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24.1.16

la rai e i media si dimentica di celebrare \ ricordare il 27 gennaio

siamo vicino al 27  gennaio  , strano che la Rai   dimentica    ( di solito ci faceva  due  palle  cosi )   di ricordarlo  .  Certo da  un lato  è meglio  perchè tali eventi vanno  ricordati sempre  e non ipocritamente  e  non solo quel determinato giorno  Infatti per  non dimenticare ne parlo adesso e  se  capita  (  vedete archivio  del blog  )  anche  al di  fuori del giorno canonico  .
Anzi   che fare  il  solito pistolotto e la solita  spiega    vi accontenterò delle storie    è  questa  è  una   di  oggi  .  Infatti   <<  Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre. Per questo, meditare su quanto è avvenuto è un dovere di tutti. >>  Primo levi .  Ma  sopratutttutto perchè cerco di fare  mio    giorno per  giorno    quanto dice  : << La pagine della Memoria non vuole essere solo la memoria del più grande genocidio dell'umanità ,ma anche la memoria dei tanti eccidi ,sopraffazioni in nome di ideologie,religioni e atteggiamenti dell'uomo volto non alla pacifica convivenza e al dialogo , ma all'odio pervicace tra gli uomini in nome del bene dell'umanità invece è solo odio per essa. Ricordare vuol dire non solo commemorare ,ma anche capire i perchè di quelle stragi e come esse possono verificarsi ancora . ricordare significa capire e vivere. >>  l'intonazione a alla  , aggiornata  continuamente  , pagina facebook Il Giorno della Memoria :27 gennaio 1945 -Mai Più!!!!!!!!!


Perché a volte  per  salvarsi  dall'inferno ,si  perchè  l'inferno  è  anche qui in terra  e  dentro  ciascuno di noi , basta  anche  un po ' di culo fortuna  o  miracoli    come la  prima storia     che  vado a raccontare  


per  approfondire
http://www.blogtaormina.it/2014/01/27/lorigine-dellodio-contro-gli-ebrei-quando-nasce-e-perche/176777
http://www.prefettura.it/catania/contenuti/9096.htm


da  http://www.lavoceditaranto.com/
News AUTHOR: ELEONORA BOCCUNI - 21 GENNAIO 2016
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Speciale Shoah // La storia di Klara: “Sopravvissuta ad Auschwitz perché era finito il gas”



La donna ha raccontato la sua amara esperienza trascorsa in tre lager, oltre all’ironia delle SS nel giorno della sua “salvezza”
Klara Marcus, il nome della donna che, originaria della Romania, ha voluto raccontare la sua esperienza all’interno del campo di concentramento di Auschwitz.
Una testimonianza diretta e, al contempo, agghiacciante che permette di ripercorrere gli anni più bui della storia dell’umanità; anni in cui la “diversità” era simbolo di imperfezione e impurezza; anni che hanno scritto parte della storia mondiale, i quali narrano le inaccettabili, condannabili e deplorevoli azioni compiute illogicamente dagli uomini che sottostavano alle direttive di un uomo spregevole, abietto e ignobile.
Klara Marcus


Quella che vi raccontiamo è la storia incredibile di una donna che, nonostante le angherie e i soprusi subiti fisicamente e moralmente, ha avuto la forza di andare avanti (senza la sua famiglia), creandosene una nuova, riuscendo a sopravvivere a tre campi di concentramento: Dachau, Ravensbruck e Auschwitz.
Ecco la sua preziosa testimonianza, raccontata al tedesco Bild, in merito alle vicende e alle barbarie che segnarono il periodo della Seconda Guerra Mondiale: “Oggi è il tuo giorno fortunato”, questo è ciò che, inizialmente, rammenta Klara Marcus; ciò che le SS le dissero quando la fecero uscire viva (assieme ad altre donne) da una camera a gas di uno dei più grandi campi di concentramento costruiti, quello di Auschwitz.
“Quando ci hanno fatto entrare e hanno aperto il gas, si sono accorti che era finito. Una delle guardie ha scherzato dicendo che era il nostro giorno fortunato perché ne avevano già uccisi talmente tanti che non era rimasto gas per noi. Quel giorno Dio mi stava guardando”.
La donna, costretta a entrare nella camera a gas, pesava solo 32 Kg e, fortunatamente, da quel momento riuscì a trovare la forza di fuggire da quell’inferno e tornare nella sua patria, dove, seppur senza più una famiglia, trovò il coraggio e la determinazione di ricostruirsi una nuova vita assieme a colui che, poi, sarebbe diventato il suo compagno di vita, suo marito.
“Quel giorno ho capito che non avevo veramente nulla da perdere”, commossa racconta a un rappresentante del governo romeno, Anton Rohian, il quale si recò presso la sua abitazione per farle visita per congratularsi con lei. “In questa storica occasione”, proferisce Rohian, “Ho portato una bottiglia di champagne, un mazzo di fiori e un attestato di onorificenza per ringraziare la signora Marcus per essere tornata a Marumares dopo tutto quello che ha attraversato nella sua vita”.
Le lacrime di una storia vissuta, il volto e gli occhi di chi ha vissuto la disperazione sulla propria pelle; il coraggio di una donna che ha continuato a lottare per amore e per amare, perché, nonostante l’odio, il bene supremo vince su tutto!

Eleonora Boccuni




la  seconda  una  reazione creativa  a  le schifezze  dei nazifascisti  o qualche ragazzino imbecille
 




6.4.15

Torna 72 anni dopo «Voglio rivedere la mia cara scuola» Fiorenza da Milano al Mantegna, dove si diplomò nel 1943 Oggi ha 96 anni e suona ancora il pianoforte: «Mai fermarsi»

 del 29\3\2015





A una signora, sarebbe buona educazione non chiedere l'età. «Quando è nata, signora Fiorenza?». Lei risponde prontissima: «Ho 96 anni, sono nata il 24 ottobre 1918 a Savona».è arrivata ieri alle 13.30 davanti a quella che fu la sua scuola, oggi istituto tecnico Andrea Mantegna, in via Guerrieri Gonzaga. Scesa dall'auto guidata dal custode del condominio dove abita a Milano, è accolta con un mazzo di fiori - sette rose bianche - da tre studenti (due ragazze e un ragazzo), dalla dirigente scolastica Viviana Sbardella e dal professore di scienze Mario Cantadori. «L'ultima volta che sono stata qua, è stato 72 anni fa, mi devo un po' riambientare» dice, prima di raccontare la sua emozione per essere tornata in un luogo e in un tempo lontano eppure vicino nella sua memoria. Qui il 30 settembre 1943 sostenne gli esami per poter insegnare economia domestica, il diploma di abilitazione le fu consegnato il giorno dopo. Fiorenza lo ha portato da casa, con tanti bei voti, e la dirigente Sbardella estrae dall'archivio della scuola il relativo registro con la firma della preside di allora, Maria Santarelli.
«A quel tempo la scuola si chiamava Magistero Maria José del Belgio principessa di Piemonte» dice Fiorenza. Infatti sul registro c'è proprio scritto "Regia scuola di Magistero professionale per la donna Principessa Maria di Piemonte". Fiorenza ha solo precisato «José del Belgio, che aveva sposato il principe Umberto», dice. Dopo essersi diplomata in pianoforte al Conservatorio a Milano nel 1941, Fiorenza venne a Mantova per sostenere l'esame da privatista, il diploma le serviva per lavorare. «I giovani erano in guerra - dice - e a lavorare dovevamo essere noi donne». E il lavoro lo trovò immediatamente come insegnante di economia domestica, a Reggio Emilia all'istituto del Buon Pastore. Tempo di guerra. Che però a Mantova, nonostante si fosse nel settembre del ’43, Fiorenza per fortuna non patì, i rastrellamenti tedeschi erano già avvenuti. Soffrì invece a Reggio, bombardata, così che riparò con la famiglia in Piemonte.
A Mantova «ero ospite delle suore e ricordo che - Fiorenza dice proprio così - mangiavo un bicchierone di latte in un bar qui vicino, così quando tornavo dalle suorine non avevo più fame». L'amore per il pianoforte l'ha sempre accompagnata: «Due volte al mese vado a suonare per i malati di Alzheimer», svela, e il primo appuntamento con Mantova, due settimane fa, è slittato perché Fiorenza è andata a Pistoia per seguire un suo allievo pianista impegnato in un concorso di musica. In aprile l'allievo andrà a un altro concorso, a Padova, e Fiorenza lo seguirà anche là.
«I miei nipoti mi dicono di stare ferma, invece io devo muovermi, vivere». E Fiorenza si muove e vive: vuole vedere «almeno un'aula». Viviana Sbardella, la dirigente, la invita a salire al piano superiore, e Fiorenza procede sullo scalone. Nelle aule ci sono degli affreschi. Lei li osserva: «Tante cose si sono mantenute» dice. Meravigliosa Fiorenza.

                                       Gilberto Scuderi




13.5.14

In cerca della piccola "M". "Ma quei capelli biondi ad Auschwitz può averli visti solo per pochi minuti"

da  repubblica  online   del 10\5\2014  



Dai ricordi di una donna tedesca sopravvissuta al campo di concentramento affiora l'immagine di una bambina italiana, a cui la giovane deportata si era affezionata. Ma nella sua memoria c'è solo l'iniziale delnome. Con il direttore scientifico del prossimo museo della Shoah di Roma abbiamo provato a ricostruire le circostanze di quell'incontro. Poche possibili "Marta", tante Mirella, Mimma, Milena... "Ma il lavoro di documentazione non è mai finito, noi continuiamo a raccogliere testimonianze".



"Una bambina bionda italiana, col volto dolce, improvvisamente era sgattaiolata vicino a me...la trovavo incantevole...Era arrivata ad Auschwitz con un grande convoglio italiano, sicuramente non era giunta da sola...Le ho dato da mangiare, riuscivo a organizzare qualcosa per lei, perché avevo qualche libertà nel lager...Un giorno però l'ho persa di vista perché mi ero ammalata di nuovo... quando tornai in piedi era sparita, avevano già ucciso quella piccola ebrea". 

Renate Lasker Harpprecht, la sopravvissuta tedesca che racconta il suo Olocausto nel campo di sterminio degli ebrei nell'intervista a Die Zeit che Repubblica ha pubblicato oggi, si sofferma in questo piccolo, dolce e tremendo ricordo nei giorni peggiori. "Il suo nome? Cominciava con la "M" - risponde l'ebrea novantenne - Marta, o qualcosa del genere" .
Chi poteva essere quella bimba? E come mai una "bimba" è riuscita a stare per un pò nelle baracche degli adulti, dal momento che ad Auschwitz la quasi totalità dei bambini al di sotto dei dieci anni visti venivano immediatamente eliminati. Marta? Ma davvero la signora ricorda bene il nome? E' un nome che non rientra in quelli tipici della tradizione ebraica: a quanto risulta dal libro della Shoah in Italia, formidabile database italiano sul peggiore dei crimini del '900, sarebbero state solo sei le donne ebree di nome Marta deportate dall'Italia ai campi di sterminio. 
Marcello Pezzetti, lei è il direttore scientifico del prossimo Museo della Shoah di Roma. Chi poteva essere la misteriosa bimba incontrata daRenate Lasker Harpprecht?
"La prima cosa che mi viene in mente dopo aver letto la testimonianza è terribile: e cioè che i capelli biondi di quella bimba la signora tedesca li ha potuti vedere per pochissimo tempo. Tutti i deportati che entravano nei campi venivano nel giro di mezz'ora rasati a zero, e dunque anche la misteriosa bambina "M" avrà subìto quel trattamento. E ancora. E' verissima la scena raccontata dalla sopravvissuta, quel "sgattaiolare" della piccola. Abbiamo molte testimonianze di genitori o parenti che, nella confusione del momento dell'arrivo sulla Judenrampe dove in pochi minuti dovevano essere smistate le famiglie ebree, davano delle spinte ai figli per farli fuggire da qualche parte, tentavano di allontanarli da loro col disperato tentativo di salvarli. E i bambini sbucavano da qualche parte del campo, come dal niente". 
Scampata, ma per poco tempo, alla Shoah grazie alla "protezione" di una giovane deportata tedesca
"Circa 220 mila bambini vennero deportati ad Auschwitz, e la quasi totalità venne subito eliminata. Nei Kinderblock, le baracche dei piccoli, ne sono finiti solo una piccola percentuale ma solo quelli con qualche particolarità genetica: gemelli, o bambini con qualche deformità o con dettagli apparentemente di poco conto come le iridi di colori diversi e anche figli di genitori "misti", uno cattolico e l'altro di religione ebraica. Servivano a Mengele per i suoi folli studi sulla presunta ereditarietà dei fattori negativi nei cromosomi degli ebrei e di quelli positivi del carattere ariano. Questa è l'atrocità della Storia. E pochissimi tra loro si sono salvati. Ma forse la bimba "M" aveva più di dieci anni, età discriminante tra bambini e adulti. Magari era piccolina di fisico, minuta, dimostrava meno dell'età dei suoi documenti. Milena Zarfati, ad esempio, aveva appena compiuto 15 anni ma appariva talmente piccina che finì nel blocco dei bambini. No, la bimba "M" non poteva essere lei perché Milena fu una delle pochissime del Kinderblock che riuscì a sopravvivere perché era stata messa al lavoro nelle fabbriche di munizioni per via delle dita sottilissime. E' scomparsa lo scorso anno".
La signora tedesca pensa di ricordare il nome "Marta" ed effettivamente risulterebbero sei le donne ebree con quel nome deportate dall'Italia ai campi di sterminio. Lei cosa pensa?
"Marta non è un nome ebraico, così come è raro, per motivi religiosi, che una ebrea italiana si possa chiamare Maria. Forse Mimma, diminutivo tipico di tanti nomi ebraici romani... E comunque, a quanto si sa finora, nessuna delle sei deportate italiane di nome Marta aveva l'età di "una bambina". Allora, la più giovane, Marta Ascoli, triestina, aveva 17 anni: ma fu l'unica di loro sopravvissuta allo sterminio ed è scomparsa nel marzo scorso all'età di 87 anni. Direi di ripartire da "M".
Probabilmente, ma non con la totale certezza, la sopravvissuta ha incontrato quella bambina italiana nell' inverno del '43. E ricorda che era arrivata ad Auschwitz "con un grande convoglio italiano"...
"I treni dei deportati erano tutti "grandi", avevano minimo 500 persone, ma se dobbiamo focalizzare meglio il momento "il più grande convoglio italiano nel '43" è uno solo, e non c'è modo di sbagliare: è quello proveniente da Roma, due giorni dopo la razzia nazista nel ghetto di Roma il 16 ottobre del '43, con dentro 1022 ebrei, la quasi totalità romani: pochi uomini, tante donne, anziani e bambini. Qui però non risulta esserci nessuna bambina di nome Marta, e invece erano 11 le giovanissime con un nome che iniziava con la lettera M: l'età variava dai 3 anni di Mara Sonnino ai 19 di Mirella Astrologo. Marisa Anticoli e Mirella Terracina avevano nove anni, Mirella Di Tivoli 14, Milena Zarfati 15, Marisa Frascati era una undicenne. Marina Mieli ne aveva 6 e Marina Tedeschi 16 anni. Tra tutte solo Milena Zarfati ne uscì viva ed è scomparsa lo scorso anno. Chissa mai se è una di loro..."


E gli altri convogli di ebrei italiani nel '43?

"Uno arriva da Firenze e da Bologna il 14 novembre, con circa 400 deportati dopo le retate in Toscana, Emilia Romagna e Liguria, e l'altro l'11 dicembre: proviene da Milano, da Verona e si unisce un altro treno da Trieste, in tutto 600 ebrei stipati nei carri-merci. E da Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, arriva i primi di dicembre del '43 un altro carico di prigionieri, la gran parte di loro sono ebrei di origine francese. Ma non risultano arrivate bambine col nome "Marta" né nel '43, né nel '44, con i convogli che cominciarono a giungere dal campo di raccolta di Fossoli fino a fine luglio. E con l'ultimo treno di deportati per Auschwitz che partì da Bolzano nell'ottobre del '44. Va ricordato però che piccole con nomi italiani potevano provenire dalle deportazioni dalle isole greche e in particolare da Rodi".


Cosa dice dell'affetto provato dalla donna tedesca per quella bimba "sgattaiolata"?

"E' da brividi. Abbiamo molte testimonianze di deportate che hanno cercato di proteggere i più deboli, dava forza anche a loro, ma in più qui c'è il fatto che la donna è tedesca, capisce la lingua degli aguzzini, sa bene che quella bambina lasciata sola non ne uscirà viva. Magari è sgattaiolata via dalla rampa della selezione e per puro caso è finita dalla parte dei deportati che lavorano nel campo. Poi la bimba sarà stata portata nella "sauna", sarà stata tatuata e alla fine riesce ad avere un pò di sollievo, a stare vicino alla sua "protettrice". Ma era chiaro che, nel momento in cui la donna l'avesse dovuta lasciare - non volutamente, ma perchè ricoverata in infermeria- per lei lì non ci sarebbe stato scampo". 


La sopravvissuta tedesca dice che forse gli italiani non avrebbero compiuto queste atrocità con i bambini, così come hanno fatto i nazisti

"Non è vero. Forse non l'avrebbero fatto in quella forma organizzata, ma prendere un bambino e darlo in mano a un nazista, così come hanno fatto, e ci sono centinaia di testimonianze, cos'era? Una parte non irrilevante di italiani ha anche cercato di salvare gli ebrei, dunque i rischi che correvano si conoscevano bene. E poi non sono certo immuni da atrocità: in Eritrea, nell'Africa coloniale non dimentichiamoci che gli italiani hanno gasato la popolazione civile".


Il prossimo anno, nel 2015, ricorrono i 70 anni dell'apertura dei cancelli di Auschwitz. A cosa serve oggi quella Memoria sempre più lontana?

"L'Italia non ha mai fatto i conti su quel passato, continua a aggrapparsi all'idea che il nostro paese fu "vittima" del furore nazista. E invece non è vero: in quei crimini ne fummo alleati consenzienti e collaborativi. Soprattutto sulla questione ebraica. Nel '46, poi, l'amnistia di Togliatti di fatto sanò tutti i reati legati alla persecuzione razziale. Anno dopo anno, si vanno spegnendo le voci dei testimoni diretti e invece bisogna continuare ad aprire tutti "gli armadi della vergogna".


Secondo lei qualcuno potrebbe ricordare qualche altro dettaglio su questa storia: un parente, uno che vide, qualcuno che ha dei documenti di allora? 

"Noi ogni giorno andiamo a cercare testimonianze. Chi vuole può mettersi


in contatto con noi alla mail info@museodellashoah.it. Lo scorso anno, grazie alle famiglie che ce le hanno inviate, abbiamo ritrovato foto in cui si vede il volto dei soldati nazisti che parteciparono alla retata del 16 ottobre '43. Ancora possiamo mostrarle a qualche sopravvissuto alla razzia che potrebbe riconoscerli ma fra pochi anni, di loro, gli ultimi testimoni diretti della Shoah, non ne resterà più nessuno".

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...