unione sarda del 9\12\2013
Davanti a quel furgone fermo al centro della carreggiata, l'automobilista pensa a un incidente stradale. Schiaccia disperatamente il pedale dei freni, ma l'Audi 80 rossa finisce contro l'ostacolo improvviso. Una Golf bianca arriva alle spalle a chiudere ogni via di fuga. Dal camioncino tamponato sbucano due figuri in tuta mimetica, mascherati e armati. Altri tre complici si materializzano nel buio: la reazione si riduce a un pugno che però riceve come risposta un colpo in piena faccia sfrerrato con il calcio di un fucile. Inizia così, la sera di un venerdì maledetto, alle 20 del 9 dicembre 1994, il rapimento più lungo nella storia sarda. Giuseppe Vinci, 31 anni, è uno dei 14 nipoti di Daniele Vinci, maestro casaro che, trasferitosi a Macomer intorno al 1930, è partito da un negozietto di frutta e verdura per diventare nel giro di qualche decennio titolare di un gruppo leader nella distribuzione alimentare. Giuseppe (figlio di Lucio Vinci che con Venerando e gli eredi di altri due fratelli morti porta avanti la società), si occupa del supermarket di Santa Giusta, in provincia di Oristano, da dove sta rientrando il giorno del rapimento. Diplomato al Conservatorio e appassionato di musica classica, ricomparirà il 16 ottobre 1995
gruppo leader nella distribuzione alimentare. Giuseppe (figlio di Lucio Vinci che con Venerando e gli eredi di altri due fratelli morti porta avanti la società), si occupa del supermarket di Santa Giusta, in provincia di Oristano, da dove sta rientrando il giorno del rapimento. Diplomato al Conservatorio e appassionato di musica classica, ricomparirà il 16 ottobre 1995, dopo dieci mesi trascorsi con le cuffie alle orecchie e la musica di un mangianastri trasformata in rumore ad alto volume per impedire di captare gli altri suoni. Quasi 450 mila minuti da contare e ricordare uno per uno. Vissuti al buio, con quel cappuccio calato in testa, sorretto solo dalla speranza di riabbracciare il figlioletto di pochi mesi e la moglie Sharon Poletti, coraggiosissima, che tra l'altro fa commuovere tutta la Sardegna quando da Radio Barbagia apre la non stop di 24 ore contro i sequestri dedicando al marito la loro canzone, Margherita , di Riccardo Cocciante. Ricompare a Tortolì. Lo lasciano andare nei monti di Talana e lui sale su un pullman di linea: rilasciato ma non libero. Perché Giuseppe, come ha detto tante volte, oggi è ancora prigioniero: sarà libero e liberato solo nel 2023, quando i Vinci pagheranno le ultime rate dei due mutui concessi dalle banche per limitare gli effetti del tracollo commerciale conseguente all'esborso, in un unica soluzione di quattro miliardi e 250 milioni di lire, oltre due milioni e 200 mila euro di oggi. Una montagna di banconote, contenute in due sacchi di juta e un borsone, lasciati cadere da Lucio Vinci, il 9 ottobre del 1995 da un terrapieno al centro di Nuoro. Operazione-thrilling perché il padre dell'ostaggio teme soprattutto polizia e carabinieri: lo stesso Stato che tratta (e paga) per liberare i rapiti nelle zone di guerra, dal 1991 impone per legge il blocco dei beni dei sequestrati e dei loro familiari. I Vinci riescono a aggirare il divieto con gli incassi dei supermercati (un miliardo di lire), tremila milioni arrivano dal Consorzio di acquisto che anticipa i premi di produzione, il rimanente viene anticipato da amici. Ma i banditi, per evitare fatica e spese per il riciclaggio, ottengono l'impegno (che se non onorato sarebbe stato pagato con la vita da alcuni garanti), a non comunicare agli inquirenti i numeri di serie delle banconote: per essere sicuri di sfuggire ai controlli, oltre dodici milioni e mezzo di bigliettoni da centomila lire sarebbero stati cambiati almeno tre volte. «Il dopo del dopo è peggio del dopo», si legge nel libro Il prezzo de riscatto: storia di una famiglia, dal purgatorio all'inferno , scritto da Lucio Vinci per ricostruire la drammatica vicenda. E denunciare altri pessimi dopo: lo Stato pretende il pagamento di 718.549,07 euro perché i riscatti non si possono detrarre dagli utili, mentre oltre un milione e mezzo di euro vanno in interessi passivi alle banche. Alla fine il sequestro, sommando proprio dopo a dopo , è venuto a costare ai Vinci almeno quattro milioni e mezzo di euro. Nel 2004, a dimostrare che non è la povertà a provocare i rapimenti ma i rapimenti a generare povertà, il salvataggio a caro prezzo si conclude con la cessione a una catena nazionale di un Gruppo (11 supermarket e il grandecentro di distribuzione di Macomer) che dal 1991 nella grande distribuzione - conteggi di Lucio Vinci - aveva liquidato oltre 100 miliardi di lire in stipendi, contributi previdenziali, tasse e interessi bancari. Oggi Giuseppe Vinci gestisce un ristorante di successo, Sa Piola , nel quartiere di Stampace a Cagliari. Vorrebbe essere dimenticato, ma è prigioniero dei suoi ricordi. Almeno fino al 2023.
Michele Tatti.
Il sequestro di persona già angosciante di per se , ha delle conseguenze anche dopo , soprattutto a causa della legge del 1991 un intermediario diventa fiancheggiatore . Infatti
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Giuseppe Vinci, ex sequestrato, non uno tra tanti, ma l’ex sequestrato, racconta : «È stato troppo, un massacro per il mio cervello, ne sono uscito a pezzi. Ero infuriato con i miei per averlo permesso. Sono stato in analisi, ma non mi è servito: due volte la settimana mi sdraiavo su un lettino e non riuscivo a dire a niente. Qualche volta ho avuto a che fare con gli psichiatri. Per due anni non ho dormito. Purtroppo sono un ex sequestrato e lo rimarrò per sempre». Vinci è il sequestro più lungo della storia dell’anonima e di certo uno dei più sofferti.
Non parla spesso Giuseppe, ma nella sua ultima intervista racconta un particolare scioccante: a Macomer, il liceo dove studia il figlio ha invitato ad un’assemblea un bandito, uno dei principi dell’Anomima Sequestri: Graziano Mesina. E’ stato troppo per il figlio di Giuseppe che se ne è andato dall’aula magna. (,,,)
da
http://mediterranews.org/2012/01/lanonima-sequestri-ha-distrutto-i-vinci-che-ancora-estinguono-i-debiti-del-sequestro/