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27.8.16

ritorniamo al passato o meglio integriamolo con il presente ovvero pensiare globale agire locale cioè un economia di decrescita

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 c'è qualcuno che  applica  o almeno ci prova  a  pensare locale  agire locale

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 da  repubblica  del 26\8\2016


Basta consumismo, riappropriamoci del tempo". Budapest festeggia la decrescita
A Budapest sono diverse le iniziative che promuovono uno stile di vita sostenibile. Come Cargonomia, punto d'incontro tra tre piccole imprese “ecocompatibili”, che si occupano di cibo e consegne. O Átalakuló Wekerle, un'associazione di quartiere impegnata  in diverse attività: dall'isolamento delle finestre al compostaggio. Non a caso, dal 30 agosto al 3 settembre, la capitale magiara ospiterà la quinta Conferenza internazionale sulla decrescita Dal 30 agosto al 3 settembre la capitale magiara ospita la quinta conferenza internazionale dedicata al movimento. Un'occasione per riflettere sulla sostenibilità del nostro stile di vita

BUDAPEST - A Cargonomia, punto d'incontro tra tre piccole imprese "ecocompatibili" attive a Budapest, è appena arrivata una cassetta di uova fresche. È stata poggiata a fianco delle particolari bici cargo a tre ruote progettate per scorrazzare in città, consegnando frutta e verdura. "Ce l'ha inviata un amico che sta implementando una cooperativa", dice Vincent Liegey, ricercatore francese ora di base in Ungheria, e uno dei coordinatori del progetto. "In cambio domani potremo offrirgli un servizio di trasporto con le nostre bici, oppure aiutarlo a fare delle riparazioni in fattoria. Difficile spiegare che cosa sia esattamente questo posto se non un'esperienza economica alternativa basata non sul profitto né sullo scambio, ma sulla reciprocità".
"Basta consumismo, riappropriamoci del tempo". Budapest festeggia la decrescita

un anarchico silenzio, all'interno della capitale magiara c'è una città decrescente che, quasi per paradosso, si allarga. Contrasta i messaggi divisivi di Viktor Orbán, attuale primo ministro del paese, ma anche quelli di molti altri leader europei. Perché promuove altri modelli di vita, costruiti sulla collaborazione. Non a caso qui, dal 30 agosto al 3 settembre, si terrà la quinta conferenza internazionale sulla decrescita. L'ultima, a Lipsia, è stata un boom: oltre tremila le persone coinvolte, provenienti da 74 paesi. "Quest'anno sarà particolarmente interessante per due ragioni", prosegue Liegey, che è anche tra gli organizzatori della manifestazione. La prima: "L'Ungheria ha vissuto il violento collasso dell'Unione Sovietica, uno stato centralizzato, implementazione dittatoriale di una buona idea. E dato che anche la decrescita nasce dalla teoria, penso che sia una buona occasione per imparare dagli errori passati e per facilitare il dialogo tra est e ovest. La seconda è che qui non c'è stato lo stesso sviluppo che ha caratterizzato l'Occidente, però ci sono ugualmente molte attività solidali ben funzionanti"





Tutte coinvolte nei due eventi paralleli in programma: in cinquecento parteciperanno alle conferenze pensate più per addetti ai lavori, mentre al festival - con workshop, discussioni aperte, esibizioni artistiche - si aspettano migliaia di curiosi. Pronti ad assaggiare cibo biologico e a imparare trucchetti utili a risparmiare nella vita domestica. L'obiettivo è indurre tutti a porsi delle domande: che cosa sono crescita e sviluppo?; è possibile avere una crescita infinita su un pianeta finito?. Gli stessi quesiti che circa quindici anni fa hanno caratterizzato gli esordi di ciò che Liegey definisce un modo di pensare "interdisciplinare e multidimensionale": "Ci sono tante strade per la decrescita quante persone 'decrescenti'", puntualizza, "infatti, non si tratta un movimento che ti dice cosa fare, bensì ti invita ad abbandonare la logica dell'ottenere sempre di più, a riappropriarti del tempo, come di una stile di vita sostenibile e pieno di significato".






Un mutamento che, secondo l'attivista, è necessario adesso più che mai. "Oggi stiamo fronteggiando il collasso della società occidentale, fondata sulla convinzione che la crescita permetta di risolvere i conflitti sociali. Un falso mito, perché le risorse fisiche sono limitate. Gli effetti sono sotto i nostri occhi: il cambiamento climatico, la perdita delle biodiversità e via discorrendo. Ma c'è anche un limite culturale. Nonostante il consumismo, non siamo più felici: c'è un alto livello di stress, un alto numero di suicidi, di violenza e sfruttamento". Per modificare il corso corrente basta poco. Qualche esempio: si può lasciare il proprio lavoro in banca e investire in una fattoria, fare la spesa in un negozio di prodotti a chilometro zero  o mangiare meno carne. Basta questo a rendere più felici? "A me sì", ribatte Liegey.





A Wekerle estate, nel XIX distretto di Budapest, sono partiti dal cibo buono. Arrivando qui dal centro, sembra di addentrarsi in un villaggio d'altri tempi. Case basse con giardino e biciclette a ogni angolo. "La zona è stata disegnata per accogliere le persone che si sono spostate in città dalla campagna. L'idea era quella teorizzata dall'inglese Ebenezer Howard: un mix proporzionato tra agricoltura, industria e abitazioni", spiega Tracey Wheatley che fa parte di Átalakuló Wekerle, un'associazione di quartiere impegnata a promuovere diverse attività









dall'isolamento delle finestre al compostaggio. "Abbiamo cominciato dal mangiare: perché il pane saporito fatto con grano coltivato senza pesticidi, per dire, è qualcosa che viene capito in fretta da tutti", racconta, "ma, in sostanza, ciò che stiamo facendo è lavorare sulla cooperazione, la tolleranza e l'auto organizzazione. In modo da spingere le persone a guardare fuori dal proprio piccolo mondo, a lavorare insieme e fidarsi degli altri".

  che sia  la  via   da  intraprendere o  per  chi l'applica  sia la  via  giusta   c'è  il fatto che sempre  da  repubblica   online  d'ieri   si legge  questa news


Le birre artigianali mettono alle strette i colossi: 5.500 tagli per AB Inbev

La società belga pianifica uno sfoltimento del 3 per cento della forza lavoro complessiva, nei tre anni successivi alle nozze con SABMiller. I gruppi del largo consumo generalista corrono ai ripari per diminuire i costi
MILANO - Troppi dipendenti nel gigante della birra Anheuser-Busch InBev, che è convolato a nozze miliardarie con la concorrente SABMiller per creare un colosso della bevanda apprezzata in tutto il mondo. La società si aspetta di tagliare il 3 per cento circa della sua forza lavoro complessiva nei tre anni successivi alla fusione, in una mossa mirata proprio a massimizzare le sinergie (più prosaicamente i risparmi) date dall'unione dei due maggiori birrifici al mondo.
Secondo le informazioni dettagliate in un documento pubblicato in merito all'acquisizione, la cura dimagrante dovrebbe esser attuata in maniera graduale, per fasi. Alla fine del processo, però, 5.500 posti di lavoro dovrebbero essere cancellati, secondo quanto ha riportato una fonte anonima a conoscenza della materia alla Bloomberg.
I tagli al personale rientrano in una strategia da 1,4 miliardi di dollari di risparmio annuo che AB InBev si aspetta di riuscire a realizzare, a valle della fusione. Tutti i birrifici che hanno in portafoglio marchi destinati al largo consumo stanno d'altra parte cercando di tagliare i costi di produzione e distribuzione, messi sotto pressione dalla crescita dei piccoli birrifici indipendenti, tanto in Europa che in Nord America. SABMiller soltanto, l'anno scorso, ha raddoppiato il suo obiettivo di risparmi a 1,05 miliardi di dollari entro il 2020.   Secondo AB InBev, che resta il maggior produttore al mondo, the world’s largest brewer, i tagli sono per altro limitati ad alcune aree e non includono ad esempio la divisione delle vendite, dove non sono stati ancora sviluppati piani

di integrazione a causa dei vincoli da parte della Autorità di regolamentazione. La compagnia ha perl specificato che il quartier generale di SABMiller verrà integrato al proprio - che si trova in Belgio, a Leuven - così come avverrà per il management office a New York.




14.11.13

La sfida di Carlo Petrini:«Mangiare pulito e sano Un diritto per tutti»"Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione (Giunti, pagine 192, 12 euro).



da  la nuova sardegna del  13\11\2013


Il padre fondatore di Arcigola, Slow Food e Salone del Gusto spiega il rapporto tra ambiente alimentazione e giustizia sociale
di Pasquale Porcu Accendi la tv e a qualunque ora del giorno e della notte trovi qualcuno che spadella,
assaggia, pontifica di cibo. Ma tutto questo aspetto parascientifico, ludico e leggero dell’argomento “mangiare”, raramente si incrocia con gli appelli che vengono da quanti (sempre di più) non hanno da mangiare. O con il grido d’allarme che sale dal mondo delle campagne, dove contadini e allevatori vivono ormai in condizioni sempre più difficili, a causa dei fatti dell’economia o delle emergenze ambientali. Se si pensa bene ai paradossi del mondo alimentare, insomma, si rischia quasi di impazzire. Meno male, in tutti questi anni, che un personaggio come Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, ci è venuto in soccorso dandoci il filo rosso da seguire per capire l’ universo magico e contradditorio del cibo. Il libro L'ultimo contributo che ci regala Petrini è da qualche giorno in libreria. Si intitola "Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione (Giunti, pagine 192, 12 euro). Petrini sostiene che nel corso dell'ultimo trentennio nel mondo del cibo c'è stata una vera e propria rivoluzione. Ma ogni rivoluzione che si rispetti libera energie e genera cambiamenti importanti. Una tesi che farà discutere, non abbiamo dubbi, che Carlin (come lo chiamano i suoi amici) espone facendo ricorso alla sua storia personale, che si sovrappone a quella dell'Arcigola, di Slow Food, del Salone del Gusto e di Terra Madre. Quelle teorie che enunciate alla fine degli anni Ottanta potevano apparire quelle di un Guevara dell'alimentazione si sono diffuse ora in tutti i
continenti contribuendo a creare un movimento, riconosciuto da autorità politiche, accademiche e religiose (apprezzato pubblicamente anche da Papa Francesco) dal quale nessuno ormai può più prescindere. Dalla terra alla tavola «No, non il mangione che non ha il senso del limite e gode di un cibo solo quanto più è copioso o quanto più è proibito_ scrive nel libro Petrini-. No, non lo stolto dedito ai piaceri della tavola che se ne infischia di come un cibo è arrivato al desco. Mi piace conoscere la storia di un alimento e del luogo da cui proviene, mi piace immaginare le mani di chi l'ha coltivato, trasportato, manipolato, cucinato, prima che mi venisse servito». «Vorrei che il cibo che consumo– precisa l’autore– non privi di cibo altri nel mondo. Mi piacciono i contadini, il loro modo di vivere la terra e di saper apprezzare il buono». E ancora: «Il buono è di tutti; il piacere è di tutti, poiché è nella natura umana. C'è cibo per ognuno su questo Pianeta, ma non tutti mangiano. Chi mangia, inoltre, spesso non gode, ma mette benzina in un motore. Chi gode, invece, spesso non si preoccupa d'altro: dei contadini e della terra, della natura e dei beni che ci può offrire». Il cibo e il porno E poi una considerazione anche su come si consuma il cibo. Petrini lo paragona al porno, vale a dire al sesso consumato ma senza amore. «Pochi– afferma Petrini – conoscono ciò che mangiano e godono per tale conoscenza, fonte di piacere che unisce con un filo rosso l'umanità che la condivide». «Sono un gastronomo,– dice – e se vi vien da sorridere, sappiate che non è semplice esserlo. È complesso, perché la gastronomia, considerata una Cenerentola nel mondo del sapere, è invece una scienza vera, che può aprire gli occhi. E in questo mondo d'oggi è molto difficile mangiare bene, ovvero come la gastronomia comanderebbe». Cibo sì, dunque: Ma libero dagli estetismi modaioli degli anni Ottanta e libero dalla fame di chi non ha da mangiare. Diecimila orti La sfida, oggi, è in America Latina e in Africa con il progetto di 10 mila orti da realizzare. Ormai la scommessa da vincere coinvolge tutto il pianeta. E per questo diventa subito progetto politico che ha dimensioni planetarie. Ma non c’è da scoraggiarsi. Lo dice anche la storia recente. Ricordate il 1986? Era l’anno della scandalo del vino al metanolo. Un imbroglio che ha dato un colpo mortale all’enologia del Belpaese. Il metanolo «Ho ancora nitida negli occhi la visione di Beppe Colla, allora presidente del Consorzio di tutela Barolo Barbaresco, – racconta Petrini nel libro – che piange in televisione dopo lo scandalo del vino al metanolo. Un pianto mal trattenuto, fiero ma disperato. In quel momento – erano i primi di aprile del 1986 – sembrava davvero finita per tutto il comparto del vino italiano. I blocchi alle dogane e un tracollo d’immagine portarono a chiudere l’anno con un calo del 37% nelle esportazioni e una perdita di un quarto del valore per l’intero settore. Fu impressionante viverlo in Langa, vicino a tanti amici produttori. In quel pianto pubblico di Beppe Colla non c’erano solo la disperazione per l’onta intollerabile e per il profilarsi di una grossa perdita economica, c’era molto altro. E dopo quasi trent’anni mi è ancora più evidente».Quel disastro, come sappiamo, cambiò per sempre (in meglio) il vino italiano e la sua immagine. Non è successo altrettanto con altri scandali (per esempio l’inquinamento da atrazina nella Pianura Padana di cui si parla nel libro). Una nuova sensibilità Vero è, comunque, che le riflessioni avviate su quei fatti da una serie di associazioni (a iniziare ovviamente da Slow Food) hanno contribuito a creare una maggiore sensibilità sul rapporto tra cibo e ambiente. «Questo insieme di valori oggi – scrive Petrini – è di grande attualità: c'è chi si è specializzato nel promuoverli o difenderli anche solo in parte, ma pochi colgono la portata dell'insieme, la preziosità dei collegamenti nascosti. La nostra visione è invece olistica, onnicomprensiva e complessa». «Non si può guardare al cibo da un solo punto di vista, inseguendo unicamente e separatamente il buono, il pulito o il giusto– osserva Petrini –. Ma c'è anche chi era ossessionato dal buono e ha fatto passi in avanti verso il pulito, chi voleva soltanto il giusto o il pulito ma si è poi accorto di quanto fosse importante il buono». Il libro del padre di Slow Food lancia un messaggio di speranza. Non solo, insomma, qualcosa si muove. Ma, come affermava tempo fa Edgar Morin su Le Monde, «tutto è già ricominciato». Anche se la strada per arrivare a un cibo “pulito, sano e giusto” è ancora impervia.

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