IL NOME DI MARIA di Daniela Tuscano - [ Meriam, la donna cristiana condannata a morte ]



Meriam, Mariam, Myriam. Ormai questo nome è diventato familiare alle cronache, ma chissà quanti occidentali ne conoscono ancora l'origine. Meriam, cioè Maria. Maria è la donna del maggio al tramonto. È la donna della Visitazione che ha affrontato un lungo cammino, disprezzando i pericoli, incinta (anch'essa!), per recarsi da un'altra donna e proclamare un mondo nuovo, di eguaglianza, pace, liberazione dagli oppressori. Una donna di giustizia prima che di carità. O meglio, d'una carità nella giustizia. Quel nome oggi vive in Sudan, in carcere e in catene. Come la sua omonima, incinta. Anzi, quel figlio della pace e della liberazione l'ha già dato alla luce: ed è naturalmente femmina, ed è nata prigioniera, perché per lei non v'è posto nell'albergo, ma solo dietro le umide sbarre d'un carcere. Prigioniera e fuggitiva, il sole visto dietro un riquadro di pietra - così la immaginiamo -, è stata accolta dal padre come un doppio dono: chissà se sarebbe stato lo stesso, fosse nata in condizioni normali. Maya, figlia di Meriam la cristiana, è nata in galera perché la madre non ha abiurato la propria fede. Meriam è figlia d'una cristiana e d'un musulmano, e per legge considerata islamica, anche se quel genitore non l'ha mai visto, pur se quel padre ha abbandonato la famiglia quando lei aveva pochi mesi. Come se una fede si potesse imporre. Sposatasi con un cristiano, Meriam è stata così dichiarata "adultera", il matrimonio considerato nullo, il primogenito - sbattuto in cella con lei, a
venti mesi - un "bastardo". E lei, condannata all'impiccagione. E poi, quella saccenteria cavillosa: ha un nome musulmano. Falsità. Menzogne. Meriam Yahia Ibrahim sono nomi anche cristiani. Sono nomi. Hanno radici bibliche, indicano unità, prosecuzione, crescita. Sono espansioni, mentre la grettezza integralista separa, sgretola, fustiga e uccide, specialmente se si tratta d'una donna. Meriam ha resistito, resiste. Grazie all'intervento dei media cattolici il suo caso è rimbalzato in tutto il mondo (ma un'altra donna, Faiza Abdalla, rischia la medesima condanna). Fonti governative hanno appena annunciato la sua prossima liberazione. Ma libera, Meriam lo è già. Lo è "dentro", anche "da dentro". Una vicenda, questa, talmente ricca di simboli, anzi, di allegorie, che risulta difficile, se non impossibile, non vedere in essa un appello alle coscienze morte, al lassismo del nostro cristianesimo fumigante. Una vicenda capace di stordire, ammettiamolo. Anche, direi soprattutto, certi/e difensori d'ufficio dei diritti umani, in particolare femminili, che per Meriam e le donne come lei (la pachistana Asia Bibi ha trascorso il suo quarto Natale in cella e da quell'antro sperduto ha indirizzato al Papa una lettera colma d'amore e gratitudine verso Dio), non hanno trovato parole adeguate né si sono mossi con la consueta tempestività. Cosa li ha bloccati? L'autocensura del politicamente corretto? L'ostinazione nel non voler riconoscere che i cristiani, in Africa e in Asia - quest'ultima, loro naturale culla - stanno subendo una violenta persecuzione? Senza dubbio. Ma non basta. Meriam e le sue compagne incarnano la sorpresa e lo scandalo. Non solo per gli integralisti. Ma per il relativismo idiota e torpido delle nostre menti. Meriam e le altre hanno infatti mandato in frantumi le tesi care ai legulei dell'umanitarismo salottiero, secondo cui l'emancipazione delle donne si manifesta nelle finte urla nude delle Femen. Meriam e le altre sono perseguitate non per aver cercato d'occidentalizzarsi, né per aver rinunciato alla propria cultura o credo; anzi, proprio in quest'ultimo esse trovano la forza e il significato del loro esser donne. Stanno dimostrando, a costo della vita, che esiste un altro modo di testimoniare la propria dignità di persone: sì, nella fede "patriarcale, misogina, oppressiva" che il conformismo progressista vorrebbe estirpare. In tal senso, poco importa Meriam sia cristiana. Potrebbe appartenere benissimo a quell'Islam in nome del quale essa è stata condannata, o all'induismo... a tutto. Le religioni sono costruzioni di uomini; di uomini maschi. La religione (religare) è maschile, la fede femminile. La religione fissa limiti, detta regole, impone riti. E pretende sacerdoti, e quei sacerdoti, d'una religione simile, non possono essere che maschi, poiché sono la parzialità fattasi totalità, la deificazione d'una creatura misera e presuntuosa. La religione dei maschi è, al massimo, il rudimento della fede, la sua lallazione, ma la maturità è un cielo mistico e appartiene alla donna. "Iddio ha creato l'uomo maschio e femmina, l'uno e l'altro a propria immagine - scrive Edith Stein. - Solo quando le rispettive caratteristiche maschili



E femminili sono pienamente sviluppate, si raggiunge la massima somiglianza possibile col divino, e solo allora la comune vita terrena viene tutta potentemente compenetrata dalla vita divina". Fino ai giorni nostri, questo sviluppo non s'è attuato, perché sotto diverse forme ha dominato soltanto un individuo sull'altro. Origine d'ogni violenza, falsità, perversione. Dittatura, anche. Così, i maschi-piccoli iddii che legiferano sul credo femminile, che stuprano e impiccano ragazzine minorenni in India e crocifiggono misere sventurate in Italia (con la giustificazione, rispettivamente dell'avvocato e dello stesso assassino, "sono ragazzi, possono sbagliare" e "ho fatto una bischerata"), attestano la persistenza della struttura di peccato e della natura decaduta. Come ho scritto altrove è questo l'unico, vero, peccato originale. P. S.: Il nostro pensiero si rivolge, naturalmente, anche alle studentesse nigeriane (per la maggior parte, ma non solo, cristiane) rapite dai sanguinari terroristi di Boko Haram. Colpevoli di andare a scuola, di non sottomettersi a una parodia di religione a immagine maschile, semplicemente del fatto di esistere come donne. Ma la cieca violenza non prevarrà.

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