Ecco un esempio in cui la solitudine non è separazione
dal mondo:ma partecipazione in esso . Peril protagonosta della storia che leggerete nele righe seguenti la solitudine e la relativa morte è
stata la conclusione nobile di un'esistenza. Una testionianza che conferma quando diceva un poeta cantautore questa canzone
e in questo discorso
Non riuscendo piàù a scrivere di tale vicenda , senza farmi venire le lacrime a gli occhi , copio ed incollo l'articolo di repubblica di oggi 19\6\2016
"Lascio tutto alla ricerca". La generosità di Franco che ha lottato contro la polio
Si ammalò poco prima della
diffusione del vaccino. Dopo la morte la sorpresa: la scienziata Elena
Cattaneo, senatrice a vita, nominata erede
Tutto vero. Quell'ignoto signore di Molinella, pianura bolognese, morto
il 21 maggio scorso dopo avere convissuto per 64 anni con la malattia,
nato nel 1952, lo stesso anno in cui Jonas Salk e Albert Sabin
iniziavano a gareggiare per il vaccino che avrebbe sradicato la
poliomielite dal mondo, arrivato troppo tardi per liberarne lui, ha
affidato personalmente a lei, le ha versato nelle mani, il patrimonio
d'una vita, denaro, titoli, alcuni immobili, per un valore di più di un
milione di euro, e lo ha fatto
senza porre condizioni oltre la sua
fiducia assoluta in una scienziata mai vista di persona. "Avrei voluto
parlargli, conoscerlo, capire da lui perché quella scelta, perché
proprio io...", commenta lei ancora interdetta, "ma forse le cose che
danno più soddisfazione nella vita sono quelle che fai per gli altri
senza che loro lo sappiano".
Di Franco Fiorini sanno poco anche a Molinella, che pure è una cittadina di poche migliaia di anime, immersa nel Novecento di Bertolucci (ricordi di paludi e di mondine, qui c'è ancora il Psdi). Da quindici anni, lasciato il posto di direttore amministrativo di un'azienda edile, viveva segregato nella sua villetta bianca, moderna, a due piani, vicina al centro del paese: rare uscite, vita minimale, poche spese, non aveva neppure una sedia a rotelle, nel suo studio di mobili sobri e solidi s'aggirava a bordo di una sedia da regista alle cui gambe il padre aveva applicato quattro rotelle.
Di Franco Fiorini sanno poco anche a Molinella, che pure è una cittadina di poche migliaia di anime, immersa nel Novecento di Bertolucci (ricordi di paludi e di mondine, qui c'è ancora il Psdi). Da quindici anni, lasciato il posto di direttore amministrativo di un'azienda edile, viveva segregato nella sua villetta bianca, moderna, a due piani, vicina al centro del paese: rare uscite, vita minimale, poche spese, non aveva neppure una sedia a rotelle, nel suo studio di mobili sobri e solidi s'aggirava a bordo di una sedia da regista alle cui gambe il padre aveva applicato quattro rotelle.
"La sua è stata una vita di affetti, i genitori lo hanno accudito,
protetto, magari un po' chiuso in una campana di vetro..." racconta di
lui l'avvocato bolognese Paolo Ghedini, una relazione di lavoro
diventata amicizia, "il padre lo portava tutti i giorni a lezione, e poi
al lavoro, issandolo con le sue braccia, finché ha potuto". Dopo la
morte dei genitori, solo l'aiuto di una badante. "Discutevamo di
politica, di libri, neppure a me aveva detto nulla della sua idea",
racconta Ghedini. Gli aveva semplicemente affidato, poco prima di
morire, la busta chiusa con il testamento, l'ultimo di una serie, senza
dirgli nulla del contenuto. "Non parlava mai della sua malattia, non ha
mai imprecato contro il destino che lo ha fatto nascere qualche anno
troppo presto. Era una persona serena".
Ma in quella solitudine da eremita possedeva una finestra sul mondo. Un
computer, Internet. "Sempre informatissimo". Dobbiamo immaginarcelo
così, il volto illuminato dalla luce azzurrina dello schermo, mentre
cerca notizie su quella malattia così feroce, poi debellata dalle
vaccinazioni di massa degli anni Sessanta, la malattia di cui è stato,
per una congiura implacabile della cronologia, per una manciata di anni,
uno degli ultimi bersagli; e sulle altre afflizioni degli uomini, e su
chi le combatte in nome della vita. Così deve avere incontrato il nome
di Elena Cattaneo, così deve essersi convinto, leggendo, studiando, che
fosse lei la persona giusta. Così deve avere preso la sua solitaria
decisione.
Capita a chi ha sofferto di donare i propri averi a chi combatte il suo
nemico invisibile. "Ma Franco", osserva la scienziata, ormai per lei è
Franco, l'amico sconosciuto, "non ha legato il suo lascito alla sua
malattia. Il suo gesto non sembra una rivincita, né un risarcimento
simbolico... Immagino un uomo che riconosce nella sofferenza degli altri
il suo stesso bisogno e pensa che nel mondo ci sia necessità di più
studio, di più sapere". La senatrice fa una pausa, e una cosa non riesce
a non dirla: "Ha ragionato come spesso la politica non sa fare. Ha
scommesso sulla libertà e sulla responsabilità della ricerca
scientifica". Ma donare a una persona fisica e non a un'istituzione, non
suona sfiducia? "Ma io sono le istituzioni, università,
parlamento, sono quanto di più pubblico ci sia...". Presto parlerà di
lui proprio nell'aula del Senato, "voglio che la sua storia sia un
esempio".
Cosa accadrà dopo, è presto per dirlo. Martedì la senatrice Cattaneo
sarà a Molinella per accettare formalmente il lascito, ma saranno da
avviare stime e inventari, e da attendersi (succede spesso in questi
casi) l'impugnazione del testamento da parte dei parenti. Per la
beneficiaria poi non sarà facile gestire un lascito che sul piano legale
entra nel suo patrimonio personale. "Da cui dovrò immediatamente
separarlo", annuncia, "voglio che tutto sia pubblico e trasparente". Su
quel "destini come meglio crede" ci sarà da ragionare, "chiederò
consigli, magari borse di studio, una fondazione, sarebbe bello
trasformare in luogo d'incontro la casa dove viveva Franco". Per ora
resta una punta di rimpianto, "se mi avesse chiamato,
fatto capire meglio...", ma anche l'ammirazione, "la solitudine non è
sempre separazione dal mondo: Franco ha partecipato al nostro mondo
illuminandolo. Per lui è stata la conclusione nobile di un'esistenza.
Per me sarà un secondo incarico a vita".