Visualizzazione post con etichetta lontano dai media. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lontano dai media. Mostra tutti i post

1.10.22

Sabato scorso si è chiusa a Roma l’ottava edizione del Disability Pride e i media assenti ed evento relegato in cronaca rispetto a quello lgbt









“La bruttezza genera rifiuto e paura. Stiano attente le donne gravide… È il diavolo! Ci getta il malocchio dai camini… Oh, che brutta anima! Che orrore! Oh, maschera dell’Anticristo”.
Per tutti, scriveva Victor Hugo in Notre Dame de Paris, Quasimodo rappresentava nient’altro che lo storpio di cui avere paura o, nella migliore delle ipotesi, di cui disinteressarsi. Troppo diverso per volerlo vedere, si era ritagliato la sua quotidianità nascosto fra le campane. “L’eccessiva deformità spaventa - scrive Maria Luisa Chiara in un saggio sul rapporto tra letteratura e disabilità - non consente approfondimenti, non permette di indagare spirito, carattere, intelligenza, risorse, sensibilità”.
Secondo la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della disabilità e della salute, stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il termine “disabilità” indica un fenomeno che ha più dimensioni, la cui origine va fatta risalire all’interazione fra l’uomo e l’ambiente fisico e sociale. Per l’Omsle persone portatrici di disabilità possono essere distinte secondo le categorie di disabilità motoria, sensoriale, intellettiva e psichica.
Sabato scorso si è chiusa a Roma l’ottava edizione del Disability Pride, una manifestazione nazionale che intende sostenere e promuovere l’autodeterminazione delle persone con disabilità, rispettandone dignità, autonomia e indipendenza.
Parco Schuster, il luogo dove si è svolta parte della manifestazione, quel giorno era - probabilmente - lo spazio più libero da barriere di Roma e, forse, d’Italia. La richiesta principale dei promotori, infatti, è quella di rendere accessibili a tutti e a tutte i luoghi frequentati dai cittadini. Per questo, chiedono dal Pride, è necessario far approvare il Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (Peba), ovvero lo strumento che permette la conoscenza di tutti gli ostacoli concreti che impediscono o condizionano la mobilità sul territorio, al fine di rendere “realmente fruibile il patrimonio materiale e immateriale dell’umanità”.
Una grande iniziativa, dunque, quella del Disability Pride, largamente ignorata dal sistema dei media e, di conseguenza, dall’opinione pubblica. Peccato sia durata solo alcune ore.

5.7.21

Malika, la lezione per non buttare via i soldi e la vita


canzone  consigliata 
 Zucchero - Rispetto

lo so  che    vi sarete  , come il sottoscritto  rotti  gli zebedei  stufati diu sentire  parlare  di  marika     e  della sua  vicenda  e  di come ha  spesso i   suoi soldi   e della sua arrampicata  sugli specchi per  giustificarsi  , ma stavolta  (giurò che sarà  l'ultimo post  che dedicherò  a  tali vicende    salvi  chje  che  non s'avverera   la profezia  che  ho  fato    nel  post  precedente , cioè quella  di vederla  ospite  dala de 

filippi ed  affini  )   c'è  una ragazza  omossessuale  o  lgbt   per  usare  il politicamente  corretto    che   hja  avuto  una  situazione   come  qiella  di marika  ma   è  rimasta  fuori  ed  lontrano  dai media   e che  ha   una dignità  perchè non ha  chiesto  niente  a  nesuno  er  si  fa ed  si fattas un mazzo scosi  per  andare  a vanti  . Ma  ora  basta    parlare  lascio la parola   alla Lucarelli  

Malika, la lezione per non buttare via i soldi e la vita


Buongiorno signora Lucarelli, ho 22 anni, lavoro come babysitter, vivo in un appartamento in affitto a Milano, ho un cane e un gatto che non ho potuto portare con me, sono zia di quattro bambini stupendi (due in realtà devono nascere ma so già che saranno meravigliosi), convivo con la mia spettacolare fidanzata, sono un’ex ginnasta e ballerina, mi sono diplomata l’anno scorso dopo due anni di interruzione della scuola per poter lavorare, canto stonata sotto la doccia, ho le lenzuola di Harry Potter, amo la pizza e la tartare di salmone e mi piace tanto l’azzurro. A 18 anni e un mese sono scappata di casa perché la mia vita era diventata insostenibile: giusto un mesetto e mezzo prima mia mamma aveva scoperto nel peggiore dei modi la mia neonata relazione con una ragazza, naturalmente non l’ha accettata. Ho subito violenza verbale e fisica a casa mia, “alzi la voce” era la scusa, ma io la voce la alzavo per essere ascoltata, perché in tutto quel tempo nessuno si era fermato a chiedermi come stessi io che, da studentessa adolescente e povera di una scuola gesuita circondata da spocchiosi ragazzini con la puzza sotto il naso i cui genitori pagavano la mia borsa di studio, mi sono scoperta lesbica e sono stata la prima a non accettarmi.

Mi sono rimboccata le maniche, ho lasciato la scuola, ho lavorato e mi sono potuta addirittura permettere di andare in vacanza con i MIEI soldi sudati con il MIO lavoro.

A maggio di due anni fa sono tornata a casa con mia mamma, ci siamo più o meno riappacificate nonostante lei continuasse a non accettare la mia sessualità. Ho lavorato e nel mentre a settembre sono tornata a scuola. Poi un infortunio, ho lasciato il lavoro per riuscire bene a scuola, ho chiesto la disoccupazione per avere un aiuto perché comunque a casa di mia mamma pagavo l’affitto della mia stanza. Avevo circa, tra tutto, 450 euro di spese al mese escluso il cibo. Di disoccupazione ne prendevo 670,40. O sarebbe dovuto essere così. Ho chiesto la disoccupazione a metà gennaio, con i tempi dell’inps sarebbe dovuta arrivare a febbraio, ma è iniziata la pandemia. Ho visto la mia disoccupazione a maggio. Nel frattempo pagavo a rate la macchinina di mia nonna che intendeva poi regalarmi all’ottenimento della patente di guida (che non potevo, e non posso tuttora, permettermi). Ho arrancato per mesi. Mi sono arrangiata. Mi sono diplomata, ho subito iniziato a lavorare e a settembre ho preso casa con la mia fidanzata. Tutto da sola. Con grandi difficoltà. E non cerco compassione o pacche sulla spalla, sono fiera di ciò che ho fatto e so di non essere l’unica ad averlo fatto.

Mia mamma non mi ha cacciata di casa, ma mi ha reso la vita talmente invivibile per la seconda volta che sono dovuta scappare, di nuovo, definitivamente. Ho preso la decisione di andare via dopo il mio primo stipendio: mi sono presentata al lavoro con un occhio nero e dopo mille domande ho deciso che era ora di finirla.

Da sola con la mia compagna abbiamo affrontato un isolamento, poi la quarantena, gli stipendi quasi dimezzati per sei mesi perché lavoravamo entrambe in un locale nell’ambito della ristorazione. Ho lasciato l’università a cui mi ero iscritta perché la retta non potevo permettermela. Ho rinunciato al mio sogno di studiare e me ne sono costruita un altro: vivere.

Ho deciso di scriverle perché ho sempre pensato che ci fosse qualcosa che non andava nella storia di Malika. Ci sono centinaia di ragazzi come me e come Malika che si ritrovano senza famiglia, ma nessuno riceve 150mila euro da persone che donano loro i soldi per ripartire. E soprattutto nessuno li sputtana in una Mercedes che non serve per ripartire, basta una Twingo usata del 2012 come la mia, che è già un lusso. Sa cosa avrei fatto io con tutti quei soldi? Per prima cosa avrei prenotato privatamente la risonanza magnetica al cervello che aspetto da mesi. Poi avrei fatto la patente. Avrei pagato la retta dell’università. Mi sarei messa una piccola cifra da parte per coprirmi le spalle MENTRE LAVORO. E il resto lo avrei dato a tutte le altre persone che hanno bisogno.

Sono arrabbiata. Perché tutti meritano di ricostituirsi una vita dopo che la propria viene distrutta. Farlo è difficile, io ci sto provando ma a volte sembra davvero impossibile. Malika nella sfortuna (perché ciò che è successo a lei non dovrebbe succedere a nessuno) ha avuto la fortuna di avere un paese che le è stato accanto e un aiuto economico a ripartire. Eppure non se lo meritava. Sa cosa penso? Che chi sta male e davvero ha bisogno, non chiede aiuto. Io non ho mai chiesto aiuto perché mi sento debole, perché non voglio attirare attenzioni su di me. E quando sono andata via di casa con 100 euro in tasca e nemmeno le mie mutande che mia mamma non mi ha mai dato, la prima cosa che mi sono chiesta non è stata “come farò senza soldi e senza vestiti?”, il primo pensiero è stato “e ora come cazzo faccio senza l’abbraccio di mia mamma? Senza sapere che è dalla mia parte? Senza una famiglia? ”. Ce l’ho fatta signora Lucarelli, da sola. Ce la sto facendo. Ho ancora strada da fare ma ce la sto facendo. E sono indignata per come Malika si è comportata


                                    ******


Grazie per questa lettera onesta, forte e priva di retorica, cara A. Io credo che la ricostruzione di una vita debba passare anche attraverso gli sfizi, specie a 22 anni, ma bisogna essere trasparenti fin dall’inizio. Malika ha peccato in questo. Non doveva avventurarsi in promesse di beneficenza e psicologo, era sufficiente un più asciutto “i soldi mi serviranno a vivere con leggerezza i miei 22 anni, ne ho bisogno” e le avremmo perdonato tutto.

3.12.13

Alluvione a Olbia, anziana salvata da due romeni Gesto eroico in via Sicilia. I testimoni: «È viva solo grazie al loro altruismo, hanno messo in pericolo la loro stessa vita»

 Spero che  questo gesto faccia   riflettere  e   zittisca , chi  , fra le tante  voci che raccontano i fatti di quei giorni , diceva  che  :  gli sciacalli ed  approfittatori della drammaticità   fossero  rumeni .
Mi fermo qui   per  evitare  di cadere  nel retorico  , anzi  lascio  che a concludere  il mio pensiero , prima di  lasciarvi all'articolo  , sia    il pezzo più significativo del  film  eroe per  caso  





  dala  nuova  sardegna del  3\12\\2013

OLBIA. Hanno sfidato l’acqua alta e il fango per mettere in salvo un’anziana signora e una ragazza inferma, in via Sicilia. Ma dopo aver rischiato la vita Viorel Timic e Marinica Bulai, (foto a sinistra )  romeni, non hanno cercato la luce dei riflettori. Hanno chiesto scusa per aver sporcato la casa in cui hanno portato le due sopravvissute dell’alluvione e sono andati via. Sono stati i vicini di casa, che hanno assistito a questo doppio salvataggio, a voler raccontare la storia di questi eroi sconosciuti, due figli adottivi di Olbia, protagonisti di un gesto di grande altruismo.
La notte del 18 novembre in via Sicilia l’acqua sale di livello in pochi minuti. Agripina Iftemia è la badante di una donna di 85 anni, inferma, costretta a respirare con una bombola di ossigeno. Il lettino in cui si trova l’anziana viene raggiunto dall’acqua e comincia a galleggiare. L’appartamento resta senza luce. I centralini del Comune e delle forze dell’ordine sono intasati. Agripina chiede aiuto al marito, Viorel. Che in pochi minuti arriva con un amico in via Sicilia. I due si gettano nell’acqua gelida, raggiungono la camera da letto in cui si trova l’anziana, la prendono in braccio, la fanno uscire da una finestra e attraverso un cortile con oltre un metro di acqua, fango e gasolio, raggiungono via Vittorio Veneto e la mettono in salvo. Neanche il tempo di sistemare l’anziana sul letto che da un altro appartamento arrivano le urla di una ragazza. La giovane, Maria Paola, inferma, è intrappolata nella sua stanza. Viorel e Marinica non ci pensano un attimo. Ancora una volta affrontano il fiume di acqua e mettono in salvo la giovane. «Subito dopo sono andati via – raccontano i vicini –. Ci hanno dato una bella lezione di bontà, coraggio e altruismo».

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...