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26.10.14

non si può imprigionare il vento

Per  arricchirvi  culturalmente  non  cadere  nelle propaganda del potere vi consiglio

Ragioni senza forzaforze senza ragione. Una risposta a Oriana Fallaci è un libro di Allievi Stefano pubblicato da EMI nella collana Religioni in dialogo  http://www.ibs.it/code/9788830713741/allievi-stefano/ragioni-senza-forza.html

  dall'amica   e  compagna di  viaggio Daniela Tuscano 



In fondo, non ci sarebbe molto da commentare. I fatti sono li', lampanti. La conclusione, anche. Feroce quanto si vuole, disumana al massimo ma, purtroppo, né imprevedibile né sensazionale.
I soliti analisti riprendono la salmodia sulla comunità planetaria, che per Realpolitik si è mossa tardi e, allentata la tensione, ha abbandonato Reyhaneh al suo destino.
Sì, tutto vero. Com'è vero che il suo caso non provocherà alcuna rottura diplomatica fra Stati, e verrà presto, già di fatto lo è, archiviato. Le rituali frasi inutilmente sdegnate e si volterà pagina. Poveraccia, le è andata male, amen.


Eppure qualcosa, o meglio qualcuno, è cambiato. Quel cambiamento si chiama Reyhaneh Jabbari. Appesa a una trave, "giustiziata" come in modo osceno si continua a ripetere, adesso è più viva e presente che mai.
È stata la morte a eternarla. Cioè il martirio. La testimonianza. Perché Reyhaneh, in quella giustizia che l'ha "giustiziata", aveva creduto. Perché alla fine, dopo un processo-farsa e sei anni di detenzione, ha rifiutato di ritrattare. Non ha barattato l'esistenza fisica col piatto di lenticchie della menzogna e della viltà. Le avevano "consigliato" d'inventarsi lo stupro per aver salva la vita. Ha risposto di no. Quante di noi ne sarebbero state capaci?
Reyhaneh sapeva che quella successiva non sarebbe stata vita. Avrebbe forse scapolato l'impiccagione ma non la vergogna, la solitudine, il ripudio di parenti e amici, la vendetta. Perché una donna stuprata, o comunque sospettata di esserlo, rimane pur sempre un disonore. Non una vittima da proteggere. Disonore. Merce scaduta. È sempre lei la colpevole. Rea d'essere ancora su questa terra, senza contare più nulla.
A Reyhaneh insomma si prospettava una sola alternativa: la morte. L'avrebbero eliminata se avesse subito la violenza in silenzio, l'hanno eliminata perché ha parlato.
Ci piace pensare l'abbia fatto perché ne aveva piene le scatole. Era stanca. Come Rosa Parks cui nella lontana estate del 1955 dolevano i piedi e si sedette in prima fila sull'autobus, fottendosene della paura e dimostrando l'imbecillità, prima ancora del razzismo, delle "leggi" allora vigenti.
È quella stanchezza a vincere ogni paura. Dietro quella stanchezza c'è un percorso. La cognizione della propria dignità. La coscienza di non essere un oggetto.
Per questo hanno voluto tacitarla. Reyhaneh non aveva accettato la sua condizione di "oggetto". E poco conta se abbia ucciso o no il proprio aguzzino. Se con lui avesse o no in precedenza intrecciato una relazione.
Non era Maria Goretti ma una donna con pregi e difetti, una giovane donna amante dei libri e della vita, che a un certo punto ha detto basta a una determinata situazione, nella quale non sappiamo - e NON IMPORTA SAPERLO - come fosse finita.
Non importa, anzi, importa moltissimo, non per lei, ma per l'anima del suo aggressore - un importante membro dell'intelligence iraniana -, che quest'ultimo sia stato pugnalato "mentre pregava". Stupro e preghiera, violenza e devozione: tutto corretto, tutto normale in una società dove il maschio è onnipotente e modella Dio a propria immagine e somiglianza.
Il maschilismo questo è: bestemmia contro Dio e la sua creazione. Venerazione del Male camuffata da pietà. E questi i suoi frutti. Nelle società dov'esso ha piena cittadinanza, e dov'era toccato vivere a Reyhaneh, si manifesta nella forma più virulenta. Ma, come radice d'ogni ingiustizia, razzismo e prepotenza, alligna ovunque.
I femminicidi in Italia, ad esempio, non sono opera di pazzi isolati ma il risultato d'un atavico disprezzo verso le donne divenuto mentalità comune. Siamo un Paese dove la Cassazione decreta impossibile lo stupro se una donna porta i jeans, dove la pena, già molto tenue, per il violentatore s'abbassa ulteriormente se la vittima-accusata non è più vergine. Foss'anche una ragazzina. Cercate sui libri a quando risale il nuovo diritto di famiglia. Fin quando è rimasto in vigore lo ius corrigendi. Quali le pene riservate agli adulteri e alle adultere. In quale anno lo stupro è stato dichiarato reato contro la persona e non contro la morale. Date un'occhiata ai programmi scolastici. Verificate lo spazio riservato a scrittrici, artiste, scienziate, religiose, politiche, attiviste. Guardate un programma televisivo, e non voglio scomodare i varietà "per famiglie" dove si dimenano fanciulle seminude a fianco di compunti conduttori supercoperti, né le inchieste voyeuristiche dei tranquilli pomeriggi casalinghi. No, parlo di quei bei quiz preserali dove il presentatore perbene non manca mai, davanti alla concorrente incinta, di sciorinare con un radioso sorriso il suo "Auguri e figli maschi!". Osservate i cartelloni pubblicitari.
Senza quindi togliere responsabilità alcuna alla "cultura" dell'attuale Iran e d'altri paesi dove le donne sono crudelmente e legalmente oppresse, è fuorviante, e intellettualmente disonesto, limitarsi a condannare a parole, di volta in volta, il fondamentalismo islamico, l'inerzia della comunità internazionale, ecc. Questa è mera autoassoluzione, modo parziale, furbesco (e maschile) d'aggirare il problema, nascondendo i motivi profondi d'un odio MONDIALE e MILLENARIO.
Ma l'odio non trionferà. E se oggi piangiamo la perdita fisica di Reyhaneh, auspicando sia l'ultima - per ragioni diverse, ma eguale certezza del proprio valore di persona e di fede, rischia la stessa sorte la pachistana Asia Bibi - la sua vicenda c'infonde anche una grande speranza. La speranza che non potranno mai più sottometterci e zittirci. Se anche da luoghi in cui il maschio crudamente impera si levano echi di resistenza, significa che la trasformazione è inarrestabile, che un sistema decrepito e inumano è stato colpito al cuore e nessun cappio, lapidazione, lama sul collo ne impedirà la rovina. Non si può imprigionare il vento. Sta a tutte noi, frattanto, soffiare più forte. Unite.

© Daniela Tuscano  





31.5.14

IL NOME DI MARIA di Daniela Tuscano - [ Meriam, la donna cristiana condannata a morte ]



Meriam, Mariam, Myriam. Ormai questo nome è diventato familiare alle cronache, ma chissà quanti occidentali ne conoscono ancora l'origine. Meriam, cioè Maria. Maria è la donna del maggio al tramonto. È la donna della Visitazione che ha affrontato un lungo cammino, disprezzando i pericoli, incinta (anch'essa!), per recarsi da un'altra donna e proclamare un mondo nuovo, di eguaglianza, pace, liberazione dagli oppressori. Una donna di giustizia prima che di carità. O meglio, d'una carità nella giustizia. Quel nome oggi vive in Sudan, in carcere e in catene. Come la sua omonima, incinta. Anzi, quel figlio della pace e della liberazione l'ha già dato alla luce: ed è naturalmente femmina, ed è nata prigioniera, perché per lei non v'è posto nell'albergo, ma solo dietro le umide sbarre d'un carcere. Prigioniera e fuggitiva, il sole visto dietro un riquadro di pietra - così la immaginiamo -, è stata accolta dal padre come un doppio dono: chissà se sarebbe stato lo stesso, fosse nata in condizioni normali. Maya, figlia di Meriam la cristiana, è nata in galera perché la madre non ha abiurato la propria fede. Meriam è figlia d'una cristiana e d'un musulmano, e per legge considerata islamica, anche se quel genitore non l'ha mai visto, pur se quel padre ha abbandonato la famiglia quando lei aveva pochi mesi. Come se una fede si potesse imporre. Sposatasi con un cristiano, Meriam è stata così dichiarata "adultera", il matrimonio considerato nullo, il primogenito - sbattuto in cella con lei, a
venti mesi - un "bastardo". E lei, condannata all'impiccagione. E poi, quella saccenteria cavillosa: ha un nome musulmano. Falsità. Menzogne. Meriam Yahia Ibrahim sono nomi anche cristiani. Sono nomi. Hanno radici bibliche, indicano unità, prosecuzione, crescita. Sono espansioni, mentre la grettezza integralista separa, sgretola, fustiga e uccide, specialmente se si tratta d'una donna. Meriam ha resistito, resiste. Grazie all'intervento dei media cattolici il suo caso è rimbalzato in tutto il mondo (ma un'altra donna, Faiza Abdalla, rischia la medesima condanna). Fonti governative hanno appena annunciato la sua prossima liberazione. Ma libera, Meriam lo è già. Lo è "dentro", anche "da dentro". Una vicenda, questa, talmente ricca di simboli, anzi, di allegorie, che risulta difficile, se non impossibile, non vedere in essa un appello alle coscienze morte, al lassismo del nostro cristianesimo fumigante. Una vicenda capace di stordire, ammettiamolo. Anche, direi soprattutto, certi/e difensori d'ufficio dei diritti umani, in particolare femminili, che per Meriam e le donne come lei (la pachistana Asia Bibi ha trascorso il suo quarto Natale in cella e da quell'antro sperduto ha indirizzato al Papa una lettera colma d'amore e gratitudine verso Dio), non hanno trovato parole adeguate né si sono mossi con la consueta tempestività. Cosa li ha bloccati? L'autocensura del politicamente corretto? L'ostinazione nel non voler riconoscere che i cristiani, in Africa e in Asia - quest'ultima, loro naturale culla - stanno subendo una violenta persecuzione? Senza dubbio. Ma non basta. Meriam e le sue compagne incarnano la sorpresa e lo scandalo. Non solo per gli integralisti. Ma per il relativismo idiota e torpido delle nostre menti. Meriam e le altre hanno infatti mandato in frantumi le tesi care ai legulei dell'umanitarismo salottiero, secondo cui l'emancipazione delle donne si manifesta nelle finte urla nude delle Femen. Meriam e le altre sono perseguitate non per aver cercato d'occidentalizzarsi, né per aver rinunciato alla propria cultura o credo; anzi, proprio in quest'ultimo esse trovano la forza e il significato del loro esser donne. Stanno dimostrando, a costo della vita, che esiste un altro modo di testimoniare la propria dignità di persone: sì, nella fede "patriarcale, misogina, oppressiva" che il conformismo progressista vorrebbe estirpare. In tal senso, poco importa Meriam sia cristiana. Potrebbe appartenere benissimo a quell'Islam in nome del quale essa è stata condannata, o all'induismo... a tutto. Le religioni sono costruzioni di uomini; di uomini maschi. La religione (religare) è maschile, la fede femminile. La religione fissa limiti, detta regole, impone riti. E pretende sacerdoti, e quei sacerdoti, d'una religione simile, non possono essere che maschi, poiché sono la parzialità fattasi totalità, la deificazione d'una creatura misera e presuntuosa. La religione dei maschi è, al massimo, il rudimento della fede, la sua lallazione, ma la maturità è un cielo mistico e appartiene alla donna. "Iddio ha creato l'uomo maschio e femmina, l'uno e l'altro a propria immagine - scrive Edith Stein. - Solo quando le rispettive caratteristiche maschili



E femminili sono pienamente sviluppate, si raggiunge la massima somiglianza possibile col divino, e solo allora la comune vita terrena viene tutta potentemente compenetrata dalla vita divina". Fino ai giorni nostri, questo sviluppo non s'è attuato, perché sotto diverse forme ha dominato soltanto un individuo sull'altro. Origine d'ogni violenza, falsità, perversione. Dittatura, anche. Così, i maschi-piccoli iddii che legiferano sul credo femminile, che stuprano e impiccano ragazzine minorenni in India e crocifiggono misere sventurate in Italia (con la giustificazione, rispettivamente dell'avvocato e dello stesso assassino, "sono ragazzi, possono sbagliare" e "ho fatto una bischerata"), attestano la persistenza della struttura di peccato e della natura decaduta. Come ho scritto altrove è questo l'unico, vero, peccato originale. P. S.: Il nostro pensiero si rivolge, naturalmente, anche alle studentesse nigeriane (per la maggior parte, ma non solo, cristiane) rapite dai sanguinari terroristi di Boko Haram. Colpevoli di andare a scuola, di non sottomettersi a una parodia di religione a immagine maschile, semplicemente del fatto di esistere come donne. Ma la cieca violenza non prevarrà.

11.9.13

spose bambine e divieto di leggere \ possedere la bibbia

Se commentate  questo post  , vi pregherei  d'evitare  per  non aggiungere  odio ad  odio  e  d'evitare  di cadere anche   voi nel fanatismo  , commenti xenofobici e razzisti . Insomma  fate parlare  la mente   e  non la pancia  


Yemen, sposa bambina muore a 8 anni. “Troppe lesioni dopo prima notte nozze” …che orrore!

Un giornalista freelance ha fatto emergere la storia di Rawan, bimba venduta dalla famiglia a un quarantenne. Le autorità locali negano la notizia, ma il cronista dice di avere “testimoni pronti a parlare”. Secondo l’Unicef i matrimoni infantili riguardano il 14% delle yemenite date in dote prima dei 15 anni e il 52% delle under 18.E’ morta a 8 anni, dissanguata per ferite interne, dopo la prima notte di nozze. Si chiamava Rawan la sposa bambina che, pratica usuale in Yemen, era stata data in sposa per soldi dai genitori a un uomo che aveva cinque volte la sua età, quindi 40. Lo denunciano gli attivisti, spiegando che la piccola è deceduta a Hardh, zona tribale nello Yemen nord occidentale, al confine con l’Arabia Saudita. Gli stessi attivisti ora chiedono che sia fatta giustizia e che il marito e i familiari della vittima vengano arrestati e processati. Le autorità e la sicurezza della provincia di Hajja nel nord dello Yemen hanno smentito categoricamente la notizia.A portare alla luce il dramma di Rawan è stato il giornalista yemenita freelance,Mohammad Radman, che insiste sulla veridicità della notizia e l’attendibilità delle sue fonti. Citando persone vicine alla vittima, il reporter dice che “sono pronti a testimoniare“. Radman sostiene che i funzionari “stiano tentando di seppellire la vicenda“. Mosleh Al Azzani, direttore del Dipartimento di indagini criminalinel distretto di Hardh dove sarebbe avvenuto il matrimonio, ha detto a Gulf News di aver contattato personalmente la famiglia per interrogarli sulla vicenda. “Avevo sentito la notizia. Ho chiamato il padre della bambina”, ha detto il funzionario. Secondo la sua versione, l’uomo sarebbe venuto con una bambina dichiarandone la paternità e smentendo quindi sia le nozze che la morte di Rawan. A conferma di ciò Azzani dice di avere una foto della bambina che può “mostrare a chiunque”.Il caso di Rawan riaccendere i riflettori sulle nozze delle bambine nello Yemen, soprattutto nelle aree tribali e tra le famiglie più povere. Un fenomeno che, secondo ultimi dati dell’Unicef riguarda il 14 per cento delle bambine yemenite, che si sposa prima di compiere i 15 anni e il 52% di coloro che lo fanno prima dei 18. Nel 2005 l’Università di Sana’a ha denunciato che in alcune aree rurali vengono date in sposa persino bambine di otto anni. Nel 2009 il Parlamento dello Yemen ha votato una legge per vietare i matrimoni sotto i 17 anni, ma gli esponenti più conservatori e i religiosi si sono opposti, affermando che era unaviolazione della legge islamica che non pone limiti all’età per le nozze.“Le conseguenze dei matrimoni infantili sono devastanti. Le bambine vengonotolte da scuola, la loro istruzione interrotta in modo permanente e molte soffrono di problemi di salute cronica per avere troppi figli e troppo presto”, denunciaLiesl Gerntholtz, direttore della Divisione per i diritti delle donne di Human Rights Watch. E aggiunge: “E’ fondamentale che lo Yemen prenda misure immediate e concrete per proteggere le ragazze da questi abusi”.  (Tgcom24.mediaset.it)Il Signore invita gli uomini che praticano questi matrimoni infantili a ravvedersi a che sono in tempo. Oggi, siamo nell’ultimo tempo della pazienza di Dio. Il Signore vedendo i pensieri degli uomini che erano propensi continuamente a fare del male, disse: “Mi pento di aver fatto l’uomo”, Gen.6:56. Oggi siamo al tempo parallelo di Sodoma e di Gomorra, quando le persone furono bruciate col fuoco caduto dall’alto a motivo della loro malvagità; leggi Gen.19:24-25.Infatti, notiamo nel tempo in cui viviamo, gli uomini di quei paesi in cui si praticano le nozze delle bambine, amano la loro vanità, la loro persona, curandosi delle cose di questo mondo anziché, il Creatore cioè Dio. Questo è il male che regnerà nei prossimi giorni. Ameranno di più le loro il sesso la depravazione le loro case, le loro proprietà, i loro affari, il loro divertimento più di me; ma l’uomo che io ho creato non mi cerca per venire a me con umiliazione, con cuore rotto e con lo spirito pentito, cercando il mio insegnamento, NO! Mi dice solo: Signore, Signore, mi ha solo nella sua bocca, ma il suo cuore è lontano da me. mi cercano solo per i loro interessi dimenticando il Mio comandamento d’ubbidienza. Il Signore fa sapere: Pentitevi dai vostri peccati e lasciateli perché io sono un Dio geloso,Esod.20:5.
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Arabia Saudita: Ecco la punizione per chi legge la Bibbia. (Attenzione immagini forti)

imaggesQuesta è una nuova forma di punizione in una delle nazioni saudite. Secondo i rapporti inviati a noi dall’Arabia, questo è un nuovo castigo usato alla persona trovata in possesso di una Bibbia [l'immagine è un esempio dei danni causati da questo tipo di punizione e gli strumenti utilizzati].A parte la loro sharia, (legge islamica) sulla base della dottrina del loro ‘profeta’ Mohammed (signore della guerra), l’Arabia Saudita ha inflitto questa punizione a 2500 persone all’anno, pubblicizzando gli eventi in maniera da terrorizzare chiunque prenda in possesso una bibbia.Queste torture vengono eseguite da certi boia, che non solo sono autorizzati dallo stato, ma vengono stipendiati per commettere queste violenze. Il governo saudita ha preso in considerazione plotoni di esecuzione per colmare la carenza di carnefici.I carnefici hanno detto di essere “orgoglioso di fare il lavoro di Dio”. Ma è un dio o un uomo che condanna queste persone, senza un giusto processo e torturati?E non migliora in altre società musulmane. Il governo iraniano ha annunciato nuovi strumenti di punizione legale sotto la Sharia: una sega elettrica è ora usata per tagliare le mani, le dita delle mani e dei piedi. E ora un tipo di trituratore viene implementato in alcuni posti per le punizioni.Libri di testo distribuiti belle scuole dell’Arabia Saudita insegnano ai bambini come p tagliare le mani di un ladro e piedi sotto la sharia . I libri sono stati pubblicati e distribuiti alle classi elementari. Ali Al-Ahmed, direttore dell’Istituto per gli Affari del Golfo, ha dichiarato alla Fox News: ‘Qui è dove il terrorismo ha inizio, nel sistema di istruzione. ‘Essi mostrano agli studenti come tagliare la mano e i piedi di un ladro. I libri di testo sono stati stampati per l’anno accademico 2010-2011 e tradotti dall’istituzione pubblica araba. In uno di questi libri di testo gli studenti vengono impartite nozioni di come annientare il popolo ebraico in modo imperativo. Oltre a istigare l’omicidio versi gli ebrei, inoltre i testi descrivono le donne come “deboli” e insegnano che i gay sono pericolosi e devono essere messi a morte.(Attenzione, la mano in fotografia,  è estranea a quel tipo di tortura infernale, ma è stata inserità nell’articolo affinchè si abbia l’idea della stessa conseguenza che può causare quel tagliacarta, modificato a strumento di tortura, utilizzato per la punizione).
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13.7.13

Noi siamo il miracolo

Grazie! Un immenso grazie viene da rivolgere a Malala dopo il suo discorso all'Onu di ieri sera. Immediatamente dopo sorge spontanea una richiesta di perdono. Io stessa sento di doverglielo chiedere per prima. Io che oso deprimermi, che mi fermo a metà cammino. Che molto spesso mi sento inutile e insensata.
Io, comunque, sono qui. Nessuno ha tentato di spararmi perché non godessi del basilare diritto all'istruzione. Nessuno mi ha impedito di realizzare, sia pur con fatica, il mio sogno d'insegnare. Chiedo perdono a Malala. Per tutte le volte che ho osato arrendermi. Per tutte le volte che ho perso fiducia nell'essere umano e nella sua capacità di risorgere.
Hanno scritto che è cresciuta troppo presto. Falso. Malala è ancora una ragazzina. Lo sguardo bellissimo e pesto, segno indelebile dell'immane violenza subita, non è quello di un'adulta. Troppo diretto e autentico. Uno sguardo che denuda, come certe domande dei bambini, che paiono piovere da chissà quale pianeta - messaggeri celesti, forse - ma in realtà eco profonda e definitiva della nostra coscienza assopita.
Malala rimane una ragazza, una sedicenne, e in ciò sta la sua magnificenza e il suo splendore. Si erge davanti a noi, sicura ma non superba, totalmente aperta e perciò umanissima: immersa così a fondo nella sua umanità da travalicarla. L'eroismo non la pone in un'altra dimensione, è la rappresentazione plastica della nostra forza interiore.
Chiedo perdono a Malala per tutte le volte che non ho saputo valorizzare appieno i miei doni a causa dell'odio e del rancore. E non importa nulla fossero razionalmente motivati: non esiste giustificazione per il sale che diviene scipito. Sì, perdono. Per le volte che, coi fatti se non con le parole, a dispetto delle tante parole, ho umiliato la mia femminilità, considerandola un limite, un inciampo, un handicap e non un dono di Dio.
Solo una ragazzina può arrivare a invocare il diritto alla conoscenza per tutti, compresi i figli e le figlie dei talebani. Io non ne avrei mai avuto il coraggio. Avrei invece voluto vederli morti, quei maschi spaventosi e belluini, che sono solo l'espressione più plateale d'una guerra millenaria e feroce, l'ingiustizia più esecrabile dai primordi dell'umanità: quella dell'uomo contro la donna. A ogni latitudine e cultura.
Li avrei voluti morti come vorrei morto qualsiasi maschio stupri o deformi l'anima di una donna. Gli aguzzini giustificati magari per la giovane età, mentre la vittima rimane sola e irrisa. Come nell'atroce vicenda di Montalto di Castro.
Ma la morte non è mai la soluzione. Dopo la morte c'è solo silenzio. Malala ha avuto parole d'amore. Di un amore però vero, quindi non arrendevole, non giustificatorio, privo di sconti. L'amore è anzi esigente. Ci si riappropria dell'umanità defraudata non diventando a nostra volta belve senza ragione, ma indicando una via altra. Via rischiosa, pericolosa come quello sguardo diretto e snudante, che la durezza di cuore può giungere a cancellare pur di non mettersi in discussione. Ma unica via per progredire. Perdere la vita per ritrovarla. E non cancellare quella altrui, pur se rimasta ancora a livello di semplice e brutale esistenza.
Per questa trasfigurazione restituente ringrazio e chiedo scusa a Malala e a tutte le ragazze e ragazzi a me affidati. Non hanno che noi per crescere. E noi non abbiamo che loro per affidare il nostro breve futuro, e la più ampia storia umana, in un corale cammino verso la terra promessa. Cioè questa, il cuore accogliente e generoso. Il miracolo siamo noi.

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...