Secondo i miei in esso ci sarebbero << RICHIAMI A FEDERICO FELLINI ED ETTORE SCOLA
Meno barocco rispetto ai film precendenti di Sorrentino, La grande bellezza ha molti punti in comune con il cinema di Federico Fellini e con i suoi Roma e soprattutto La dolce vita, a partire dall'elemento comune che hanno entrambe le opere: il protagonista osservatore. Come nel capolavoro di Fellini, Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1960, Jep Gambardella è soprattutto un osservatore del mondo esterno che diventa la principale ragion d'essere del film (è solo in un secondo momento che, attraverso una serie di colpi di scena e di ragioni legate alla sorte, Jep si ritrova ad affrontare anche un percorso personale). A differenza del personaggio di Marcello Rubini, interpretato da Marcello Mastroianni in La dolce vita, Jep Gambardella è più anziano ed è profondamente deluso dal suo rapporto con la creatività. Scrittore costantemente preoccupato per la sua biografia artistica alla deriva, Jep si ritrova a vivere tra le schiere di un'alta società in cui conversare è solo un rumore di fondo e il pettegolezzo è ridotto a meschinità istintiva. >> ( da http://www.filmtv.it/film/52594/la-grande-bellezza/ ) Infatti
In La grande bellezza vi è la presenza di un cardinale che pensa solo a provare ricette di cucina. Più che una critica alla Chiesa, si tratta piuttosto di una critica alla propagazione della cultura del cibo e della cucina gastronomica anche nei luoghi più inaspettati, come quelli dedicati alla spiritualità.
Sono inoltre presenti molte allusioni a Flaubert e al sentimento del nulla. La scelta di inserire tali rimandi in Sorrentino è stata dettata dal ricordo delle parole dello scrittore e regista Mario Soldati, che era solito dire che «Roma è la capitale che più di ogni altra comunica una sensazione di eterno: ma cosa è
l'eternità se non il sentimento del nulla?».
l'eternità se non il sentimento del nulla?».
Le feste in serie, interminabili, i freak, le citazioni frivole, la noia, lo struscio, la stronza attrice che sta scrivendo un libro, l’attore che ama Proust ma anche Ammaniti, il pazzo, il poeta, il venditore puttaniere, il vescovo papabile esorcista che parla solo di cucina, la tardona, il provinciale, l’artista concettuale senza concetto, i nobili a noleggio, le suore, le signore, la donna madre che vanta il suo impegno civile e famigliare scordando di citare l’aiuto del partito e dei domestici. Un film partito , bene che sembra promettente , ma poi è come definiscono ( non biasimandoli ) sempre su filmtv , di una mediocrita . Un film , pesante , ampolosso , prolisso che si disperde in mile rivoli senza arrivare a niente . Infatti ha ragione
Centocinquanta lunghissimi minuti per teorizzare, descrivere, rappresentare l’umanità variamente avariata e le miserie che in essa vi albergano e gli abissi che ne inghiottono la spenta plumbea esistenza.
Terra regina del risucchio bramoso Roma, la città eterna(mente insozzata deturpata dalle infestanti presenze addobbate a loro insaputa a simulacri della stoltezza). Landa desolata eppure (o proprio perché) traboccante individui in perenne stato di schizzata (auto)affermazione e di alterato (auto)isolamento (da se stessi, innanzitutto).
Limbo viscoso tra gloria e decadenza, Roma è una puttana antica dalle grazie marcescenti, la cui grande immensa bellezza è ridotta a giaciglio sepolcrale per l’ingorda funesta manifestazione della (post)modernità.
Centocinquanta comatosi minuti per irridere la (sovrana) sciocca mondanità, e tutti gli elementi (vivi o morti o inanimati o fulminati che siano) che ne definiscono la grassa aura e l’intorpidente struttura esclusiva ed escludente. E quindi si aprano le danze: le nottate festaiole, i festini, le sniffate di droga, le iniezioni di botulino, le sfilate di cafoni e radical chic (gli odierni freaks), l’arte contemporanea che affoga nella vacuità, le ampie terrazze che si affacciano sul Colosseo, i trenini dell’amore (e della morte), i turisti, i nobili a noleggio, i religiosi a mollo (nel medesimo mefitico calderone) …
L'ironia facile colpisce fiera obiettivi facili facili. Nel mentre, l’incredibile innesto di spiritualità spicciola è stridente come gli insistiti acuti di un castrato ad un funerale.
Centocinquanta vaporosi minuti filtrati dall’ottica d’un tizio vizioso e ozioso, Jep Gambardella (s’immaginino gli sforzi per escogitare, ancora una volta, generalità strane, particolari), reuccio del submondo mondano, che comincia a nutrire dubbi, a porsi questioni sul senso della (sua) vita e del tutto. Annoiato, cinico, disilluso, arguto, la battuta sempre pronta, un codazzo di fedelissimi al seguito, un troiaio a disposizione ovunque: chi è (stato), cosa pensa, e dove vuole andare Jep?
Domande (e potrebbero essercene un’altra decina, una più banale dell’altra) che giungono alla stessa mesta conclusione: a chi interessa?
[se non, naturalmente, al gran burattinaio e all'operoso burattino].
Centocinquanta minuti infarciti di palese boriosa eleganza e indubbia abilità nel comporre inquadrature e pose, nell’ottenere un’estetica ricercata e certamente bella, intensa e satura (direttore della fotografia è il bravissimo Luca Bigazzi), nel frullare soavi musiche sacre e becere robacce disco dance (perlopiù invadendo se non ammorbando), nel cantare le funebri gesta di un disfacimento e un degrado morale ancor prima che fisico. Nel cantarsele e suonarsele, invero, giacché l’opera del pretenzioso Paolo Sorrentino è un (lunghissimo) esercizio di stile che ne svela bellamente la presunzione.
Centocinquanta minuti, o giù di lì, per non dire nulla e per non raccontare null’altro che una furbesca serie di ovvietà, imbellettate a dovere (e piacere del gran cerimoniere).Fatalmente riutilizzabile la “clamorosa” rivelazione finale: «è solo un trucco». >> da di filmtvM Valdemar scritta il 21/05/2013 -
Un film soporifero , si poteva rissumere massimo in 90 minuti , con delle buone idee e ottime descrizione di un italia culturamente in decadenza ,. ma mal applicate . a me Servillo è piaciuto molto di più in VIVA LA LIBERTA'.