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1.11.25

anche le donne trans vengono molestate e gli aggressori se la cavano con poco per via del patteggiamento il caso di minerva uzzanu

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chi è Minerva Uzzanu e la sua   testimonianza 


 da  la    nuova  sardegna    1\11\2025 



Sassari «È questo il messaggio che vogliamo mandare come società? Che ogni uomo che molesta una donna ha diritto al cartellino giallo finché non viene denunciato di nuovo?»: lo chiede Minerva Uzzau, 25 anni, ragazza transgender e attivista per i diritti di genere. Lo sfogo nasce da un’esperienza personale: più di un anno fa raccontava pubblicamente un episodio di molestie e insulti subiti a Porto Torres. Oggi racconta un epilogo che non avrebbe voluto: «Il mio aggressore se l’è cavata con un patteggiamento». Il ragazzo ha salutato il giudice dell’udienza preliminare patteggiando poco più di un anno di reclusione con pena sospesa e convertita in un percorso di recupero al Cam, il centro di ascolto maltrattanti. Un nulla di fatto, secondo Uzzau: «Caso figlio di un sistema che vuole mettere la toppa nella maniera più frettolosa possibile».
I fatti si riferiscono ad agosto 2024, dopo la festa del carnevale estivo, poco prima delle 4 del mattino, Minerva è seduta al tavolino esterno di un kebab col fratello e due amici. Da un’auto scendono quattro ragazzi e due si avvicinano a lei. Uno di questi gioca con i suoi capelli, poi la prendono tutti in giro, le vomitano addosso insulti transfobici: «Sei un maschio, sei un maschio».
Lei risponde a tono, allora uno torna indietro e le mette le mani addosso, le palpa il seno: «Le tette sono vere», urla agli amici. Lei reagisce e lo colpisce, i presenti evitano che la situazione degeneri. Ma uno dei ragazzi inizia a filmare Minerva con il cellulare mentre l’altro le si para di nuovo davanti e la prende in giro. In poco tempo finisce tutto. Alla lunga rimane la paura e la rabbia per una violenza di quel tipo. Minerva Uzzau, che proprio per le sue lotte da attivista e attraverso il racconto social della sua transizione è diventata una figura molto seguita nell’isola, sfrutta la cassa di risonanza di Instagram e denuncia l’accaduto.
Dalla bolla del web si finisce in aula di tribunale. Ma la risposta della giustizia, ammette, lascia l’amaro in bocca. «Il mio corpo è stato violato, violenza che ho denunciato alle autorità – racconta oggi in un altro post su Instagram –. L’udienza preliminare ha concluso il procedimento penale con il patteggiamento del mio aggressore. Un patteggiamento, in cui io come persona offesa non ho diritto di parola».
E poco dopo riflette: «Dov’è la voce delle nostre martiri? Di ogni donna che viene sistematicamente silenziata da accordi fra terze parti che non le coinvolgono minimamente?». Infine: «La sentenza di oggi non mi restituirà quella serata di agosto. Non mi restituirà i mesi di sofferenza e di insicurezza che questa vicenda mi ha causato. Non pulirà il mio corpo dalle macchie che le sue mani mi hanno lasciato». L’ultima parte del suo messaggio social è di reazione: «Non sarà questa sentenza a fermarmi».
A margine dei riflettori web, Minerva Uzzau a margine non nasconde il tono deluso da una sentenza che sembra appiattire le conseguenze di quanto accaduto. Però non arretra e ne approfitta per incoraggiare le donne «a continuare a denunciare» a prescindere da com’è andata nel suo caso. Assistita dall’avvocato Daniele Solinas, promette che agirà in sede civile per ottenere «almeno delle scuse formali». E «ci tengo che molte donne sappiano che le vittime di violenze in sede legale possono richiedere il patrocinio a spese dello Stato. Spesso la paura di affrontare delle spese spinge a rimanere zitte».

14.2.15

18 magistrati impegnati per il piccione ucciso Già sei gradi di giudizio per la vicenda del volatile colpito col fucile ad aria compressa da un lega

Se oltre a lamentarci di quella  che ormai è diventata  una ciampanella\e   della  giustizia  italiana  , eviteremo di fare   come la storia  che riporto  li sotto ,  cause  per  questioni di lana  caprina o   quanto meno  di cercare  cavilli o azzeccagarbugli  anziché pur  di non  accettare regole e  pene  , forse la  giustizia    inizierà a migliorare 

da  oknews  che  riporta  un articolo del corriere del sera  del 13\2\2015 


di Giuseppe Guastella 
Il                                      Tribunale di Milano(Fotogramma)

Per quasi 5 anni 18 magistrati si sono occupati della morte di un piccione in un andirivieni di processi che è la dimostrazione lampante di come la giustizia italiana possa riuscire a perdere tempo pestando acqua in assurdi bizantinismi. E non è ancora finita. Tutto comincia il 6 giugno 2010 quando un avvocato di 50 anni si affaccia ad una finestra della sua villetta nella zona est di Milano e con un colpo di fucile ad aria compressa centra un piccione che cade morto nel cortile del palazzo a fianco. I vicini, secondo i quali da due anni l’avvocato sparava agli uccelli, chiamano i Carabinieri. 
Ai militari che bussano alla villetta si presenta un uomo «in palese stato di ebbrezza alcolica», scrivono nel verbale firmato in quattro, che dice di avere sparato perché anni prima suo figlio si era ammalato ed era «entrato in coma a causa di uno di questi volatili». Per rimuovere la carcassa dell’animale deve intervenire un mezzo speciale del Comune. Uccisione di animali con crudeltà e «getto pericoloso di cose» (il proiettile) in luogo privato di uso altrui, recita l’accusa formulata dal pm della Procura al gip Bruno Giordano, che quattro mesi e mezzo dopo il fatto emette un decreto penale condannando il reo confesso a ottomila euro di multa. L’imputato non ci sta, si oppone e chiede di essere giudicato con il rito abbreviato. Per quei reati la prescrizione è di cinque anni. I primi due vanno via ancor prima che il fascicolo arrivi sul tavolo del giudice Andrea Ghinetti che il 6 marzo 2012, su richiesta di un secondo pm, condanna l’avvocato a un mese e 20 giorni di arresto con la condizionale. 
La cosa potrebbe finire qui, ma anche stavolta lo sparatore non si ferma e, avvalendosi di ogni suo diritto, fa appello perché, sostengono i suoi due difensori, le prove erano insufficienti, nessuno ha
visto sparare, i Carabinieri non hanno «redatto un verbale per constatare lo stato del piccione» e, poi, chi l’ha detto che l’uccello è stato ucciso dal proiettile? Non potrebbe essere che si è fatto male da solo andando a sbattere contro un ramo? E «se fosse davvero morto per cause naturali?». E la confessione? «Inutilizzabile» perché resa senza la presenza di un avvocato. 
Il processo d’appello (tre giudici e un sostituto procuratore generale per l’accusa) l’ 8 ottobre 2012 conferma la condanna dopo aver analizzato il caso da capo a piedi. Neppure questo basta a far desistere gli avvocati che spostano la battaglia in Cassazione. La prescrizione continua a correre. 
Bisognerà aspettare 16 mesi prima di sapere cosa 5 giudici della terza sezione penale rispondono al pm che, manco a dirlo, chiede la conferma della condanna. Gli ermellini approfondiscono anche loro il caso, quasi ci si appassionano. Vergano tre pagine di motivazioni che confermano come al solito la condanna. Ma attenzione, solo per l’uccisione dell’animale rimandando indietro la questione del «getto pericoloso» perché non era stata sufficientemente motivata dall’Appello. Si torna a Milano il 30 gennaio 2015, Corte d’appello, sezione quarta. Il ricordo del piccione continua a vivere solo nelle aule di giustizia. Tre giudici e il sostituto pg Gaetano Amato Santamaria, che con tutti gli altri che li hanno preceduti fanno la bellezza di 18 magistrati con i quali hanno lavorato qualche decina di cancellieri e impiegati, per l’ennesima volta analizzano la sorte dell’animale finendo perfino a disquisire se il «getto» potesse riguardare la caduta «del corpo stesso del piccione ferito e agonizzante precipitato tra le persone» e non il pallino che lo ha trapassato ad un’ala. Sentenza confermata di nuovo anche per il secondo reato. Ci vorrebbero 30 giorni per le motivazioni, ma il presidente Francesca Marcelli le deposita il 10 febbraio. 
Il gong finale della prescrizione suonerà a giugno 2015, ma c’è ancora la possibilità di un ricorso in Cassazione: altri sei magistrati. Resta la condanna definitiva per il primo reato, ammesso che ci sia un magistrato dell’esecuzione che tra i fascicoli che gli sommergono l’ufficio abbia anche lui tempo da dedicare al povero piccione e al suo uccisore.


Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...