RIEPILOGHIAMO
Il sindacalista della Cisl era stato assolto in primo grado al Tribunale di Busto e poi anche in Appello, con la motivazione che la reazione della vittima non era stata immediata. La suprema corte ha ordinato di rifare l'appello e ha chiarito i termini della questione
da MetropolitanMagazine tramite msn.it
Il ritardo nella reazione della vittima non può più essere utilizzato per negare la violenza subita. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, annullando la precedente assoluzione in primo grado al Tribunale di Milano e poi in Corte d’Appello e disponendo un nuovo processo d’appello in merito a un caso emblematico avvenuto all’aeroporto di Malpensa.Il pronunciamento risale al febbraio scorso e riguarda il caso della hostess molestata da un sindacalista della Cisl in servizio a Milano Malpensa, durante un incontro tra i due per affrontare un problema di lavoro.Nella motivazione la suprema corte chiarisce che il “ritardo nella reazione della vittima”, “nella manifestazione del dissenso”, è “irrilevante ai fini della configurazione della violenza sessuale”, perché la “sorpresa” di fronte a comportamenti impropri può porre la vittima nella “impossibilità di difendersi” nell’immediato.Il caso Malpensa è una storia che comincia (e purtroppo non finisce 😢😁🙄🤔) con il consenso (mancato): un concetto tanto semplice quanto ostinato da far passare in un’aula di giustizia. Non è difficile: un corpo che si blocca non acconsente. Infatti la vicenda del caso Malpensa e la questione più ampia del consenso .Questa storia ( in realtà è storiaccia ) non è un caso isolato. È un manuale di come la violenza sessuale viene ancora letta nei tribunali italiani: con lo sguardo puntato sulla vittima, a cercare quanto si è mossa, quanto ha urlato, quanto ha fatto per “meritarsi” di essere creduta. Un sindacalista, una hostess, venti secondi in un ufficio. Lei paralizzata, con una cartellina in mano. Per i giudici di primo e secondo grado quei venti secondi sarebbero stati abbastanza per dire di no, per scappare, per reagire. Non è successo. Quindi, per loro, non c’è violenza.La Cassazione, almeno, ricorda una cosa ovvia: la sorpresa, lo choc, la paura possono bloccare. Si chiama freezing.Fenomeno che La scienza , soprattutto quelle sociali , lo dice da decenni, le donne lo sanno da secoli. Ma i tribunali continuano a misurare la legittimità del trauma con un cronometro . Infatti c’è un vizio di fondo: in Italia la vittima deve dimostrare di aver fatto di tutto per sottrarsi. Non basta dire “non lo volevo”. Deve mostrarlo in modo performativo, come se fosse una dimostrazione atletica di dissenso. Se non urla abbastanza forte, se non reagisce abbastanza in fretta, se non morde, allora è colpa sua.
È un principio antico come fa notare il commento di . « Il “Caso Malpensa Hostess”, quando dobbiamo ancora una volta spiegare il consenso » su Metropolitan Magazine. quello in cui la donna che subisce deve essere la donna giusta, la vittima ideale. Il diritto penale occidentale (lo scrivono giuriste come MacKinnon o Smart) non è mai stato neutro. È uno strumento di controllo. La violenza sessuale non punisce solo l’aggressore: giudica nonostante le diverse riforme anche la moralità di chi subisce. « Nessuna donna reagisce come la legge vorrebbe? Allora c’è un problema con la leggeNon esiste un unico modo di reagire. Lo dicono le ricerche sul trauma, lo dice la clinica, lo dice l’esperienza di chiunque abbia ascoltato una donna raccontare uno stupro o un’aggressione. .»Eppure nelle aule di tribunaliu , troppo spesso purtroppo, la reazione viene interpretata: se non c’è, è sospetta. Se c’è, dev’essere spettacolare.Il freezing smonta questa finzione: mostra che un corpo può dire no senza urlare. Può dire no restando immobile. Può dire no senza dare spettacolo di eroismo. E questa realtà non piace a un sistema giudiziario che, di fatto, continua a pretendere di giudicare le donne prima ancora che i colpevoli. Ora Il processo si rifarà, ma è utile così ? Secondo , da profano , Il nuovo processo è un segnale, non una soluzione. La legge c’è, la giurisprudenza pure. Ma la mentalità resta. Fino a quando ci sarà chi continuerà a confondere l’assenza di reazione con il consenso, ogni donna saprà che entrare in un’aula significa ancora dover difendere la propria credibilità \ reputazione , non denunciare un reato. Un corpo che si blocca non “mente” nè esprime un quale “tacito consenso”. Però, quel corpo freezato, si ritrova comunque contro un’intera cultura e mentalità che non vuole credergli.

