da avvenire 14 ore di Riccardo Maccioni
Si celebra oggi, 1° novembre, la solennità di Tutti i santi e, come di consueto nei giorni festivi, papa Francesco pregherà l’Angelus alle 12 in piazza San Pietro. Domani, giorno dedicato alla commemorazione dei defunti, il Pontefice presiederà la celebrazione eucaristica al Rome War Cemetery, il cimitero militare, memoriale di guerra, che custodisce le spoglie dei militari del Commonwealth caduti a Roma durante la seconda guerra mondiale. Il giorno seguente, infine, Bergoglio presiederà in San Pietro alle 11 la Messa in suffragio di Benedetto XVI e dei cardinali e vescovi defunti nel corso dell’anno.
Il primo pensiero va al protagonista del racconto “La leggenda del santo bevitore” la cui vita, sempre sospesa tra miseria e redenzione, si riaccende di nuova speranza per il “debito” da sanare con Teresa di Lisieux. Ma situazioni simili, persino più tragiche e insieme esaltanti, succedono nella vita vera.
Storie di santità che partono proprio da gravi mancanze, per esempio una dipendenza che rischia di offuscare la mente. Per questo la risalita poi è tanto ammirevole. Come nel caso del venerabile irlandese Matt Talbot (1836-1925) ex alcolista, trasformato dalla partecipazione quotidiana alla Messa e dalla preghiera a orari impossibili. Quasi analfabeta, imparò a “leggere” le cose di Dio studiando la Bibbia, fino ad acquisire una semplicità sapiente, virtù solo dei grandi uomini, che gli farà scrivere: «Il Regno di Dio fu promesso non a chi ha buon senso o è istruito, ma a coloro che sono simili ai bambini».
Una lezione quanto mai attuale oggi nella solennità di Ognissanti, festa che unisce nello stesso abbraccio del Padre celeste figure celebratissime e personaggi poco noti che magari solo nell’aldilà scopriremo essere stati straordinari. Il 1° novembre è l’occasione per far uscire tanti testimoni della fede da troppe biografie ovattate, con aureole che coronano i bimbi sin dalla culla, restituendoli alla dimensione della vita vera. Perché i santi, compresi quelli famosissimi, non ci guardano dall’alto ma dal gradino più basso dell’umiltà per spingerci, gradino dopo gradino, sulla scala della vita spirituale fino a raggiungere il cielo. Uomini e donne vissuti nella rinuncia di sé e con la consapevolezza delle proprie fragilità da affrontare e superare grazie all’amore di Dio e al servizio dei fratelli. Come santa Monica, decisiva per la conversione del figlio Agostino che nelle Confessioni rivela come da ragazza sua madre si fosse lasciata andare a bere (troppo). Decisivo, per farle cambiare stile di vita, lo choc di sentirsi definire da un servo «bottiglietta sporca di vino puro».
Tante volte, infatti è proprio la sconfitta, l’umiliazione a determinare una svolta. In altre occasioni il limite diventa una croce da sublimare, da trasformare in dono se la battaglia per vincerlo non si traduce in vittoria definitiva. Il martire cinese san Marco Ji Tian Xian (1834-1900) fu dipendente dall’oppio, assunto inizialmente come antidolorifico, senza riuscire poi a liberarsene. Tanto che il suo confessore arrivò a negargli l’assoluzione e l’accesso all’Eucaristia. Per circa trent’anni dunque, Tian Xiang che era medico e avrebbe pagato con la morte il rifiuto di negare il Vangelo, continuò a vivere la fede senza potersi accostare ai sacramenti. Una perseveranza importante nell’iter per il riconoscimento della sua santità.
Tra cadute e riprese fino alla “guarigione” totale e la conversione anche il rapporto tra san Camillo de’ Lellis (1550-1614) e il gioco d’azzardo mentre anche Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei ebbe a sua volta grossi problemi con le droghe, oltre a frequentare in gioventù gruppi dediti alle pratiche dello spiritismo.
E l’elenco potrebbe proseguire ancora. Con Maria Egiziaca (344-421) a lungo schiava del piacere sessuale, il coreano Agostino Yi Kwang-hon (1787-1839) che seppe liberarsi dall’alcol, la stessa Pelagia conturbante attrice vissuta nel V secolo. Figure, ovviamente, di cui non si vuole celebrare le debolezze ma la forza nel saperle affrontare, l’umiltà di riconoscere il bisogno d’aiuto, la sapienza di capire come ci sia qualcosa di più grande di sé stessi per cui valga la pena vivere. Non a caso il primo canonizzato “sicuro” della storia, come ha più volte detto papa Francesco, è il buon ladrone che dalla croce chiede a Gesù di portarlo con Lui in Paradiso. “Santi peccatori”, dunque, e non è un paradosso, perché nessuno è esente dalla tentazione del male, dalle sue lusinghe. A fare la differenza è il riconoscerlo e il decidere di combatterlo in nome dell’amore a Cristo e, di conseguenza, all’umanità. Nessuno si salva da solo vuol dire anche questo, che non conosciamo la luce della santità che potrebbe illuminare la vita in apparenza più misera, che l’unico giudizio che conta è quello di Dio, che a volte basta un piccolo appiglio per alimentare la speranza. Come il finale della «Leggenda del santo bevitore» con Joseph Roth che saluta così il protagonista del suo racconto: «Voglia Dio concedere a tutti noi, a noi bevitori, una morte tanto lieve e bella».