprensibili nel tratto, intensi e articolati nel contenuto. Ragazzi per i ragazzi, tra i 60 e i 70 anni. Io sono fiera di esser stata giovane con loro, di averli conosciuti pungenti ed esagerati, nel bianco e nero a tinte forti di Stranamore e Televacca, o negli stracci folgoranti e blasfemi di Berlinguer ti voglio bene. Perché dall'amore si parte, e all'amore si torna. Adesso tocca "a quei ragazzi e a quelle ragazze che difendono un libro, un libro vero" prendere il testimone. Magari dalla biblioteca del professor-collega Vecchioni. Ma lo facciano. Per non trasformarsi in giovani-vecchi.
Nota. Per un improvviso problema alla pagina web, il testo, i link e quasi tutti i video di questo post sono andati perduti. Mi limito, pertanto, a riportare l'appello dei collettivi femminili del Nord Milano per l'importante manifestazione di oggi, a favore della dignità delle donne, che si svolgerà in tutte le piazze italiane e anche straniere. La delegazione umanista non mancherà all'appuntamento.
In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si è scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, pccupandosi di figli, mariti, genitori anziani. Tante sono impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato allo scopo di rendere più civile, più ricca e accogliente la società in cui vivono. Hanno considerazione e rispetto di sé, della libertà e della dignità femminile ottenute con il contributo di tante generazioni di donne che - va ricordato nel 150° dell'Unità d'Italia - hanno costruito la nazione democratica.
Questa ricca e varia esperienza di vita è cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità. E ciò non è più tollerabile.
Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mète scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici. Questa mentalità e i comportamenti che ne derivno stanno inquinando la convivenza sociale e l'immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione. Così, senza quasi rendercene conto, abbiamo superato la soglia della decenza.
Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni.
Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale.
Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignità e diciamo agli uomini: se non ora, quando? E' il tempo per dimostrare amicizia verso le donne. Lo chiedono anche, fra le tantissime aderenti famose, suor Rita Giarretta e Ouejdane Mejri, ricercatrice tunisina da anni in Italia, che assicura: "Anche le donne immigrate manifesteranno con le italiane" .
In verità, una risposta degli uomini, tardiva, insufficiente, è comunque arrivata, come dimostra l'appello "al maschile" di "Repubblica" : ma la loro voce è ancora flebile, e, prossimamente, ne analizzeremo le cause.
appuntamento per le/i milanesi è in piazza Castello alle ore 14.30. Sappiamo fin d'ora che saremo numerosissime/i.
In una Milano quasi primaverile gli umanisti si sono uniti agli amici egiziani in festa per le dimissioni di Mubarak. "Rispetteremo i trattati", è l'assicurazione rivolta a Israele dal governo provvisorio. Eppure, mai come in questi momenti, euforici certo, ma non meno reali, si avverte un'inebriante sensazione di spossata felicità; quella felicità che proviamo dopo una lunga, dolorosa, spesso frustrante fatica; una felicità fisica e contagiosa, che ripaga delle sofferenze. Una felicità che segue una vittoria conquistata a caro prezzo, e da soli; "dal basso", come usa dire. "La caduta di Mubarak segna una straordinatia vittoria di popolo - commenta Emanuela Fumagalli di Mondo Senza Guerre(a sinistra nella foto, col cartello giallo). - In diciotto giorni di mobilitazione nonviolenta, resistendo ad aggressioni di ogni tipo, gli egiziani sono riusciti a liberarsi di un dittatore che li opprimeva da trent'anni. Il coraggio e la perseveranza dimostrati dai manifestanti sono un esempio che ci auguriamo altri popoli seguano. E non solo nel mondo arabo. Certo - ammette - la transizione verso una vera democrazia e un cambiamento profondo non sarà facile, e il popolo egiziano dovrà restare vigile e pronto a nuove mobilitazioni, ma da oggi nessuno potrà più affermare che una rivoluzione nonviolenta è impossibile".
"Rivoluzione" è una parola risuonata spesso durante la manifestazione; ma accompagnata da un aggettivo; un colore: bianca. "La nostra rivoluzione bianca", ha scandito più volte un giovane, a sottolineare il carattere assolutamente pacifico d'una protesta che è costata trecento vittime ma ha raggiunto il suo primo, importante obiettivo. E tuttavia, ciò che si è maggiormente invocato, ciò di cui anche dalla piazza italiana viene ripetuto come esigenza non più rinviabile, è un altro vocabolo: democrazia. Forse perché di rivoluzioni abortite questo popolo ne ha subìte troppe, e ora si anela a una normalità compiuta, matura, da paese "adulto". "Quelle dell'Iraq, dell'Afghanistan e dell'Iran sono finte democrazie - si è sgolato un altro ragazzo dai microfoni di un improvvisato furgone pavesato a festa - sono regimi che hanno ingannato e terrorizzato il popolo. Noi non siamo come loro, non vogliamo essere come loro", e ha puntato il dito contro la timidezza delle diplomazie occidentali, incapaci di cogliere la differenza. D'altro canto, gli slogan si sono distinti per una grande positività e propositività: in un'atmosfera di giubilo cordiale e accogliente, siamo stati invitati a unirci ai balli e ai canti della comunità egiziana. Forte e convinta la partecipazione femminile, come attestato da queste immagini. Anche se quella che considero maggiormente significativa è un dipinto, l'enorme pannello a olio che ha accompagnato il corteo fino alla conclusione, in Stazione Centrale. Un dipinto espressionista e naif, che ricorda certe tele sudamericane; un'opera laica e sacra (più che religiosa) al tempo stesso, come ci ha spiegato un amico: "La donna è l'Egitto["Misr" in arabo, n.d.A.] , ed è nuda perché spogliata di tutti i suoi beni. Ma poi siamo arrivati noi, col nostro sangue, di musulmani e di cristiani, e l'abbiamo coperta con la nostra bandiera. Pian piano, la rivestiremo tutta". Questa donna nuda e casta, povera e solenne, scarmigliata ed elegante, nel portamento e nei misurati gesti, ci pare oggi la perfetta metafora dell'Egitto in marcia, di tutte le sue anime, una spiritualità della nazione originale e inedita, un corpo femminile e simbolico, strappato al Sultano, che chiede solo d'incarnarsi veramente.
Poco più lontano, al teatro Dal Verme (...), l'ultrà cattolico, vergine e devoto Roberto Formigoni, in prima fila al Family Day e strenuo crociato delle "radici cristiane d'Europa", nonché baluardo impenetrabile contro le depravate coppie di fatto, applaudiva i Ferrara, gli Ostellino, i Sallusti; i quali, in una manifestazione parallela denominata in modo immaginifico In mutande ma vivi, hanno difeso con inesausta veemenza il diritto delle donne a prostituirsi per il Sultano. L'altro. Il nostro. Che però, essendo liberale, marca la differenza. Chissà, forse l'espressione tirata di Formigoni denota un soffuso disagio, ben rintuzzato, del resto, dal piatto di lenticchie puttaneggiato col potere. Non abbiamo molto da commentare: ognuno ha le piazze che si merita.
"Guarda Nissa". Così mi spiegava nonna Santina ogni volta che a Sanremo, al termine di corso Imperatrice, c'imbattevamo nel monumento a Garibaldi. Non si trattava d'un refuso, "Nissa" era proprio l'antico nome della città che aveva dato i natali all'eroe, e che l'aveva inscritto nel destino: all'anagrafe del 1807 Peppino Garibaldi era infatti stato registrato come cittadino francese, per un complicato rito di cessioni e riacquisizioni attorno alle località portuali e frontaliere. Già straniero in patria, quindi, colui che sarebbe entrato nel mito, anzi, nell'agiografia civile e civica, uno dei rari "santi laici" del nostro Paese. Non poteva, d'altronde, andar diversamente per chi sarebbe stato definito "eroe dei Due Mondi". Ma avrò modo in seguito di analizzare più approfonditamente la sua figura. Adesso, a pochi giorni dall'inizio delle celebrazioni per il 150° dell'Unità d'Italia, voglio soffermarmi su quel monumento, capolavoro Art nouveau realizzato nel 1908 da Leonardo Bistolfi. Che Garibaldi "guardasse Nissa" non mi sentivo di metterlo in discussione; mia nonna ne era troppo convinta, e lo pronunciava con quel tono di ruvida reverenza tipica dei liguri. Ciò nonostante a me pareva che gli occhi fossero rivolti piuttosto a est, sulla spianata baia sanremese di cui, nel 1860, Garibaldi era divenuto cittadino onorario, e più in generale sulla penisola italiana, ormai quasi compiuta, e abbracciata con un sospiro smagato. C'è una gravità rodiniana nel monumento di Bistolfi, che ritrae un Garibaldi ormai anziano, ancor ritto e fiero, ma realistico e quasi espressionista nelle massicce e tozze gambe da marinaio, elevato e però già sofferente, artritico, remoto. Ai suoi piedi, i grossi piedi, sei bassorilievi scandiscono i momenti più alti della sua vicenda umana e nazionale; l'eroe non vi compare mai, sostituito dai compagni d'armi o piuttosto da quelle divinità femminili e decadenti che avrebbero abbellito l'arte ufficiale del giovane Stato italiano, nato monarchia contro la volontà di Peppino. La maestria di Bistolfi ha saputo cogliere l'intimità dell'uomo d'azione, la corporeità e la ricchezza del suo pensiero, quel rammarico per chi e cosa avremmo potuto diventare, e non siamo stati, mirabilmente spiegato da Piero Gobetti. Garibaldi il marinaio, il mazziniano "eretico" ("La mia idea di democrazia diverge da quella di Mazzini, essendo io socialista", ebbe a dire al termine della sua vita, nel corso di una delle numerose schermaglie politiche che contrapposero i due uomini), il massone, il libertador ma anche l'operaio per Antonio Meucci, Garibaldi mitizzato all'inverosimile in quel capolavoro di blasfemia popolare che recitava: "Figli d'Italia, se asciugar volete/di Venezia e di Roma il lungo pianto/poco v'importi se non canta il prete:/queste son le candele e questo è il santo". E l'epigrafe compariva sotto una stampa dove l'eroe era raffigurato su un altare, con tanto di aureola, e contornato da ceri-baionette. Troppo? Decisamente troppo. Ma vi facevano da contrappunto il massacro di Bronte e quel racconto, atroce e bestiale, di Luigi Pirandello, L'altro figlio, dove per colpa dei soldati di "Canebardo" a una madre in gramaglie nere spettava una sorte spaventosa... Unici graffi terrosi che quel mondo primordiale e assetato di viscerale giustizia subirà, scaraventato fuori da qualsiasi storia, condannato a una fissità plebea e furibonda.
Il monumento pare ancora sospirare, adesso. Chissà se avrebbe immaginato gli sberleffi dei leghisti e, prima ancora, dei ciellini, eredi di quei seguaci di Pio IX che l'eroe definì "un metro cubo di letame"? Già, perché a precedere la penosa paccottiglia padana sono venuti i meeting di Rimini in cui si cercava di riscrivere il Risorgimento rivalutando il brigantaggio in quanto "popolare e cristiano" ("il brigante Gasparone ama la mamma e la religgione"), con la stessa virulenza del reazionario Principe di Canosa. E confinando Garibaldi tra i terroristi atei e senzadio.
Il gesto provocatorio della signora Lucia Massarotto che per anni, a Venezia, ha esibito il tricolore sfidando i raduni leghisti.
Si aspettava tutto questo, Garibaldi? Secondo me sì. O almeno lo immaginava. Quel melanconico monumento testimonia la sofferenza d'un uomo che lottò, sì, per amore, un amore maturo (anziano), perciò deluso e imperfetto, largo, come quel suo sguardo verso oriente, protratto sulla lunga e sterminata penisola aurea e tremenda, donna infedele, amante mediocre, ma unica e irrinunciabile.
Lo scritto d'oggi nasce da una mia incoerenza con quanto scrissi recentemente riguardo al mio rifiuto di parlare ancora del cazzo d'Avetrana .
Ma dopo aver : 1) letto tale lettera , da cui nascerà tale discussone , successiva a repubblica di Anna Maria Quattromini aquattromini@tiscali.it :
<<
Nella triste vicenda di Avetrana c' è un personaggio di cui nessuno si occupa o, almeno, non tanto quanto meriterebbe. Parlo del cane randagio amico di Sarah, che la seguiva dappertutto e che ancora si preoccupa per la sua piccola amica. Da quel 26 agosto staziona vicino a quel maledetto garage dove, forse, ha visto scomparire la sua Sarah e non l' ha più vista uscire. Lui è lì che aspetta, dovrà pure uscire da lì sembra dirci con questa attesa. L' innocenza di un cane non può entrare nella traviata mentalità umana, nelle perversioni umane. Lui pensa solo alla sua piccola amica. Quanto ci insegna quel cane!
>>
2) l'aver cliccato su tale Url presente insieme al video sulla mia "comunity" di facebook ( d'altronde nelle grandifamiglie , non puoi sempre imporre la tua linea , ma devi fare i conti \ tener conto anche con il dissenso e con la diversità degli altri\e ) dove riporta la lettera integrale della mamma di Scazzi un'appello di una donna che è stata , e , ritornerà a farlo vista la sua riservtezza , lontana da partecipare ai salotti mediatici dai media tv ) fatto nella trasmissione Matrix ( finalmente ameno da questo scorcio una dele trasmissioni pacate in mezzo al fango e sciacallaggio mediatico su questa vicenda ) lo trovate sotto
è troppo importante e significativo per il suo contenuto in mezzzo a tanta spazzatura e fatti insignificanti riportati dai giornali e tv sul caso della povera Sarah .
Ma il post d'oggi non verte sul commento al tale video e a tale intervento ( ci sarà tempo maghari per parlare di perdonismo o perdono in generale ovviamente ) . Quindi no comment, i motivi li sapete , non partecipo ai giochi al massacro o le " doppie uccisioni " delle vittime e poi : << (...) cos'altro ti serve da queste vite \ ora che il cielo al centro le ha colpite \ ora che il cielo ai bordi le ha scolpite. (...) >>
Ecco quindi che preferisco concentrarmi Sul primo fatto .Esso è " una continuazione " dei posta volte provocatori di Danny ( alias per Danilo Pilato ) uno degli ex confondatori del blog gemello che poi a causa d'incompresoni sulla strada e sul viaggio e caratteri che hanno iniziato a divergere e ad andare incotrasto lui dopo quasi 5 anni ha fatto cosi :
<<
(...)
Abbiamo girato insieme
e ascoltato le voci dei matti
incontrato la gente più strana
e imbarcato compagni di viaggio
qualcuno è rimasto
qualcuno è andato e non s'è più sentito
un giorno anche tu hai deciso
un abbraccio e poi sei partito.
Buon viaggio hermano querido
e buon cammino ovunque tu vada
forse un giorno potremo incontrarci
di nuovo lungo la strada.
(...)
>>
citazione musicale ( video e testo ) beh a volte capita come dimostra il film di cuik sotto riporto il finale sia l'omonimo racconto
in quanto a volte penso e condivido con lui che noi uomini ( intendo a scando d'equivoci entrambi i sessi ) siamo come animali nè più ne meno cosi siamo stati rapressentati come nelle allegorie della letteratura Greco\ Latina come Fedro o questo brano del filosofo Aristotele ( e poi medievali e seguenti e nella cultura popolare ( tipo lavora come una formica , è un grillo , si comporta come una cicala , sei forte come u leone , se dormi come un ghiro , ecc ) .
Oppure che altre volte lo diventiamo nella nostra brutalsu questa pagina del loro sito ità , efferatezza ( vedere certi delitti o certe vecchie ma ancora pericolose ideologie degenerate * ), cinismo , indifferenza in cui siamo homo hminis lupis e togliamo fuori , non necessariamente ammazziamo fisicamente ma moralmente \ psicologicamente il peggio ( a volte è capitato al sottoscritto nel suo passato in cui si toglieva i pesi dela coscienza con la vendetta , a vote fatta nel mucchio ed a casaccio o peggio per un non nulla ) di noi dele nostre bruttezze fatte dell'abuso dell'istinto e dell'orgoglio . M allo stesso tempo siamo anche dolci , teneroni , mammoni , tanto da sconfinare nel nel melenso , stucchevole , " buonismo d'accatto cioè a tutti i costi con tutti\o " , sdolcinato all'eccesso , ecc .
Inoltre << L'aspetto umano non implica intelligenza umana e, viceversa, l'intelligenza umana non implica necessariamente che si debba avere un corpo umano. Ai sapienti importa solo
l'intelligenza, poco essi si curano dell'apparenza,mentre al contrario gli uomini del volgo badano solo all'aspetto esteriore e non si danno pensiero dell'intelligenza".
(Lìeh Tze - autore e saggio cinese).>> . La lettura di un articolo su donna moderna non ricordo se sul cartaceo letto da qualche parte o comoprato ( ( se in ospedale o sala d'aspetto dela fisiatra o del o oppure da qualche altra parte magari durante un viaggio a Sassari ) oppure sul sitop dela rivista stessa , un mediocre articolo artiolo doi Donna moderna . L'editoriale il cui titolo : che meraviglia riscoprirsi animali. , di cui mi ricordo più o meno l'inizio << L’uomo è un animale. Lo diceva Aristotele. E vale ancora oggi. [...] >> e avanti ad esaltare tutto ciò che c’è di animale nell’uomo, fino alle passioni e agli istinti. Peccato che ( vedere url prima citato ) Aristotele dicesse altro ingfatti dai miei ricordi di studente liceale prima e poi uiversitatio egli utilizzava la famosissima formula del “zoon politicon”, ossia l’uomo è un “animale politico” – è uomo solo all’interno di un organismo politicamente organizzato (come una polis, ad esempio).
Complimenti a Donna Moderna, nella speranza che le sue lettrici, sul filo dell’ignoranza ed immprecisioni dell'articolo ( consapevoli o incosapevoli che siano ) che assorbono, possano evitare di intralciare le persone che invece la testa la usano o almeno ci provano . che, forse, è un tantino differente. O no? . secondo il parere del sottoscritto l’articolo di Donna Moderna è sintomatico e dice tutto sulla nostra società d’oggi. Si cercano emozioni forti, non si cercano più ideali alti. Troppa fatica. E chi ce la fa fare?!? .
Conludo questo post con le note in sottofondo radiofonico di un battito animale di rafe con per chi volesse approfondire tali tematiche ecco una bibliografia parziale degli amici del http://www.uaar.it ( unione atei agnostici razionalisti )
Desmond Morris. L’animale uomo. Una visione personale della specie umana (titolo originale: The Human Animal). Mondadori, Milano 1994, pp. 224, € 14,46. ISBN 8804451467
Dal dolore alla violenza : le origini traumatiche dell'aggressività / Felicity de Zulueta. - Milano : R. Cortina, 1999. - X, 388 p. ; 23 cm.((Trad. di Cristiana Pessina Azzoni.
L'aggressività femminile / Marina Valcarenghi. -Milano : B. Mondadori, [2003].
Maschi bestiali : basi biologiche della violenza umana / Richard Wrangham, Dale Peterson ;introduzione di Enrico Alleva e Francesca Matteucci. – Roma :Muzzio, [2005].
L''aggressività : psicologia e metodi di valutazione / Carmelo Masala,Antonio Preti, Donatella Rita Petretto. - Roma : Carocci, 2002. - 238 p.
Gli dei dentro l'uomo : una nuova psicologia dell'uomo / Jean Shinoda Bolen. - Roma : Astrolabio, 1994. - 328 p.
L'empatia / Edith Stein ; a cura di Michele Nicoletti ; presentazione di Achille Ardigo.- 4. ed. - Milano : Angeli, 1999. - 202 p.
Saggio sull'uomo : introduzione ad una filosofia della cultura umana / Ernst Cassirer. - Roma : Armando, stampa 1996. - 431 p. ; 22 cm. ((In appendice: Lo strutturalismo nella linguistica moderna ) .
Uomo, natura, mondo : il problema antropologico in filosofia / Riccardo Martinelli. - Bologna : Il mulino, [2004]. - 339 p.