di cosa stiamo parlando
repubblica 4\7\2021
"Quei 13 minuti al telefono con l'uomo che ha sparato al padre". Il racconto dell'agente Sara: "Così l'ho convinto a consegnarsi" Venerdì pomeriggio, un tentato omicidio nel quartiere Cep dopo l'ennesimo litigio. Il genitore voleva indietro la casa. Dopo il colpo di pistola, l'uomo si è barricato in casa
di Salvo Palazzolo
«Al telefono urlava: “Ho sparato a mio padre. Ho ancora la pistola in mano”. E in sottofondo sentivo i pianti di una donna e di un bambino. In una manciata di secondi, ho dovuto trovare il modo per entrare in relazione con quell'uomo. Intanto, facendolo calmare». Sara è abituata a conoscere le persone dalla loro voce, è una delle poliziotte della centrale operativa della questura. Venerdì pomeriggio, è stata lei a rispondere a Emanuele Presti, il ventinovenne che ha telefonato al 112 subito dopo avere sparato al padre dal balcone, al termine dell’ennesima lite.
«Era parecchio agitato — racconta la poliziotta — mentre i miei colleghi e l’ambulanza correvano verso via Barisano da Trani, al Cep, io dovevo cercare di fargli posare quell’arma».Questa è la storia di un uomo disperato. E della donna che l’ha tirato fuori dal baratro in cui era finito. Una storia racchiusa in una telefonata durata 13 minuti. «Interminabili», dice Sara. E il finale non era affatto scontato. «Perché l’uomo continuava a tenere in mano quella pistola, mentre dalla finestra guardava il padre riverso in una pozza di sangue, gravemente ferito». Emanuele Presti, disoccupato con precedenti penali per porto abusivo d’arma e resistenza a pubblico ufficiale, ha sparato al padre Giuseppe che continuava a insistere per riavere indietro l’appartamento del Cep. «Al telefono urlava ancora: “Vuole buttare fuori di casa me e la mia famiglia. E io cosa farò?”».
Sara ha iniziato a dare del “tu” ad Emanuele. «A quel punto era necessario stabilire un rapporto di fiducia con questa persona esasperata — spiega — gli ho detto: “Ascoltami, seguimi, io sono qui per aiutarti. Innanzitutto, pensa a un posto sicuro dove puoi conservare la pistola, in modo che nessuno si faccia male”. Per un attimo non ha detto più nulla, poi mi ha risposto: “L’ho messa in un cassetto”. E ha rilanciato: “Ora, cosa faccio?”».Sara, assistente capo dell’Ufficio prevenzione generale della questura, racconta che le parole degli uomini che si sono persi nelle strade di Palermo sono un filo sottilissimo, può rompersi da un momento all’altro. «Durante i giorni del lockdown, arrivò al 112 la telefonata di un uomo che annunciava il suicidio. Ma non voleva dire dove si trovava. Poco a poco, ho conquistato la sua fiducia». Come ha fatto? «Ascoltando la sua storia». E poi le ha detto dove si trovava? «Sì, ma per fermare il gesto estremo voleva che andassi io incontro a lui. Gli ho spiegato che stava arrivando una mia collega bravissima. E si è convinto».Cosa è accaduto, invece, ad Emanuele Presti? «Continuava ad essere barricato in casa. Anche lui voleva che andassi io. Perché avevo ascoltato con pazienza la sua storia e si fidava di me».
Intanto, mentre Sara è al telefono, in via Barisano da Trani, la polizia si prepara al peggio. Una decina di volanti schierate, agenti con i giubbotti antiproiettili e pistole a tiro. Ma anche una telefonata dietro l’altra al 112: le voci del Cep, tutto schierato con il padre. «Quello è un uomo violento — dicevano — quello ammazza qualcun altro». La centrale decide di mandare altri rinforzi. Ma, al momento, nessuno si deve muovere. Tutto è nelle mani di Sara. «Ho continuato a rasserenare Emanuele — racconta lei — ma insisteva: “Non voglio scendere”. Gli ho detto: “Adesso, dobbiamo pensare a tua moglie e ai bambini. Sono spaventati. Io e i miei colleghi ci prenderemo cura di loro”». Ed è stata la frase determinante. Ascoltando il racconto di Sara si capisce perché. La donna che dal 2011 raccoglie le voci di Palermo non è solo una poliziotta di 42 anni che ha lavorato a lungo nelle strade di questa città, è anche la mamma di un bambino. «Io cerco sempre di ascoltare le persone che incontro — sussurra lei — per il resto, faccio parte di una squadra che lavora per la propria comunità».Emanuele ha aperto la porta di casa. «Aveva sempre il telefono in mano e continuava a dirmi di avere paura di uscire. Ma passo dopo passo si è convinto». Forse, temeva una reazione del quartiere. Poco fuori l’androne, i poliziotti l’hanno fermato e velocemente sono andati via.Ora, Presti è accusato di tentato omicidio. Suo padre è ricoverato in gravissime condizioni a Villa Sofia. I poliziotti delle Volanti e i colleghi della sezione Omicidi della squadra mobile hanno trovato non solo la pistola che il giovane aveva sistemato nel cassetto, ma anche un altro revolver, risultato rubato nel 2011. Sara, invece, si sta preparando per un altro turno in centrale, alla caserma Lungaro. Con i suoi colleghi della Prima squadra delle Volanti.