per evitare che le manifestazioni del 25 novembre siano dolo un fuoco di paglia èra d'agir e . ecco cosa suggerisce giulia@giuliablasi.it.
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Le manifestazioni del 25 novembre non sono l’inizio di qualcosa di nuovo. Bisogna pensarle più come l’ultimo episodio con finale trionfante della nuova stagione di una serie che va avanti da decenni: il cast si è rinnovato, molte facce non ci sono più e ne sono subentrate altre, ma la storia è sempre la stessa, sempre quella dei movimenti femministi che ogni tanto danno uno strappo, tirano la storia da un’altra parte. È successo nel 2017, con i movimenti antimolestie. Sta succedendo ora, dopo che per anni le donne e i collettivi transfemministi hanno lavorato senza ricevere grande attenzione o credito da parte della popolazione generale, ma esattamente come i movimenti antimolestie 2 devono vedersela con l’ostilità dei media nazionali, della stampa conservatrice filogovernativa e megafono dell’estrema destra, e con le reti televisive ormai quasi del tutto in mano ai partiti di maggioranza.
Lo dicevo la settimana scorsa: il rischio è che questa fiammata non sia un incendio indomabile ma piuttosto un fuoco di carta, vivido e rapidissimo, e che subito si spegne. Giulia Cecchettin non è stata l’ultima donna a morire per mano di un uomo con cui era in relazione: ce ne sono state altre, ma non ne abbiamo parlato, perché la loro morte non ci sembrava simbolica. Non era la morte di una ragazza giovane e innocente, con tutta la vita davanti e così generosa ed empatica da non voler ferire l’ex fidanzato, che ha risposto alla sua empatia con le coltellate. Non c’erano sorelle femministe con lo sguardo fermo, capaci di stare davanti a una telecamera e sorprendere un paese con una dichiarazione politica. Il dolore collettivo per la morte di Giulia Cecchettin svanirà presto, se non lo trasformiamo in carburante.
I movimenti femministi lavorano già da molto tempo per emancipare le donne e le soggettività LGBTQ+. Quello che manca è un movimento degli uomini eterosessuali e cisgender, gli unici a non avere ancora affrontato il percorso collettivo di analisi e decostruzione della loro identità all’interno del patriarcato. Tutte le altre soggettività sono state costrette a farlo, perché ne andava e ne va tuttora della loro vita, libertà e autodeterminazione. Gli uomini eterocis no. E a giudicare da quello che ho visto sabato, direi che la volontà c’è: manca un piano per farlo. E allora:
Indicazioni generali per un piano d’azione maschile sulla questione di genere
Un po’ di cose le ho dette in questo articolo di Ludovica Lugli per Il Post.
In sintesi: meno proclami, più fatica.
Più in lungo:
Identificate i vostri pensatori e avviate delle conversazioni serie. C’è ovviamente Lorenzo Gasparrini, i cui libri sono già dei capisaldi sul tema, ma non è l’unico. C’è Mica Macho. C’è Pietro Izzo, con la sua newsletter intitolata Patrilineare. C’è pure, anche se lui non ci crede troppo,Lorenzo Fantoni, che in
Heavy Meta e in un po’ tutto quello che scrive guarda alla questione di genere dal punto di vista dell’ambiente del gaming e della cultura nerd, e spesso ne scrive. C’è Valerio Moggia, che in Pallonate in Faccia scrive di calcio ma anche, spessissimo, del problema che il calcio ha con le donne e la violenza contro le donne. C’è, da tantissimo tempo, il Cerchio degli uomini. E sono solo i primi sei che mi vengono in mente. Sono sicura che ce ne sono altri. Confrontatevi, citatevi a vicenda, costruite pensiero sul pensiero. La dialettica culturale si fa così. Si può cominciare, per esempio, da questo
Linguetta fresco fresco di Andrea M. Alesci, che avevo deciso di linkare qui prima di vedere che mi citava, giuro.
Trovate degli spazi. Possono essere spazi virtuali, chat, gruppi Whatsapp o Telegram, ma anche - e sarebbe bellissimo - spazi fisici, in cui discutere e confrontarsi ma anche provare a fare spogliatoio in un modo che non passi per il bisogno di dominanza sulle donne. L’attivismo richiede collettività, e in questo, come nella strutturazione ideologica, gli uomini eterocis hanno perso terreno rispetto ai gruppi incel o redpill, che si rafforzano a vicenda nella loro violenza anche costruendo spazi di vicinanza.
Datevi un obiettivo pratico. “Distruggere il patriarcato” è bello ma enorme, e ci vorrà un sacco di tempo: la distruzione del patriarcato sarà possibile solo quando un numero sufficiente di uomini rifiuterà di accettarne i dividendi, e fare massa critica è un lavoro lunghissimo e complesso. Gli obiettivi di lungo periodo sono scoraggianti, perché la gente dopo un po’ vede solo i fallimenti e non i piccoli successi. Ci sono cose molto più vicine e fattibili, che richiedono una partecipazione maschile massiccia perché appunto, riguardano gli uomini, ma che non necessitano di una grande strutturazione politica a livello individuale. Il primo che mi viene in mente è il congedo di paternità obbligatorio, paritario e retribuito, ma ce ne possono essere altri, solo in apparenza frivoli: perché non ci sono uomini nella ginnastica ritmica? E perché nel nuoto artistico gli uomini possono competere solo come singoli o in doppio con una donna? Non dico che debba cambiare per forza, dico che la disparità esiste, ed è interamente culturale. Identificate i vostri obiettivi e strutturate la lotta. All’inizio sarete pochi. Non perdetevi d’animo, il consenso si costruisce con la costanza.
Non cercate per forza il vantaggio individuale. Certo, il vantaggio esiste, avoja (Lorenzo Gasparrini ne ha parlato più volte, non starò qui a fare l’elenco delle cose che funzionerebbero meglio). Affrontare la questione di genere dal punto di vista maschile è prima di tutto giusto, e quello che è giusto non può essere legato all’opportunismo. Qualche giorno fa, a San Marino - posto che meriterebbe una newsletter a parte - Mauro Masini, che lavora con gli uomini maltrattanti, mi diceva che spesso gli uomini si avvicinano ai gruppi di autocoscienza perché hanno un problema familiare o relazionale. Risolto quello, se ne vanno. Quello che manca al maschile è un’idea di azione collettiva, fatta per tutti e non solo per sé, che è la cosa che distingue i femminismi dall’essere femmine, e il progresso comune dal trionfo della singola Eletta, per citare Michela Murgia3.
Sì, è faticoso. Certo che è faticoso, santa pazienza, chiedete a qualsiasi femminista quanta fatica ci vuole per fare un percorso insieme e contemporaneamente lavorare su di sé. La domanda è: volete davvero che le cose cambino? Se sì, dovete fare la vostra parte. Se no, amici come prima, ma voi un po’ più amici di Pillon di quanto non lo siamo noi. [...]
1La metto così perché voglio vedere chi va su Google Maps a fare i conti, e anche perché la toponomastica romana è bellissima.
2 Che comunque sempre noi eravamo, eh.
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Che ne parla in Stai zitta!