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5.10.14

"Alla prima comunione del clan, la limousine di 12 metri e i fuochi d'artificio" L’anatema del parroco della Cattedrale di Bari: “Così offendono i riti sacramentali, ormai i boss hanno occupato le piazze”

>Questa storia  è dedicata   a  chi mi dice  che  sono miscredente   , e non rispetto  preti e  clero  . Io li  rispetto  benissimo  ,  però  allo stesso tempo da  parte loro  ci dev'essere   anche rispetto   e   comprensione   , non solo condanna   o  tanto meno   vedi il caso   degli inchini  alle  durante le precessioni alle  case  di  boss  ( o affiliati )  mafiosi . O  tariffari imposti per  i riti  come  riporto   sul mio facebook

Ora Non riuscendo  a trovare  , e  quando lo trovi nelle  varie rassegne  stampe  non è  copiabile  ,l'articolo  del nazionale  ,  su tale  storia  , ricorro  a  http://bari.repubblica.it/cronaca/2014/10/03/

"Alla prima comunione del clan, la limousine di 12 metri e i fuochi d'artificio"
L’anatema del parroco della Cattedrale di Bari: “Così offendono i riti sacramentali, ormai i boss hanno occupato le piazze”di MARA CHIARELLI


Don Franco Lanzolla  
Una limousine lunga 12 metri per accompagnare il pargolo all'altare, splendido per la sua prima comunione. E poi, a celebrazione conclusa, i fuochi d'artificio per onorarlo. Non è un bimbo come tutti gli altri, non nel trattamento da boss. Ecco, appunto. Lui, che ha soli 10 anni, è il nipote di uno storico personaggio criminale di Bari vecchia, e qualche giorno fa sul sagrato della Cattedrale, la scena non poteva passare inosservata.
"La confessione, la prima comunione, non sono più considerati riti sacramentali, ma sociali. Proprio come è avvenuto domenica scorsa, con la limousine di 12 metri che lo aspettava fuori e i fuochi subito dopo ". A raccontarlo è don Franco Lanzolla, il parroco della Cattedrale, "il parroco di tutti", come lo hanno definito. Fermo, come sempre, nel suo denunciare quello che proprio non va, quello che si potrebbe e dovrebbe ancora fare.
"Non serve lavorare sul penale sostiene - dobbiamo occupare i territori. Perché loro, le organizzazioni criminali, sono un microsistema culturale che offre ai più giovani un progetto educativo, molto più appetibile ". Si riferisce ai ragazzi di
Bari vecchia, che oltre la Comunione non si riesce proprio più a tenere vicino, se non nelle attività creative delle associazioni, quelle che vanno incentivate, con passione. "Ci vuole un po' di pathos - ossia - di eros sociale".
Il fascino del sopruso, di chi beve birra e fuma spinelli, dei poteri forti che spadroneggiano, mentre la politica si assenta: "C'è bisogno di presidiare i luoghi del ceto povero, le piazze - invita - combattendo la malavita che ha occupato gli spazi antropologici, ha rubato un progetto educativo". Don Franco che lascia lo spazio della chiesa, lui e i suoi catechisti che scendono nei vicoli: "Ormai noi abbiamo l'oratorio di strada, non più quello della parrocchia, siamo un gruppo di cittadini che fa squadra".
Perché per colloquiare con chi ha bisogno di essere accompagnato, bisogna usare il suo stesso codice linguistico, entrare nel suo spazio, strappandolo alla mafia. "Sono convinto che non si risolve nulla nella repressione. Bisogna stare sul territorio, e tocca anche alle istituzioni farlo". Al contrario, secondo don Franco, il presidio della politica sul territorio vive dei vuoti di governo, ad esempio d'estate, quando "la classe dirigente va a Rosa Marina e a Parchitello, mentre nei quartieri popolari resta solo il ceto popolare che non si può permettere di andare in vacanza".
In quella direzione si muove l'antimafia sociale, che questa volta si appoggia sulla Chiesa e sulla scuola: "Una volta si parlava di prevenire, accompagnare, al quartiere Japigia si parlava di occupare il territorio. Lì dove i componenti dei clan vivono abusivamente in case popolari - denuncia don Franco - godendo di favori negati ad altri che ne avrebbero più diritto. Io mi chiedo: chi gliele dà, chi li autorizza? Non si può, a questo punto, non ipotizzare connivenze all'interno delle istituzioni, persone pagate per garantire ai malavitosi la prosecuzione di quei benefici, concessi loro in maniera illecita. I mafiosi hanno tutto, e per questo sono facili modelli per i giovani del ceto povero", quelli ai quali è stato tolto anche lo spazio per il gioco, l'aggregazione, il presente prima che il futuro.

13.7.13

Noi siamo il miracolo

Grazie! Un immenso grazie viene da rivolgere a Malala dopo il suo discorso all'Onu di ieri sera. Immediatamente dopo sorge spontanea una richiesta di perdono. Io stessa sento di doverglielo chiedere per prima. Io che oso deprimermi, che mi fermo a metà cammino. Che molto spesso mi sento inutile e insensata.
Io, comunque, sono qui. Nessuno ha tentato di spararmi perché non godessi del basilare diritto all'istruzione. Nessuno mi ha impedito di realizzare, sia pur con fatica, il mio sogno d'insegnare. Chiedo perdono a Malala. Per tutte le volte che ho osato arrendermi. Per tutte le volte che ho perso fiducia nell'essere umano e nella sua capacità di risorgere.
Hanno scritto che è cresciuta troppo presto. Falso. Malala è ancora una ragazzina. Lo sguardo bellissimo e pesto, segno indelebile dell'immane violenza subita, non è quello di un'adulta. Troppo diretto e autentico. Uno sguardo che denuda, come certe domande dei bambini, che paiono piovere da chissà quale pianeta - messaggeri celesti, forse - ma in realtà eco profonda e definitiva della nostra coscienza assopita.
Malala rimane una ragazza, una sedicenne, e in ciò sta la sua magnificenza e il suo splendore. Si erge davanti a noi, sicura ma non superba, totalmente aperta e perciò umanissima: immersa così a fondo nella sua umanità da travalicarla. L'eroismo non la pone in un'altra dimensione, è la rappresentazione plastica della nostra forza interiore.
Chiedo perdono a Malala per tutte le volte che non ho saputo valorizzare appieno i miei doni a causa dell'odio e del rancore. E non importa nulla fossero razionalmente motivati: non esiste giustificazione per il sale che diviene scipito. Sì, perdono. Per le volte che, coi fatti se non con le parole, a dispetto delle tante parole, ho umiliato la mia femminilità, considerandola un limite, un inciampo, un handicap e non un dono di Dio.
Solo una ragazzina può arrivare a invocare il diritto alla conoscenza per tutti, compresi i figli e le figlie dei talebani. Io non ne avrei mai avuto il coraggio. Avrei invece voluto vederli morti, quei maschi spaventosi e belluini, che sono solo l'espressione più plateale d'una guerra millenaria e feroce, l'ingiustizia più esecrabile dai primordi dell'umanità: quella dell'uomo contro la donna. A ogni latitudine e cultura.
Li avrei voluti morti come vorrei morto qualsiasi maschio stupri o deformi l'anima di una donna. Gli aguzzini giustificati magari per la giovane età, mentre la vittima rimane sola e irrisa. Come nell'atroce vicenda di Montalto di Castro.
Ma la morte non è mai la soluzione. Dopo la morte c'è solo silenzio. Malala ha avuto parole d'amore. Di un amore però vero, quindi non arrendevole, non giustificatorio, privo di sconti. L'amore è anzi esigente. Ci si riappropria dell'umanità defraudata non diventando a nostra volta belve senza ragione, ma indicando una via altra. Via rischiosa, pericolosa come quello sguardo diretto e snudante, che la durezza di cuore può giungere a cancellare pur di non mettersi in discussione. Ma unica via per progredire. Perdere la vita per ritrovarla. E non cancellare quella altrui, pur se rimasta ancora a livello di semplice e brutale esistenza.
Per questa trasfigurazione restituente ringrazio e chiedo scusa a Malala e a tutte le ragazze e ragazzi a me affidati. Non hanno che noi per crescere. E noi non abbiamo che loro per affidare il nostro breve futuro, e la più ampia storia umana, in un corale cammino verso la terra promessa. Cioè questa, il cuore accogliente e generoso. Il miracolo siamo noi.

28.4.12

ecco perchè non prendo la via del nord e seguo il consiglio della vecchia Levi montalcini

non seguo questo consiglio



ma preferisco ,  anche  solo in rete  perchè  da  solo  è impossibile  vista la rassegnazione quasi totale  in un paese  di  15 mila  abitanti lottare per  non fare ciò
da  Bobo novecento  di Sergio Staino  in "  Classici del  fumetto  serie oro  n 22  " edito da  repubblica   2005

e seguire  questo  consiglio

"Ai giovani medici dico che restare in Italia per fare ricerca è una grande sfida. Loro sono un patrimonio straordinario e saranno la salvezza del nostro Paese".(Rita Levi Montalcini)

25.4.12

:al dievel, Girolamo Nicolini,



La storia di Germano Nicolini, comandante Diavolo, è stata ripresa dai CSI con Linea Gotica, nella quale è presente anche un altro personaggio simbolo della lotta antifascista: Giuseppe Dossetti (il monaco ubbidiente) e dai Modena City Ramblers, che con la canzone Al Diével (traduzione emiliana di "Diavolo") l'hanno fatta conoscere al grande pubblico. La canzone compare in una prima versione in "La grande famiglia" e in una seconda versione modificata in cui interviene come voce narrante anche lo stesso Nicolini in "Appunti partigiani". In quest'ulimo disco è contenuto uno scritto di Luciano Ligabue intitolato "Il diavolo". Compare inoltre nel documentario "Partigiani" del 1997 di Davide Ferrario e Guido Chiesa una raccolta di testimonianze sullaguerra partigiana girato a Correggio. La vicenda giudiziaria di Germano Nicolini viene raccontata sempre da Davide Ferrario e Daniele Vicari in un documentario successivo, "Comunisti" del 1998. Sempre alla vicenda Don Pessina è stata dedicata, all'epoca della riapertura del caso giudiziario, una puntata della trasmissione televisiva "Telefono Giallo" di Corrado Augias. il resto della storia   qui 

la vita è un casino ma ... parte 2



"Oh me, oh vita! 
Domande come queste mi perseguitano, 
infiniti cortei d'infedeli, 
città gremite di stolti, 
che vi è di nuovo in tutto questo, 
oh me, oh vita! "
(Walt Whitman)



Oggi ,  proprio  mentre ascolto  la  colonna  sonora  del  bellissimo  film Into the Wild - Nelle terre selvagge (Into the Wild), regia di Sean Penn (2007) , mi  viene da   riprende  la  discussione  iniziata nel  mio post precedente  : la  vita  è un casino ma  alo stesso tempo vale la pena  d'essere vissuta . Ecco  che  definisco meglio  la mia concezione  su d'essa . La  vita  è  un grande mistero   o  dono divino  ( dipende  da  i punti di vista  )  per  cui  non esiste  una risposta   fissa  , definitiva  ed  immutabile  perché  ogni uno  di  noi  la  vede  in maniera  diversa e personale .Voglio  specificare la creazione di una  mia tag  :  è la vita  e tu non puoi farci niente La  vita  .  




Nel senso   )  che la  vita  è imprevedibile  e mutabile  e  che quindi   si  può , anzi si deve  per  ( a meno che  tu  vedere  l'atro  video sotto   scelga  diversamente  ) lottare  per -- ma  non è  il mio percorso  -- renderla straordinaria  oppure  --  è questo  fra  alti  e basi , battere  e levare  , cadere  e  rialzarsi  , fra il dolce  e l'amaro   il mio percorso -- vivere nel bene e nel male  la vita  nella  sua pienezza   non vivere come monumento \ omologato   cioè morto vivente  e  il sopravvivere  porto all'estremo e  alla passività   , reagire per  modificarla come suggerisce la  vignetta   riporta   a  destra  . a  voi decidere  quale  tipo   di vita  intraprendere    .L'importante  è  che  decidiate  liberamente   senza  farvi suggestionare   dal primo che  capita, sottoscritto compreso   che  ha  : << Due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta, ed è per questo che sono diverso ( Robet Frost San Francisco, 26 marzo 1874 – Boston, 29 gennaio 1963) ed è tratta da :La Strada Non Presa>>, ma  che ragionate    con la vostra testa



  io nonostante  tutto  vado  avanti  , scalciando pietre e venendo scalciato  . Ma  come  dice la canzone sotto : 








emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...