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6.10.25

7 ottobre 2023 - 7 ottobre 2025 risposta israeliana a brutture di hamas con un genocidio

Oggi apro gli aggiornamenti dei canali di Whatsapp e leggo qusto articolo   del canale   Fanpage Sono trascorsi due anni dall'attacco di Hamas nel sud di Israele. Due anni da quel giorno in cui i nomi delle vittime, dei rapiti in kibbutz, a Sderot, al rave party, sono entrati per sempre nella nostra memoria

collettiva, sostenuti da immagini che abbiamo visto e rivisto. Accanto a questi, ci sono decine di migliaia di altri nomi, quelli delle vittime palestinesi nella Striscia di Gaza: un conteggio che, nella sua drammatica stima al ribasso, si fa fatica a tenere e che le stime ufficiali ci parlano di oltre 60.000 morti. È la cifra di una tragedia in corso, del genocidio che anche gli storici israeliani ormai ammettono essere tale, oltre alle Nazioni Uniti e alla Corte di Giustizia Internazionale. Eppure, proprio in Italia, questo dramma si scontra con una narrazione politica che nega o minimizza. La destra italiana, tra stampa e esponenti di governo, usa la dichiarazione di Liliana Segre nella quale nega l’atto genocidario a Gaza, e la destra lo usa come un "grimaldello" per delegittimare un movimento globale che si è levato a sostegno del popolo palestinese e contro l'orrore. Da Tokyo a Montreal, le piazze del mondo manifestano, in alcune piazza gli striscioni dicono “Facciamo come l’Italia, blocchiamo tutto!” mentre proprio il nostro Paese sembra avvitato in una spirale di polarizzazione. [.... ] continua in quest articolo    di https://www.fanpage.it/podcast/scanner/

Il   che   conferma    quanto   questo  nostro  blog    con le   sue appendici social ( sia con facebook.com/redbepeulisse1 dissattivasto da fb e non più recuperabile sia con quello attuale www.facebbok.com/redbeppeulisse2 con la  pagina  fb Compagnidistrada  e  gli accounts istrangram\ thereads ( redbeppeulisse1 e  redbeppeulisse2  ) e  ora sempre  con redbeppeulisse   su   Bluesky ha seguitoe  segue  , con post più o meno regolari aggiornamenti, il genocidio in atto nei confronti della 
popolazione palestinese della Striscia di Gaza da parte di Israele.Oggi  come    fa  lo  stesso 
 il  fatto quotidiano   in : « Il 7 ottobre 2023 e i crimini di guerra di Hamas: tutto ciò che Amnesty ha documentato finora  » da  cui  ho  preso   le  notrizia     riportate  sotto   torniamo al primo giorno di questi due anni: agli attacchi guidati da Hamas nel sud d’Israele il 7 ottobre 2023.



Quel giorno, secondo una banca dati prodotta dal quotidiano israeliano Haaretz e incrociata con altri elenchi, sono state prese in ostaggio 251 persone. Di queste, 27 erano soldati in servizio attivo e 224, dunque la stragrande maggioranza, civili: 124 uomini, 64 donne e 36 minori. Al momento della presa in ostaggio, 16 persone avevano meno di 10 anni, nove erano ultraottantenni. In gran parte erano ebrei israeliani, sette erano beduini con cittadinanza israeliana e 35 cittadini stranieri. In 36 casi le persone prese in ostaggio erano già morte quando sono state portate nella Striscia di Gaza.
Dal 7 ottobre 2023 è iniziato uno straziante calvario. Tutte le persone prese in ostaggio sono state isolate dal mondo esterno, private di ogni contatto con le famiglie e dell’accesso al Comitato internazionale della Croce rossa fino al momento in cui alcune di loro sono tornate a casa. Per mesi e mesi, molte famiglie non hanno mai ricevuto segnali che i loro cari fossero vivi o morti e questo ha aumentato la loro sofferenza.
Shoshan Haran, fondatrice e presidente dell’organizzazione non governativa per lo sviluppo Fair Planet ed esponente del movimento pacifista Women Wage Peace ,è stata rapita da Hamas insieme a sei familiari, tra i quali tre minori. Allora aveva 67 anni e viveva nel kibbutz di Be’eri, a quattro chilometri dalla barriera di separazione che circonda la Striscia di Gaza. Ha raccontato ad Amnesty International che, dopo aver ricevuto un allarme via Whatsapp, lei e i suoi familiari si sono riparati in una stanza sicura.
Uomini armati li hanno costretti a uscire. Uno di loro, in inglese, ha detto: “Donne e bambini, con noi. Gli uomini, bum-bum”. Shoshan e i sei familiari sono stati portati nella Striscia di Gaza. Lei e cinque familiari sono stati liberati dopo quelli che ha definito “50 orribili giorni di prigionia”. Solo allora ha saputo che suo marito, Avshalom Haran, era stato ucciso quando la famiglia era stata costretta a uscire dalla stanza sicura. Suo genero, Tal Shoham, è tornato in libertà dopo oltre 500 giorni di prigionia.
Nelle testimonianze fornite ad Amnesty International, agli organi d’informazione o ai professionisti sanitari, gli ostaggi rimessi in libertà hanno denunciato di essere stati sottoposti a violenza. Uno di loro ha raccontato che lui e altri quattro ostaggi sono stati picchiati per diversi giorni subito dopo la cattura e collocati in un tunnel senza livelli adeguati di cibo e acqua. Almeno cinque altri ostaggi tornati in libertà, quattro uomini e una donna, hanno reso noto di aver subito pestaggi e altre violenze fisiche. Quattro donne, due ragazze e due uomini hanno dichiarato pubblicamente di aver subito aggressioni sessuali, di aver dovuto denudarsi e di aver subito minacce di matrimoni forzati. Tutte queste forme di violenza fisica e sessuale costituiscono, secondo il diritto internazionale, maltrattamenti o tortura.
Nel settembre 2024 la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sul Territorio palestinese occupato compresa Gerusalemme Est ha dichiarato di “aver ricevuto informazioni credibili circa il fatto che alcune persone in ostaggio sono state sottoposte a violenza sessuale e di genere”, compresa una donna che ha denunciato di essere stata stuprata.
L’Ufficio della rappresentante speciale del segretario generale sulla violenza sessuale durante i conflitti e l’Ufficio del procuratore della Corte penale internazionale hanno a loro volta individuato prove di violenza sessuale, stupri compresi, nei confronti delle persone prese in ostaggio. La Camera preprocessuale della Corte penale internazionale, quando ha approvato la richiesta del mandato d’arresto contro Mohammed Diab Ibrahim al-Masri (conosciuto come Mohammed Deif), comandante dell’ala militare di Hamas, ha sottolineato che “mentre erano trattenute a Gaza, alcune persone prese in ostaggio, per lo più donne, sono state sottoposte a violenza sessuale e di genere, come penetrazioni forzate, nudità forzata e trattamenti inumani e degradanti”.
Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi hanno pubblicato foto e video di ostaggi spesso feriti, angosciati, impauriti o imploranti la propria liberazione. Li hanno fatti sfilare in mezzo alla folla mentre li portavano all’interno della Striscia di Gaza e li hanno sottoposti a umilianti “cerimonie della liberazione”. Sottoporre persone in ostaggio a trattamenti umilianti e degradanti del genere è una forma di oltraggio alla libertà personale, vietata dal diritto internazionale e che costituisce un crimine di guerra.
Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 2025 i gruppi armati palestinesi hanno pubblicato online video di due ostaggi da cui si capiva che erano stati sottoposti a gravi maltrattamenti. Uno di loro, Rom Braslavski, è inquadrato in un video col logo delle Brigate al-Quds (l’ala militare del Jihad islamico palestinese) mentre si trova sul pavimento di un tunnel, emaciato e sudato: afferma di essere troppo debole per stare in piedi e di essere in punto di morte. Per aumentare la sofferenza dei suoi familiari, il Jihad islamico palestinese ha affermato che, dopo le riprese, ha perso i contatti coi rapitori dell’ostaggio.
Nel video di Evyatar David, pubblicato il 2 agosto 2025 dalle Brigate al-Qassam, l’uomo appare profondamente provato, all’interno di un tunnel e costretto a scavare quella che dichiara di ritenere essere la propria fossa. Fornisce dettagli, facendo riferimento a note scritte su un calendario, sul numero di giorni da cui è privo di cibo. Essere costretti a scavare la propria fossa in circostanze del genere equivale a tortura così come lo è il diniego intenzionale di cibo per lunghi periodi di tempo in condizioni di prigionia e di violenza psicologica.
La cattura di ostaggi e la diffusione di video sulla loro sofferenza è un crimine non solo nei riguardi delle vittime dirette. L’incertezza e l’angoscia causate alle famiglie degli ostaggi costituiscono a loro volta forme di maltrattamento e di tortura.
Delle 47 persone che continuano a essere illegalmente trattenute nella Striscia di Gaza, si ritiene che 20 uomini siano ancora vivi.
Amnesty International continua a chiedere che questi ultimi siano rimessi in libertà, così come che siano riconsegnati i corpi degli ostaggi morti o uccisi durante il rapimento o nel corso della prigionia

Ora   capisco   non  significa   che   condvida o essere a favore la reazione  di Hamas  contro  le angherie  ed  i  sopprusi  pluridecennali    del  governo e dei coloni  Israeliani   . Ma  non è modo   di  combattere  il terrorismo e  l'odio  verso gli ebrei  non solo  quelli  sionisti   ritornando  all'antisemitismo   , anzi  lo  si rafforza di  più  .  I  loro   moo di combattere  è  , lo so che  il  paragone  sarà improprio    ma   simili  cose   le  facevano  i nazisti  o erano  usate  in guerre    dell'antichità  cioè  fino al XV\XVI  secolo  cioè  quando ancora  on c'erano  le armi  da  fuoco con la  polvere da sparo   . 

4.10.25

AGGIORNAMENTO i parlamentari italiani della global flottiglia conigli o « trascinati via, non abbiamo scelto noi di rientrare » ? secondo me conoscendo la politica israeliana

  da  unione  sarda   4\10\2025


«Trascinati via, non abbiamo scelto noi di rientrare», «Siamo stati ostaggi dell’esercito israeliano», «Gli aiuti sulle barche c’erano, quei video sono propaganda israeliana».

Parlano i quattro parlamentari italiani a bordo della Flotilla, i primi ad essere rilasciati ieri dalle autorità di Tel Aviv. Oggi rientrano altri 26 attivisti nostri connazionali, tra cui la sarda Emanuela Pala. Restano in prigione altri 15 italiani.«Siamo stati trascinati via, non abbiamo potuto scegliere, nessuno di noi aveva un'interlocuzione con nessuno. Le speculazioni di queste ore rispetto a questo nostro rientro privilegiato le respingiamo al mittente. Quanto vissuto ha annichilito la nostra possibilità di reagire», ha spiegato in conferenza stampa l’europarlamentare Pd Annalisa Corrado, riferendo che «quando qualcuno interloquiva con noi, avevamo intorno 40 persone armate». E in merito alle accuse che sulle barche non c'erano aiuti alimentari afferma: «I video sono stati registrati quando Israele aveva sequestrato le nostre barche. Dire che non c'erano aiuti è quindi solo propaganda».«Siamo stati brutalmente fermati, catturati in acque internazionali dove noi avevamo tutto il diritto di stare», dichiara invece Benedetta Scuderi, europarlamentare di Avs. «Siamo stati ostaggio dall'esercito israeliano, portati a un porto israeliano, abbiamo subito perquisizioni, interrogatori e non abbiamo avuto accesso ai nostri legali. Le barche sono state sequestrate, le bandiere palestinesi sono state tolte e messe quelle israeliane».Marco Croatti, senatore M5s: «Abbiamo partecipato alla missione come attivisti. Adesso dobbiamo essere un fronte unito per riportare a casa tutte le persone detenute illegalmente. Non dirò quello che ho visto con i miei occhi finché non saranno rientrati fino all'ultimo attivista. Non ho parlato con ministri nel corso di tutta la missione. A bordo della Flotilla c'erano solo scatoloni pieni di cibo. Ci hanno minacciato come terroristi, ma avevamo solo aiuti umanitari. E ora le piazze rispondano all'assenza dei nostri governi».Anche Arturo Scotto, deputato Pd, chiede il rilascio di tutti i detenuti: «Siamo arrivati molto vicini a Gaza, a 35 miglia, e non era scontato – sottolinea - Quelle miglia che ci distanziavano non sono state raggiungibili perché il governo non ha fatto una pressione vera per riaprire quel corridoio umanitario chiuso da anni. Chi era nell'illegalità è chi ha impedito a quelle barche di arrivare a Gaza».Sul rilascio immediato: «Credo sia stato un atto unilaterale di Israele, persino al netto dell'interlocuzione con la Farnesina. Non abbiamo avuto alcuna chiamata da Meloni, abbiamo avuto una interlocuzione con il ministro Crosetto – parlo per me, Corrado e Scuderi - anche nelle ore più complicate dell'abbordaggio. Una interlocuzione continua di cui lo ho ringraziato. Con Tajani abbiamo parlato ieri, intorno alle 9.30 di mattina, quando ci hanno comunicato che saremo rientrati, dal telefono del vice ambasciatore Baldassarri che non sapeva saremmo partiti poche ore dopo».Scotto parla di «24 ore di blackout, non sapevamo dove eravamo e che fine avremmo fatto». «Sapevamo che non ci avrebbero torto un capello, ma non sapevamo quando saremmo usciti – aggiunge - Sappiamo che sono state commesse violazioni gravi ora la testa è perché tutte le delegazioni rientrino a casa"

(Unioneonline)

5.9.24

se israele continua con la sua politica logico ed ovvio che ci saranno altre sparatorie o peggio come quella d'oggi a monaco

  da    TheSocialPost.it

sparatoria consolato israeliano Monaco

Germania: sparatoria nei pressi del consolato israeliano a Monaco

Pubblicato: 05/09/2024 10:51

Giornata drammatica quella che sta vivendo la Germania. Dopo la notizia di una sparatoria con morti e feriti a Berlino, anche a Monaco di Baviera accade la stessa cosa. Stavolta nei pressi del consolato israeliano. Il video diffuso sui social è impressionante.

Leggi anche: Berlino, sparatoria in strada: un morto e due feriti

Il video della sparatoria al consolato israeliano

Secondo quanto si apprende, un uomo armato ha aperto il fuoco nei pressi del consolato israeliano a Monaco. Secondo l’emittente pubblica Kan, inoltre, non ci sarebbero feriti nell’attacco e l’uomo armato è stato “neutralizzato”. L’attacco armato è avvenuto proprio nel giorno dell’anniversario dell’attacco terroristico alle Olimpiadi di Monaco del 1972.


 fin  quando israele e le  frange  più estremiste  dei loro  abitanti   non la  smetteranno   con la  sua  politica    sui palestinesi   e  di  bombare  l'odio    verso il loro popolo   sarà ancoira  maggiore  e  gli attentati  aumenteranno . Infatti  

da   https://www.fanpage.it/

“Abbiamo dato ai palestinesi un motivo per odiarci”: il racconto di un ex soldato israeliano
Un ex soldato israeliano, oggi membro dell’organizzazione Breaking The Silence, racconta il momento in cui tutte le sue certezze sulle IDF e sull’occupazione dei territori palestinesi sono crollate: “Me ne sono reso conto guardando negli occhi dei bambini palestinesi, durante una missione notturna vicino Jenin”.

                                      

                                                           A cura di Annalisa Girardi


Joel Carmel ha una trentina d'anni, è originario del Regno Unito ma da tempo vive a Gerusalemme, in Israele. Ed è un ex soldato delle IDF, le forze di difesa israeliane. Oggi fa parte di Breaking The Silence, un'organizzazione di veterani che ha deciso di raccontare la realtà dell'occupazione in territorio palestinese.Durante il primo anno di servizio militare è stato mandato al confine con la Striscia di Gaza, al valico di Erez, per poi essere trasferito in Cisgiordania, nella regione di Jenin. Si occupava di gestire le richieste sui permessi dei palestinesi che volevano entrare in territorio israeliano, per lavorare, fare una visita medica o qualsiasi altro motivo.“Tutti noi siamo arrivati a Breaking The Silence dopo aver avuto una specie di epifania, un momento che ci ha fatto vedere le cose in maniera diversa – ci racconta, in una lunga intervista – Io ero piuttosto critico dell’occupazione, anche prima di entrare nell’esercito, ma pensavo che sarei potuto diventare un buon soldato. E pensavo che, trattando bene i palestinesi, sarei potuto essere una buona influenza anche su chi mi stava attorno. Ma con il tempo è diventato sempre più chiaro che non esiste un modo “buono” per fare quello che facevamo”.“Posso essere gentile e amichevole quanto voglio, ma è l’occupazione come fatto in sé che crea una situazione in cui ci sono delle persone che vengono costantemente oppresse e tenute sotto controllo. Non c’è un modo buono, morale, per gestirla”.
La realtà dell'occupazione israeliana, il racconto dell'ex soldato delle IDF
Il momento in cui Carmel lo ha realizzato è stato durante una cosiddetta “mapping mission”. Non sapeva molto di cosa accadesse in queste missioni, che avvenivano sempre nel bel mezzo della notte, così una volta ha chiesto di partecipare. Faceva parte di una sezione amministrativa dell’esercito, quindi non era solito stare sul campo, ma è stato comunque incoraggiato a partecipare.
“Era inverno, all’inizio del 2015. Sono salito su una jeep del convoglio militare, era circa l’una di notte e abbiamo iniziato a guidare attraverso questo villaggio palestinese vicino a Jenin. Quando siamo scesi ci hanno dato una lista di coordinate, che non erano altro che gli indirizzi di alcune persone. Ci siamo divisi in squadre, ricordo una fortissima adrenalina. Siamo andati verso la prima casa e il comandante ha iniziato a battere forte sulla porta.Un uomo ci ha aperto, era chiaramente sorpreso e spaventato di vedere un gruppo di otto o nove soldati, pesantemente armati, alla sua porta. Il comandante gli ha chiesto di svegliare il resto della famiglia e di portarli tutti di sotto, all’entra
ta. Di colpo mi sono trovato questa famiglia davanti. C’erano bambini molto piccoli, sei o sette anni. Il comandante ha iniziato a fare una serie di domande molto semplici, di base è questo che si fa durante una ‘mapping mission’. L'obiettivo è appunto quello di mappare un villaggio o una comunità: si va nelle case delle persone, si fanno delle perquisizione, delle domande, a volte si disegna proprio una mappa schematica della casa oppure si mettono in fila contro il muro i componenti della famiglia e si scattano alcune foto. L’idea è quella di raccogliere quante più informazioni possibili su un determinato luogo, così se in futuro c’è bisogno di prendere il controllo di quel villaggio, si hanno già tutte le informazioni che servono.
Ricordo che guardavo i bambini, erano terrorizzati. Pensavo che lo fossero perché non sapevano cosa stessimo facendo lì. Non potevano sapere che non avevamo alcuna intenzione di fare loro del male, nessuno glielo aveva detto. Non parlo arabo, non avevo alcun modo di comunicare con loro, ma volevo dirgli che era tutto ok. L’unico modo per farlo era sorridergli. Così ho sorriso. Ma loro non mi hanno sorriso a loro volta, continuavano a guardarmi con un misto di odio e di paura.Lì mi è crollato tutto addosso, in quel preciso momento. Da quando sono piccolo – e soprattutto poi, durante il mio addestramento nell’esercito – mi era sempre stato ripetuto che tutto ciò che facevano le IDF era per mantenere le persone al sicuro. Per questioni di sicurezza, per fare in modo che possiamo vivere in Israele tranquillamente. Dicevano che a volte potevano esserci dei momenti difficili, in cui bisognava fare cose delle cose spiacevoli, ma che tutto accadesse per ragioni di sicurezza. In quel momento, mentre guardavo quei bambini e loro guardavano me, ho realizzato che non era vero niente. Nulla di quello che stavamo facendo aveva qualcosa a che fare con la sicurezza, con il fatto di tenere le persone al sicuro. Semmai il contrario: ho pensato che magari quei bambini si stessero radicalizzando in quel momento. Forse eravamo proprio noi a creare un problema di sicurezza, perché non so che cosa pensassero quei bambini prima di quella notte, ma noi gli stavamo sicuramente dando una ragione per odiarci, per odiare Israele e l’esercito israeliano. Alla fine della missione il comandante ci ha detto una cosa. Ci ha spiegato che non ci stessimo presentando lì nel bel mezzo della notte sulla base di qualche sospetto, mentre tutti dormivano per non farci vedere. Stavamo andando lì in piena notte per fare vedere loro chi comandasse. In quel momento non stavamo svegliando solo quella famiglia, stavamo tirando giù dal letto un intero villaggio, dimostrando così a tutti che potevamo farlo, che eravamo noi al comando. Eravamo noi che controllavamo tutto quello che succede nel villaggio e che potevamo decidere a che ora svegliare tutti quanti. Siamo andati lì per raccogliere informazioni. E questo ci serviva per rafforzare il nostro controllo: sapevamo dove vivevano, a che ora si svegliavano, in che letto dormiva ogni singola persona. Era il modo di tenere i palestinesi costantemente consci del fatto che saremmo potuti arrivare in qualsiasi momento”.
Mantenere una pressione costante
Una volta lasciato l’esercito Carmel è entrato a far parte di Breaking The Silence e si è reso conto che missioni come quella a cui aveva partecipato nell’inverno del 2015 venivano fatte di continuo. Era solo una parte di una strategia molto più ampia, che consisteva (e consiste ancora oggi) nel far percepire perennemente la presenza dell’occupante.
“L’unico modo per tenere sotto controllo milioni di persone, e questo va avanti da oltre cinquant’anni in Cisgiordania, è quello di intimidirle incessantemente, tenendole in uno stato di paura continua e di violenza, in modo che non alzino mai la testa, che non facciano mai qualcosa che possa anche solo lontanamente rappresentare una minaccia. Come scrivere un semplice post su Facebook, l’obiettivo era di spaventare le persone talmente tanto da farle diventare costantemente terrorizzate delle potenziali ripercussioni che avrebbe generato anche il più piccolo segnale di resistenza o di disobbedienza”, ha raccontato.
Breaking The Silence ha raccolto moltissime testimonianze di cosa voglia dire vivere nella Cisgiordania occupata e non sentirsi più al sicuro all’interno di casa propria. Alcune sono state pubblicate in un report – redatto insieme ad altre due ong, Yesh Din e Physicians for Human Rights Israel – che si chiama “A Life Exposed – Military invasions of Palestinians Homes in the West Bank”. Subito dopo le IDF hanno detto che non avrebbero più condotto queste "mapping missions". Una notizia che ha sorpreso, quantomeno. Di solito l’esercito israeliano non interrompe le sue pratiche militari solo perché è stato pubblicato un report di denuncia. E infatti non era quello il motivo dello stop: semplicemente queste missioni non erano più necessarie, perché lo stesso risultato si poteva ottenere con la tecnologia.
Quando la tecnologia svolge i compiti degli esseri umani
“Da quel momento a Breaking The Silence abbiamo iniziato a ricevere delle testimonianze sull’utilizzo di un’app, Blue Wolf. Dei soldati ci hanno raccontato di aver ricevuto in dotazione dei telefoni dall’esercito, che disponeva di questa applicazione che non era altro che un modo diverso di sorvegliare i palestinesi”, ha sottolineato Carmel.
Questa applicazione – di cui ha parlato anche Amnesty International in un dettagliato report – abbina le foto dei palestinesi scattate dai soldati israeliani a un gigantesco database, dove sono contenuti i loro dati. Una sorta di Grande Fratello dove tutti vengono schedati. Non solo: alcuni militari hanno raccontato che tra le funzionalità dell’app, una lancia di fatto una competizione. Vengono mostrati quanti match ogni squadra riesce a fare e il numero appare poi in una classifica generale: chi ha ottenuto più abbinamenti vince un premio, ad esempio una licenza più lunga nel fine settimana. Una conseguenza? I soldati sono incentivati a scattare quante più foto possibili e a trovare sempre più corrispondenze all’interno della banca dati.
“Le IDF, da parte loro, dicono che Blue Wolf sia un vantaggio anche per i palestinesi, perché rende tutto più efficiente – ha spiegato Carmel – A un checkpoint, per esempio esempio, non devono più aspettare che il soldato controlli manualmente i loro dati, cercando riscontro al database per sapere chi ha davanti, visto che è direttamente l’app a fare tutto in tempo reale. Ma quello che le IDF non ammetteranno mai è che tutto questo serve ad aumentare il controllo, ad avere sempre più dati senza che i palestinesi abbiano alcuna voce in capitolo. Quindi non è che una violazione dei loro diritti”.
L'automatizzazione del controllo su una popolazione è un processo disumano, non c'è dubbio. Questi stessi meccanismi applicati alla guerra sono ancora più tragici.
L'IA durante la guerra
Dal 7 ottobre diverse inchieste giornalistiche hanno raccontato l'orrore del conflitto automatizzato, in cui i sistemi di intelligenza artificiale non rispondono a necessità "etiche e morali" – semmai questo sia possibile in un contesto di guerra – per cercare di limitare l'entità della distruzione e delle vittime civili. Al contrario, l'intelligenza artificiale verrebbe usata meramente al servizio dell'obiettivo militare, per colpire i nemici e neutralizzare le minacce, mettendo semplicemente in conto che degli innocenti diventino danni collaterali.Un software di intelligenza artificiale non ha valori o principi morali, se non quelli che gli vengono insegnati. Una guerra automatizzata è qualcosa di tragico, dove un massacro di civili può avvenire in qualche secondo, al di fuori del controllo umano. Dove potenzialmente è una macchina a decidere chi uccidere, senza che nessuno sia responsabile di quella decisione.E questo sarebbe accaduto anche nella Striscia di Gaza, soprattutto nelle settimane subito dopo il 7 ottobre. Un'inchiesta di +972 Magazine e Local Call ha raccontato come nella prima fase del conflitto sia stato un sistema di intelligenza artificiale a individuare gli obiettivi da colpire, e uccidere.Da quando è scoppiata la guerra a Gaza, diversi soldati hanno contattato Breaking The Silence per raccontare la loro testimonianza: alcune sono in fase di verifica, altre non possono ancora essere pubblicate. L'unica cosa che ci ha potuto dire Carmel, quando gli abbiamo chiesto dell'inchiesta, è stata: "Ha senso che le cose stiano così. Pensiamo all’occupazione: la tecnologia è sempre stata usata per mantenere il controllo su un territorio e una popolazione. Ed è per questo che si cerca di essere sempre un passo avanti con le tecnologie”.
“È molto semplice fare affidamento alla tecnologia, perché ci risulta convincente. Ma commette errori. Lo faceva anche con Blue Wolf. Le tecnologie di riconoscimento facciale, per esempio: più una persona ha la pelle scura, più è probabile che il sistema non la riconosca e la confonda con un’altra. E quando avviene questo, può succedere che qualcuno venga scambiato per un altro e arrestato, anche se non ha fatto nulla. In un contesto di guerra, l’errore ovviamente rischia di fare molti più danni”.Secondo il governo di Hamas nella Striscia di Gaza, dal 7 ottobre sono state uccise oltre 40 mila persone. Mentre la comunità internazionale chiede il cessate il fuoco e il rilascio immediato degli ostaggi ancora nelle mani dei miliziani, una tregua sembra lontanissima.
“Il 7 ottobre è stato traumatico. A Breaking The Silence abbiamo perso delle persone, che sono state uccise quel giorno. Tutto quello che è accaduto poi a Gaza è semplicemente terrificante. E rende più difficile pensare che ci possa essere la pace in futuro: già prima lo era, con l’occupazione, ma ora è peggio. Allo stesso tempo credo che ora si sia aperto uno spazio di discussione, perché è diventato evidente, almeno dal nostro punto di vista, che questo conflitto non si risolve con la forza militare", ha commentato Carmel.
Per poi spiegare: "Dal 1967, ogni governo che si è succeduto ha messo sempre più risorse, sforzi, soldi nell’occupazione. Perché si è sempre pensato che fino a quando si riusciva a mantenere il controllo da un punto di forza, fino a quando non si fossero fatte concessioni, sarebbe andato tutto bene. Ma quello che noi cerchiamo di dire da sempre, e il 7 ottobre l’ha dimostrato, è che non si può pensare di gestire un conflitto del genere per sempre, perché è come una pentola a pressione. Più pressione si mette, più è vicino il momento dell’esplosione. E alla fine questa esplosione c’è stata, va avanti tutt’ora e continuerà a farlo se non si troverà una soluzione a lungo termine che assicuri a tutti libertà, diritti e giustizia".
Infine, il veterano ha concluso: "È molto difficile fare questo tipo di discorsi in circostanze così traumatiche, ma ora abbiamo l’opportunità di convincere la nostra società e la comunità internazionale che l’unica via perché sia gli israeliani che i palestinesi vivano in pace e sicurezza è una soluzione politica”.


Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

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