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22.8.15

Spirito di © Daniela Tuscano

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Anche questo è martirio. Soprattutto questo. Khaled Asaad [foto sotto al centro  ] è morto per quelle pietre, per quella memoria litica che stava lì, a immortalare non solo l’umana vicenda, ma la peribilità degli dèi.

Khaled è stato torturato per mesi da Is/Daesh nel solito silenzio complice e criminale di Turchia e Occidente, poi decapitato, appeso a una colonna – uno dei tanti simboli da lui protetti e amati – a 82 anni. La sua testa l’hanno posta al basamento con ancora indosso gli occhiali. Di questi neonazisti in versione mediorientale tutto si può dire, tutto si può e si deve maledire – e stroncarli, stroncarli senza esitazione – ma non che siano stupidi. Anch’essi usano una loro simbologia, e gli occhiali lasciati sul capo dell’insigne studioso non sono solo un’irrisione, ma il manifesto odio l’uomo colto, che osa
dubitare: pure degli dèi, quegli dèi succedutisi, come accennavamo prima, nel macigno dei secoli, lettura per umani, evoluti o perduti con essi. E tuttavia sempre presenti, a suggellare un tempo che, comunque, fluisce; un prima e un dopo sono esistiti ed esisteranno ancora. La sterile fissità degli assassini, avida, consumistica – non desideravano impossessarsi dei reperti per distruggerli bensì per rivenderli al mercato nero a ricchi collezionisti occidentali e quindi investire il ricavato in armi: che tutti i sedicenti amanti delle antichità sappiano – è il marchio avvilente del loro declino ateo; la  negazione dell’evoluzione, anche della percezione di Dio, il rifiuto della propria natura profonda, proteica e multicosmica. Periranno, assieme a chi li ha tollerati e finanziati, e continua a farlo. Entrambi sorgono dalla decrepitezza d’una banconota. E da tarli antichi, come gli aguzzini di Ekin Van  [foto in alto   a  destra   ], naturalmente curda, naturalmente trucidata da turchi sodali di Daesh – turchi, membri della Nato -, d’una turpitudine così banale da non trovar di meglio che spogliarlo, quel corpo, perché va sempre bene, perché una donna nuda è sempre indecente e lasciva e umiliata. Si perpetra, anch’esso nel suo fissismo senza storia, il martello della misoginia, che non sa parlare, ma solo ringhiare e sbranare. Demoliscono e distruggono antichissimi monasteri cristiani, senza escludere gli umani: di tutti i perseguitati, i seguaci di Cristo sono i più ignorati dall’Occidente, che li accoglie con un’alzata di spalle, che non li riconosce nemmeno; cristiani in Oriente, come si trattasse d’una vicenda eccentrica, distorta. 



Invece essi nascono laggiù. La nostra coscienza s’è dispersa in quelle pietre che non hanno nulla di mistico nel senso di certo ayurveda riveduto e corretto. Il misticismo cristiano è aridità di deserto, roccia di comunione. Non è distacco dal mondo, ma è mondo, un mondo lacero e sofferente, accettato e sfrangiato. Spiritualmente siamo tutti semiti, diceva Pio XI, ma lo Spirito, che soffia dove vuole, si è allontanato dai nostri angoli…
No. Non ci fa mai mancare il suo soffio, il suo ruah. Ma non sappiamo più riconoscerlo.

                                             © Daniela Tuscano

10.1.15

dopo i fatti di parigi inizia la caccia all'islamico facendo passare in secondo piano che uno dei morti era Mussulmano e cosi pure uno di quelli che ha salvato gli ostaggi



i  sottofondo 
La Fata - Edoardo Bennato - E Se Comincia La Caccia Alle Streghe... La Strega Sei Tu...


Come volesi dimostrare dopo gli ultimi avvenimenti ( su cui ci sono  , almeno per me   molti dubbi , ma  senza per questo esimermi dalla condanna per i criminali e il crimine ) si riverifichi la caccia all'uomo e la solidarietà pelosa ed ipocrita verso le vittime .
Infatti  Oltre  al  bellisimo  e  toccante post   della  compagna  di strada daniela  tuscano pubblicato  su  quesyte pagine  qualche  giorno fa http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.it/2015/01/si-capo.html  in cui  cui si parla  di Ahmed quel poliziotto mussulmano morto per  difendere  i vignettisti  


Vorrei  raccontare ai  i semiatori   d'odio

"Milioni di islamici pronti a sgozzare"
Affondo di Salvini dopo la strage di Parigi

"Milioni di islamici pronti a sgozzare" Affondo di Salvini dopo la strage di Parigi                                                               Matteo Salvini


"Milioni di islamici pronti a sgozzare e a uccidere". Così il segretario della Lega, Matteo Salvini.
"L'Islam è pericoloso: nel nome dell'Islam ci sono milioni di persone in giro per il mondo e anche sui pianerottoli di casa nostra pronti a sgozzare e a uccidere". Lo ha detto il segretario della Lega Matteo Salvini, secondo il quale l'Islam "non è come le altre religioni e non va trattato come le altre religioni".


e per finire  "  ciliegina   sulla  torta  "  il post delirante però non è un utente qualsiasi di un social network ma l’esponente politico di un comune isolano: Giovanna Tedde, assessore alla Cultura e alle politiche giovanili del comune di Bonorva  poi dimmessasi  e  scusatasi 

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Voglio che questo post sia chiaro: non accetto richieste di amicizia da parte di musulmani. Per quanto mi riguarda, e vista l’emergenza di questi anni circa il vostro ‘popolo’, potete morire ammazzati tutti. Compresi i bambini. Siete feccia che prolifera in nome di un dio che ignorate essere come quello degli altri esseri mani. Venite a farci la guerra a casa? Spero solo che il mondo vi elimini come Hitler, per errore, ha sterminato i poveri Ebrei. Voi avreste dovuto subire l’olocausto. E gradirei anche che nessuno commentasse“.
Sono parole agghiaccianti, intrise di odio e grondanti di ignoranza, che non è raro leggere su internet soprattutto in questi giorni di grande smarrimento e paura davanti ai fatti di Parigi. Parole che, complici l’immediatezza della rete e l’impunità garantita dallo schermo, trovano sempre più spazio su internet. A firmare il post delirante però non è un utente qualsiasi di un social network ma l’esponente politico di un comune isolano: Giovanna Tedde, assessore alla Cultura e alle politiche giovanili del comune di Bonorva, ha pubblicato il commento sul suo profilo personale facebook. Commento presto sparito, vista la valanga di proteste e critiche che hanno sommerso l’infelice uscita dell’assessore, così come la pagina che in pochi minuti è stata oscurata probabilmente a seguito delle segnalazioni da parte degli utenti del social network.
La Tedde, 33 anni, nata a Ozieri, è stata eletta nell’amministrazione di Bonorva quattro anni fa con la lista civica “Progetto per Bonorva” e oggi è in possesso delle deleghe a Cultura e Politiche Giovanili: un ruolo importante che mal si addice all’invettiva contro l’intero mondo musulmano a cui augura di essere eliminato “come Hitler ha sterminato per errore i poveri ebrei”.
da http://pazzoperrepubblica.blogspot.it/  del  10\1\2015



L'elenco  è ancora  lungo  , ma  non mi sembra  il caso  di  gettare   benzina  sul  fuoco  con   altri cretini   specie quelli    che  lo fanno   inventandosi balle ed \o ingigantendo gli allarmi  e le situazioni  , parlanmdo  alla pancia  come fece la fallaci nei suoi ultimi libri . Essi sono    come dice  l'amico    compagno di  strada   chi sparge odio non è diverso di chi sparge morte >>  Dario Chicchero

  un altra storia   riguardante  l'islam  da 

Lassana Bathily, il commesso musulmano salva 6 ostaggi a Parigi nascondendoli in una cella frigorifera del supermercato kosher 

LASSANA

È riuscito a salvare sei ostaggi, nascondendoli in una cella frigorifera. Lassana Bathily, 24 anni, immigrato del Mali di religione musulmana, dipendente del supermarket kosher, è un altro degli eroi della vicenda che si è consumata nella zona di Porte de Vincennes a Parigi. Il ventiquattrenne, musulmano originario del Mali, si sarebbe subito reso conto della gravità della situazione: secondo il racconto dei sopravvissuti, avrebbe cercato di radunare quante più persone possibili per nasconderle in una cella frigorifera del negozio.
Bathily non avrebbe lasciato nulla al caso. Ha spento l'impianto di raffreddamento insieme alla luce della stanza, per non destare sospetti. Dopo aver messo in salvo i clienti ed essersi messo in contatto con la polizia, il giovane sarebbe tornato tra i corridoi del negozio. Sono almeno sei le persone che, alla fine delle dure ore di prigionia, avrebbero abbracciato e ringraziato Lassana.

 





9.1.15

SI', CAPO


Era la solita aurora scialbetta, nell'XI arrondissement. Un momento che, tutto sommato, ad Ahmed non dispiaceva. Certo, il biancore del cielo poteva metter tristezza. Ma gli bastava bollire il caffè in cucina per sentirsi famiglia. Minuti lenti, claustrali, riempiti dal suo esistere. A quarantadue anni non aveva ancora moglie e gli amici non mancavano di ricordarglielo: cos'era la vita senza una sposa né una discendenza? Non era forse il matrimonio, lo scopo del nostro passaggio sulla terra? A queste osservazioni Ahmed rispondeva con un sorriso ampio, tenero e definitivo. E nessuno osava insistere. Dopo tutto, Ahmed era un poliziotto. In realtà, una ragazza aspettava in qualche luogo, senza parlare. E si dileguava nelle nebbie, dopo il saluto. Un velo d'amica. Anche Dio era solo, anzi, unico e indivisibile. Eppure presente ovunque, per tutti.
Ogni mattina Ahmed faceva la sua ricognizione nei quartieri, dove trovava altri come lui. Francesi di seconda generazione, così li chiamavano. Da lontano, a cavallo della bicicletta, lo si poteva scambiare per un postino. Aveva l'aria sempre un po' sospesa, ma l'occhio non smarriva nulla. Conosceva qualsiasi ciottolo e davanzale. E volti, certo. Dell'uno annotava il sopracciglio alzato, dell'altro la mestizia del labbro, la scriminatura dei capelli. Anche quel certo profumo di fresco, proveniente da chissà chi, l'unico in grado di ammaliarlo, e allora qualcuno avrebbe veduto, nel poliziotto solitario, un palpito sottopelle, una passione dolce e bassa, che scivolava subito via.
Quando li portava in guardina, invece, sembravano tutti uguali. La voce scolorita. "Sì, capo", rispondevano al suo invito a seguirlo. Animali disarmati. Ma lui non infieriva mai. Era il suo modo di riscattarli dall'anonimato. Trasmettere il senso del dovere e della giustizia. Cos'altro serviva, per
onorare la vita?
Quella mattina l'aria frizzava un po' di più. L'ennesima ricognizione, stavolta vicino a un giornale satirico che sbertucciava tutto e tutti. Compresa la sua fede, presentata come sanguinaria, e lui si arrabbiava: ma l'Islam non è mica così!, e allora i suoi occhi, sempre giovani, perdevano l'atavica, premonitrice gravità e s'animavano d'un lampo inconsueto. Lo notavano i suoi colleghi ma anche gli scapigliati giornalisti: uno gli aveva fatto un lungo discorso altrettanto animato e pervaso d'atea religiosità, poi si era infilato in paragoni convulsi tra Ahmed e uno scrittore algerino quasi suo omonimo, l'amico di Paul Bowles, roba sentita a scuola. Ma lui era nato in Francia da genitori tunisini e gli dispiaceva soltanto quella visione distorta della realtà.
Paziente, però, era paziente. I mattoidi avevano subito numerose minacce, e lui sospirava. Quanta fatica, il mondo. Alla fine il giudizio spettava solo a Dio.
Ahmed il tranquillo viveva nel caos ma ciò che non sopportava era lo scoppio dei fuochi d'artificio. Gli sembrava una bestemmia imitare il suono mortifero degli spari. Più s'inoltrava nei boulevard, più incrociava gente concitata, e qualcuno vociava di questi scoppi ormai fuori tempo. Ma Ahmed scosse la testa e si rabbuiò. Non si trattava di mortaretti, ma di morte. E, in quegli istanti, Ahmed si trasformava in volpe. Non pensava mai, o meglio, il suo pensiero era la corsa. E si trovò già là. La sede del settimanale irriverente!
Poi vide in bianco e nero, poi solo il nero di boulevard Lenoir, della sagoma che si avventava contro di lui. Ebbe il senso d'una spirale, il casco che volava in alto, quasi un colpo sul ring, e la calce dura dell'asfalto. Eccolo involto in un fagotto, la tuta come un sudario, e quel giovane esagitato col fucile contro di lui, dai tratti così simili ai suoi, eppure così remoti. Incredulità di bambino, l'unica che possa vincere un poliziotto. "Vuoi uccidermi?" si sente chiedere, senza capire. "Sì, capo", e la conferma stavolta è davvero incolore; livida, metallica. Ricordi di luoghi inauditi, il sorriso d'oasi dei genitori, l'alabastro di strani monti, due occhi vellutati, i libri, il giuramento, le corse spettinate, una stanza candida. Poi un secondo colpo - et adieu, Ahmed.

                                                 © Daniela Tuscano

23.8.13

CHIUNQUE SIA STATO \ UN CASO DI RAZZISMO

la  nostra  utente e mia  amica  di facebook  Daniela Tuscano  non riuscendo    ad entrare  nel mio  \  nostro   blog con i tablet    mi ha  chiesto   di pubblicare    questi due   post    . Il primo   riguarda  la situazione  in Egitto
In essi  s   , come in tutti  i suoi scritti , sa esprimere quello che sento da tempo e che non riuscivo a descrivere a parole !!!

                             CHIUNQUE SIA STATO


Non voglio nemmeno sapere se si tratti di immagini vecchie di mesi e diffuse ad arte in questi giorni, per suscitare scandalo e raccapriccio (e preparare l'opinione pubblica a un intervento militare da parte del "democratico" Occidente). Non m'importa conoscere gli autori della strage. Sono stati i ribelli islamisti, affermano alcuni esperti. No, replicano altrettanti esperti, è opera del regime di Assad, quel regime "criminale" che però la Russia continua a proteggere e con cui europei e statunitensi hanno intrattenuto cordiali rapporti fino a pochissimo tempo fa (com'è avvenuto per Mubarak, appena scarcerato). 
Chiunque sia stato, è stato. Perché una cosa sembra sicura: le foto dei fanciulli, morti per asfissia dopo un attacco chimico, sono autentiche.
Questo è l'inferno, urlano i giornali. Non lo è. I bambini non evocano mai l'inferno. I bambini sono sempre paradiso. La morte dei bambini, che assillava Dostoevskij fino a fargli dubitare dell'esistenza di Dio, indica invece solo la nostra sconfitta. La morte dei bambini è la morte di Dio; ma anche il suo giudizio. Un giudizio definitivo e spietato, da Cappella Sistina.
I bimbi allineati in sudari bianchi o esanimi nelle braccia degli adulti hanno volti splendidi e statuari. Le palpebre chiuse emanano una luce pasquale, molto più vivida degli occhi solcati da fugaci passioni.
È la loro inanimata gravezza. La bellezza insopportabile e ormai rappresa che ora ci accusa. 
L'orrore, l'inferno è avvenuto prima. Quando quei volti si sono scompostamente contratti. Quando hanno agonizzato nella disperata ricerca d'uno scampolo d'aria, con in gola un incredulo perché. I bambini si fidano, non possono percepire il tradimento degli adulti: loro padri, madri, fratelli e origine. Se gli adulti li tradiscono, ne sono annientati.
I bambini su cui è piovuto il male del mondo o hanno esperito un volo mistico lasciano il sorriso ma non la serenità. I loro visi riaffiorano nivei nell'innocenza ideale, tanto più rigorosa quanto più inerme. S'invera in essi il monito "Sarete giudicati dall'amore". 
L'amore è esigente e non tollera giustificazioni. È luce che abbaglia analisi meschine, vacue strategie, ignavia d'un consesso mondiale incapace di trovare soluzioni accettabili per interi popoli, da decenni in lotta fra loro. Un'ignoranza voluta, quindi doppiamente colpevole. Più che fredda, tiepida: che è molto peggio. Manca il fuoco, la carne viva attraverso cui l'amore terreno si raffina e diviene carità. 
I bambini siriani sono morti per tiepidezza, per mancanza di carità. Che sono l'altro volto, altrettanto disumano, della violenza. È mancato, a quei bambini, uno sguardo femminile nel senso inteso da Edith Stein: nei calcoli politici "vi è sempre il pericolo di decidere a tavolino, di combinare i paragrafi più perfetti, senza tener davanti agli occhi i rapporti concreti e le conseguenze pratiche. La femminilità si oppone a questo atteggiamento astratto, è suo intimo bisogno valutare l'elemento concreto, umano: può perciò fungere da correttivo. L'oggetto, che per il politico spesso sta al primo posto e spesso detta legge, è l'interesse del partito. Ma nell'attività legislativa questo suo atteggiamento può condurlo alla più grave mancanza di oggettività".
Oggi ci si arrovella su quelle morti, a chi giovano, chi ne è responsabile, che certo merita la più severa punizione, ma senza dimenticare l'umano. Sono bambini, non pretesti né strumenti. L'ultima bestemmia sarebbe usare quei volti trasfigurati per scatenare l'ennesima guerra d'interessi e sfruttamento. Quei volti non chiedono vendetta. Quei volti c'inchiodano alle nostre responsabilità, proprio quando esprimono - ed esigono - una pace perenne e definitiva. 

© Daniela Tuscano

                                                 UN CASO DI RAZZISMO
Ottantasei anni fa venivano giustiziati sulla sedia elettrica, da innocenti, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Già la parola fa rabbrividire, al punto che alcuni ne esigono la cancellazione dal vocabolario. Giustiziare il verbo giustiziare, insomma, non sarebbe una brutta idea, specie se, come in questo e in
(Nella foto, Riccardo Cucciolla e Gian Maria Volonte' in "Sacco e Vanzetti" del 1971
molti altri casi, si accompagna al suo contrario, cioè l'innocenza dei condannati.
La storia dei due anarchici italiani la conoscono tutti, grazie anche al potente film di Montaldo magistralmente interpretato da Gian Maria Volonte' e Riccardo Cucciolla. Un j'accuse in piena regola, che ci restituisce intatto il clima incanaglito e spietato di quei tempi. Un ritratto per così dire chirurgico e, riconosciamolo, lombrosiano dei protagonisti dell'atroce storia. Gli italiani (noi italiani) nei panni dei diversi, il nordico Vanzetti e il meridionale Sacco accomunati dalla stessa sorte di "negri bianchi" come venivamo amabilmente considerati. I compatrioti con quell'aria mutila, gli occhi sempre un po' strabici, scuri come ossidiana, quasi alla ricerca dell'aria da respirare, che in questo caso erano, tanto per cambiare, le parole: lessico storpiato e inafferrabile, che essi non capivano mai del tutto e che temevano in quanto strumento del potere. I più lombrosiani non erano tuttavia loro, ma gli accusatori wasp: in primis il giudice Tayler, il cui razzismo ostentato e, addirittura, vantato portò alla creazione d'un nuovo verbo, "taierizzare", divenuto sinonimo di modo prevenuto e iniquo d'esercitare la magistratura. Non era da meno il pubblico ministero, quel Katzman la cui arringa accusatoria è stata resa con lucida puntualità da Montaldo: Sacco e Vanzetti dovevano essere condannati perché anarchici, perché terroristi, ma soprattutto perché nemici di quella civiltà superiore e avanzata in cui si erano inseriti come corpo alieno e infetto; figli di sponde estranee, imbarcatisi a milioni su natanti di fortuna e accolti dal paese ricco e prospero. Certo, si potevano comprendere i disagi, ma che questi estranei tramassero pure contro la civiltà superiore, no. Sacco e Vanzetti erano "contro la nostra democrazia", cioè l'unica e l'autentica. Nell'indegna requisitoria del Katzman si avverte l'eco di quella "Relazione sugli italiani" redatta dall'Ispettorato all'Immigrazione pochi anni prima (1912): "Generalmente sono di piccola statura, di pelle scura, non amano l'acqua e molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane; si costruiscono baracche di legno nelle periferie delle città dove vivono gli uni vicino agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti, fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra loro. Dicono che sono dediti al furto e che ostacolati diventano violenti; i nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma soprattutto non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere con espedienti o addirittura attività criminali".
Questi sub-umani, anzi, questi insetti, erano odiati e temuti.
Sacco e Vanzetti furono uccisi dal pregiudizio, dall'umiliazione cui vennero sottoposti al processo, dove li costrinsero a indossare scure coppole sotto lo sguardo divertito e sanguinario degli yankees ansiosi di vendicarsi. Erano carne da macello. La politica, l'anarchia? Per i due l'anarchia era un ideale serio. Senza potere, senza violenza. Ma la politica non era che un pretesto. L'anarchia "democratica" di Sacco e Vanzetti aveva il torto di non identificarsi col consumismo capitalista. Gli eroi di Sacco e Vanzetti non si chiamavano Rockefeller ma erano gli anonimi operai distrutti da venti ore di lavoro. Proponevano una visione "altra", inaccettabile e da respingere per il totem del liberalismo. Non volevano "quella" democrazia perché ne desideravano di più. Non accettavano la colonizzazione culturale del paese ospite. Li si accusò anche d'ingratitudine e a prima vista poteva trattarsi d'un'imputazione sensata. Italiani, greci, spagnoli, portoghesi, slavi - come snocciolava con evidente disprezzo il procuratore Katzman - provenivano da nazioni prive di libertà, spesso dittatoriali (era anche il nostro caso) e, una volta giunti nel "paese di Bengodi", pretendevano d'imporre i loro costumi, le loro strampalate, misteriose, selvagge abitudini. Quale scempio!
Sì, la democrazia italiana era meno evoluta, o meglio, non esisteva affatto, ma gli italiani non rappresentavano un monolito. Sacco e Vanzetti ne erano un esempio e offrivano un'alternativa ai modelli imperanti del totalitarismo, dal quale provenivano, e dal liberalismo, nel quale si trovavano a vivere.
Non occorre un grande intuito per notare che le descrizioni suesposte combaciano in maniera impressionante con la nostra percezione degli immigrati attuali.
Non avevamo problemi, il che sarebbe stato del tutto comprensibile. I problemi esistevano,così come oggi esistono tra noi e i fuggitivi della sponda sud del Mediterraneo. No. Noi eravamo il problema. Quando le persone sono solo problemi, e non anche risorse, è già avvenuta la disumanizzazione. Se questi sono i cardini la democrazia liberale, Sacco e Vanzetti fecero bene a rifiutarli perché tale democrazia non escludeva lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, non eliminava le discriminazioni, non negava il razzismo, anzi lo alimentava soprattutto in periodi di crisi. Allora come oggi.
I nostri connazionali vennero riabilitati solo nel 1977 e, a distanza di quasi un secolo, testimoniano una delle pagine più nere d'un odio "perbene" e quindi più insidioso e durevole. La loro vicenda suscita ancora profonda indignazione. Sacco e Vanzetti ci fanno davvero capire cosa significhi essere aborriti per il solo fatto di vivere, perché non si è previsti né utili al sistema. E il sistema elimina, inflessibilmente e legalmente. In perfetta coscienza. Come recita la battuta finale della pellicola montaldiana: "Come vuole la legge, io ti dichiaro morto".

© Daniela Tuscano
)

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...