Qualcuno leggendo quest'articolo mi dirà , ma è dell'anno scorso che fai ricicli gli articoli ? Sarà pure così ma certe testimonianze di chi ha vissuto in prima persona una doppia violenza sia fisica sia morale dalla società dell'epoca più retrograda d'oggi come la sua non hanno data di scadenza
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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8.3.23
La storia della 17enne che rifiutò di sposare l’uomo che aveva abusato di lei dice oggi nella giornat del 25 novembre «Fuggite da chi non vi rispetta »
Oggi la giornata internazionale contro la violenza di genere 2023 Riporto chi la conosce già può saltarla . Annche se andrebbe far apprendere i giovani un pezzo di storia d'italia e che il femminicidio non è solo omicidio .La storia della 17enne che rifiutò di sposare l’uomo che aveva abusato di lei . Infatti Il rispetto reciproco, il rifiuto della violenza, il
contrasto verso ogni forma di
discriminazione, brutalità e
sopruso sono un impegno e
una responsabilità per tutti.
La violenza soprattutto quella verso le donne non è un destino,
dobbiamo andare oltre lo stigma dell’irreversibilità. La strada da fare tanta, ma la violenza e le sue origini ed le cause si possono e si devono combattere offendo alle vittime un’alternativa, attraverso
una rete di protezione e assistenza che le accompagni in
un percorso di affrancamento
e liberazione ».
10.3.17
È morto l’alpino Mario Maffi, lo 007 che svelò le foibe nel ’57
È morto l’alpino Mario Maffi, lo 007 che svelò le foibe nel ’57
Si è spento nella sua Cuneo l’uomo che scese per primo nelle cavità carsiche e scoprì i resti umani durante un’operazion militare sotto massima copertura
di Furio Baldassi
Mario Maffi
TRIESTE. Alla fine lo ha sconfitto solo il cancro. È morto lo scorso 1 marzo, nella sua casa del centro storico di Cuneo, l’alpino Mario Maffi, 83 anni. Un nome che probabilmente ai più dice poco ma che è legato indissolubilmente alla scoperta delle foibe, sul Carso e non solo.
Novello 007 ante litteram, era stato lui, nel 1957, da sottotenente del Genio guastatori, a condurre una missione segreta sul Carso. Inizialmente gli avevano detto che doveva disinnescare degli esplosivi, ma non era così.
Due carabinieri lo portarono all’imbocco della foiba di Monrupino, e Maffi si trovò a essere tra i primi italiani a confermare quelle “chiacchiere” che circolavano al ministero della Difesa sugli infoibati, spaventose realtà taciute ufficialmente per anni.
Una foto d’epoca che documenta i primi recuperi delle salme degli infoibati
Era stato arruolato nella missione, ma lo si seppe anni dopo, in virtù della sua esperienza di speleologo e di esperto di esplosivi, e fu proprio la sua testimonianza ad aggiungere un tassello nuovo a uno dei capitoli più drammatici della storia delle nostre terre. Speleologo esperto, fu tra i fondatori del Gruppo Speleo Alpi Marittime del Cai di Cuneo, all’interno del quale ha svolto fino all’ultimo attività speleologica e didattica.
Nell’ottobre del 1957, dunque, carabinieri e militari dell’esercito italiano in assetto da combattimento entrarono in missione segreta, a più riprese, in territorio jugoslavo, per visitare alcune foibe dove erano state compiute esecuzioni sommarie.
Nel corso delle operazioni vennero esplorate quattro cavità con vari resti umani, furono scattate fotografie e redatti rapporti. La missione, organizzata con ogni probabilità dal Sifar, il Servizio segreto antenato dell’attuale Sismi, era stata preceduta da un’operazione di copertura a Trieste, con l’esplorazione delle foibe di Monrupino e Basovizza. Per quasi 50 anni peraltro quell’operazione fu coperta dal segreto militare.
Il monumento alla Foiba di Basovizza, simbolo di quella tragedia
Solo nel 2004, quando insieme all’Associazione gruppi speleologici piemontesi Maffi si recò in Friuli per un corso di aggiornamento, la sua storia cominciò a circolare e ad essere ripresa dai giornali locali. La stessa famiglia, del resto, ha ammesso di non averne mai saputo niente.
Ma torniamo al giovane alpino. La vicenda comincia, come detto, all’inizio dell’ottobre del 1957. Mario Maffi ha 24 anni, la sua famiglia vanta solide tradizioni militari e antifasciste: il nonno era stato ufficiale del Battaglione Monviso nella prima guerra mondiale, il padre è ufficiale all’Istituto geografico militare, sua madre era stata partigiana e lo stesso Maffi da bambino aveva operato come staffetta nella Resistenza.
Quando poi era stato chiamato a svolgere il servizio militare aveva scelto di fare l’ufficiale di complemento. Maffi viene convocato al Comando di Brigata. «Il generale - come aveva raccontato al nostro Pietro Spirito - mi disse che per una certa missione serviva un ufficiale esperto di grotte e di mine. Mi disse anche che la missione era coperta dal più assoluto segreto militare, e che era volontaria. Non ero obbligato ad accettare, e inoltre l’operazione comportava anche un certo rischio».
I macabri rinvenimenti sotto Monrupino
Maffi accetta l'incarico. Scrive due lettere per i suoi cari che affida al cappellano («se non dovessi tornare per favore le spedisca», gli dice) e pochi giorni dopo parte. Nessuno gli spiega dove sta andando, e lui non deve fare domande.
Si ritrova nella caserma dei carabinieri di Monfalcone, e qui finalmente viene a sapere quale sarà il suo incarico: dovrà scendere, assistito dgli speleologi del Gruppo grotte di Monfalcone, nella foiba di Monrupino «per constatare o meno la presenza di spoglie umane, stimarne la quantità e documentarle con fotografie».
Successivamente dovrà fare lo stesso nelle foiba di Basovizza. Il giovane militare non ha mai sentito parlare di foibe, anzi quella parola, «foiba», la sente per la prima volta all'imbocco della cavità di Monrupino, prima di calarsi giù.
«Fui calato con una specie di seggiolino - ricorda - e quando arrivai in fondo mi sentii accapponare la pelle: tra il pietrisco su cui camminavo spuntavano ossa umane, una mandibola, alcune costole, l'intero braccio di un bambino che avrà avuto non più di otto anni viste le dimensioni delle ossa».
Maffi scatta fotografie e prende appunti. Accerta che le pareti della grotta sono state fatte saltare con esplosivo, e ipotizza altri resti umani sotto i detriti, probabilente quelli «dei soldati tedeschi degenti all’ospedale di Trieste, che si diceva fossero stati gettati nella grotta prima di farla saltare».
Non sarà l’unica missione. Maffi in quattro notti visita quattro foibe diverse tutte oltre la linea del confine, accompagnato dai carabinieri ma con la paura di essere scoperti dalle pattuglie jugoslave. Le scoperte sono agghiaccianti. Il suo compito è finito. Dopo il congedo e una vita dedicata al lavoro nelle officine della Fiat, nel 1988 si ritira, e parla poco e malvolentieri di quell’esperienza che l’ha segnato nell’animo.

TRIESTE. Alla fine lo ha sconfitto solo il cancro. È morto lo scorso 1 marzo, nella sua casa del centro storico di Cuneo, l’alpino Mario Maffi, 83 anni. Un nome che probabilmente ai più dice poco ma che è legato indissolubilmente alla scoperta delle foibe, sul Carso e non solo.
Novello 007 ante litteram, era stato lui, nel 1957, da sottotenente del Genio guastatori, a condurre una missione segreta sul Carso. Inizialmente gli avevano detto che doveva disinnescare degli esplosivi, ma non era così.
Due carabinieri lo portarono all’imbocco della foiba di Monrupino, e Maffi si trovò a essere tra i primi italiani a confermare quelle “chiacchiere” che circolavano al ministero della Difesa sugli infoibati, spaventose realtà taciute ufficialmente per anni.

Era stato arruolato nella missione, ma lo si seppe anni dopo, in virtù della sua esperienza di speleologo e di esperto di esplosivi, e fu proprio la sua testimonianza ad aggiungere un tassello nuovo a uno dei capitoli più drammatici della storia delle nostre terre. Speleologo esperto, fu tra i fondatori del Gruppo Speleo Alpi Marittime del Cai di Cuneo, all’interno del quale ha svolto fino all’ultimo attività speleologica e didattica.
Nell’ottobre del 1957, dunque, carabinieri e militari dell’esercito italiano in assetto da combattimento entrarono in missione segreta, a più riprese, in territorio jugoslavo, per visitare alcune foibe dove erano state compiute esecuzioni sommarie.
Nel corso delle operazioni vennero esplorate quattro cavità con vari resti umani, furono scattate fotografie e redatti rapporti. La missione, organizzata con ogni probabilità dal Sifar, il Servizio segreto antenato dell’attuale Sismi, era stata preceduta da un’operazione di copertura a Trieste, con l’esplorazione delle foibe di Monrupino e Basovizza. Per quasi 50 anni peraltro quell’operazione fu coperta dal segreto militare.

Solo nel 2004, quando insieme all’Associazione gruppi speleologici piemontesi Maffi si recò in Friuli per un corso di aggiornamento, la sua storia cominciò a circolare e ad essere ripresa dai giornali locali. La stessa famiglia, del resto, ha ammesso di non averne mai saputo niente.
Ma torniamo al giovane alpino. La vicenda comincia, come detto, all’inizio dell’ottobre del 1957. Mario Maffi ha 24 anni, la sua famiglia vanta solide tradizioni militari e antifasciste: il nonno era stato ufficiale del Battaglione Monviso nella prima guerra mondiale, il padre è ufficiale all’Istituto geografico militare, sua madre era stata partigiana e lo stesso Maffi da bambino aveva operato come staffetta nella Resistenza.
Quando poi era stato chiamato a svolgere il servizio militare aveva scelto di fare l’ufficiale di complemento. Maffi viene convocato al Comando di Brigata. «Il generale - come aveva raccontato al nostro Pietro Spirito - mi disse che per una certa missione serviva un ufficiale esperto di grotte e di mine. Mi disse anche che la missione era coperta dal più assoluto segreto militare, e che era volontaria. Non ero obbligato ad accettare, e inoltre l’operazione comportava anche un certo rischio».

Maffi accetta l'incarico. Scrive due lettere per i suoi cari che affida al cappellano («se non dovessi tornare per favore le spedisca», gli dice) e pochi giorni dopo parte. Nessuno gli spiega dove sta andando, e lui non deve fare domande.
Si ritrova nella caserma dei carabinieri di Monfalcone, e qui finalmente viene a sapere quale sarà il suo incarico: dovrà scendere, assistito dgli speleologi del Gruppo grotte di Monfalcone, nella foiba di Monrupino «per constatare o meno la presenza di spoglie umane, stimarne la quantità e documentarle con fotografie».
Successivamente dovrà fare lo stesso nelle foiba di Basovizza. Il giovane militare non ha mai sentito parlare di foibe, anzi quella parola, «foiba», la sente per la prima volta all'imbocco della cavità di Monrupino, prima di calarsi giù.
«Fui calato con una specie di seggiolino - ricorda - e quando arrivai in fondo mi sentii accapponare la pelle: tra il pietrisco su cui camminavo spuntavano ossa umane, una mandibola, alcune costole, l'intero braccio di un bambino che avrà avuto non più di otto anni viste le dimensioni delle ossa».
Maffi scatta fotografie e prende appunti. Accerta che le pareti della grotta sono state fatte saltare con esplosivo, e ipotizza altri resti umani sotto i detriti, probabilente quelli «dei soldati tedeschi degenti all’ospedale di Trieste, che si diceva fossero stati gettati nella grotta prima di farla saltare».
Non sarà l’unica missione. Maffi in quattro notti visita quattro foibe diverse tutte oltre la linea del confine, accompagnato dai carabinieri ma con la paura di essere scoperti dalle pattuglie jugoslave. Le scoperte sono agghiaccianti. Il suo compito è finito. Dopo il congedo e una vita dedicata al lavoro nelle officine della Fiat, nel 1988 si ritira, e parla poco e malvolentieri di quell’esperienza che l’ha segnato nell’animo.
10.10.15
La tragedia della Nave Regia Roma nella seconda guerra mondiale: il racconto di uno dei superstiti ancora in vita Aldo Baldasso
Il 9 settembre 1943, alcune ore dopo l’annuncio radiofonico della firma dell’armistizio di resa, la Nave Regia Roma, fiore all’occhiello della Marina Militare Italiana, libera gli ormeggi dalla base di La Spezia e inizia quello che si rivelerà il suo ultimo viaggio.
Con la supercorazzata armata c’è la flotta italiana, composta da 23 unità navali, comandata dall’ammiraglio in capo Carlo Bergamini, sulla plancia della Roma. Imbarcato anche un giovane piemontese di 23 anni.
Oggi Aldo Baldasso ha 95 anni e vive a Pirri con la moglie Gina e la figlia Paola. Non ha dimenticato nulla di quell'immane tragedia che si è consumata a una ventina di miglia a nord dell’Asinara.

L'album di Aldo Baldasso
Baldasso è uno dei pochi superstiti sardi, ancora in vita, e oggi racconta una delle pagine più tristi e drammatiche dalla storia della Marina Militare Italiana e della Seconda Guerra mondiale.
Nel pomeriggio di quel 9 settembre due ordigni guidati con un carico esplosivo di 1400 chili, sganciati da un aeroplano tedesco, un Dornier Do 217 K-2, misero fine alla storia della grande nave italiana: 1700 caduti, 622 superstiti.
Sette navi italiane portarono i naufraghi a Mahon (Minorca) e i loro equipaggi (circa 2000 uomini).
Il 17 giugno 2012, l’ingegnere Guido Gay, grazie a un robot sottomarino da lui stesso progettato (il “Pluto Palla”), individua il relitto della Roma su un fondale di circa 1200 metri.
Lo scorso anno è nata un'Associazione “Reduci e familiari caduti nave Roma e navi Vivaldi e Da Noli” per ricordare la storia della Roma ma anche delle altre 2 navi affondate in quell’attacco aereo: appunto il Vivaldi e il Da Noli.
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