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14.6.20

DENTRO LA GUERRA A 80 ANNI DALL’ENTRATA DELL’ ITALIA NEL II CONFLITTO MONDIALE . LUIGI ALANDI ULTIMO REDUCE DELLL'OPERAZIONE HERRING

di cosa  stianmo parlando   \  per  approfondire
L'operazione Herring (in italiano: Aringa) fu un'operazione di infiltrazione e sabotaggio effettuata dalla notte del 20 aprile al 23 aprile 1945 dalle forze alleate e cobelligeranti nell'Italia settentrionale, a sud del fiume Po, allora nel territorio della Repubblica Sociale Italiana.L'operazione Herring è ricordata come l'unico aviolancio di guerra effettuato in Italia nella storia dei paracadutisti italiani . ..... continua  su  https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Herring  ed  per  chi  volesse  approfondire      nei  suggerimenti  sotto    cioè  fine  post  

Sul    scorrere  delle   note  della    canzone  linea  gotica - Csi   iniziamo  il  post   d'oggi 

Il 10 giugno 1940 Benito Mussolini dichiarò guerra a Francia e Gran Bretagna, convinto che la Germania di Hitler avesse vinto  e  che   fosse  duratra  poco  . Invece   Fu la catastrofe: i soldati italiani  furono mandati allo sbaraglio o per   dirla meglio    al macello . 
Fra   le  tante      testimonianze  non retoriche     ho  trovato questa     che  riporto  oggi . Essa    dimostra     che  la  Resistenza   \ lotta  di liberazione  o      guerra  civile  che  dir  si voglia   fu  fatta  , e  qui   sfatiamo  il  mito  , senza  cadere  nel  negazionismo  ,  anche  da  militari  italiani  .
  

dal   con  foto  sopra   annessa   settimanale    oggi   n 24-  18.6.2020  


«Sono l’ultimo reduce   dell’operazione Aringa»


                          di Gino Gullace Raugei


AVEVA 19 ANNI E LAVORAVA IN RIZZOLI. PARTÌ PER IL FRONTE E, DOPO L’8 SETTEMBRE,SCELSE DI UNIRSI ALLO «SQUADRONE F» CHE FU PARACADUTATO OLTRE LA LINEA GOTICA  E MISE IN FUGA I TEDESCHI. «NON POTEVO RESTARE AL SICURO NELLE RETROVIE»

John Rambo fece un po’ meglio,ma quella è finzione hollywoodiana. Questa invece è realtà.
La notte del 20 aprile 1945, 226 paracadutisti italiani dello Squadrone F (Folgore) e del Reggimento Nembo,inglobati nel XIII  Corpo d’armata britannico, compirono la più straordinaria e rocambolesca missione della Seconda guerra mondiale: l’operazione Herring, in italiano,Aringa. Lanciati a
sud del Po, tra le provincie di Bologna,Modena, Ferrara e Mantova (primo eunico aviolancio militare sul territorio italiano), scatenarono l’inferno dietro le linee dell’armata tedesca.
Dal foglio di servizio dell’Esercito italiano: «Al prezzo di 6 parà caduti e 6 dispersi, vi furono 481 soldati nemici uccisi, 1.083 presi prigionieri,26 automezzi distrutti, 18 blindati immobilizzati, 7 strade di grande transito minate, 77 linee telefoniche tagliate, 1 deposito di munizioni fatto saltare, 3
pontisalvati». Proprio su quei tre ponti dilagarono  nella pianura Padana le  brigate corazzate angloamericane che pochi giorni dopo entrarono a Milano.
Coronavirus, l'ex parà della Folgore Luigi Andi (che combattè per la Liberazione) asintomatico a 97 anni: «Vincerò anche questa battaglia»
da   https://www.corriere.it/cronache del  26 aprile 2020 

La Liberazione cisarebbe stata lo stesso, ma senza l’operazione Aringa con settimane diritardo e molte più vittime tra gli alleati liberatori e tra i civili.
«Qualcuno ha definito lo Squadrone “F”, leggendario; non so se sia appropriato, ma quello che abbiamo fatto non è stato comune: la riprova è che  furono assegnate 193 decorazioni al Valor militare a un’unità che non superò mai i 200 uomini», spiega il cavalier Luigi Andi, classe 1923, ultimo reduce di quel manipolo di coraggiosi.
«ADDIO VITA COMODA»
A 75 anni da quei fatti, il parà Andi è ancora in prima linea, in unaRsa della Lombardia, nella guerra al coronavirus, che a un combattente di quella tempra fa un baffo. «Il 15 settembre 1942 partii per la guerra. Avevo 19  anni e già ero impiegato presso la Casa editriceRizzoli di Milano.Il fondatore,
cavalier Angelo, mi salutò con 2 mila lire e la promessa, mantenuta, che avrei trovato il posto di lavoro al mio ritorno», dice. Arruolato nel 3° Reggimento autieri, Andi viene sorpreso dall’8 settembre a SpezzanoAlbanese,in Calabria. «Stavo tornando alreparto con una colonna di Fiat B.L. 18, autocarri della Grande guerra, e trovo la strada sbarrata da giganteschi carri armati Tigre delle SS. Il comandante tedesco aspettava ordini: lasciarci andare o fucilarcisul posto? Nel dubbio,salto su un camion e tento di avviare il motore. I nazisti crivellano di colpi la cabina, ma io ero già sgusciato fuori,in un boschetto». Ma, vista la gravità dell’ora, al nostro Luigi non parve giusto rimanere al Sud, al sicuro, mentre la linea del fronte si stava spostando a Nord. «Seppi che si era formato, a
fianco dell’Esercito inglese, un reparto combattente di paracadutisti e volli in tutti i modi arruolarmi. “Ma chi te lo fa fare, non stai bene con noi?”, disse il comandante del mio Reggimento, ma
restai fermo nella mia decisione». E così comincia l’avventura.  Le mappe dell’Operazione Aringa furono consegnate a chi vi prese parte solo poco prima del lancio
UN ERRORE DI SUCCESSO
I parà italiani risalgono la penisola con i liberatori, con un ruolo pericolosissimo: si infiltrano dietro le linee nemiche e tornano con informazioni preziose sul posizionamento delle difese tedesche. E si arriva all’aprile  del 1945. L’Armata del maresciallo Kesserling è una belva ferita: sa
che la guerra è perduta, ma difende il terreno che separa gli alleati dalla Germania con le unghie e le zanne.
Gli angloamericani hanno sfon dato la linea Gotica e devono attraversare il  Po, impresa che può costare più dellosbarco in Normandia. Servono i parà  italiani. Alle 21 e 50 del 20 aprile,
dal campo di volo di Rosignano, in Toscana, decollano alla spicciolata i  bimotori americani Dakota
con a bordo i parà. Le fasi dell’Operazione Aringa sono state ricostruite da Stefano SalvadoriAndi, nipote di Luigi, nella sua tesi di laurea in Scienze Politiche  all’Università di Milano.
Quando i Dakota arrivano sugli obbiettivi, incontrano la micidiale contraerea tedesca. Per evitare le
raffiche delle mitraglie da 20 e 37 mm, i piloti sono  costretti a deviare la rotta lanciando i parà lontano dai punti prestabiliti. Gli  uomini dello Squadrone F e del Nembo atterrano nel buio a centinaia di metri gli  uni dagli altri. Qualcuno rimane impigliato col paracadute su un albero; qualcuno si infortuna. Tutti i piani d’azione sono saltati. Sembra il preludio del disastro e invece è la chiave della vittoria. I parà  si raggruppano in pattuglie di due, tre, quattro uomini e cominciano ad attaccare  le unità nemiche, sabotando le linee telefoniche. Su un fronte di alcune decine  di chilometri si accendono sparatorie e colpi di mano.
I tedeschi perdono la loro   freddezza : pensano di essere sotto attacco di un’intera divisione aviotrasportata,composta da migliaia di  paracadutisti.Interi plotoni  si arrendono e per poco non gli viene un colpo quandoscoprono che a tenerlisotto tiro sono solo due o tre ragazzi italiani.
Luigi Andi vuole ricordare  i più eroici di tutti, alcuni suoi compagni che non ce  l’hanno fatta. «Amelio De Juliis», racconta, «era un  partigiano sedicenne che aveva combattuto con le bande della Maiella, in  Abruzzo. Quando lo Squadrone F passò dalle sue parti, volle farne parte.
Ma era minorenne e non si poteva arruolare, perciò fu impiegato  in lavoretti da poco. A 18anni prese il  brevetto di paracadutista e fu il più orgoglioso di tutti quando salì sul Dakota dell’operazione Aringa. Fu lanciato a San Pietro in Casale, Bologna,dove si trovava  un forte contingente tedesco. Amelio si era appena raggruppato col sottotenente Angelo Rosas e il caporalmaggiore Aristide Arnaboldi, ma furono circondati dal nemico.
Il ragazzo riuscì a sfuggire  all’accerchiamento e anche se ferito si sarebbe salvato,ma tornò indietro a soccorrere i compagni  che stavano per essere sopraffatti.Sparò tutte le sue cartucce  e fu infine colpito a morte». Il paracadutista Amelio De Juliis, caduto a 18 anni e 24 giorni, è il più giovane soldato italiano onorato con  la medaglia d’oro al valor militare.


Libri 

Copertina anteriore
Prima pubblicazione21 novembre 2019
Codice EAN9788858133637 
libraccio.it

La Resistenza in montagna e quella in pianura. La guerriglia nelle città. Il sostegno della popolazione e il rapporto con la 'zona grigia'. La collaborazione con gli Alleati e la guerra civile con gli italiani in camicia nera. A 75 anni dalla Liberazione, finalmente una ricostruzione con l'ambizione di proporre uno sguardo complessivo su fatti, momenti e protagonisti che hanno cambiato per sempre il nostro Paese.I due anni che vanno dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 rappresentano un momento cruciale della storia d'Italia. Sono gli anni della guerra mondiale, con le truppe straniere che occupano la penisola. Sono gli anni della guerra civile, con lo scontro tra italiani di diverso orientamento. Sono gli anni della guerra di liberazione, in cui si combatte contro il nazifascismo per far nascere un paese democratico e libero. È il 'tempo delle scelte' per una società italiana schiacciata sotto il tallone nazista e fascista. Una nazione divisa politicamente, militarmente e moralmente all'interno di un'Europa in fiamme. Per fare i conti con la storia della Resistenza italiana, il libro ripercorre le varie fasi delle diverse Resistenze: dalle specificità della guerriglia urbana all'attestamento nelle regioni di montagna. Affianca alla lotta armata le varie forme di supporto fornito ai 'banditi' dalle popolazioni e la conflittualità interpartigiana, si addentra nella cosiddetta 'zona grigia', evidenzia la peculiarità delle deportazioni politiche e razziali. Una ricostruzione nuova, originale, vivida, in cui lo sguardo d'insieme si alterna costantemente con l'attenzione a vicende personali e collettive poco conosciute o inedite. Un libro necessario oggi, quando il venir meno degli ultimi testimoni diretti di queste vicende lascia sempre più spazio a un uso politico della Resistenza che deforma e rimuove i fatti, le fonti e la storia.

Giulio Einaudi Editore21 apr 2015 - 880 pagine

Copertina anteriore
In un primo momento Beppe Fenoglio aveva ideato un unico grande ciclo di Johnny, che partiva dagli anni del liceo di Alba, proseguiva con il corso ufficiali, l'8 settembre, il complicato e pericoloso ritorno in Piemonte, l'adesione alla guerra partigiana, il passaggio dai garibaldini ai badogliani. Successivamente però, su indicazione editoriale, Fenoglio riscrisse la prima parte di questo suo ambizioso progetto narrativo trasformando Primavera di bellezza in un libro autonomo: tagliò le prime ottanta pagine e aggiunse tre capitoli finali facendo morire velocemente Johnny al primo scontro a fuoco. La seconda parte, riscritta più volte, fu abbandonata e recuperata postuma con il titolo Il partigiano Johnny. In questa edizione Gabriele Pedullà ricostruisce per la prima volta il continuum narrativo del grande romanzo così come Fenoglio l'aveva pensato e concepito. E la saga di Johnny riemerge in tutta la sua forza epica.Presa nella sua integralità la storia del Libro di Johnny si rivela ispirata a un preciso modello epico. Con la prima parte del volume dedicata alle peregrinazioni di Johnny lontano da casa e la seconda parte incentrata sulla guerra nelle Langhe, Fenoglio dimostra di avere consapevolmente ripreso l'architettura dell'Eneide, dove ai primi sei libri ispirati alle peregrinazioni di Ulisse e all'Odissea seguono altri sei libri costruiti sulla falsariga dell'Iliade. Di questa struttura bipartita il disfacimento dell'esercito rappresenta il punto di svolta: la fine dei viaggi e l'inizio del vero e proprio ritorno a casa. Con la fuga del re e di Badoglio e il rientro di Johnny ad Alba comincia a tutti gli effetti un'altra storia, e si comprende facilmente per quali motivi Fenoglio avesse ipotizzato di interrompere il romanzo proprio qui nella vagheggiata edizione in due volumi. Dopo averci fatto attraversare mezza Italia, da questo momento tutta l'azione si svolgerà in uno spazio di poche decine di chilometri quadrati, attorno a un'Alba cui si chiede sempre più di prendere il posto della Troia o della Lavinio del mito, con il loro fiume sacro e i due eserciti che occupano a turno la parte dell'assediato e dell'assediante.

10.3.17

È morto l’alpino Mario Maffi, lo 007 che svelò le foibe nel ’57

da http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/ 06 marzo 2017

È morto l’alpino Mario Maffi, lo 007 che svelò le foibe nel ’57
Si è spento nella sua Cuneo l’uomo che scese per primo nelle cavità carsiche e scoprì i resti umani durante un’operazion militare sotto massima copertura

di Furio Baldassi



Mario Maffi

TRIESTE. Alla fine lo ha sconfitto solo il cancro. È morto lo scorso 1 marzo, nella sua casa del centro storico di Cuneo, l’alpino Mario Maffi, 83 anni. Un nome che probabilmente ai più dice poco ma che è legato indissolubilmente alla scoperta delle foibe, sul Carso e non solo.
Novello 007 ante litteram, era stato lui, nel 1957, da sottotenente del Genio guastatori, a condurre una missione segreta sul Carso. Inizialmente gli avevano detto che doveva disinnescare degli esplosivi, ma non era così.
Due carabinieri lo portarono all’imbocco della foiba di Monrupino, e Maffi si trovò a essere tra i primi italiani a confermare quelle “chiacchiere” che circolavano al ministero della Difesa sugli infoibati, spaventose realtà taciute ufficialmente per anni.

                      Una foto d’epoca che documenta i primi recuperi delle salme degli infoibati


Era stato arruolato nella missione, ma lo si seppe anni dopo, in virtù della sua esperienza di speleologo e di esperto di esplosivi, e fu proprio la sua testimonianza ad aggiungere un tassello nuovo a uno dei capitoli più drammatici della storia delle nostre terre. Speleologo esperto, fu tra i fondatori del Gruppo Speleo Alpi Marittime del Cai di Cuneo, all’interno del quale ha svolto fino all’ultimo attività speleologica e didattica.
Nell’ottobre del 1957, dunque, carabinieri e militari dell’esercito italiano in assetto da combattimento entrarono in missione segreta, a più riprese, in territorio jugoslavo, per visitare alcune foibe dove erano state compiute esecuzioni sommarie.
Nel corso delle operazioni vennero esplorate quattro cavità con vari resti umani, furono scattate fotografie e redatti rapporti. La missione, organizzata con ogni probabilità dal Sifar, il Servizio segreto antenato dell’attuale Sismi, era stata preceduta da un’operazione di copertura a Trieste, con l’esplorazione delle foibe di Monrupino e Basovizza. Per quasi 50 anni peraltro quell’operazione fu coperta dal segreto militare.

Il                   monumento alla Foiba di Basovizza, simbolo di quella tragedia



Solo nel 2004, quando insieme all’Associazione gruppi speleologici piemontesi Maffi si recò in Friuli per un corso di aggiornamento, la sua storia cominciò a circolare e ad essere ripresa dai giornali locali. La stessa famiglia, del resto, ha ammesso di non averne mai saputo niente.
Ma torniamo al giovane alpino. La vicenda comincia, come detto, all’inizio dell’ottobre del 1957. Mario Maffi ha 24 anni, la sua famiglia vanta solide tradizioni militari e antifasciste: il nonno era stato ufficiale del Battaglione Monviso nella prima guerra mondiale, il padre è ufficiale all’Istituto geografico militare, sua madre era stata partigiana e lo stesso Maffi da bambino aveva operato come staffetta nella Resistenza.
Quando poi era stato chiamato a svolgere il servizio militare aveva scelto di fare l’ufficiale di complemento. Maffi viene convocato al Comando di Brigata. «Il generale - come aveva raccontato al nostro Pietro Spirito - mi disse che per una certa missione serviva un ufficiale esperto di grotte e di mine. Mi disse anche che la missione era coperta dal più assoluto segreto militare, e che era volontaria. Non ero obbligato ad accettare, e inoltre l’operazione comportava anche un certo rischio».

   I macabri rinvenimenti sotto Monrupino



Maffi accetta l'incarico. Scrive due lettere per i suoi cari che affida al cappellano («se non dovessi tornare per favore le spedisca», gli dice) e pochi giorni dopo parte. Nessuno gli spiega dove sta andando, e lui non deve fare domande.
Si ritrova nella caserma dei carabinieri di Monfalcone, e qui finalmente viene a sapere quale sarà il suo incarico: dovrà scendere, assistito dgli speleologi del Gruppo grotte di Monfalcone, nella foiba di Monrupino «per constatare o meno la presenza di spoglie umane, stimarne la quantità e documentarle con fotografie».
Successivamente dovrà fare lo stesso nelle foiba di Basovizza. Il giovane militare non ha mai sentito parlare di foibe, anzi quella parola, «foiba», la sente per la prima volta all'imbocco della cavità di Monrupino, prima di calarsi giù.
«Fui calato con una specie di seggiolino - ricorda - e quando arrivai in fondo mi sentii accapponare la pelle: tra il pietrisco su cui camminavo spuntavano ossa umane, una mandibola, alcune costole, l'intero braccio di un bambino che avrà avuto non più di otto anni viste le dimensioni delle ossa».
Maffi scatta fotografie e prende appunti. Accerta che le pareti della grotta sono state fatte saltare con esplosivo, e ipotizza altri resti umani sotto i detriti, probabilente quelli «dei soldati tedeschi degenti all’ospedale di Trieste, che si diceva fossero stati gettati nella grotta prima di farla saltare».
Non sarà l’unica missione. Maffi in quattro notti visita quattro foibe diverse tutte oltre la linea del confine, accompagnato dai carabinieri ma con la paura di essere scoperti dalle pattuglie jugoslave. Le scoperte sono agghiaccianti. Il suo compito è finito. Dopo il congedo e una vita dedicata al lavoro nelle officine della Fiat, nel 1988 si ritira, e parla poco e malvolentieri di quell’esperienza che l’ha segnato nell’animo.

6.4.15

Torna 72 anni dopo «Voglio rivedere la mia cara scuola» Fiorenza da Milano al Mantegna, dove si diplomò nel 1943 Oggi ha 96 anni e suona ancora il pianoforte: «Mai fermarsi»

 del 29\3\2015





A una signora, sarebbe buona educazione non chiedere l'età. «Quando è nata, signora Fiorenza?». Lei risponde prontissima: «Ho 96 anni, sono nata il 24 ottobre 1918 a Savona».è arrivata ieri alle 13.30 davanti a quella che fu la sua scuola, oggi istituto tecnico Andrea Mantegna, in via Guerrieri Gonzaga. Scesa dall'auto guidata dal custode del condominio dove abita a Milano, è accolta con un mazzo di fiori - sette rose bianche - da tre studenti (due ragazze e un ragazzo), dalla dirigente scolastica Viviana Sbardella e dal professore di scienze Mario Cantadori. «L'ultima volta che sono stata qua, è stato 72 anni fa, mi devo un po' riambientare» dice, prima di raccontare la sua emozione per essere tornata in un luogo e in un tempo lontano eppure vicino nella sua memoria. Qui il 30 settembre 1943 sostenne gli esami per poter insegnare economia domestica, il diploma di abilitazione le fu consegnato il giorno dopo. Fiorenza lo ha portato da casa, con tanti bei voti, e la dirigente Sbardella estrae dall'archivio della scuola il relativo registro con la firma della preside di allora, Maria Santarelli.
«A quel tempo la scuola si chiamava Magistero Maria José del Belgio principessa di Piemonte» dice Fiorenza. Infatti sul registro c'è proprio scritto "Regia scuola di Magistero professionale per la donna Principessa Maria di Piemonte". Fiorenza ha solo precisato «José del Belgio, che aveva sposato il principe Umberto», dice. Dopo essersi diplomata in pianoforte al Conservatorio a Milano nel 1941, Fiorenza venne a Mantova per sostenere l'esame da privatista, il diploma le serviva per lavorare. «I giovani erano in guerra - dice - e a lavorare dovevamo essere noi donne». E il lavoro lo trovò immediatamente come insegnante di economia domestica, a Reggio Emilia all'istituto del Buon Pastore. Tempo di guerra. Che però a Mantova, nonostante si fosse nel settembre del ’43, Fiorenza per fortuna non patì, i rastrellamenti tedeschi erano già avvenuti. Soffrì invece a Reggio, bombardata, così che riparò con la famiglia in Piemonte.
A Mantova «ero ospite delle suore e ricordo che - Fiorenza dice proprio così - mangiavo un bicchierone di latte in un bar qui vicino, così quando tornavo dalle suorine non avevo più fame». L'amore per il pianoforte l'ha sempre accompagnata: «Due volte al mese vado a suonare per i malati di Alzheimer», svela, e il primo appuntamento con Mantova, due settimane fa, è slittato perché Fiorenza è andata a Pistoia per seguire un suo allievo pianista impegnato in un concorso di musica. In aprile l'allievo andrà a un altro concorso, a Padova, e Fiorenza lo seguirà anche là.
«I miei nipoti mi dicono di stare ferma, invece io devo muovermi, vivere». E Fiorenza si muove e vive: vuole vedere «almeno un'aula». Viviana Sbardella, la dirigente, la invita a salire al piano superiore, e Fiorenza procede sullo scalone. Nelle aule ci sono degli affreschi. Lei li osserva: «Tante cose si sono mantenute» dice. Meravigliosa Fiorenza.

                                       Gilberto Scuderi




emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...