Per qualcuno il coronavirus è anche questo .
da https://www.vanityfair.it/news/storie-news/ del 10 APRILE 2020
«Come vedo il mondo da qui? L’Italia e il mondo in questo momento sembrano un quadro di “De Chirico” con le piazze e i centri vuoti». È un’immagine poetica ed efficace quella che sceglie Marco Casula, tecnico dell’Istituto di scienze polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che, unico italiano, è nella Base Dirigibile Italia del CNR a Ny-Alesund, nell’arcipelago delle Svalbard, in Artico, a 1000 chilometri dal Polo Nord. Da lì non si può muovere, un isolamento, il suo, che è però molto diverso dal nostro.
Le regioni artiche sono fra le poche zone al mondo in cui non è arrivato il contagio da coronavirus. Chi vive qui, una trentina di persone di diverse nazionalità, sembra essere protetto dal virus, ma è nello stesso tempo isolato dal mondo, in una sorta di limbo. «Qui tutti noi speriamo che la situazione globale nel tempo migliori. Tutti noi abbiamo dei genitori, amici o una famiglia. Stare qui a noi non pesa perché è una condizione che fa parte della nostra quotidianità e che abbiamo scelto».Marco Casula è qui da inizio gennaio e la sua missione non ha per ora una data di chiusura.
Nessuno può partire per dargli il cambio. «Vivo la situazione italiana con un’ottica diversa e internazionale, le notizie che arrivano qui sono filtrate, mi forniscono una fotografia globale e sto cercando di vivere questa emergenza con serenità. Vedo questa mia situazione attuale come un training per una possibile futura missione in Antartide. Mi sento in una situazione privilegiata in quanto posso continuare a svolgere una vita “normale” pur trovandomi in questo posto e in una comunità ristretta. Noi qua stiamo vivendo “normalmente” nella nostra bolla di sapone, l’isolamento per noi è una costante».
Rispetto a un terzo della popolazione mondiale può uscire, «godermi questi magnifici posti oltre a poter svolgere l’attività che amo». A stabilire la sua data di rientro sarà proprio il coronavirus. «Ho la responsabilità di portare avanti il mio lavoro e non interrompere la serie climatica di dati che l’Italia sta raccogliendo in Artico da oltre 10 anni». La sua giornata ha orari molto serrati e prima di affrontarla deve pianificare la sera prima cosa effettuare o meno in base al tempo che ha a disposizione.
«Sicuramente fare una cosa che si ama, come nel mio caso, alleggerisce il peso della lontananza e della solitudine. Io sono il solo italiano tra i 30 ricercatori presenti a Ny-Alesund, ma questa piccola comunità in questo momento particolare è unita più che mai. Intanto dal punto di vista lavorativo: io e i miei colleghi di altre nazionalità collaboriamo per portare avanti le rispettive attività di ricerca a lungo termine. Ci sentiamo molto uniti anche dal punto di vista umano. In questa cittadina, che per me ormai è una sorta di famiglia, nessuno è straniero e i rapporti vanno oltre le difficoltà che alle volte si possono incontrare, come quelle linguistiche».