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5.6.19
24.11.13
Parola di giudice-sindacalista: «Ecco i problemi della Giustizia»
dall'unione sarda del 24\11\2013
di GIORGIO PISANO
Ha una certa esperienza per essere un magistrato al culmine della carriera: s'è fatto nove mesi di carcere. Ma era giovane, giovanissimo: servizio militare. «Fare la leva a Buoncammino è stata un'esperienza importante, indimenticabile». Mauro Grandesso Silvestri ricorda con evidente disagio il rito della perquisizione delle celle. Si sentiva dentro una violenza non dichiarata, l'invasione di un campo che spiazzava un ragazzo come lui: era giusto metter le mani perfino tra mutande e calzini?, giusto frugare tra le cose più intime di un detenuto?
Quei mesi (nove) gli sono rimasti scolpiti nel cuore e nel cervello. Cinquantanove anni, cagliaritano, due figli, Grandesso Silvestri ha una somiglianza impressionante col padre, magistrato e galantuomo per una vita. Come figlio d'arte quasi in fotocopia, raccoglie opinioni convergenti, da destra e da sinistra. Gli avvocati, mentre sfrecciano da un corridoio infinito all'altro nel palazzo cagliaritano della giustizia, sintetizzano il profilo: «Non è un colpevolista a prescindere. E questo è già moltissimo» (ogni riferimento ad altri magistrati è puramente casuale).
Presidente della prima sezione del Tribunale, governa (sempre nella veste di presidente) l'Associazione nazionale dei magistrati (Anm), sezione Sardegna. Rappresenta insomma i 220 togati che affogano nel mare monstrum di una categoria che conta (a ieri) 9.162 in servizio permanente effettivo, al netto dei risultati. All'interno di questo sindacato - unico come quello dei giornalisti - guerreggiano tre correnti: Unità per la Costituzione (la più numerosa, ascrivibile grossolanamente al Centro), Area (di impronta progressista) e Magistratura indipendente (conservatrice).
Prima pretore e poi giudice, Grandesso Silvestri s'è fatto ossa e muscoli sul fronte giudiziario del Lavoro in una carriera lunga 34 anni. Ha pronunciato migliaia di sentenze e assicura che il dubbio d'aver sbagliato lo assale regolarmente. Si consola pensando che, sbagliato e meno, il suo giudizio passerà comunque all'esame di un Appello e di una Cassazione. «Insomma, riesco a non fare moltissimi danni anche se sbaglio».
Difende la categoria (altrimenti non farebbe il sindacalista) ma scansa diplomaticamente la recente requisitoria contro gli avvocati del presidente della Corte d'appello, Grazia Corradini. Ammette, con qualche pudore, i 45 giorni di ferie l'anno (caso unico nel mercato del lavoro) e stipendi che vanno dai 2.500 euro degli esordienti ai 7.500 di fine carriera. A domanda se il carcere redima, risponde per fatto personale: «Buoncammino sicuramente no. In nove mesi ci ho visto entrare e uscire le stesse persone. Sempre poveracci».
Perché in Sardegna si dice giustizia mala?
«La mia non è una risposta da storico né da sociologo. So che la Sardegna è stata dominata da potenze straniere che hanno varato leggi e istituzioni distanti dalla mentalità locale. E i magistrati sono stati visti come quelli che imponevano il rispetto di queste leggi».
Cani da guardia del potere, insomma.
«Sì, ma è una valutazione a torto poiché il magistrato non fa altro che applicare leggi non decise da lui».
Berlusconi ha detto che per fare il vostro lavoro bisogna essere diversamente normali.
«Io mi sento normale. Sotto tutti i punti di vista».
Riforma della giustizia bloccata: dovreste essere grati al signor B. Non ci fosse lui, si sarebbe già fatta.
«Purtroppo vedo molta volontà di riformare i giudici e pochissima, anzi niente, di riformare davvero e seriamente la giustizia. Non vedo la depenalizzazione di quelli che noi chiamiamo reati bagattellari, non aumentano i giudici onorari, non si restringe il raggio d'azione dei magistrati. Il bersaglio siamo noi, non l'organizzazione della macchina giudiziaria».
Quali sono, secondo lei, i reati da depenalizzare?
«Ci occupiamo delle ingiurie, delle beghe di condominio...»
Per quelle c'è il giudice di pace.
«Certo, ma poi c'è l'Appello. Dove, manco a dirsi, emerge perfino più accanimento. A seguire, per fare un altro esempio, la guida senza patente: depenalizzata e penalizzata mille volte. Il legislatore italiano è un po' ondivago, insegue l'attimo sociale e politico del momento».
Le sentenze non si discutono, si dice. E perché mai?
«Magistratura democratica, gruppo al quale appartengo, punta invece proprio al fatto che qualunque verdetto possa essere oggetto di discussione e di critica. Però, piuttosto che critiche e analisi fondate, vedo altro».
Cioè?
«È analisi critica seguire per strada un magistrato che ha emesso una certa sentenza? È analisi critica raccontare sui giornali il colore dei suoi calzini?»
Quello si chiama squadrismo giornalistico.
«Lo sta dicendo lei».
Il vostro presidente sostiene che l'attacco ai magistrati mina la democrazia. Ma dove, scusi?
«Credo che Rodolfo Sabelli intendesse quello che ho appena detto. Le critiche sono sacrosante, direi anzi necessarie. Da qui a certe cose che sentiamo o che leggiamo ce ne passa».
Sbaglia chi vi considera una casta?
«Se per casta si intende una categoria di persone privilegiate che difende tutti i suoi privilegi, beh sì, siamo una casta. Però siamo anche secondi in Europa per quanto riguarda l'irrogazione dei provvedimenti disciplinari».
Non risultate neanche lavoratori indefessi, non riceverete mai il premio Stakanov.
«Si scaricano sul magistrato le incongruenze dell'apparato. Bisognerebbe rimettere ordine ma questo, come tutti sanno, non spetta a noi. Abbiamo un indice di efficienza che non ha pari nel resto d'Europa. Francia e Spagna sono dietro di noi. Sul Penale viene definito il 95 per cento dei processi, sul Civile si arriva al cento per cento».
Dite di essere oberati dal lavoro ma il tempo per gli incarichi extra-giudiziari lo trovate.
«I magistrati ordinari non possono più svolgere questo genere di impegno se non previsto espressamente dalla legge. Chessò, la presenza obbligatoria in una commissione di disciplina».
E i dispersi nella pubblica amministrazione?
«Sono appena duecento su oltre novemila magistrati in servizio. Il Consiglio superiore della magistratura valuta caso per caso. Sorrido quando si parla del numero dei fuori-ruolo per spiegare la lentezza della giustizia. Fosse davvero così, il Csm li farebbe rientrare immediatamente nei ranghi».
Siete degli intoccabili. Come i fili dell'alta tensione.
«Non la penso affatto così: vorrei essere giudicato per quello che faccio. Bisogna tuttavia uscire da un equivoco e mettersi in testa che il magistrato nasce da questa società, non è un marziano o una persona speciale».
Le risultano parentele fra i magistrati del palazzo di giustizia di Cagliari?
«Sì, ci sono. La legge prevede incompatibilità che ognuno di noi deve subito segnalare. Se mio figlio iniziasse a svolgere attività legale, ho il dovere di informarne il Csm perché valuti se questo può condizionare la mia autonomia».
Ma ci sono anche parentele tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti.
«Ci sono, è vero, ma operano in settori diversi. Abbiamo dei colleghi che sono sposati: e allora? Uno opera nel Civile, l'altro nel Penale. Impensabile che un giudice si esprima su un processo istruito dal coniuge».
Esiste una via politica della giustizia?
«Tutte le volte che uno di noi tocca interessi che hanno risvolti politici, è chiaro che questo problema si pone. La domanda però è un'altra: i politici possono essere inquisiti come qualunque cittadino oppure no?»
Tangentopoli ha cambiato l'Italia, segnato il passaggio dalla prima alla seconda repubblica.
«Non si può attribuire al giudice la colpa di un livello di corruzione che non ha eguali nella comunità europea. La politica dovrebbe emarginare chi si discosta dalle regole. Tangentopoli ha scoperchiato un sistema di tangenti di cui tutti sapevano e che è venuto clamorosamente a galla quando è saltato un certo equilibrio tra vecchia classe dirigente e politici emergenti».
Prima Di Pietro, poi De Magistris e ultimo Ingroia: perché vi piace tanto diventare onorevoli?
«Dovrebbe chiederlo agli interessati. So di sicuro che all'interno della nostra categoria c'è una sempre maggiore insofferenza verso questo tipo di scelta. Alcuni pensano che se fai politica non dovresti poi rindossare la toga, altri ritengono che invece si possa ma solo a certe condizioni. È proprio il caso di Ingroia che, tornato in servizio dopo le elezioni, è stato assegnato alla Procura di Aosta. Comunque: attualmente i parlamentari che provengono dalla magistratura sono nove».
Perché un magistrato che sbaglia non deve pagare?
«Sono dell'idea che se sbaglia deve pagare eccome. Non si possono però fare paragoni coi medici. Il lavoro del medico è farci guarire, fare del bene. Il magistrato, invece, fa male. Sempre. La responsabilità civile del magistrato per dolo o colpa grave è prevista. L'Europa ci contesta tuttavia una farraginosità della procedura. Ha ragione: dipende però dallo Stato, non da noi».
Ha mai colto degrado morale nella categoria degli avvocati?
«Non proprio».
Le risultano avvocati che per danaro sono pronti a tutto?
«Gli avvocati esercitano una professione da cui ricavano il loro sostentamento. Svolgono un ruolo importantissimo per l'amministrazione della giustizia».
Nega lo strapotere dei pubblici ministeri, eccesso di discrezionalità?
«Il Pm ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. Non può, come accadeva col vecchio codice, incidere sull'applicazione di misure cautelari. Deve rivolgersi a un giudice e chiedere che quella certa persona venga portata in carcere. Ci si accanisce coi pubblici ministeri ma chi decide gli arresti è un giudice e non un Pm».
Accusa e difesa, secondo lei, si confrontano ad armi pari nel processo?
«Nel sistema attuale direi di sì. Le norme del codice penale sono a difesa del cittadino nei confronti della pretesa punitiva dello Stato, perché di questo si tratta. Come giudice ho il dovere di rispettare fino in fondo il ruolo che svolge la difesa».
Separazione delle carriere.
«Argomento di confronto serrato al nostro interno. L'Anm non ha una posizione ufficiale: ci sono favorevoli e contrari. Se ne può discutere evitando strumentalizzazioni e magari chiedendosi se davvero sia utile alla società tenere i Pm distanti dall'ordine giudiziario».
Intercettazioni: se ne abusa, siamo un Paese di spiati?
«Le intercettazioni sono un formidabile strumento di indagine. Non se ne può fare a meno. La gente deve sapere che vengono decise solo in presenza di reati molto gravi: sequestri, omicidi, stalking, pedopornografia, sfruttamento della prostituzione e altro. In Italia quelle autorizzate sono circa centoventimila l'anno. Considerate che i “bersagli”, come li chiamiamo noi, adoperano non meno di cinque utenze telefoniche diverse. Dunque le intercettazioni riguardano lo 0,042 della popolazione».
È civile che in un Paese normale esistano ancora i manicomi giudiziari?
«No, non è civile. C'è una legge che li ha soppressi ma ha provvisoriamente prorogato l'attuazione delle nuove regole. La magistratura, com'è evidente, non c'entra».
La sua categoria ha un arretrato di nove milioni di fascicoli. La imbarazza?
«Imbarazzare forse no. Mi crea ansia, mi fa sentire inadeguato. So che il mio lavoro è dare un servizio ai cittadini, e so anche che questo servizio è pessimo».
pisano@unionesarda.it
22.10.13
giustizia lenta ? lo scatricabarile degli avvocati
unione sarda del 20\10\2013
Gli avvocati si auto-assolvono: giustizia lenta? Siamo innocenti
di GIORGIO PISANO
Viene perfino da sbadigliare a sentire e risentire che la giustizia italiana è allo stremo. Da quanti anni lo ripetono? Secondo qualcuno a paralizzare tutto nell'ultimo ventennio è stato il fattore B. Mario Canessa, presidente della Camera penale di Cagliari, vicino a Rifondazione comunista, dice invece che questo è soltanto un alibi, anzi che non se ne può più. «Mentre noi discettiamo sui giornali o nei salotti televisivi, le carceri stanno esplodendo. Noi però non facciamo nulla per paura che un qualsiasi provvedimento possa avvantaggiare il signor Berlusconi».
È vera emergenza, con l'aggiunta di qualche operazione di pronto soccorso assolutamente inutile se non per il portafogli dei legali e le casse delle Camere di Commercio. Di cosa si tratta? Per alleggerire la ressa davanti ai Tribunali civili, è stato messo a punto un ufficio di conciliazione, peraltro obbligatoria. Dovrebbe essere un tentativo per evitare di finire davanti al giudice. Domanda: ma se davvero ci si può riconciliare in un battito di ciglia, agli avvocati torna utile che tutto finisca così in fretta? Un dato, per quello che vale: alla Camera di commercio di Cagliari sono stati finora espletati 932 tentativi di conciliazione. Appena 68 (poco più del sette per cento) si sono conclusi con esito positivo.
Dalle parti della giustizia penale le cose vanno ancora peggio: troppi detenuti (sessantamila in tutta Italia, oltre duemila in Sardegna). Grande è la tentazione di varare un'amnistia, un indulto. Sessantasei anni, due figli, penalista preparato e pignolo, studio affacciato sul porto di via Roma, Canessa ha appena concluso - insieme ai radicali - la battaglia per una sventagliata di referendum. Dei dodici presentati, quelli sulla giustizia hanno superato quota cinquecentomila firme. Propongono l'abolizione dell'ergastolo, la separazione delle carriere tra chi giudica e chi accusa, il rientro dei magistrati dirottati fra ministeri ed enti pubblici, un uso meno rigido della custodia cautelare, responsabilità civile dei magistrati, risarcimento dei danni in caso di malagiustizia.
Le Camere penali sono associazioni di avvocati che «difendono i diritti del cittadino». Non dei penalisti? «No, o meglio: anche. Ma prima vengono i cittadini». Sotto lo sguardo di Emilio Lussu e la foto d'una grande manifestazione popolare ( truncare sas cadenas ), Canessa non rinnega il suo passato demoproletario prima e rifondarolo dopo. «Ma questo non mi impedisce di guardare alla situazione con distacco». Racconta che da piccolo faceva il tifo per Perry Mason e per Arsenio Lupin. «Poi un giorno ho deciso cosa volevo fare da grande. E mia madre ha tirato un sospiro di sollievo».
Cosa sperate?
«Di smuovere una giustizia pietrificata. Troppe distorsioni. Accusa e difesa dovrebbero essere ad armi pari e invece non è affatto così».
Voi non c'entrate nulla con le lungaggini processuali?
«È una leggenda metropolitana. Ci accusano di allungare il brodo con richieste di rinvio, spostamenti e qualunque stratagemma possa allontanare il più possibile il momento della sentenza. Peccato che sia un falso».
Innocenti, insomma.
«I tempi più lunghi riguardano la cosiddetta fase preliminare, quella che precede l'eventuale apertura di un processo vero e proprio. Se faccio una querela, potete star tranquilli che passerà molto, moltissimo tempo prima che qualcuno la prenda in mano e abbia la bontà di esaminarla».
Perché?
«Perché c'è un carico di lavoro enorme, perché ci sono indagini da affidare alla polizia giudiziaria, perché si preferisce dare la precedenza all'esame di certi reati e non di altri. È davvero bizzarro scaricare su di noi i tempi biblici della giustizia».
Le risultano strategie difensive che puntano proprio a tirarla per le lunghe?
«Se io chiedo un rinvio c'è sempre una buona ragione. Ammetto che questo possa dilatare il ruolo di marcia ma la vera attesa avviene prima. Vi dico l'ultima: querela presentata nel 2008; prima udienza fissata - come mi è stato appena comunicato - per la primavera del 2014. È tollerabile tutto questo?»
Non è che il processo lungo fa bene all'onorario?
«L'udienza di mero rinvio non comporta introiti-extra. È solo quando si fa attività processuale che si guadagna. Giustamente, direi».
Siete contrari all'ergastolo: ma perché, c'è qualcuno che lo sconta davvero?
«Sì. Pochi sanno di quello che si chiama ergastolo ostativo. Se sei stato condannato, ad esempio, per un omicidio di mafia hai davanti a te due strade: ti penti e diventi collaboratore di giustizia oppure sconti il carcere a vita, fine pena mai. Poco conta che sia un detenuto modello o che rinneghi il tuo passato: se non coinvolgi altre persone, se non fai insomma quella che noi definiamo una chiamata di correo, l'ergastolo te lo becchi tutto».
Si polemizza spesso sui pm: quelli manettari sono tanti?
«Il nostro codice di procedura penale prevede il ricorso alla custodia cautelare quando ci sia un quadro indiziario forte e quando esista il pericolo di fuga, il pericolo di reiterazione del reato o il pericolo di inquinamento delle prove. Se voglio sbattere in galera qualcuno, chi mi vieta di pensare che l'imputato possa fuggire o trattenersi sul fronte del crimine? Basta questo per arrivare alle manette. Teoricamente funziona, in pratica l'interpretazione di questo principio è eccessivamente discrezionale».
Significa?
«Significa che oggi la custodia cautelare viene utilizzata come anticipo della pena. Succede nella stragrande maggioranza dei casi. Ed è tutt'altro che raro, dopo una custodia cautelare, magari lunga, magari di due anni, che tutto si risolva poi in un'assoluzione».
È per questo che chiedete l'arresto solo per i reati più gravi?
«Vorremmo cercare di rendere meno esteso l'uso della custodia cautelare. Lo dico perché ha contraccolpi incredibili nella vita della persona. Innanzitutto altera la dialettica processuale, e mi spiego: quando dimentichi un indiziato in galera, le sue parole sono pesantemente condizionate, il difensore - tra l'incudine dell'imputato che vuole tornare in libertà e il martello del pm che non molla - subisce forti pressioni. Tutto questo porta a confessioni che possono essere assolutamente inattendibili oppure a chiamate di correo che stanno in piedi solo con gli stecchini».
La fase che stiamo vivendo è una notte della giustizia?
«Una riforma è necessaria».
La domanda era un'altra.
«Diciamo allora che attualmente la giustizia non gode di ottima salute. Con evidenti conseguenze».
Separazione delle carriere: buona idea a patto che accorci i tempi.
«I tempi del giudizio non c'entrano con la separazione delle carriere. Noi diciamo altro. E cioè: il magistrato che mi giudica non deve soltanto essere imparziale, deve anche apparire tale. Se è collega del pm che mi accusa, se hanno fatto lo stesso concorso, se sono vicini d'ufficio, beh, la certezza dell'imparzialità sfuma. Vorrei che al palazzo di giustizia ci fossero solo i giudici. I pubblici ministeri dovrebbero stare in un'altra sede. Mi dà fastidio che perfino l'Ordine forense sia ospitato al palazzo di giustizia».
Il cambio di indirizzo modificherebbe le cose?
«Ne siamo sicuri. Chi sceglie di fare l'inquisitore, ossia il pm, deve sostenere un concorso diverso da chi invece vuole soltanto giudicare. Dev'esserci una separazione anche fisica perché si tratta di due mondi diversi».
Chiedete anche il rientro dei magistrati sparsi negli enti pubblici.
«È inammissibile che, davanti all'Everest di lavoro arretrato, centinaia di magistrati continuino ad operare nei ministeri o in altri uffici dello Stato. Tanto più che una vicinanza troppo stretta con la Politica non è salutare».
La politica quanto condiziona la giustizia?
«Qualcuno si è fatto delle leggi su misura, alta sartoria per uso personale. Quanto pesi la politica lo abbiamo capito ogni volta che è finito sotto inchiesta un potente. Solo allora ci siamo accorti e ci siamo chiesti se per caso lo strumento della custodia cautelare non sia stato eccessivo. Sarà un caso che le galere scoppino solo di poveracci?»
Cosa rimproverate alla magistratura?
«Non siamo per gli attacchi insensati e strumentali. Vorremmo confrontarci, questo sì. C'è stata qualche piccola iniziativa in comune come la visita alle carceri ma poi le strade si dividono. Se il medico sbaglia, paga; se l'avvocato sbaglia, paga: per quale motivo il magistrato, se sbaglia, non deve pagare?»
Qualche magistrato che ha pagato c'è.
«Si contano sulle dita di una mano. E, in ogni caso, si è trattato in particolar modo di casi-limite, clamorosi».
Tutta colpa di B. se finora non è stata varata la riforma della giustizia?
«Berlusconi ha attraversato le cronache giudiziarie degli ultimi vent'anni. La sinistra ha mancato di coraggio: nel timore di favorirlo sia pure indirettamente, e dunque pagarne il contraccolpo politico, non ha mosso un dito, ha preferito lasciare le cose come stavano. Cioè male. Il prezzo, mentre Berlusconi si faceva intanto leggi ad personam, lo hanno pagato tanti. Anzi, troppi».
Il presidente della Corte d'Appello ha detto che c'è degrado morale nella vostra categoria.
«Verissimo. Noi avvocati siamo talmente degradati e attaccati al soldo che abbiamo chiesto la depenalizzazione di tantissimi reati. Se accettassero la nostra proposta, avremmo meno clienti. Siamo talmente degradati che vogliamo pure che la custodia cautelare sia limitata ai casi più gravi, ben sapendo tuttavia che il momento migliore per farsi pagare è quando il cliente sta in carcere».
Ha detto anche: pur di guadagnare ci sono avvocati pronti a tutto.
«Pronti a difendere i propri assistiti, fino a prova contraria».
Non l'assale nemmeno un dubbio piccolo piccolo?
«La nostra è una categoria eterogenea. Un mascalzone può essere dovunque, perfino tra i Papi, figuriamoci se non ci possa essere nelle nostre fila. Il discorso vale anche per la magistratura: se Cesare Previti era un corruttore, il giudice che gli ha venduto la sentenza faceva il magistrato. O sbaglio?»
Un imputato su due chiede la difesa d'ufficio. E viene puntualmente trascurato dal difensore.
«C'è una lista di colleghi che dà la propria disponibilità a rappresentare in aula chi si avvale del gratuito patrocinio dello Stato. Conosco molti giovani colleghi che svolgono questo compito con impegno e professionalità. Sull'altro fronte c'è invece un Tribunale che li paga a distanza di uno, due anni. Ritardi spaventosi e inaccettabili. Gli avvocati, compresi quelli d'ufficio, pranzano e cenano come i comuni mortali».
La crisi si fa sentire dappertutto.
«Anche negli studi legali. Tanti clienti hanno difficoltà a pagare e propongono di saldare a rate. Segno dei tempi».
Amnistia o indulto?
«Amnistia e indulto. Le carceri traboccano di imputati per la legge Fini-Giovanardi sulla detenzione e lo spaccio degli stupefacenti e per la Bossi-Fini sull'immigrazione».
Non è che il Capo dello Stato stia cercando un salvacondotto per B.?
«Non lo so e non m'importa più di tanto. Torniamo al discorso di prima: la situazione delle carceri è di totale illegalità. Continuare con la politica dell'attendismo per timore che possa beneficiarne Berlusconi è criminale».
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