La sigla dice poco: Ufficio notifiche esecuzioni protesti (Unep). Poco perché dietro ci sono storie quasi sempre difficili. L'Unep è la sede degli ufficiali giudiziari, cioè quel braccio disarmato della Giustizia che notifica ed esegue sgradevolissimi effetti collaterali delle sentenze: sfratti, pignoramenti. Per portarli a termine qualche volta serve l'aiuto dei carabinieri. Altre volte invece va molto peggio. Per esempio, quando l'ufficiale giudiziario trova il debitore appeso alla trave di un soffitto.Germana Secci, 42 anni, due figlie, non ignora che la sua è una professione ad altissimo rischio, qualcosa che magari ti lascia - a missione compiuta - una pietra sullo stomaco: non sempre si riesce a digerire la povertà fingendo di non vederla. Ad una come lei succede invece di doverci fare spesso i conti, strappare veli che dignità e pudore cercano di nascondere agli altri. Ma succede anche di andare in case dove dei pignoramenti se ne infischiano. Case di ricchi, nullatenenti cronici, per niente intimoriti dal verdetto di un processo. Gente che, appena vede l'ufficiale giudiziario, porge sprezzante la cornetta del telefono: le dispiace parlare col mio avvocato? È in linea.
Qualche dato per capire di quale giungla stiamo parlando: nel “mandamento” di Cagliari (che comprende 52 Comuni), l'Unep ha eseguito nel 2012 quasi novemila esecuzioni forzate e consegnate circa 150mila notifiche destinate a duecentomila persone. Il capo dell'Ufficio (Elena Manca) deve barcamenarsi con una pianta organica che prevede oltre cinquanta addetti mentre in realtà ne ha appena 40. E quasi tutte donne.
Nelle chiacchiere da bar, l'ufficiale giudiziario è sempre stato rigorosamente maschio, tendenzialmente sadico, sicuramente spietato. A riprova, si racconta tuttavia anche di quel poveretto imprigionato per ore da un debitore disperato, di quell'altro che entrava nelle case con la grazia d'una ruspa. Germana Secci, che è approdata a questo mestiere nel 2005, è piuttosto scettica sulle leggende che avvolgono colleghi del passato. Sa di fare un lavoro non semplicissimo ma lo vive con passione perché la mette in contatto con mondi inimmaginabili. «E se hai un minimo di sensibilità non puoi far finta di niente». Pericoli? In teoria ci sono di sicuro ma nella politica del giorno per giorno gli episodi di tensione si contano sulle dita di una mano. Sarà perché il mestiere ha cambiato genere (passando la mano quasi per intero alle donne), sarà perché i morsi della crisi non consentono più esibizionismi. O forse soltanto perché è mutato l'atteggiamento, il modo di relazionarsi e di essere di quelli che un tempo erano incolpevoli e detestatissimi servitori dello Stato.
Poche categorie vantano un collega sequestrato.
«Nel nostro lavoro è piuttosto difficile separare la verità dei fatti dalle leggende, che sono tantissime. Non so nulla di qualcuno imprigionato da un debitore. Quand'è accaduto, negli anni '80? Stavo da tutt'altra parte».
Vuol negare che in passato siete stati considerati mastini della Giustizia?
«Raccontano di colleghi che, durante i sopralluoghi, lanciavano i materassi dalle finestre, frugavano dappertutto con brutalità, senza rispetto. Gran parte di queste storie però è fatta di pura fantasia».
Sbagliato definire il suo un mestiere odiato?
«Può darsi che lo sia, però ci offrono il caffè. La settimana scorsa ne ho bevuto uno buonissimo con un signore a cui avevo appena pignorato l'auto. I tempi sono cambiati, non sempre i giornali se ne accorgono».
Falso dire anche che il suo lavoro genera ansia?
«L'ansia c'è, non si può negare, ma non per le ragioni che pensate. C'è perché succede di avere a che fare con persone che hanno problemi mentali, che magari non sono perfettamente lucide o minacciano di farsi del male. E questo rende tutto più difficile».
Le è mai capitato?
«Sì. Mi è successo con una donna, diceva di volersi suicidare. Il fatto è che noi operiamo molto spesso in aree di grande disagio, entriamo in case che non t'aspetti, case in cui si mangia dove si dovrebbe dormire e viceversa, case dove si accumulano immondizie di mesi».
Per questo andate a pignorare scortati dai carabinieri.
«Chiediamo aiuto ai carabinieri solo in certi casi, e cioè quando sappiamo che è necessaria la presenza di una divisa per attenuare la tensione. Comunque, si lavora meglio da soli. Sembrerà strano ma spesso rende tutto più semplice».
Fate i conti con una città sommersa, inedita.
«Certo, e piena di sorprese. Se entro in un alloggio popolare, so grosso modo che ambiente troverò. Ma accade invece che nell'abitazione di un impiegato, di un dirigente, diciamo pure di un insospettabile, ci siano situazioni devastanti».
Degrado?
«Pavimento disseminato da bottiglie di birra vuote, dalla sensazione di una vita lasciata andare fra sporcizia e abbandono. L'ansia è anche quella che, dopo aver visto certe cose, ci portiamo a casa. Dietro un banale pignoramento si può scoprire un incredibile carico di sofferenza. E questo, se non si è automi, non può lasciare indifferenti».
Che ne dicono in famiglia?
«Condividiamo la parte più difficile del nostro lavoro con i colleghi, meglio non coinvolgere le famiglie. C'è da dire però che, insieme a tutto questo, qualche volta c'è anche da divertirsi. Magari per una battuta, per uno strafalcione. Mi ricordo la nonna di quel pignorato che diceva: mio nipote non c'è, è in carcere, non l'hanno fatto uscire manco con l'adulterio» .
Essere un ufficiale donna complica le cose?
«Al contrario. In un certo senso, le facilita. Noi donne spesso riusciamo a suscitare empatia più facilmente. Tra donne poi basta guardarsi negli occhi per stabilire un buon rapporto».
E con gli uomini?
«Parlo della mia esperienza: nessun problema. C'è rispetto. L'unica volta che ho subìto, come dire?, un comportamento pesante è stato in occasione dell'asporto di un mezzo. Non è stato necessario far intervenire la forza pubblica nel senso concreto della parola, ma quasi».
Farebbe un altro mestiere?
«Sono stata cancelliere per molti anni nelle segreterie della Procura della Repubblica. Preferisco il lavoro di oggi perché mi consente di misurarmi con la realtà di tutti i giorni, scovare facce della vita che non riuscirei nemmeno a immaginare. E quando assisto a certe scene di degrado mi torna sempre in mente la frase d'una vecchia cantante, Ombretta Colli».
Che ha detto di così indimenticabile?
«In un'intervista ha dichiarato sicura: chi nella vita non ha mai fatto una vacanza in barca? Mi piacerebbe portarla in giro con me per una settimana».
Mai provato imbarazzo?
«Imbarazzo, perché?»
Perché magari s'è resa conto che stava portando via davvero tutto.
«Non dimentico mai che sto soltanto eseguendo quanto disposto da un giudice. Bisogna inoltre considerare che qualche volta dall'altra parte, cioè da parte di chi ha chiesto il pignoramento, c'è un operaio che non vede il salario da mesi».
Scegliete cosa pignorare o si va a naso?
«Abbiamo vincoli precisi. Si parte dagli oggetti preziosi per arrivare al resto badando a selezionare tutto ciò che abbia facile commerciabilità. Controlliamo cassetti e armadi chiedendo di solito al padrone di casa di farlo lui per noi: è terribile metter mano nell'intimità di una persona».
Violenze, minacce?
«In determinati momenti certe frasi scappano: cosa faccio, prendo una pistola e ammazzo tutti, compreso l'ufficiale giudiziario? Basta fingere di non sentirle».
Il rischio peggiore che ha corso?
«Nessuno di veramente serio, a essere sincera. Devo dire comunque che la tensione più angosciante l'accuso di solito quando faccio uno sfratto per assegnazione di casa coniugale, cioè nei casi in cui un giudice dispone che la casa venga affidata alla moglie. E il marito, che è magari lì, se ne deve andare...»
... per scoprire poi come si dorme in macchina.
«Qualche volta, sì. E sono momenti estremamente difficili».
Ricorda la prima volta?
«Non la primissima ma non posso dimenticare un pignoramento in un appartamento di via Emilia. Mentre eseguivo l'operazione, la padrona di casa piangeva: aveva paura che tornassero i figli da scuola e capissero cosa stava accadendo. Altre volte mi hanno chiesto: per favore, se arriva mio marito dica che è una signorina per gli abbonamenti Sky, lui non sa nulla».
Come selezionate i casi in cui servono i carabinieri?
«Dalla prima reazione dei pignorati. In genere li chiamiamo se c'è una sorta di resistenza, se - per esempio - ci sbattono la porta in faccia».
Scusi, ma lei va sola a fare le esecuzioni forzate?
«Certo. E succede che mi ritrovo davanti una moglie ignara che non ti apre perché non si fida, perché non sa assolutamente niente di quel che ha combinato il marito e quindi pensa a una trappola da truffatori porta a porta».
In caso di sfratto, si deve andar via subito?
«All'istante. Debbono lasciare la casa proprio di fronte a noi».
Aneddotica d'ufficio.
«Niente di che. Succede di colleghe che sono state trattenute a casa dei pignorati. Un giro di chiave e adesso lei non esce di qui finché non arrivano gli assistenti sociali».
Frequentate corsi sulle tecniche di avvicinamento?
«No, impariamo dall'esperienza. Facciamo in modo che l'impatto sia più lieve possibile. Fermo restando che dobbiamo rispettare il codice, da lì non si scappa. Ho visto carabinieri fare gli assistenti sociali, aiutare e reggere le buste di persone a cui avevamo notificato lo sfratto».
Le piace questo mondo?
«No. Lo trovo iniquo, profondamente ingiusto, con poche prospettive, cinico».
Tra i vostri clienti ci sono anche i truffatori abituali.
«Certo, e sono tanti. Alcuni di loro se ne fanno un vanto. Gente che dice: non ho problemi di soldi ma lei qui non può toccare uno spillo, gli avvocati li ho anch'io».
Insomma, i furbetti del pignoramento.
«Sono quelli che noi chiamiamo debitori seriali».
Pure ricchi, giusto?
«Talvolta anche ricchissimi. Ma nullatenenti. Gente che appare e scompare tra i registri di società che falliscono. È successo che mi abbiano sfidato: sta perdendo il suo tempo, dottoressa. Guardi qui. Tra le persone che incontriamo, di solito sono quelle più sgradevoli».
Cioè?
«Hanno una cartellina dov'è certificato che non possiedono nulla. Ragione per la quale, anche se abitano in un appartamento milionario, non gli puoi sottrarre uno spillo».
Un pignoramento può rovinare un'esistenza?
«Un pignoramento immobiliare senz'altro, uno mobiliare probabilmente no».
Portate via la roba che pignorate?
«Non sempre. Possiamo lasciarla in custodia al debitore».
Le è capitato di non sapere cosa pignorare perché non c'era proprio nulla?
«Tantissime volte. Mi si stringe il cuore quando m'accorgo che invece il debitore crede di possedere roba di valore. Ricordo una signora dell'Est: aveva un armadietto di stoffa con la cerniera-lampo, roba da quattro soldi. Eppure mi ha implorato: la prego, questo no, non me lo porti via» .