Iniziamo dalla prima
news trattya dai seguenti articoli :
A) http://www.atleticalive.it/22526/il-dramma-della-maratoneta-sicari-su-repubblica-mi-sento-morire-e-non-so-perche/
B ) http://www.osservatoreitalia.it/mobile/index.asp?art=7101
Il conto corrente a cui indirizzare le vostre donazioni è intestato a: Vincenza Sicari. IBAN: IT68B0709221900000000105881
E’ tutto il dramma della maratoneta Vincenza Sicari, costretta in un letto di ospedale con un male misterioso di cui ancora non si conoscono le origini, ma che non le darebbe le forze nemmeno di camminare. Queste le sue parole riferite a Capodacqua all’interno del pezzo:
“Sono qui in questo letto; non mi posso muovere; mi sento morire giorno dopo giorno e non so neppure il motivo”Vincenza Sicari, come viene spiegato su Repubblica, è una maratoneta più volte azzurra, appena 36enne, che al suo attivo vanta anche la partecipazione alle Olimpiadi di Pechino, proprio nella maratona (giunse 29ª con 2h33’31”), e con una partecipazione anche in Coppa Europa (nel 2008) sui 5000. Vincitrice della Turin Marathon nel 2008, e campionessa italiana nei 10.000 nel 2004.Ora, si spiega, sta combattendo la battaglia più dura della sua vita, ovvero quella con un male sconosciuto,
quella che viene definita una degenerazione neuromuscolare di cui non si comprenderebbero le cause. Il male la costringe a letto, senza poter aver le forze per alzarsi. Nell’articolo si spiega come si stiano cercando collaborazioni mediche specialistiche che non arriverebbero. E così questo è il suo lamento:
“Mi sento morire giorno per giorno senza poter fare nulla. Vorrei almeno sapere con certezza che ho”.Della vicenda si starebbe interessando anche il Presidente del CONI, Malagò. La degenerazione fisica sarebbe iniziata nel 2013: prima una spossatezza frequente, l’impossibilità di correre… anche di camminare, la scoperta di un tumore al timo, la successiva rimozione che non le avrebbe consentito lo stesso di alzarsi dal letto. Oggi, scrive Capodacqua, Vincenza Sicari pesa 40 kg. Questo si legge nel commento finale:
“Vorrei almeno fare tutte le analisi e le ricerche che possano portare ad una diagnosi, mi sento venir meno giorno dopo giorno. Non so se resisterò e fino a quando”.
VINCENZA SICARI: MORTE DI UNA CAMPIONESSA ABBANDONATA DA TUTTO E DA TUTTI
Questo è il titolo che tutti noi ci auguriamo di non dover mai leggere su di una pagina di giornale.
Vincenza Sicari, 37 anni due giorni fa, lodigiana, una splendida carriera alle spalle come maratoneta – ne ha vinte ben cinque, ventinovesima alla maratona olimpica di Pechino del 2008 – è ora inchiodata in un letto all’Ospedale di Pisa, aggrappata con disperata determinazione a quella vita che sente sfuggirle minuto dopo minuto, mentre un male sconosciuto la sta divorando. Ma di che cosa è malata Vincenza? Questa è la faccenda più straziante. Il fatto è che non si sa quale sia la terribile malattia che la sta distruggendo, e i medici in Italia hanno alzato bandiera bianca, dopo aver compiuto tutti gli accertamenti possibili. “Vi prego, - è il suo appello - aiutatemi. Il mio è un calvario, sto andando incontro alla morte. Ed ogni minuto che passa capisco che è una sensazione terribile…”. Nessun ospedale ha saputo darle una diagnosi. Né le Istituzioni, così pronte a polemizzare su farmaci ‘non conformi’ per fare gli interessi delle lobby, hanno risposto al suo appello.
Pare che fare le ricerche per una sola persona non valga la pena, non sia conveniente. “Le Istituzioni? Certo, ho sentito anche il ministro Lorenzin – le sue parole – mi ha detto di chiamare la direttrice sanitaria della Regione Toscana, ma qui non si muove nulla.” Nessuna voce neanche dal mondo dello sport. “Non ho ricevuto alcuna telefonata da parte della FIDAL, e quando ho chiamato il Centro Sportivo dell’Esercito, per il quale ho corso anche a piedi nudi e anche di notte, mi hanno risposto ‘Chiama Malagò’. Il presidente del CONI, almeno lui, ha capito, si è interessato. Gli avevano garantito la massima assistenza quando sono stata ricoverata a Roma, e invece nulla. E lui, mortificato, mi ha detto: ‘Cosa devo fare?’”
Il tempo passa, e Vincenza peggiora sempre più. Tutto questo è iniziato nel 2013, andava ancora bene, poi ha incominciato ad avere febbre, spossatezza, fino a che – lei, maratoneta – a non riuscire a camminare neanche per brevi percorsi. La prima diagnosi parla di ‘malattia degenerativa neuromuscolare’, ma niente di più. Viaggi in tutta Italia, in cerca di soluzione, invano. Anzi, a Roma le hanno anche detto che non poteva rimanere in ospedale, costava troppo per il Servizio Sanitario Nazionale – vedi i tagli sconsiderati e orizzontali – e il posto letto andava liberato.
Ciò che rimane è quella prima diagnosi e una TAC che parla di tumore al timo, nulla di più. Ora è a Pisa, ad aspettare chissà cosa, forse la morte, visto che ormai pesa meno di 40 chili ed è assolutamente immobile. Le rimangono la fede e la forza di volontà. E così Vincenza è costretta, come tanti altri in questo bel Paese, a rivolgersi all’estero. Solo che i mezzi per farlo non ci sono. Per questo lanciamo un appello per una colletta che le consenta di raggiungere un Centro in cui possano trattare la sua malattia in modo adeguato, mentre in Italia l’impressione è che ognuno abbia voltato la testa dall’altra parte, in attesa che accada l’irreparabile, e così ognuno potrà tirare un sospiro di sollievo, visto che la sua presenza è diventata scomoda per tanti. Chi può fare qualcosa per Vincenza, lo faccia subito.
Per poterla aiutare oltre ai
pensieri positivi, oltre che a pregare per lei, oltre che ad inviarle
messaggi solidarietà, presenza, è possibile fare una donazione al
seguente IBAN: IT68B0709221900000000105881 intestato a Vincenza Sicari
per contribuire alla ricerca e cercare di inviare le sue biopsie
all’estero e dare speranza per migliorare le sue cure.
LA SECONDA
Fiorano: «Nell’inferno di Bruxelles, ignorate dall’ambasciata»
La testimonianza delle due
ragazze dell’attacco terroristico a Zaventem. «Ci dicevano solo “in
bocca al lupo”: per tornare in Italia ci siamo arrangiate »
di Gabriele Bassanetti
FIORANO. «Eravamo da un hostess per farci stampare i biglietti per tornare in Italia quando una ragazza è piombata di fianco a me dicendo “voglio un biglietto adesso per andare a casa, c’è stata un’esplosione”. Una massa di gente ha cominciato ad arrivare correndo; dopo mezzora di confusione ci hanno fatto evacuare tutti con ordine fuori dall’aeroporto».
Stefania Ziribotti, insieme all’amica Silvia Ricci, entrambe fioranesi, si trovavano all’aeroporto internazionale di Bruxelles proprio nel momento dell’esplosione, di ritorno da un viaggio a New York. Sono arrivate a Milano la notte successiva, attese con preoccupazione dalle famiglie.
«Siamo atterrate alle 7,30 per fare scalo, ma per fortuna invece di uscire dal gate per poi rientrare dalla zona partenze, siamo rimaste dentro; il nostro gate era il più lontano dall’esplosione. Dopo circa 2 ore in un’area fuori dall’aeroporto ci hanno portati tutti con dei bus alla stazione dei treni, c’era molta confusione e paura, ci dicevano tutte cose diverse, noi abbiamo preso il treno per Leuven. Qui abbiamo aspettato tre ore in una piazza; la polizia ci ha detto di stare ai lati così nel caso fosse successo qualcosa sarebbe stato più facile scappare; qui abbiamo incontrato un’altra ragazza italiana, Sandra, che ci ha aiutate tantissimo. Dopo ci hanno messo per mezzora in una stanzina dove la gente del posto ci ha aiutato a trovare una sistemazione in un hotel lì vicino». Qualche tentativo di ottenere assistenza dall’ambasciata italiana, Stefania e Silvia l’hanno anche fatto, ma inutile: «Noi la sera ci siamo messe subito a cercare una soluzione per tornare a casa il giorno dopo. La Farnesina e l’ambasciata non ci hanno aiutato per niente, anzi l’unica cosa che ci dicevano era “in bocca la lupo” oppure “potete tornare a casa come volete, a vostre spese e a vostro rischio e pericolo”. Perciò noi la mattina dopo alle 6,30 abbiamo preso un treno da Leuven a Monaco e poi da lì abbiamo preso un aereo per Milano dove ci aspettavano i nostri genitori; anche l’altra ragazza è tornata a casa con noi».
I momenti di paura non sono mancati: «Passavo da momenti di panico – spiega Stefania - a momenti in cui mi dicevo, bene stai calma vai avanti che finirà tutto. Ci siamo rese meglio
conto dell’accaduto in hotel a Leuven, perché nel momento dell’emergenza pensi a troppe cose in una volta e vuoi solo andare via da lì». La mattina dopo il ritorno Stefania è già sul posto di lavoro, niente pause: «È inutile stare in casa a pensare e piangere: voglio tornare alla normalità».