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29.1.23

L’intuito del giornalista e la strage di piazza Fontana di Emiliano Morrone


da
 https://www.corrieredellacalabria.it/2023/01/28/lintuito-del-giornalista-e-la-strage-di-piazza-fontana/


Sabato, 28 Gennaio
Ultimo aggiornamento alle 20:00

LA STORIA
«L’intuito del giornalista e la strage di piazza Fontana»
Questa è una bella storia di giornalismo sul posto, sul campo. Il caso, qualcuno parlerebbe di fortuna o di destino, ebbe un ruolo fondamentale. Ma l’intuito e la bravura personale fecero il resto…
                                    di Emiliano Morrone


Questa è una bella storia di giornalismo sul posto, sul campo. Il caso, qualcuno parlerebbe di fortuna o di destino, ebbe un ruolo fondamentale. Ma l’intuito e la bravura personale fecero il resto. La strage di piazza Fontana favorì la carriera di un giovane giornalista, proveniente da Cosenza. Ho tirato fuori questo ricordo di mio zio Luigi Morrone, detto Gino, che dopo quella strage diventò una firma di punta del quotidiano nazionale “Il Giorno”. Buona lettura.
Milano, 12 dicembre 1969. Quel giorno ero di “corta” (leggi “giorno di riposo per i giornalisti”) e, non so perché, mi ero vestito come un commissario di polizia. Camicia bianca, abito di buon taglio, cravatta scura, un bel cappotto grigio quasi nuovo. Avevo bisogno di starmene in pace: il 29 dicembre mi sarei sposato e avevo una certa fretta di compilare la lista degli invitati. Scelsi di rintanarmi nella nuova sala stampa dei carabinieri, in via Moscova, che disponeva di comodissime poltrone e, soprattutto, non era molto frequentata.
Quando entrai, diedi un’occhiata al panorama: ero solo tra una pila di luccicanti telefoni appena installati e alcune poltrone in pelle assolutamente invitanti. Cominciai il mio “lavoro”, ma fui subito interrotto dal trillo fastidioso di uno dei telefoni. Non risposi, mandando mentalmente al diavolo lo scocciatore. Il telefono insisteva. Fui tentato di staccare e riattaccare. Ma poi prevalse il buon senso: poteva essere una chiamata importante. Non appena misi all’orecchio il microfono, dall’altra parte udii una voce concitata: “Capitano C. (era il comandante del pronto intervento), è scoppiata una bomba in piazza Fontana… alla banca, ma forse è scoppiata una caldaia…”. Riattaccai, in gran fretta raccolsi le mie cose e mi precipitai all’uscita. Cercai un taxi e diedi l’indirizzo, nel frattempo cercavo di riordinare le idee, di organizzarmi. Pensai: in piazza della Scala devo scendere e correre a piedi, la zona sarà transennata.
Ero giovane e atletico (45 anni fa!), perciò bruciai le tappe e arrivai in una piazza gremita di gente vociante e disperata. Mi diressi con decisione all’ingresso e un poliziotto si fece subito da parte lasciandomi entrare. Il mio look assolutamente casuale e involontario aveva funzionato. Fino ad allora avevo sempre pensato che l’inferno fosse una trovata geniale per spaventare i piccoli peccatori come me, ma una volta nel salone sventrato della banca capii che l’inferno esiste davvero ed era proprio lì sotto i miei occhi sgomenti. Spaventoso, terrificante, apocalittico: cadaveri dilaniati; dappertutto, persino spiaccicati sulle pareti, sangue e pezzetti di pelle umana; gente che soffriva e urlava; una grande buca al centro del salone, coperta con dei tavolacci, mostrava tutta la violenza di una bomba ad alto potenziale appena scoppiata. E poi sirene, lettighe, medici e infermieri.
Un cronista, entrato al seguito del cardinale giunto a benedire le salme, davanti a tanta atrocità, non resse e piombò a terra come morto. Anch’io ero come paralizzato. Ma il mestiere, il senso del dovere mi richiamano alla realtà: comincio a contare i corpi dei poveretti dilaniati dal micidiale ordigno, prendo con meticolosità appunti, cerco di contattare il giornale. Esco dal salone, a caccia di un telefono (quelli interni erano tutti fuori uso), lo trovo nella farmacia accanto. Il vicedirettore del giornale, informato, scende all’ingresso della sede e dirotta verso piazza Fontana tutti i giornalisti che a quell’ora cominciavano i loro turni di lavoro. “Cercate di contattare Morrone, è dentro la banca”, urlava. Ebbi qualche problema a rientrare, ma alla fine, non so come, tornai in quel maledetto salone. Quel tragico pomeriggio riuscii a rendermi utilissimo al giornale. Al caporedattore chiesi timidamente: “Non firmatemi l’elenco dei morti e dei feriti”. Riattaccò, ma il giorno dopo la mia firma fu adeguatamente collocata.
Passai una notte insonne, c’era un tg regionale che dava il numero dei morti, un numero diverso dal mio. Chiamai il giornale più volte e alla fine il capocronista mi urlò: “Vai a dormire, quel tg ha un disco e ripete sempre la stessa notizia, sono esatte le tue informazioni. Buonanotte”. Io, che ero visibilmente provato, diciamo pure sotto shock, mi ero rifugiato a casa della mia ragazza, Giuliana, che da lì a poche settimane sarebbe stata mia moglie. La mia futura suocera Cristina era impegnata, con un efficace lavoro di olio di gomito, a ripulire le scarpe quasi nuove, sporche, diciamo imbrattate di sangue e tagliuzzate da tante piccole schegge di vetro. Alla fine tornarono lustre. Ma io quelle scarpe non le ho più calzate.

13.7.22

La strage di via d'amelio 19 luglio 1992 non fu solo ucciso Borsellino ma anche Manuela Loi , Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina

L’autobomba che uccise Borsellino e 5 agenti il 19 luglio ‘92 (Ansa)
 Ero poco più di un bambino , avevo 16 anni , quando gli attentati a Falcone e Borsellino hanno stravolto l'Italia. Ho ancora in mente le immagini terribili del cratere sull'autostrada tra l'aeroporto di Punta Raisi e Palermo e quelle delle auto in fiamme in via D'Amelio . Ma posso dire che ci  sono notizie a cui non vogliamo credere, a cui non riusciamo a credere, che non vogliono entrare nelle nostre teste perché sono troppo dolorose, perché spengono sogni e speranze. Per me la notizia della morte di Giovanni Falcone prima e poi  di Paolo Borsellino   sono  state  il simbolo di quella sensazione di disperata incredulità. Ed è grazie  ad essa che ho  iniziato , anche  se nel mio limite  , ad  interessarmi
alla lotta  antimafia e   a parlare  di mafia . Ma  non  divaghiamo  ed   ritorniamo  al discorso originale  . Per quanto riguarda  la  strage  di via  d'Amelio  il mio  è un ricordo     di un  ragazzo di 16  anni  . Eroo  con mio padre  ed mio fratello a fe  una passeggiata   ed  a raccogliere  bacche  di mirto   , mentre mia  madre era  rimasta  con i miei nonni . Quando tornammo  a prenderla   , per  poi rientrare  a Tempio ,  vedevo  mia nonna  materna  scossa  e  sullo fondo le immagini   del palazzo sventrato  e  delle  auto bruciate  . Ed  li  che   apprendemmo   della  strage   di  via  d'amelio che vide la morte  del giudice  paolo borsellino  e  della sua  scorta .   
 Ora poichè   per le  celebrazioni del 19 luglio  si parlerà  di al 90  % di  Borsellino  ,  e  poco  dei suoi uomini  della scorta   voglio   riportare  dal  settimanale  oggi    della  scorsa  settimana   questa intervista     alla  sorella di manuela Loi (Cagliari, 9 ottobre 1967– Palermo, 19 luglio 1992) . Manuela è stata la prima agente di Polizia italiana adibite in Italia al servizio scorte, a restare uccisa in servizio.

  dal settimanale  oggi  

Sestu, una decina di chilometri a nord di Cagliari, c’è una palazzina rosa di tre piani. Il primo è disabitato da molti anni. Le persiane sono sempre chiuse. In una cameretta il tempo si è fermato 30 anni fa. Il letto è intatto, i pupazzi sono distribuiti con amore, la scrivania è in ordine. Le pareti sono tappezzate di fotografie che ritraggono una ragazza allegra. Si chiamava Emanuela Loi, aveva 24 anni, faceva la poliziotta. Il 19 luglio del 1992, alle 16.58, invia D’Amelio, a Palermo, un’autobomba piazzata all’interno di una 126 amaranto l’ha fatta saltare per aria assieme al giudice Paolo Borsellino e a quattro suoi colleghi della scorta (Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina). Emanuela è la prima agente donna rimasta uccisa in servizio. «Moltissime persone, in tutti questi anni, mi hanno chiesto di visitare la sua stanza, adesso voglio fare di più: per ricordare mia sorella creerò un museo in sua memoria».

PASSAGGIO DI TESTIMONE Sopra Emanuela Loi, 29, guarda la foto della zia da cui ha ereditato il nome. Figlia del fratello dell’agente


Non sapevamo che scortava Borsellino. Ci tranquillizzava dicendo che il suo lavoro non era a rischio

Mia nipote è nata quattro mesi dopo la morte di Emanuela. Darle il suo nome è stato naturale.

Ora è una poliziotta anche lei

È la promessa, svelata con voce commossa, della sorella Maria Claudia, 56 anni, che abita al piano superiore di quella che un tempo era “la casa di famiglia”.

Come sarà il museo?

«Sorgerà qui, nella mansarda. Ci sarà tanta luce, le teche con gli oggetti che hanno fatto parte della vita di Emanuela: i vestiti, le catenine, la sua divisa, il cappello. Esporrò tutto quello che in questi 30 anni ho ricevuto in regalo per lei da ogni parte d’Italia: lettere, poesie, targhe, quadri, pupazzi. Verranno anche proiettati dei filmati inediti. Finalmente, la gente potrà sentire la voce di Emanuela e capire come era».

Che rapporto avevate?
«Eravamo legate da un amore indissolubile. Io, timida e introversa

; lei, chiacchierona. Invidiavo questo suo lato. Emanuela era molto legata alla famiglia e alla Sardegna, la sua terra. Quando lavorava a Palermo aveva chiesto di essere trasferita vicino a casa nostra».






Lei è più tornata a Palermo?

«Per 25 anni non ho avuto il coraggio di andarci. L’ho fatto per la prima volta nel 2017, con la Nave della Legalità. Avevo quasi paura di calpestare lo stesso suolo che aveva visto morire Emanuela, poi ho superato il blocco. Quest’anno non sarò presente alla commemorazione, preferisco ricordarla a Sestu. Parteciperò a una cerimonia più intima, nei luoghi che lei amava e dove ha vissuto».

È cambiato qualcosa in questi 30 anni?

«Non abbiamo più paura di esporci, di dire no a Cosa Nostra, di scendere in piazza. Subito dopo le stragi del 1992, ricordo le lenzuola bianche appese ai balconi delle case di Palermo e la gente che partecipava alle fiaccolate. Prima di allora era impensabile, c’era molta omertà. Oggi scuotiamo le coscienze delle generazioni future. Io ci provo quando giro le scuole d’Italia e ai giovani parlo di Emanuela. I bambini di sei anni si avvicinano emi dicono: “Da grande voglio fare il poliziotto come tua sorella”. In questi 30 anni sono venute a trovarci centinaia di scolaresche, le portano i fiori sulla tomba, una scultura unica, fatta di specchi e acqua, il simbolo della vita».

Che cosa chiede oggi per sua sorella?

«Che si faccia chiarezza sui mandanti. Nonostante diversi processi e sentenze, ci sono ancora tanti punti oscuri su questa strage di stampo mafioso-terroristico. Sono una persona molto religiosa, se i colpevoli dovessero pentirsi in modo sincero, sentito, forse potrei perdonarli».

Dove era quel 19 luglio?

«Ero in vacanza sul Lago di Garda. Le avevo scritto una cartolina, non ricordavo il suo indirizzo, così chiamai mia madre per farmelo dare. Lei rispose al telefono con voce un po’ agitata, disse che c’era appena stata una strage a Palermo, di lasciare libera la linea di casa perché probabilmente Emanuela la stava chiamando per rassicurarla, cosa che aveva

fatto il giorno in cui era morto Falcone. La sua telefonata non arrivò mai. Poi la sera sentii la notizia e il nome di Emanuela pronunciato al telegiornale. Svenni».

Sapevate che scortava il giudice Borsellino?

«No, ci diceva che era al servizio di un uomo importante, ma quando provavamo a farle qualche domanda cambiava discorso. “Non faccio un lavoro a rischio, state tranquilli”, ci rispondeva».

E dopo quella strage?

«Troppi lutti. Via D’Amelio non mi ha tolto solo mia sorella. Dopo sono venuti a mancare i miei genitori. Mio padre per quattro anni ha avuto la febbre ogni giorno, le sue difese immunitarie si erano abbassate, eppure prima di morire era a Palermo per ricordare mia sorella. Mia madre se n’è andata per un tumore al fegato nel 2006. Nel 2010 mio nipote è morto in un incidente stradale, aveva 19 anni, e l’anno prima era morta, a 40 anni, sua madre, la moglie di mio fratello».

Chi le ha dato la forza?

«La fede innanzitutto. Sono sicura che i miei cari si trovano in una dimensione migliore di quella terrena. Proprio lì ci ritroveremo tutti insieme. E poi devo molto a mio marito, che mi è sempre stato vicino, e a quello che è rimasto della mia famiglia: mio fratello e mia nipote Emanuela. Si chiama come mia sorella ed è una poliziotta anche lei».

Ha seguito le orme della zia.


«È una donna sensibile, ma anche forte e tenace, mamma di una splendida bambina di 7 anni. Emanuela si sarebbe dovuta chiamare Azzurra, è nata quattro mesi dopo via D’Amelio, ma darle il nome della zia è stato naturale. Sin da piccola ha partecipato alle commemorazioni in suo ricordo, ha respirato il senso di giustizia».

Come era arrivata in Polizia sua sorella?

«Tra noi due ero io quella che voleva fare la poliziotta, lei sognava di diventare maestra perché amava i bambini, aveva anche partecipato al concorso, aspettava solo l’esito. Nel frattempo, la convinsi a sostenere il concorso in Polizia, lei lo superò, io no. Quando seppe di essere stata assunta come insegnante, non ebbe dubbi: decise di restare in divisa, era felice».

Si è mai sentita in colpa per averla spinta a fare questo lavoro?

«Questa è una domanda che mi fanno spesso i ragazzi delle scuole. No, non ho mai avuto nessun rimpianto. Emanuela amava il suo lavoro e quando ha avuto la possibilità di lasciarlo non lo ha fatto. Per lei era una missione».

Nonostante diversi processi e sentenze, ci sono ancora tanti punti oscuri su questa strage

L’ultimo ricordo che ha di lei?

«Qualche giorno prima di morire, era in vacanza a casa nostra, in Sardegna. Aveva la febbre, mia madre le aveva detto di non tornare in Sicilia, di aspettare che passasse. Lei disse di no: “Se non vado, il mio collega non potrà andare in ferie. Lui ha una famiglia, è giusto che stia con i suoi bambini”. Questa era Emanuela».

26.11.19

La maledizione di Piazza Fontana. L'indagine interrotta. I testimoni dimenticati. La guerra tra i magistrati di Guido Salvini,Andrea Sceresini mio inervista a Anderea Scerensini

di cosa stiamo parlando

Piazza Fontana, 50 anni dopo   Il 12 dicembre 1969 la madre di tutte le stragi

da https://milano.corriere.it/foto-gallery/cronaca/








12 Dicembre 1969, ore 16:37, una bomba esplode nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano uccidendo 16 persone e ferendone altre 88. È l’attentato che segna l’inizio del terrorismo politico in Italia. Le indagini si orientano inizialmente verso la pista anarchica e portano all’arresto e all’incriminazione di Pietro Valpreda, ma nel corso dell’inchiesta emerge la matrice nera. Al termine di un iter processuale durato circa 35 anni e sette processi in varie città d’Italia, tutti gli accusati dell’eccidio saranno sempre assolti in sede giudiziaria, alcuni verranno condannati per altre stragi, altri invece godranno della prescrizione evitando la pena. Nel 2005 la Corte di Cassazione concluderà sostenendo che la strage di piazza Fontana fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova, nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», non più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari» per questo stesso reato. Al termine il processo del 3 maggio 2005 ai parenti delle vittime verranno anche addebitate le spese processuali.


Vista  la mia passione  , per la storia (   o meglio  la  l'altra storia  )   del nostro  paese    degli anni  60\90  in particolare  , nata  dopo la lettura  ( mi pare lo trovai  come inserto   per  i  25  anni   dalla strage   su   quello che  fu   il settimanale  avvenimenti  ) del libretto strage di stato , e  che  mi  ha  portato  al   leggere  (e divorare    visto il  periodo   di   convalescenza  i libri di    Bendetta  Tobagi e  Enrico Deaglio  )   ad  intervistare   ed ordinarmi   dopo  d'essa   in libreria    :  
La maledizione di Piazza Fontana. L'indagine interrotta. I testimoni dimenticati. La guerra tra i magistrati di Guido Salvini,Andrea Sceresini
La maledizione di Piazza Fontana. L'indagine interrotta. I testimoni dimenticati. La guerra tra i magistrati - Guido Salvini,Andrea Sceresini - copertina

Ad   incuriosirmi   oltre  alle  varie anticipazioni    è    quanto   scritto    sulla  4  di copertina 


Chi era il giovanissimo neofascista che quel pomeriggio d’inverno sarebbe entrato in azione alla
Banca nazionale dell’agricoltura? Cosa aveva da raccontare la “fonte Turco” del Sid, insabbiata in tutta fretta per ordine dei vertici dei servizi segreti? Cosa lega il suicidio di un ex legionario nel Sud della Francia con la morte in Angola di un ricco imprenditore padovano? Ma soprattutto: perché i magistrati non sono stati in grado di compiere fino in fondo il loro dovere ?

Le   cui  risposte  che    <<  sono ovviamente nel libro  >>



Lo so che   prima  d'intervistare     gli autori   di un libro  , sopratutto  quando  è un libro  importante  ,  dovrei leggerlo  prima  . Ma : 1)  in tempi in cui  ci sono pochi €  .,  2)   in cui i trasporti  fra  le  isole (  in questo caso la mia  sardegna  )    e  il resto   della penisola  \  continente   , ed  nella mia addirittura  la difficoltà   nel spostarsi  da  zona  a  zona  con i mezzi pubblici  ., 3 ) la  scarsa presenza  alle presentazioni  nell'isola   (  salvo   festival letterari   importanti  , vedi  quello di Gavoi  )   degli autori nazionali   ,  fanno  si  che   l'unico  modo  per    conoscere  e   poi decidere  se     leggerlo   sia  appunto (  oltre    a  leggere interviste   sui  media    agli autori  )    sia      fare  domande   agli   autori     durante le presentazioni  o  come  ho fatto altre  volte     qui  sul  blog   l'intervistare    agli autori  stessi  prima  (  o  se  hai tempo     e  letto  già  qualcosa      recensirlo   o   fare   domande in contemporanea  ) della lettura     .  
Ora  non potendo   intervistare il magistrato Guido Salvini    sono riuscito ad  intervistare  il coautore  il giornalista
Andrea Sceresini è nato a Sondrio nel 1983. Giornalista freelance, è autore di molte inchieste e reportage di guerra per «La Stampa», «Il Foglio», «Il Fatto Quotidiano» e «l’Espresso».
Tra i suoi libri: Io sono l'impostore. Storia dell'uomo che ci ha fregati tutti (Il Saggiatore 2017), Piazza Fontana. Noi sapevamo. (Mimesis 2017), Internazionale nera. La vera storia della più misteriosa organizzazione terroristica europea (Chiarelettere 2017), La seconda vita di Majorana (Chiarelettere 2016), Mai avere paura. Vita di un legionario non pentito (Chiarelettere 2016), Ucraina. La guerra che non c'è (Baldini e Castoldi 2015), L' avvocato del diavolo. I segreti di Berlusconi e di Forza Italia nel racconto inedito di un testimone d'eccezione (Chiarelettere 2014), Le case della libertà (Aliberti 2011), Il signor Billionaire. Ascesa, segreti, misteri e «coincidenze» (Aliberti 2011).
Ha vinto il premio Dig (ex Ilaria Alpi) nel 2016. Ha inoltre vinto i premi Igor Man e van Bonfanti per le sue corrispondenze dall’Ucraina. Ha realizzato reportage e documentari per la Rai, Mediaset, la tv svizzera e Sky; attualmente lavora per LA7.


  1)  come  siete arrivati  al filmato   tom Ponzi  . tramite i capitano giraudo  oppure  dal nuovo testimone , chiamato l’Antiquario  ? 2) le bobine  del video poi sono state ritrovate  o meno  ? 
 3) nel sottotitolo del libro c'è un'espressione inesatta: "la guerra tra i magistrati". in realtà, la guerra l'hanno fatta al solo Salvini   qual'è la  verità ?
4)  secondo i fautori della    doppia bomba  affermano  che  il  problema      della  guerra    tra magistrati  è   dovuta  al  fatto che perché. Perché aveva trovato con Digilio la seconda bomba. quando altro affermano   che Non è scritto da nessuna parte che Il giudice Salvini abbia accettato la tesi delle doppie bombe... . Ora  chiedo come stanno realmente le  cose  ?
5)  alcun dicono   che  la contro inchiesta  strage  di stato  abbia  ricevuto  imbeccata    chi da Giovanni ventura in quanto la casa editrice  che lo pubblico fosse sua  o  a  lui riconducibile  o   che  a capo del colettivo  ci fosse luo   (  ma    a  me  sembra  una panzana ) chi dai servizi  inglesi  o  alcuni   rami o esponenti dei servizi segreti italiani. Ed  uindi all'inerno d'essi   si parla  di rivalità   .  che ne pensate ?
6) che ne  pensi  dell'interpretazione  di Giovanni Fasanella  sullo speciale  di panorama sui 50  anni di pazza fontana  in   da la  sua versione sul perchè  a  50 anni   distanza non abbiamo ancora una verità soddisfacente, nè sul piano giudiziario nè su quello storico  ( su quest'ultimo   secondo me  c'è già al 90 %  )  ?
paolo morando, prima di piazza fontana, laterza, 2019, piazza fontana, 12 dicembre 1969, storia contemporanea, storia d'italia, attualità, recensioni, strategia della tensione 7) chiacchierando con l'amico paolo Morando , che  intervisterò prossimamente  anche  lui  , autore di Prima di Piazza Fontana. La prova generale,   libro fondamentale per  capire  la tecnica     di depistaggio e di capro espiatorio     che  sarà poi usata   per  piazza  fontana     con tutto  quello che 
  per caso mi è venuta in mente quest'ultima domanda ritiene che con i nuovi elementi portati dal suo libro si possa procedere all'apertura di una nuova inchiesta nei confronti di quello che ha chiamato "il Paracadutista", che avrebbe materialmente collocato la bomba e al cui nome si può facilmente risalire ?

Allora, le risposte alle due domande sono in buona parte contenute nel libro, che a questo punto ti consiglio nuovamente di leggere.
Nello specifico:
1- Tramite l'Antiquario, il come è spiegato nel libro.
2- Non sono state trovate. Il Sid ha cercato di recuperare in Svizzera gli archivi di Ponzi, dove certamente erano conservate anche le bobine. Ci è riuscita la magistratura italiana, ancora negli anni Settanta, ma nel frattempo - come raccontato nel libro - parte del materiale era stato sottratto dallo stesso Ponzi. Che fine abbiano fatto le bobine resta un mistero.
3 - Certo, l'hanno fatta a Salvini. Anche questo è ben spiegato nel libro.
4- Nessuna seconda bomba. Digilio non ha mai parlato di due bombe. Il perché degli attacchi a Salvini è ben spiegato nel libro. 
5- In "La strage di stato" si punta il dito contro Avanguardia Nazionale, mentre i principali responsabili del 12/12, come oggi ben sappiamo, sono quelli di Ordine Nuovo. Anche io ho letto alcune cose a tal riguardo, in particolare in "Bombe a inchiostro" di Aldo Giannuli, ma onestamente non ho mai approfondito l'argomento.
6- Onestamente non ho letto il pezzo di Fasanella. Personalmente - ma anche questo c'è nel libro - ritengo che le cause del mancato raggiungimento della verità giudiziaria (quella storico-giornalistica mi pare ampiamente appurata) sia dovuto: a) ai depistaggi degli anni Settanta b) alla cattiva volontà di parte della magistratura in tempi più recenti (ma anche questo è spiegato nel libro: leggilo!)
7) Secondo me assolutamente sì. Quantomeno dovrebbe essere sentito dalla magistratura


 Allora  lo comprerai o leggerai   in biblioteca  ?  . Lo comprerò'  perchè  è  un libro  fondamentale  per  capire   piazza  fontana  e  la strategia della  tensione   che  ha   attraversato   ed  lasciato una traccia  talmente    profonda    da non riuscire  a chiudere quel periodo  che ancora  divide     ( e  viene  usato  strumentalmente  da  una determinata parte politica\  culturale   )     ed  lasciarselo alle  spalle     . E lo confronterò con  quello  di Paolo  Cucchiarelli 

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...