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25.10.09

Carlo delle città

 


 

Don Gnocchi era l'infanzia. Non l'infanzia mutilata, lacera e macilenta. L'infanzia, e basta. La mia, innanzi tutto, perché la sua figura mi ha accompagnata fin dai testi scolastici. Perché la via a lui dedicata, a Bresso, sorge sul limitare della grande metropoli, nella periferia ancora disadorna, brulla e ingrigita. Perché le immagini che lo ritraggono, già circonfuso di un'aura sfuggente, hanno qualcosa di fanciullesco. Lo sguardo. Completamente libero, trasparente, senza sopraccigli, sconfinato sulla fronte spaziosa e infinita.
 


L'infanzia dunque, e, conseguentemente, l'interezza. Nulla di dolciastro, di patetico, di limitato nell'operosità di questo prete lombardo, sottile come un giunco. Se oggi siamo giunti alla consapevolezza che il bambino è persona completa e intatta, lo dobbiamo in gran parte a lui. Non si limitava ad accogliere, come testimonia Vincenzo Russo che, prima di diventare uno stimato professionista, è stato ospite del sacerdote. Lui voleva davvero che gli ultimi fossero i primi; non soltanto spiritualmente, ma effettivamente. Quel termine, "mutilatini", mi ha sempre impressionata, perché il diminutivo non riusciva ad attenuare l'immane tragedia d'una realtà che nulla concedeva al lezioso o al libresco. Quel termine ci diceva: esiste il dolore innocente, esistono individui sfregiati da un odio insensato e brutale, esistono e il loro grido si perde nel silenzio, anche in quello di Dio. E quindi non solo gli storpiati dalla guerra, ma gli svantaggiati di ogni tipo, disabili, emarginati. Bambini. Si torna sempre lì. Il bambino è l'emarginato per eccellenza, anche quando cresce forte, accudito e sano. Perché è basso, indifeso, barcollante. Ed ecco il motivo per cui pure noi, figli o ex-figli del benessere, non fatichiamo a identificarci in quelle fotografie d'infanti stecchiti, di calzoni corti cui spuntano incerti arti di cerbiatto, o rami d'inverno. E' la nostra vita che biascica, che spunta nuda e sola in un mondo impietoso.Don Carlo ha dimostrato che per loro, per noi, in quell'istante più isolato della nostra vita, c'è qualcosa. Dio? Il rispetto, innanzi tutto. Rammenta don Giovanni Barbareschi, prete partigiano, incarcerato per la sua attività antifascista, per anni stretto collaboratore del card. Martini: "Una delle frasi più belle che don Gnocchi mi disse prima di morire? 'Il primo atto di fede che un essere umano deve fare non è in Dio ma nella sua libertà di uomo, perché anche la libertà di uomo è un atto di fede'. E qui è tutto don Carlo".


Don Barbareschi rievoca le ultime ore di vita di Carlo Gnocchi alla comunità comunità pastorale San Martino in Lambrate - SS. Nome di Maria.

 

 

 



Ho voluto intitolare questo ricordo "Carlo delle città", non solo "dei mutilatini" o "dei bambini", proprio per questo suo essere "tutto" a partire dal "niente". Dalla città, vuota. La città teatro di guerre, sia materiali, sia interiori: le guerre dell'incomunicabilità, dell'angoscia e della solitudine. La città come luogo dell'assenza di Dio. La città disposta a tributare un omaggio formale ai profeti che la solcano, ma che ignora le concrete domande dei figli (oggi, le mamme della scuola intestata a don Carlo diserteranno la cerimonia di beatificazione, prevista per le ore 10 in Duomo, in segno di protesta contro i tagli del Ministero, che ha lasciato a casa 15 delle 60 maestre provocando seri disagi agli alunni, disabili gravi). Carlo, nome fatale per gli ambrosiani, non venga dunque vanificato su un altare, ma continui a percorrere queste vie. Se vogliamo che le nostre Ninive d'oggi conoscano ancora un respiro di speranza.

Daniela Tuscano

17.5.07

Senza titolo 1834












Il libro del giorno : Infedele - Ayaan Hirsi Ali





Autore: Ayaan Hirsi Ali

Titolo: Infedele

"Sono cresciuta tra la Somalia, l'Arabia Saudita, l'Etiopia e il Kenya. Sono arrivata in Europa nel 1992, a ventidue anni, e vi ho trovato una nuova casa. Ho girato un film con Theo Van Gogh che per questo è stato ucciso a sangue freddo da un estremista islamico, e da allora vivo tra guardie del corpo e automobili blindate. Poi un tribunale olandese ha ordinato che lasciassi la mia casa: il giudice ha dato ragione ai miei vicini nel ritenere pericolosa la mia presenza nel quartiere. Per questo me ne sono andata." Con queste parole Ayaan Hirsi Ali apre il racconto drammatico della propria vita, dall'infanzia, trascorsa con la nonna matriarca, custode tirannica delle leggi del clan e dell'islam, alla tortura della mutilazione genitale, dall'esilio cui fu costretta dall'opposizione del padre alla dittatura di Siad Barre, al rifiuto di un matrimonio imposto con la forza. Fino alla fuga dall'islam, all'approdo in Olanda e infine negli Stati Uniti. Ayann ci regala un'autobiografia destinata ad aprire un dibattito sulla condizione delle donne musulmane, intrappolate nella "gabbia mentale" del proprio credo, rivendica il diritto di parlare di islam e della condizione delle donne islamiche senza censure, battendosi per la libertà di parola.


Editore: Rizzoli


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...