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13.10.14
cari giornalisti finitela con il terrorismo mediatico la . la falsa news Ebola, a Roma scatta l'allarme virus Ricoverato un cittadino africano
spesso le agenzie e di conseguenza i giornali online e non chye si basano al 90 % su d'esse prendono cantonate . Infatti la notizia è già stata smentita.quest" uomo ha avuto una crisi epilettica.NON si tratta di Ebola e basta con questo terrorismo mediatico.L'articolo nn doveva esistere perchè nn c'è notizia. Per di più un titolo del genere specie in facebook e sui social dove la gente legge solo i titoli e condivide se non commnta con conati e malpancismi al limite estremo fra xenofobia e razzismo ( ovviamente senza generalizzare ) senza leggere l'articolo un titolo è assolutamente fuorviante .
Ma fortunatamente stavolta , come si puo' notare aprendoil post che porta all'articolo del giornale in questione , lo svarione è stato corretto . Infatti
Allerta durante un'udienza in tribunale. Il giudice dispone il ricovero. Paura anche a Roma, dove un caso di epilessia ha fatto scattare le procedure d'emergenza.
Un cittadino di origine ghanese, imputato a Milano in un processo per direttissima, si è sentito male e ha iniziato a sputare sangue. Per questo il giudice ha deciso di disporre il ricovero per accertamenti all'ospedale Sacco, presidio per l'emergenza nel capoluogo lombardo per i sospetti casi di virus Ebola. L'aula del Palazzo di Giustizia dove è avvenuto il fatto è stata contemporaneamente chiusa per controlli da parte delle autorità sanitarie. Sulla porta è stato affisso un cartello con la scritta: "Inagibile - Non accedere". I test medici, però, avrebbero escluso il contagio. Il paziente viene comunque tenuto ricoverato per accertamenti sul malore che lo ha colpito.
FALSO ALLARME A ROMA - Sempre oggi un altro campanello d'allarme era scattato nell'Ufficio immigrazione della Questura di Roma, dove un cittadino africano ha accusato improvvisamente un malore. Sul posto è intervenuto il personale del 118 che ha trasportato l'uomo all'ospedale Umberto I per accertamenti. In seguito ai controlli, i portavoce sanitari hanno però dato il cessato allarme: secondo le prime informazioni l'immigrato avrebbe avuto un semplice attacco di epilessia. "Aveva convulsioni, febbre alta, perdeva sangue dal naso a fiotti e si è accasciato improvvisamente al suolo", spiega il segretario generale del Siulp Saturno Carbone riportando i racconti dei suoi colleghi dell'Ufficio Immigrazione della Capitale. Di qui il sospetto che potesse trattarsi di Ebola., allarme poi fortunatamente rientrato.
Lunedì 13 ottobre 2014 15:11
11.8.14
Medico in Guinea per Ebola. “A Parigi mi sono licenziata. Volevo tornare sul campo”
Medico in Guinea per Ebola. “A Parigi mi sono licenziata. Volevo tornare sul campo”
Gabriella, 34 anni, è infettivologa e lavora per Medici senza frontiere. A Lampedusa ha assistito gli immigrati, a Kinshasa i malati di Hiv. Poi è stata assunta come medical advisor a Parigi, ma ha preferito licenziarsi per rientrare in missione. E, ad esempio, seguire l'epidemia Ebola in Africa
Più informazioni su: Cervelli in Fuga Francia, Cervelli in Fuga Guinea, Lampedusa, Malattie,Medici Senza Frontiere, Medicina, Repubblica Democratica del Congo, Tubercolosi.
Gabriella Ferlazzo Natoli è una siciliana di 34 anni, è medico infettivologo e da anni svolge il suo lavoro in giro per il mondo, a servizio di Medici Senza Frontiere (MSF). Quando parla di sé, pare lo faccia in punta di piedi. “La prospettiva di lavorare in ambito internazionale era nella mia testa già prima di iniziare medicina. Al liceo avevo passato un anno negli Stati Uniti, e durante l’università ho fatto l’Erasmus in Spagna, un’esperienza nella profonda Russia ed un periodo di volontariato in Brasile, occupandomi di lebbra”. Dopo la laurea in medicina a Bologna, per la specializzazione sceglie Roma: “Con gli anni si è delineato un interesse per le malattie infettive tropicali, una scelta poco frequente in Italia. Naturalmente durante gli anni di facoltà ho cambiato idea alcune volte, ero affascinata anche da chirurgia e pediatria, ma evidentemente questo desiderio ha poi prevalso. Anche per questo andavo all’estero appena le ferie lo permettevano, era utile per imparare e per mettere in piedi un curriculum adatto”.
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Nel 2008 Gabriella conclude gli studi. Propone subito il suo curriculum a Msf, e dopo alcuni mesi parte per la sua prima missione, destinazione Malta: “Inizialmente ci sono rimasta un po’ delusa – confessa mi aspettavo di essere inviata in situazioni di epidemie, invece mi hanno mandato a lavorare come assistente sanitaria ai migranti prima a Malta, e poi per un piccolo periodo a Lampedusa. Ora posso dire che sia stata un’esperienza unica, che mi ha molto insegnato su diritti umani, legislazione e politiche sull’immigrazione. Inoltre è stato emotivamente toccante, ti ritrovi a lavorare in queste prigioni dove per 18 mesi vengono rinchiuse persone che non hanno fatto nulla di male. C’è molto da imparare e capire”.
La seconda missione catapulta Gabriella in Congo, dove per sette mesi lavora a progetti su Hiv etubercolosi: “Il carico di lavoro era davvero intenso, la missione in Congo è gigantesca. Io lavoravo a Kinshasa, e contemporaneamente altri colleghi lavoravano in situazione più pericolose. Ho provato rabbia, e senso di impotenza. I farmaci esistono, l’Hiv è una patologia cronica con cui ormai si può convivere, ma lì manca l’accesso ai medicinali”. Fra una missione e l’altra Gabriellatorna a Roma e in Sicilia, dove vivono i suoi genitori. Ogni tanto la voglia di una vita tranquilla fa capolino.“La prima volta che ho sentito l’esigenza di tornare a casa, di avere una vitapseudonormale, è stato durante la missione in Armenia, dove ho passato nove mesi. Eravamo in due, io e il coordinatore del progetto, in una casa nelle montagne. È stata la missione più lunga e isolata, in contrasto con il caos della mastodontica missione in Congo, ma il contesto sanitario era anche lì molto interessante. Il progetto era sui casi di tubercolosi multiresistente, davamo farmaci e supporto logistico, per il pazienti è una patologia tremenda anche dal punto di vista psicologico. Devono prendere farmaci tossici per due anni, peggio di una chemioterapia. Noi facevamo servizio ambulatoriale in tutto il Paese, lavorando su diagnosi e tentativo di cura deipazienti, anche con il supporto dello staff del ministero della salute locale. Cercavo un’esperienza più riflessiva, e lo è stata. Poi è arrivato il momento di qualcosa di più tranquillo”.
In quel periodo Msf offre in Francia una posizione che sembra tagliata sul profilo di Gabriella, e lei fa richiesta di assunzione. Di lì a breve la ritroviamo in un ufficio parigino, dove lavora con funzioni di medical advisor, referente per tubercolosi e Hiv. Segue una serie di progetti offrendo supporto di strategie, protocolli, e supporto clinico di casi complessi. Ogni due mesi viene inviata per circa due settimane a visitare i progetti di cui si occupa dalla Francia. “Un’esperienza tosta, ho imparato molto ma confesso che per me è stato più difficile lavorare in ufficio che sul campo, passando il tempo davanti ad un pc o in riunione. Quindi due mesi fa mi sono licenziata, nonostante fossi a tempo indeterminato: non mi ci vedevo lì per dieci, quindici anni”.
Così ritroviamo Gabriella attualmente alle prese con alcune proposte e un’incognita per il futuro. In questi due mesi è riuscita ad infilare un’altra esperienza importante in Guinea, dove ha seguito l’epidemia Ebola: “Studiare questi casi è il sogno di ogni infettivologo. Naturalmente sono missioni che non possono durare molto, quindi dopo cinque settimane sono tornata. Le successive tre settimane dal rientro devi passarle vicino ad un ospedale, ma puoi fare una vita normale”.
A chiederle come faccia, Gabriella risponde che quando rientra si instaura una specie di meccanismo di sopravvivenza, come ci fosse un muro tra le abitudini italiane e quello che fino al giorno prima la circondava: “Torno e ho davvero bisogno di essere coccolata dalla mia famiglia. Loro sono molto bravi, mi appoggiano moltissimo, così come il mio ragazzo. A volte le paure, come nel caso Ebola, vengono dall’assenza di conoscenza. Quando sono partita anche io avevo un po’ di ansia, ma è importante rassicurare le persone che hai attorno senza mentire loro sulla realtà. Conoscendo le malattie capisci come proteggerti dai rischi, e i miei sono molto bravi a fidarsi di me. C’è anche chi a volte va in contesti pericolosi e dice ai familiari di essere in posti più tranquilli, per non spaventarli. Alcuni aspetti di questo lavoro sono complessi, è inevitabile: molti di noi, ad esempio, hanno una vita sentimentale abbastanza complicata”.
A maggio di quest’anno Gabriella è stata insignita del “Premio Marcello Sgarlata” con una cerimonia al Campidoglio, ma non ama farsene vanto: “Sono stata molto contenta, ma credo sia troppo. Guardate che non faccio nulla di pazzesco – conclude -. Sarà che mi sono abituata in un contesto dove c’è chi rischia molto più di me. Per esempio, a dicembre mi avevano proposto una missione inSiria, ma ho avuto paura e ho rifiutato”. Come se questo bastasse a far di lei una donna meno coraggiosa.
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