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23.1.19

Auschwitz e altri racconti, convivere con un passato ridotto ad attrazione


da  https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/20/

di
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Docente di Diritto, Università di Trieste

Andate a rivedervi la scena. Una turista italiana in gita a Predappio, il paese natale di Mussolini, esibisce una maglietta nera con il profilo di un campo di sterminio e la scritta Auschwitzland. Un giornalista, più sbigottito che preoccupato, le chiede: “Posso farle una domanda su questa maglietta?” Lei, socchiudendo gli occhi, anticipa la risposta: “Humour nero”. Il giornalista finge di stupirsi: “Ma raffigura un campo di concentramento come se fosse Disneyland“. Lei lo interrompe sorridendo: «Certo, Aussvitz [alla padana, nda]. Humour nero».
Anche questa gag, a suo modo, ci ricorda la Settimana della Memoria, che si celebra a Trieste, la mia seconda città, in un modo diverso che altrove. Non perché qui c’è ancora la Risiera di San Sabba, l’unico campo di concentramento italiano dotato di forno crematorio. E neppure perché Trieste, oggi, è retta da un’amministrazione di destra, rappresentata da un vicesindaco che un giorno s’oppone al manifesto della Barcolana e l’altro si vanta su Facebook di aver buttato via le coperte di un mendicante.
No, la ragione vera per cui la Settimana della Memoria, qui, si celebra diversamente che altrove, è ancora un’altra ancora. Trieste, la Venezia Giulia, il Friuli, sono un incrocio di storie vive, come se il tempo non fosse mai passato. Qui accenno a tre di queste storie, l’una più straordinaria dell’altra. Poi ne riparliamo a Convivere con Auschwitz, l’evento organizzato per l’Università di Trieste da Gianni Peteani, figlio di Ondina, deportata ad Auschwitz numero 81672, il 22 gennaio in via Filzi 14 (dalle ore 14, ingresso libero): oggi Scuola interpreti, da sempre Casa degli Sloveni, incendiata dai fascisti nel 1920.
La prima storia ce la racconta Tullio Avoledo nel suo ultimo romanzo, Furland® (Chiarelettere, 2018). Fra 2023 e 2035, dopo una sanguinosa secessione, il Friuli è diventato un enorme parco della memoria, che attira turisti da tutto il mondo mettendo in scena episodi della propria storia, chiamati Attrazioni. Le attrazioni più gettonate, naturalmente, sono le più sanguinose: come Il magico mondo dei druidi, con i suoi sacrifici umani, o Kosakenland 1944, ambientata nella Carnia consegnata dagli occupanti nazisti ai loro alleati cosacchi. Con una piccola differenza: quest’ultima è una storia vera.

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La seconda storia è narrata in Red Land (in italiano Rosso Istria), film co-prodotto dalla Rai, presentato come la prima pellicola sulle foibe e rimasto in programmazione nelle sale per oltre un mese, almeno a Trieste (altrove non so). È una specie di western ambientato in Istria alla fine della seconda guerra mondiale, con gli italiani nella parte dei buoni e gli jugoslavi in quella dei cattivi. La storia straziante di Norma Cossetto, la studentessa istriana stuprata e infoibata dai partigiani jugoslavi, diventa memoria-spettacolo, pure lei. Manca una voce fuori campo che racconti tutta la storia: l’invasione nazifascista, la guerra civile, migliaia di altri stupri e massacri, non meno vergognosi.
Ma c’è una terza storia, che in qualche modo completa la seconda. La racconta Tatiana Bucci nel filmato iniziale del convegno e in un libro scritto con la sorella Andra, Noi bambine ad Auschwitz(Mondadori, 2019). Inizia proprio nell’Istria di Red Land, a Fiume (in italiano) o Rijeka (in croato), da dove le due sorelline sono portate ad Auschwitz-Birkenau, come altri 230mila tra bambine e bambini dei quali solo cinquanta sopravviveranno. Loro ce la faranno solo perché una sorvegliante del capo gli si affeziona, ma anche perché le scambiano per gemelle, cavie ideali per gli esperimenti del dottor Mengele.

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Ecco, forse questa terza storia suggerisce la morale anche delle altre due. Perché è una storia di spaesamento: Tatiana e Andra neppure sanno di essere ebree, poi ad Auschwitz dimenticano l’italiano e imparano il tedesco, poi ancora, una volta liberate, impareranno il ceco a Praga e l’inglese a Londra. Alla fine, quando le riportano in Italia, non riconoscono più neanche la madre, sopravvissuta pure lei e cercano solo di dimenticare. Come Liliana Segre, come tutti noi, resto: tutti ugualmente persi ad Auschwitzland, il luogo dove storia e spettacolo, verità e oblio, rischiano sempre di confondersi.

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