Instancabile amore

Vecchioni trionfa a Sanremo 2011

Grazie, Roberto! Grazie perché la tua vittoria a Sanremo è stata veramente meritata. Grazie perché ti chiamano professore, ma io non ti ho mai sentito così collega come adesso. Grazie perché le tue note mi scivolavano addosso rotonde, piene, ampie, logiche come l'acqua fresca, come un abbraccio rigenerante, come una finestra spalancata, attesa, agognata, eppure da sempre lì, e non ce ne eravamo mai accorti. Grazie per aver ricordato a tutti che la semplicità non è semplicismo, grazie per questa tua ballata antica e accorata, così tipicamente italiana, quell'Italia che tu ami svisceratamente - l'hai detto, e si capisce -, grazie per averla dedicata a tutte le donne e in particolare alla tua. Sì, hai rivendicato con quel tuo sorriso largo e quei gesti dinoccolati e, in certo senso, teneramente scomposti, Chiamami ancora amore è un brano "elettorale", cioè di parte, cioè di tutti, o forse di ognuno (ognuna).

Grazie perché la tua carnalità ha sempre qualcosa di legnoso. Quel legno resistente, bruno, di lunghi autunni, di sigari e di buone letture. Ecco, torniamo sempre lì. Sei aristocratico, Roberto. Questo forse t'imbarazza, ti duole, paziente ed esausto per non esser mai capito. Una pazienza d'imprecazioni. Di chi ama dannatamente il suo grande popolo, la sua immensa tradizione, e la vede immiserita, e resta quasi muto di fronte a tanto incredibile scempio...
Grazie perché, a quasi 70 anni, ti sei commosso e ci hai commosso. Non solo quando intonavi il tuo pezzo. Ma anche nell'esecuzione di 'O surdato 'nnammurato, perché ti pareva di masticare quell'Italia vera. Tu stesso, milanese figlio di napoletani, hai provato l'ebbrezza di unirla nel tuo canto e fra le tue braccia.

Mi sento di ringraziare anche Tricarico. Il suo Sanremo è andato così così. Ma i suoi Tre colori rimangono lì, sospesi, azzurri, intatti, puri come una celesta. Mi hanno ricordato un quadro di Mirò. Impreziositi poi dai bambini, anch'essi bambini autentici, non parodie dei peggiori adulti in miniatura. Trasognato Tricarico, la tua scontrosità infeltrita era toccante. Sempre fuori posto sul palco di Sanremo, chissà se il tuo pezzo farà strada, ma un sentiero o un varco luminoso, in una notte cloisonnée, l'hai comunque aperto…

E grazie all'Alieno Battiato, che ha accompagnato il bravo Luca Madonia in un brano che qualcuno ha definito "un auto-plagio" e che a me pare piuttosto una citazione, o una riedizione del sound del cantautore siciliano. E' il suo stile, ma se pure qualche nota di troppo è finita nella canzone sanremese, poco male: si tratta, alla fine, d'una pioggia di stelle, di sidereo respiro: a Sanremo, uno scorcio di qualche remota partitura d'archi, suona come una strana, aliena suggestione. Tra le nuove proposte, il più sanremese è stato senz'altro Raphael Gualazzi: ma, attenzione: sanremese, mica nazionalpopolare. Sanremese come Sanremo: città degli eleganti fiori, dei turisti inglesi, delle preziosità Art nouveau. In questa lunga e brillante tradizione europea si colloca Gualazzi, forse con una voce ancora incerta, ma con sicuro piglio di grande intrattenitore. Auguri.

La Crus & Nina Zilli hanno presentato un pezzo musicalmente raffinato, anche se dal testo poco originale e a tratti debole, con un pericoloso spostamento d'accento. Comunque, piacevoli. E poi è arrivato lui, l'altro Roberto (Benigni). In realtà si è esibito nel corso del secondo appuntamento, ma il Festival verrà ricordato, oltre che per Vecchioni, per la sua Fratelli d'Italia, pudica e lacrimata. Potrà parere incredibile, ma dall'altra sera mi ritrovo a canticchiare il verso sincopato "Stringiam'ci a coorte/siam pronti alla morte/siam pronti alla morte/ l'Italia chiamò..."; e nello stesso semitono esitante, che fa da contraltare all'esibita passione di Vecchioni: l'Italia inerme e sfilacciata, lascia intendere Benigni, va trattata con delicatezza, perché bella e giovane, fatta da giovani.

Così è. Un Roberto ha inaugurato la festa, un altro Roberto l'ha chiusa. Comprensibili nel tratto, intensi e articolati nel contenuto. Ragazzi per i ragazzi, tra i 60 e i 70 anni. Io sono fiera di esser stata giovane con loro, di averli conosciuti pungenti ed esagerati, nel bianco e nero a tinte forti di Stranamore e Televacca, o negli stracci folgoranti e blasfemi di Berlinguer ti voglio bene. Perché dall'amore si parte, e all'amore si torna. Adesso tocca "a quei ragazzi e a quelle ragazze che difendono un libro, un libro vero" prendere il testimone. Magari dalla biblioteca del professor-collega Vecchioni. Ma lo facciano. Per non trasformarsi in giovani-vecchi.

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