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Elia ed Emma sono due gemellini nati a Tblisi, in Georgia, da una madre surrogata ucraina nel maggio scorso: oggi sono apolidi, senza diritti e “senza genitori”. Per una ragnatela di cavilli giudiziari, il tribunale georgiano si rifiuta di riconoscere la potestà dei due genitori italiani, Laura Z. ed Edoardo S., e
di rilasciare loro l’atto di nascita dei gemellini per farli rientrare in Italia. “Da maggio non sappiamo come lasciare questo Paese, ci sentiamo completamente abbandonati dalle autorità”. Quando racconta la sua storia – e la sua guerra – Laura, 35 anni, non cede mai alla disperazione: di battaglie ne ha combattute, fino a qui, già tante. Come in una matrioska dentro l’altra, si porta sulle spalle anni di lotte per diventare madre, a causa di una malattia invalidante. Per la procreazione assistita, le hanno detto che non c’era speranza. Per l’adozione, anche: per le sue condizioni di salute, “ha un’aspettativa di vita troppo bassa”. Invalida al 70%, insieme al marito Edoardo, 32 anni, decidono di ricorrere alla maternità surrogata in Ucraina. Nel 2020, durante la pandemia, si rivolgono alla società Gestlife – sede amministrativa in Spagna – che individua la madre naturale e la mette in contatto con loro. Costo: 80 mila euro. Circa un anno dopo, Marina, la ragazza ucraina, è incinta, ma quando scoppia la guerra è costretta a nascondersi nei bunker di Dnipro col suo figlio di 6 anni. “Per tutelarli abbiamo pagato per il loro trasferimento a Tblisi, l’agenzia ci aveva assicurato che la legislazione era identica a quella di Kiev”, racconta Laura. Ma non era vero: nell’approdo georgiano, i gemelli sono rimasti ingabbiati in un kafkiano processo che non riconosce ai minori di 4 mesi né patria, né genitori. “Kafkiano è pure l’atteggiamento delle autorità georgiane che non riconoscono il rapporto biologico tra i gemelli ed Edoardo, confermato dal test del Dna”, spiega l’avvocato della coppia, Giorgio Muccio. La maternità surrogata “è stata effettuata dai coniugi nel rispetto della legge ucraina, che prevede che la coppia sia sposata, che uno dei due fornisca materiale biologico, e che si faccia per ragioni sanitarie: la legge georgiana è identica, ma prevede che chi dona gli ovociti non sia anonimo, come invece accade in Ucraina”, continua Muccio.
Per colpa quindi di un codice – quello con cui è registrata la donatrice a Kiev, che invece per la Georgia deve essere identificata con nome e cognome – e per colpa della discrepanza tra sistemi legislativi, Tblisi non rilascia l’atto di nascita dei bambini. L’ambasciata italiana in Georgia “non ha potere sulle autorità georgiane” continua Muccio. I neonati, figli biologici di Edoardo, “per ius saguinis hanno diritto di rientrare in Italia. La Georgia sta violando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo” conclude l’avvocato.
Dal 23 maggio scorso, quando i gemelli sono venuti al mondo prematuri, l’unica prova della loro esistenza è il documento provvisorio rilasciato dall’ospedale di Tblisi. Quindi non hanno cittadinanza né ufficialmente dei genitori, ma i servizi sociali georgiani gli hanno dato – nonostante non esistano certificati – il cognome di Edoardo. A Laura poi sono stati affidati “sulla fiducia”. Da quel giorno le lancette sono state sospese e la partenza verso l’italia è stata rinviata in un perenne presente di sacrifici in un Paese straniero. Durante l’ultima udienza, il giudice è stato pilatesco: “Ha analizzato il caso solo per riferire che lui non è la figura giusta per occualtro parsene. E quindi, ora?” racconta sbigottito Edoardo. Il loro avvocato ha proposto ai due ragazzi di rientrare in Italia “per far riconoscere la paternità dagli ufficiali italiani, nell’interesse superiore del minore, come prevede l’articolo 3 della Convezione dei diritti del fanciullo”.
In uno dei faldoni di uno degli uffici dell’anagrafe georgiana rimane il destino di Elia ed Emma, ma anche quello dei genitori. Dentro la voce di Laura rimangono invece mesi di giochi a nascondino a cui l’hanno sottoposta i tribunali georgiani e la Gestlife. Presto si troverà davanti a un bivio crudele: “Scegliere tra abbandonare i miei figli qui e tornare a casa per curarmi”. In Italia, dove hanno lasciato le loro vite sospese, hanno entrambi un lavoro: lei in aspettativa, lui invece a rischio licenziamento perché è in Georgia. Relegati nel cono d’ombra come tutti gli apolidi, intanto i gemelli non hanno diritti. Una sera Elia ha avuto difficoltà respiratorie, ma l’ospedale di Tblisi ha blindato i suoi reparti. “Ci hanno detto che senza atto di nascita o un documento che certifichi che noi siamo genitori i dottori nemmeno potevano guardarlo”.
A Lodi, nella stanza dei gemelli, culle e seggioloni sono già pronti per accoglierli. Da perniciosa, la situazione potrebbe diventare irreparabile. Rimane poco tempo: “Tra due mesi i bambini verranno considerati georgiani, potranno portarceli via”, dice Edoardo. A Tblisi, racconta, il cielo è sempre più grigio ed è già arrivato il freddo, quello che spirerà presto fino a quaggiù, nella patria lontana di Emma ed Elia.
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